se come dice il #maistream se Alla data del 29 dicembre 2024 diminuiscono dell'8% i #femminicidi, ovvero l’uccisione per mano del partner o ex partner (da 64 a 59). mi chiedo come mai si parla di 109 donne uccise ? non è che c'è ancora confusione tra #violenzadigenere e femminicidio visto che 95 in ambito familiare e 59 per mano del partner o dell'ex . ? voi che ne pensate ?
Secondo c'è una confusione su dove inserire le vittime femminili se fra i femminicidi o violenza di genere . Unica cosa non univoca è il fatt che Uno degli aspetti più inquietanti è l’aumento dei delitti nelle aree rurali e nei piccoli comuni con meno di 5.000 abitanti. Parallelamente, cresce il numero di donne vittime con più di 65 anni: sono 37 nei primi 11 mesi del 2024, pari al 37,4% delle vittime femminili totali. Questi omicidi avvengono principalmente in ambito familiare, commessi dal coniuge o dai figli. Anche il dato sulle figlie uccise è in crescita, passando da 5 a 9 casi. Queste tragedie si verificano spesso nel contesto di stragi familiari, in cui le figlie diventano vittime collaterali di una violenza diretta contro la madre o la ex partner. Vittime straniere e dinamiche dei crimini Un altro dato significativo riguarda l’aumento delle vittime straniere, che nel 2024 hanno rappresentato un quarto del totale (24,2%), con un incremento del 41,2% rispetto al 2023. Questo trend si contrappone alla diminuzione delle vittime italiane, calate del 21,1% nello stesso periodo. In controtendenza, si osserva un calo degli autori stranieri di femminicidi, mentre gli italiani rimangono stabili. In particolare, il 45,8% dei femminicidi con vittime straniere è stato commesso da autori italiani. Autori sempre più giovani e fenomeno multigenerazionale Un dato preoccupante riguarda anche il numero degli autori under 25, che è triplicato passando da 4 a 12 casi. Tuttavia, è tra gli over 64 che si registra la percentuale più alta di autori, con 27 casi nel 2024. Questa dinamica evidenzia come il fenomeno dei femminicidi coinvolga tutte le fasce d’età, sia tra le vittime che tra i colpevoli.
Infatti fra il 3-5 gennaio ( la data precisa è d'accertare ) c'è stato il primo femminicidio di questo 2025
La cassiera parlava, parlava. A voce alta. Le due persone davanti a lei chiedevano affabilmente, a voce più bassa. Alla signora sembrava di non essere all’altezza se non rispondeva a tutte le domande. Quasi volesse dire: e credete che io, regina di questo bar, non sappia quel che mi state chiedendo? Regalava a ignoti (figurati mai se può essere la mafia, che c’entra mai la mafia?), la classica “spalla” innocente. Ne impersonava una decisiva sottospecie: la rana dalla bocca larga. Ho assistito alla scena sempre più incredulo in un bar accanto al Palazzo di giustizia di Milano. Per almeno un quarto d’ora. E sono così riandato alla domanda regina, quella che da decenni sento alla fine degli incontri a cui partecipo: ma io che cosa posso fare contro la mafia? La domanda reca timbri di voce diversi, dell’adolescente curiosa come dell’anziano scettico verso le cose del mondo. In una scuola, al convegno di un ordine professionale, a un circolo di partito.
Già, che cosa possiamo fare?, fa eco un altro. A quel punto fioccano progressivamente le risposte. Niente, sono troppo forti. Bisogna informarsi, leggi X, in televisione senti Y, che dice le cose come stanno. Schierarsi con in magistrati, contro il governo che li vuole zittire. Vota le persone giuste, non mandiamo complici nelle istituzioni. Dobbiamo sostenere i prodotti dei beni confiscati. Bisogna iscriversi tutti a un’associazione antimafia. Ci vuole il monitoraggio civico, per fermarli pripensato ma, dice il più istruito di tutti.
