dall'unione sarda
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Gli effetti delle leggi razziali. (Wikimedia Commons)
Sarebbe dovuta partire proprio in questi giorni a Trieste la mostra "Razzismo in cattedra", a 80 anni esatti dal Regio Decreto che varò i provvedimenti contro gli ebrei italiani. Un tributo per ricordare una pagina infame della nostra storia, scritta da Benito Mussolini con l'avallo di re Vittorio Emanuele III, per allineare l'Italia alle politiche antisemite dell'alleato Adolf Hitler.
Ma la mostra organizzata dal liceo Petrarca di Trieste in collaborazione con l'Università cittadina, il Museo della Comunità ebraica e l'Archivio di Stato, non avrà luogo, a causa delle polemiche scoppiate tra gli organizzatori e il sindaco Roberto Dipiazza.
Motivo dello scontro la locandina dell'evento, un immagine che ritrae tre ragazze sorridenti e la prima pagina de Il Piccolo del settembre 1938 con l'annuncio della cacciata di studenti e insegnanti ebrei dalle scuole.
"Quando ho visto quel titolo del Piccolo dell'epoca, così estremamente pesante, e quella scritta sul razzismo mi è sembrato esagerato - commenta il primo cittadino di Trieste - Dico io, dobbiamo ancora sollevare quelle cose?". Da qui la convocazione della dirigente scolastica del Petrarca e la revoca delle sale comunali che avrebbero dovuto ospitare "Razzismo in cattedra", con uno strascico mediatico in cui si è inserito anche Enrico Mentana, con un post amaro in risposta alle parole di Dipiazza: "Sì sindaco, oggi più che mai, e quelle sue parole feriscono. Non solo, ma non smetto di guardare quel manifesto, e non capisco con che cuore, con che animo e con che raziocinio lei lo abbia potuto definire 'esagerato'. È storia, purtroppo. La nostra".
Una storia che non può essere rimossa e che per la gravità delle sue conseguenze deve anzi esser ricordata e trasmessa alle nuove generazioni. Anche con una mostra.
La locandina della mostra "Razzismo in cattedra"
18 SETTEMBRE 1938: E L'ITALIA SI SCOPRÍ ANTISEMITA -Proprio a Trieste, da un palco davanti al Municipio, Benito Mussolini annunciò i contenuti delle leggi razziali che avrebbero cambiato la vita dei circa 40mila ebrei italiani, avviando quella spirale micidiale di violenza cui seguirono le deportazioni di massa.
Quei pochi che "fiutarono" in anticipo il clima persecutorio lasciarono il Paese, ma per la maggior parte degli ebrei italiani partì una vera e propria caccia alle streghe, preannunciata nel luglio del '38 dal documento della "razza ariana italiana" redatto da illustri personalità accademiche. Il manifesto dell'antisemitismo italiano, scritto personalmente da Mussolini, nel quale si rivendica orgogliosamente di essere "razzisti" e si escludono ufficialmente gli ebrei dalla "razza" italiana.
"PROVVEDIMENTI PER LA DIFESA DELLA RAZZA ITALIANA" - Con il Regio Decreto, approvato dal Consiglio dei ministri nel novembre del '38, si bandirono i matrimoni misti e si vietò agli ebrei di possedere aziende, terreni e immobili di un certo valore, di essere impiegati nell'amministrazione pubblica, enti, istituti e banche, prestare il servizio militare e svolgere professioni di carattere intellettuale.
Un numero della rivista fascista
LE LEGGI RAZZIALI E LA SCUOLA - Tra i settori della vita pubblica maggiormente colpiti dai provvedimenti antisemiti ci fu la scuola, con il divieto di ammissione agli studenti ebrei e la "cacciata" degli insegnanti e dei dipendenti non "ariani", anticipando persino la Germania hitleriana, che sarebbe arrivata a un simile provvedimento solo alcuni mesi dopo.
E la sospensione dall'attività colpì anche docenti universitari e ricercatori, per un totale di circa 300 "epurati" dagli atenei italiani, tra cui eminenti studiosi e accademici di fama internazionale, che nel migliore dei casi riuscirono a proseguire l'insegnamento fuori dall'Italia o entro i confini dello Stato Vaticano.
Non ci fu il sostegno o la solidarietà dei colleghi, che spesso andarono a ricoprire le cattedre rimaste vacanti o firmarono le pubblicazioni al posto dei legittimi autori ebrei, che anzi si sperticarono per dimostrarsi pienamente "italiani" e arrivarono a denunciare colleghi ebrei membri di Accademie e Istituti scientifici, artistici e culturali.
Unica eccezione da ricordare è quella di Benedetto Croce, che all'invito a compilare i moduli "della vergogna" rispose con amaro umorismo: "L'unico effetto della richiesta dichiarazione sarebbe di farmi arrossire, costringendo me, che ho per cognome Croce, all'atto odioso e ridicolo insieme di protestare che non sono ebreo, proprio quando questa gente è perseguitata". E pensare che tra i membri di uno di questi enti illustri, l'Accademia dei Lincei, figurava anche "un certo" Albert Einstein.
(Unioneonline/b.m.)