Ecco, vedendo e sentendo la cassiera, e ripensando al suo servizio di assistenza gratuito, mi sono rafforzato in una convinzione: che a queste risposte, che sono tutte dotate di senso tranne la prima, ne va aggiunta una fondamentale che vi sembrerà sorprendente: parlare di meno, e a voce più bassa. Questo possiamo fare. Ma come, direte, è proprio la mafia che impone di non parlare, di fare come le tre scimmiette. Appunto, perché le conviene che di lei non si parli. Ma a sua volta le conviene, e molto, che gli altri parlino di sé stessi e della vita quotidiana dei propri simili. Questo lo vuole eccome.
Credo cioè che ancora non sia chiaro un principio, a dispetto delle tonnellate di libri sulla mafia: che la prima, primissima risorsa della mafia non sono i soldi ma le informazioni. Tante, aggiornate, su tutti, come neanche lo Stato si sogna di averne. Ottenute gratuitamente. Non ci avete mai che proprio là dove dovrebbe regnare il silenzio delle scimmiette è sorto invece il detto “qui anche i muri hanno le orecchie?”. Silenzio da un lato, saper tutto dall’altro. Riuscendoci grazie a quell’alleato prezioso: la rana dalla bocca larga. La nostra cassiera che parla e poi parla. Sì il giudice viene qui sempre alle..., le pulizie su credo che le faccia l’impresa..., c’è la ditta che fa i lavori..., in genere sono insieme, sì sono molto amici...
Ci si domanda come le sappia quelle cose. Chissà quante rane dalla bocca larga sono passate e passano dal suo bar a seminare informazioni, compiaciute di averle e di cui non sanno che farsi; ma che sono utilissime ad altri. Tempo fa in un ristorante di Brescia un magistrato sentì provenire da un discorso fatto a voce altissima (perché bisogna far vedere che “si sa”!), notizie personali che mi riguardavano. O forse che il procuratore Caccia non venne ucciso a Torino anche grazie alle notizie che gli addetti ai lavori diffondevano sul suo operato al bar del tribunale, sorvegliato da malintenzionate orecchie criminali dall’altra parte del bancone? E d’altronde come si viene a sapere dove vanno a scuola le bimbe di “quella signora così gentile e simpatica” e che è in realtà l’impiegata che blocca una pratica illegale, se non da un collega che vuole fare il cordialone con lo sconosciuto? Ricordate: ci chiedono di fare le tre scimmiette con gli affari loro e la rana dalla bocca larga con i nostri. Perché non rovesciamo?
IDEE E SE COMINCIASSIMO INVECE NOI A PRATICARE IL SILENZIO?
A mio avviso , lo stesso pensiero di Nando dalla Chiesa , sopra riportato , potrebbe essere applicato ai casi di femminicidio \ violenza di genere quelli che per usare un termine alla moda vengono chgiamati , coime la famosa trasmissione Rai amori criminali .
Infatti si parla troppo , al 95 % in maniera morbosa e cronmachistica senza ( salvo eccezioni soprattutto nella settimana el 25 novembre ) analizzare in profondità il fenomeno e le cause antopologiche sociali di un fenomeno ormai diventato emergenza sociale
Nella giornata di ieri si è svolto il funerale di Giulia Cecchettin nella basilica di Santa Giustina a Padova. Il padre della giovane, Gino, ha dedicato alla figlia parole toccanti e, insieme ai suoi due altri figli, ha accompagnato il feretro fuori dalla chiesa.Nella trasmissione Pomeriggio 5, durante una conversazione con lo zio della giovane via collegamento, la conduttrice Myrta Merlino ha espresso il suo pensiero su come questo evento rappresenti per l'Italia il "miracolo di Giulia". ⁕
La drammatica vicenda ha scosso tutta Italia e ha acceso i riflettori sulla violenza che troppe volte le donne subiscono. Dalla scomparsa dei ragazzi alla fuga di Filippo Turetta fino al tragico ritrovamento della giovane e a tutta la violenza subita da Giulia.In questi giorni l'intero Paese si è ritrovato a parlare della ragazza sui giornali, in tv e sui social e, talvolta, con fin troppa dovizia oltre ogni morbosità, di particolari. Selvaggia Lucarelli ha proprio fatto notare come si sia arrivati alla "deriva", condividendo il video di una "tizia assurda che nella vita 'ricompone i cadaveri' e racconta particolari macabri tra un consiglio sul rossetto e un corso. Oggi si è superata: dà appuntamento per una live con i colleghi di Padova che hanno sistemato il corpo di Giulia Cecchettin"."Non c’è più alcun limite alcun #pudore, alcuna #pietas, #decenza, #rispetto, #empatia. Un pizzico di #umanità, niente di niente, qui si sta davvero #toccandoilfondo. É una follia, sono scioccata." e ancora: "Come si può pensare di fare una live per raccontare come è stata composta la salma". Sono alcuni commenti al fatto che una delle protagoniste dei #salottitv abbia trasmesso in diretta su #tiktok come è stata composta la salma di #giuliachettin . Stavolta ha fattoancora più #schifo del solito fa tanto la paladina contro il #femminicidio e #leviolenzedigenere o almeno cosi sembra poi casca in simli cose . #cazzboh
La storia d'oggi è la conferma di quanto dice la mia utente \ compagna di viaggio Madre Vittoria vedere fra gli articoli del nostro blog ( non riporto l'url perchè fa talmente caldo che non ho voglia di starlo a cercarlo e poi potrebbe esservi di stimolo per navigare in esso senza avere " la pappa pronta " ) che in italia non c'è giustizia e che la giustizia ha fatto sempre schifo ed i giudici ed magistrati come si deve si contano sulle dita di una mano
Ci sono voluti sette lunghi anni e una vera e propria odissea giudiziaria, ma alla fine Silvia De Giorgi ha vinto la battaglia forse più importante della sua vita. Che è, al contempo, una delle più gravi sconfitte per la giustizia e i diritti del nostro Paese.44enne, padovana, De Giorgi è stata per anni minacciata, picchiata dal suo compagno, si è vista togliere tutto, ridotta ad essere nullatenente con tre figli da mantenere (anche loro vittime delle violenze dell’uomo).Lei ha denunciato tutto a più riprese. Lo ha fatto sette volte, sette, tutte puntualmente
cadute nel vuoto, esponendola così anche alle ritorsioni dell’uomo. Al punto che, nel 2019, a Silvia De Giorgi, sola e abbandonata da tutti, non è rimasto altro da fare che rivolgersi alla Corte europea dei diritti umani a Strasburgo. Che oggi, a distanza di tre anni, con una decisione a suo modo storica, ha riconosciuto alla donna di aver subito dalla giustizia italiana un “trattamento inumano e degradante” (oltreché un risarcimento in denaro) per non averla protetta, difesa. Questa donna ha dovuto uscire dall’Italia per ottenere quella giustizia che qui da noi le è stata negata, anche se a tutt’oggi quell’uomo non ha mai risposto davanti alle legge italiana.Grazie a Silvia De Giorgi per la tenacia con cui ha combattuto e vinto, sperando che la sua dignità e il suo esempio servano a tante donne ancora senza giustizia. E senza voce.
La sua vicenda è particolare perchè
[...] Le pratiche da lei aperte sono rimaste sotto la polvere per anni, “probabilmente – sostiene – perché il mio ex marito è nipote di un personaggio politico di un certo peso”. È stato il suo avvocato a proporle di appellarsi alla Cedu: “Mi ha detto che non sapeva più come aiutarmi e l’unica strada era quella di Strasburgo. Ha istruito la pratica. Contro ogni aspettativa, nel 2019 è stata accettata e ora è arrivata la sentenza che condanna la Repubblica italiana. Ho dovuto trovare giustizia fuori dal mio Paese”. Ora spera che questa storia si chiuda per sempre: “Per anni ho rincorso il mio ex, chiedendogli una firma per cambiare la carta d’identità, per la scuola. Si è sempre negato, non pagando nemmeno gli alimenti. Aspetto la decadenza genitoriale”. [...] da https://www.nextquotidiano.it/silvia-de-giorgi-risarcimento-cedu-italia-ex-marito-violento/
e la repubblica del 17\6\2022
<< [...] I giudici di Strasburgo chiamano in causa l'inazione dei magistrati e per questo ora lo Stato italiano dovrà risarcire: 10 mila euro per danni morali. Nonostante i rapporti dei carabinieri e dell'ospedale, segnalano i giudici di Strasburgo nella loro sentenza, i magistrati incaricati di valutare il caso non hanno preso alcuna iniziativa per rispondere alle denunce. “La loro inazione ha creato una situazione di impunità per l'ex marito”, stabilisce la Corte di Strasburgo. In un momento storico in cui proliferano femminicidi e violenze di genere, questo caso non può non imporre una riflessione. [...] >>.
Infatti ha raccontato sempre a repubblica la sua vicenda
Silvia De Giorgi come è cominciato tutto?
“Come succede sempre: c’è un elemento debole, cioè una madre che sopporta per dare un futuro ai suoi figli. E per questo sono stata accusata di essere una madre poco tutelante. Poi invece hanno detto che denunciavo troppo. La verità è che io ho passato dieci anni d’inferno ma il mio caso è stato completamente ignorato”.
Com’è possibile che non le abbiano dato ascolto?
“Nessuno è intervenuto per salvaguardarmi e oggi io dico: sono una sopravvissuta. Se non ci fosse stata la volontà del mio legale Marcello Stellin di rivolgersi alla Corte, tutto sarebbe finito nel dimenticatoio. Sono viva, questa è la differenza tra me e le altre”.
Come avvenivano queste violenze?
“Il problema non è come sono avvenute le violenze, il problema è che nessuno ha tutelato la vittima. Normali conflitti tra coniugi in fase di separazione, dicevano. Invece c’è stata una progressione degli atteggiamenti: dal maltrattamento psicologico alle botte”.
Come si è sentita in questa situazione?
“Prima arrabbiata, poi disperata, infine me ne sono fatta una ragione. Ho pensato che non avrei mai avuto giustizia e oggi non ho giustizia. La Corte dice: la Procura ha lavorato male, ma nessuno ha condannato l’uomo che mi ha reso la vita un inferno”.
Le va di raccontare com’era la sua famiglia?
“La mia figlia più grande ha 20 anni, quindi ero una mamma molto giovane. Vivevamo a Cervarese Santa Croce, piccolo comune sui colli Euganei, nella provincia di Padova. Mio marito era un imprenditore e il dissesto finanziario sopraggiunto a un certo punto, non ha fatto che peggiorare la situazione”.
Dunque lei andava dai carabinieri e non la ascoltavano?
“Certo che mi ascoltavano, prendevano la denuncia. Ma poi tutto si fermava in Procura. Nessuno ha preso in carico la mia situazione”.
E’ cambiata la sua vita a causa di quei fatti?
“La mia vita è stata stravolta. Per anni ho dovuto rassegnarmi a vedere i miei figli un’ora al giorno, per lavorare e mantenerli tutti e tre. Non dormivo, avevo paura che lui arrivasse e ci facesse del male. Oggi vivo a Milano, ho un compagno nuovo ma non tornerei a Padova per nessun motivo al mondo. Ho ancora troppa paura”.
Quanto si è sentita sola in una situazione del genere?
“Ho sviluppato un senso di sfiducia nei confronti del mondo. Si va avanti ma è tanto faticoso. L’errore più grande della mia vita è stato affidarmi a quella persona”.
Ora cosa succede con la sentenza della Corte?
“Niente. La Procura di Padova sarà stigmatizzata e fine. Del resto, quante ne hanno ammazzate anche in questi ultimi mesi? Allora forse è il caso che qualcuno si dia una mossa. Io provo pena nei confronti di tutte le donne che si sono trovate nella mia situazione e disgusto per il sistema: capisco anche chi non va a denunciare, perché conosco il calvario che scatta dopo la denuncia. Ti guardano come dire: sei l’ennesima”.
Ha perso fiducia nelle istituzioni?
“Qua non si tratta di mantenimento, qua si tratta di portare a casa la pelle. Nessuno ha creduto a quello che ho subito e questo ha causato in me ina grande sofferenza. Se non ti senti creduto da chi ti deve proteggere, come fai a vivere?”.
Alla fine Silvia ottiene giustizia e un risarcimento da parte della giustizia italiana di 10 mila euro. Secondo la Corte, infatti, le autorità italiane non hanno fatto il necessario per proteggere l'ennesima donna vittima di violenze domestiche nonostante le denunce. La Corte ha riconosciuto l'inazione dei procuratori che non hanno mai nemmeno aperto un'inchiesta.Speriamo che non debba fare un altro ricorso a Strasburgo ma sopratttutto l'ex non l'uccida prima conoscendo la lentezza della giustizia italiana e il menefreghismo , ovviamente senza generalizzare , della magistratura italiana
Quando venne data la notizia che sarebbe stato il Qatar a ospitare i primi Campionati del mondo di calcio in Medio Oriente, la Fifa e il Qatar presentarono un documento di 112 pagine in cui garantivano che i diritti umani sarebbero stati tutelati.
Il Qatar, si legge, promuoverà «condizioni di lavoro e di vita dignitose» e verrà ribadito il divieto di «qualsiasi forma di discriminazione nei confronti di Paesi, persone o gruppi di persone in base a origine etnica, colore della pelle, nazionalità, origine sociale, orientamento sessuale, disabilità, lingua, religione, opinioni o qualsiasi altro status». Fatma Samoura, segretario generale della Fifa, continua a ripetere che i campionati di calcio nel novembre di quest’anno offrono «un’opportunità unica per apportare cambiamenti positivi, un’opportunità a cui né Fifa né Qatar possono e devono rinunciare».
Deve essere andato storto qualcosa se una donna messicana che lavorava all’organizzazione dei Mondiali rischia una condanna a 100 frustate e 7 anni di carcere per «sesso extraconiugale». La sua colpa? Essere stata violentata mentre era in Qatar.
Paola Schietekat ha 28 anni, viene dal Messico ed è un’economista comportamentale che lavorava a Doha per il Supreme Committee for Delivery and Legacy. La sera del 6 giugno 2021 Schietekat dormiva nel suo appartamento. La donna racconta che un collega, che lei conosceva, si è intrufolato nella sua camera da letto e sarebbe riuscito a trascinarla a terra e violentarla, lasciandole braccia, spalle e schiena coperte di lividi. «Ho mantenuto la calma», racconta Paola Schietekat in una testimonianza a sua firma sul periodico messicano Julio Astillero, «l’ho detto a mia mamma e a una collega di lavoro e ho documentato tutto con le foto, in modo che la mia memoria, nel tentativo di proteggersi, non minimizzasse gli eventi o ne cancellasse completamente una parte». Schietekat conosce bene quella fitta di dolore e di paura, aveva 16 anni quando il suo primo ragazzo la violentò minacciando di ucciderla.
Decide di denunciare. Ottiene un certificato medico e va alla polizia con il console messicano in Qatar. Sarebbe una delle molte storie di violenza, ma il giorno stesso Schietekat viene richiamata in commissariato, tre ore di interrogatorio in cui capisce di essere passata dalla parte
dell’accusata
Le chiedono un test di verginità, vogliono controllarle il telefono per scoprire se avesse una relazione con l’aggressore che dichiarava di essere il suo fidanzato. «Tutto ruotava attorno alla relazione extraconiugale, mentre, sotto la mia abaya, la casacca che mi consigliavano di indossare per sembrare una “donna di buoni costumi”, portavo i segni, viola, quasi neri. Il mio avvocato capiva a malapena. Ho dovuto consegnare il mio telefono, sbloccato, alle autorità, se non volevo andare in galera», racconta Schietekat.
La donna, con l’aiuto del Comitato organizzatore dei Mondiali, riesce a tornare in Messico. Il tribunale, intanto, ha assolto l’aggressore perché, nonostante il referto medico, i giudici scrivono che «non c’erano telecamere che puntassero alla porta dell’appartamento, quindi non c’era modo di verificare che l’aggressione fosse avvenuta». In Qatar, del resto, la testimonianza di un uomo vale di più di quella di una donna, come avveniva da noi prima che il deputato Salvatore Morelli, dell’area riformista, scheggiasse il tetto di cristallo. Era il 1887.
Per chiudere il caso che il Qatar ha aperto contro di lei, Schietekat ha solo una soluzione: sposare il suo aggressore (anche questo accadeva da noi fino a prima del 5 settembre 1981 quando la legge 442 abolì il delitto d’onore e il matrimonio riparatore). «Senza una posizione ferma della comunità internazionale», scrive Paola Schietekat, «le leggi draconiane, retrograde e persino assurde troveranno un piccolo buco per continuare a giustificarsi, all’ombra di grandi eventi sportivi o culturali». Quando alla cerimonia in mondovisione tutto sarà festa, scomparirà la storia di Paola e degli altri diritti negati. La colpevolizzazione della vittima passa dalle istituzioni. Le donne non vogliono essere coraggiose, vogliono essere al sicuro. Chissà se alla Fifa sono d’accordo.
Per combattere la piaga aberrante e vergognosa del femminicidio \ violenza del genere oltre a : leggi a
hoc che poi finisco per diventare come le famose grida manzoniane , le pulisci coscienza delle panchine ed scarpe rosa , ecc si può e si deve mettere in sicurezza le donne vittime di violenza, aiutarle a denunciare e offrire loro un sostegno dopo la denuncia oppure meglio ai primi sintomi di violenza verbale
Luca (nome di fantasia), 41 anni, è uno dei settanta uomini violenti che dal 2011 a oggi hanno varcato la soglia del centro per uomini maltrattanti di #Forlì. A fine 2017, in Emilia-Romagna, erano 196 gli uomini ad aver chiesto aiuto a uno dei dieci centri in Emilia-Romagna. Numeri molto bassi a fronte della montagna di casi di #violenza: ogni tre giorni una donna muore per mano di un uomo. Perché, allora, gli sportelli di ascolto per uomini stentano a riempirsi? Il grande scoglio restano le resistenze culturali, e un "sistema, il nostro, permeato dal machismo“.
Ma se non lavoriamo anche sull'uomo maltrattante avremo salvato solo "quella" donna, e lui potrà cercare altre vittime". Infatti considerare gli uomini solo antagonisti e carnefici non serve a nessuno, neanche alle donne stesse .
Rieducare, ovviamente senza sminuire la gravità di quanto fatto ma facendola comprendere, è una strada" . Una cosa simile è stata proposta da Alessandra Simone ( foto sotto a sinistra ) è stata nominata a maggio dirigente superiore della polizia di Stato, questore anzi no questora altrimenti la Boldrini e i fans del politicamente corretto s'arrabbiano 🤣😜 , l'ultimo incarico precedente era quello di dirigente dell'Anticrimine di Milano.
Dove, anni fa, si occupava già di reati sessuali e contro i minori. E dove ha messo a punto il protocollo Zeus, partito proprio da Milano nel 2018 e ora operativo in trenta città italiane.
Eco cosa ha dichiarato la stessa Alessandra Simone a Repubblica d'oggi
Perché pensare agli uomini? Sono le donne le vittime della violenza.
"E questo non lo dimentica mai nessuno, anzi: è proprio per proteggere e aiutare le donne che abbiamo studiato e continuiamo ogni giorno a lavorare sul Protocollo Zeus. Considerare gli uomini solo antagonisti e carnefici non serve a nessuno, neanche alle donne. Rieducare, senza sminuire la gravità di quanto fatto ma facendola comprendere, è una strada".
Ci spiega in cosa consiste questo protocollo?
"Per la prima volta la prevenzione rivolge la sua attenzione all'uomo maltrattante e allo stalker, grazie all'osservazione sul campo, e per questo è importante il primo intervento. Davanti a una condotta che potrebbe sfociare in violenza ma non è ancora un reato il questore emette un ammonimento per stalking o per violenza domestica, convochiamo l'uomo intimandogli di interrompere ogni forma di aggressione anche verbale invitandolo però a seguire un percorso di recupero trattamentale (non terapeutico) in un Cipm, un centro specializzato nel contrasto alla violenza e per i conflitti interpersonali". E lo fanno davvero?
"Dal 2018 a Milano e provincia abbiamo ammonito e invitato a seguire il percorso oltre 300 uomini violenti, il 90 per cento di loro non ha più manifestato forme di violenza e ha capito il disvalore delle sue azioni e le mogli, ex mogli, compagne hanno riacquistato serenità, e lo sappiamo perché facciamo incontri e controlli periodici. Una recidiva bassissima si può ottenere, però, soltanto se interagiscono almeno due fattori: l'agire in tempo, quando la violenza non si è ancora manifestata pienamente, e fare rete".
L'illustrazione del calendario della polizia del mese di novembre dedicato al contrasto alla violenza sulle donne
Qual è la situazione tipo in cui utilizzate il protocollo?
"La volante - o i carabinieri, la polizia locale: tutti dobbiamo essere preparati - viene chiamata perché c'è una lite in casa, ascoltando la coppia si capisce che c'è stata agitazione, uno schiaffo, ma non ci sono denunce precedenti. Se non c'è una dinamica di maltrattamenti in famiglia l'uomo può essere denunciato solo se è la donna a sporgere querela, ma nella relazione l'agente farà presente la situazione e il questore potrà far partire l'ammonimento. A quello schiaffo potrebbe seguire una pedata, le mani al collo: intervenire quando tutto è ancora recuperabile, questo cerchiamo di fare".
Come reagiscono le donne? Uno dei problemi è ancora, purtroppo, la difficoltà a denunciare?
"Si sentono aiutate, capite. Vogliono essere aiutate, ma vogliono anche salvare i loro compagni. Tante di loro si vergognano a denunciare. Una cosa in tutti questi anni ho capito, ed è fondamentale: le donne vittime di violenza non vogliono compassione ma comprensione, altrimenti alzano un muro e non è più possibile aiutarle".
Il 7 dicembre Milano, la città in cui ha lavorato per vent'anni, le tributerà l'Ambrogino d'oro per il suo impegno a difesa delle donne e dei soggetti deboli. A chi dedica questo riconoscimento?
"A Roberta Priore, uccisa a Milano nel 2019 dal suo compagno, che si è poi suicidato in carcere. Quattro giorni prima le volanti erano entrate per la prima volta a casa, due giorni dopo c'era stato un altro allarme e avevamo preparato l'ammonimento. Quando abbiamo telefonato per comunicarlo, Roberta Priore era appena stata uccisa. Fa male, certo, ma ai miei ragazzi ho detto che la strada era quella giusta, che noi c'eravamo. Ecco perché dobbiamo arrivare ancora prima".
Alcune di voi diranno che sta sclerando . Invece purtroppo è necessario ed è da qui oltre che con l'introduzione o rafforzamento nelle scuole , negli oratori , centri d'aggregazione , dopo scuola , con l'educazione sentimentale . Ovvero ad insegnare alle donne ad non essere preda o a gli uomini a non essere cacciatori .
da 01/02/2020 Curare il maschile per combattere il femminicidio – Di G. Maiolo, psicoanalista
I maschi devono riconoscere a livello individuale e collettivo quella dimensione profonda di violenza che appartiene al loro essere maschile
La barbarie del femminicidio sembra inarrestabile, soprattutto se stiamo alle cronache che ci segnalano delitti e tragedie che sembrano uscire dal Medioevo.
I fatti terribili degli ultimi giorni sono la dimostrazione spaventosa che perdura ancora quella piaga sociale che chiamiamo violenza di genere e domestica e che trova l’espressione massima nel femminicidio.
I dati ufficiali dell’Istat relativi al 2018 ci consegnano la fotografia inaccettabile di un paese ancora incapace di contenere il proliferare degli abusi, delle prepotenze e delle violenze dei maschi sulle donne.
Essi segnalano tragicamente che il femminicidio nell’85% delle volte avviene in famiglia per mano di un uomo che spesso è marito o compagno della vittima.
E non è mai per via di un raptus improvviso di quel maschio o del suo stato di stress che compromette la capacità di autocontrollo.
L’assassinio di una donna è sempre il culmine tragico e intenzionale di una violenza che pre-esiste nel rapporto di coppia.
È l’azione mortifera di un persistente accanimento morboso sul femminile che in ogni caso accompagna quella relazione disturbata, costituta per lungo tempo da abuso fisico e psicologico, stalking e persecuzione.
Diviene, allora, assolutamente necessario e urgente tentare il possibile per sospendere questa impressionante «mattanza» e cercare una cura preventiva di quel maschile realmente disturbato che è possibile trovare dentro le esistenze «corazzate» di quei maschi incapaci di contenere e gestire i sentimenti perversi del male.
Sappiamo da tempo che urge rivedere il progetto educativo dei figli e soprattutto dei giovani maschi, i quali in questo momento di assoluta «liquidità» di valori e carenza di esempi educativi, stanno crescendo fragili e incapaci di gestire emozioni e relazioni, privi di competenza empatica e attenzione ai vissuti degli altri.
Perché, e anche questo è risaputo, conta molto la carenza o la mancanza di empatia nelle tragedie più turpi e nei crimini più efferati.
Allo stesso tempo però, dovremmo pensare, e con non poca inquietudine, alla dimensione personale e forse strutturale del maschile che contiene un denso e stratificato grumo di violenza, nascosto nel tessuto profondo della psiche, certamente difficile da scovare, ma la cui pulsionalità distruttiva ogni uomo è chiamato a rintracciare.
Non si tratta di giustificare l’oscuro Mr. Hyde che alberga nell’ombra della coscienza.
È piuttosto il punto da cui i maschi possono e devono partire per sviluppare la forza di integrare gli opposti e imparare a gestire quel flusso di energie negative che abitano le parti inconsce e sfuggenti di ognuno di noi.
Perché, a vedere questa ecatombe di donne uccise con tanta malvagità dai maschi, può non bastare più la difesa comune degli uomini che sono realmente rispettosi delle donne.
Credo sia necessario invece che i maschi, a livello individuale e collettivo, lavorino intensamente per il riconoscimento di quella dimensione profonda di violenza che appartiene al loro maschile la quale, se è vero che non contagia ogni maschio, continua però a impedire l’adeguato contenimento di un «morbo» spaventoso quanto devastante.
qualche giorno fa facendo pulizia dei preferiti e della cronologia in modo da eliminare determinati siti e determinate pagine per spezzare il circolo vizioso della mia porno dipendenza ho ritrovato questo articolo interessante ., cosi rispondo a chi mi chiede perchè qui o sui miei social condivido troppi post femministi oltre i classici del 25 novembre [ giornata contro i femminicidio ] .
Femminicidi, il padre di una ragazza uccisa: "Faccio l'autista, la notte le donne sole hanno paura"
"Le donne che camminano di notte non lo fanno normalmente: le vedi con il passo svelto, che fingono una chiamata o che portano in mano mazzi di chiavi che sembrano mazze per difendersi. Da uomo, che può camminare normalmente quando torna a casa dopo il lavoro, provo una brutta sensazione". A parlare è Giovanni Lelli, papà di Nicole, ragazza romana uccisa a 23 anni con un colpo di pistola dall'ex compagno. Lelli ha preso la parola durante un incontro organizzato dalla squadra di calcio dilettantistica Borgata Gordiani per parlare dello stupro subito da una ragazza di 22 anni nel parco di Villa Gordiani il 5 marzo. "Siamo molto legati al parco - dice a Repubblica l'associazione - sapere che una cosa del genere è successa lì, a casa nostra, ci ha sconvolto. Abbiamo voluto ascoltare il pensiero delle donne".