Visualizzazione post con etichetta Guinness dei primati. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Guinness dei primati. Mostra tutti i post

11.7.17

Quella luce (quasi) eterna e la cospirazione mondiale sulle lampadine

Da http://pochestorie.corriere.it/

Quella luce (quasi) eterna e la cospirazione mondiale sulle lampadine


La lampadina nella caserma dei pompieri di Livermore (dal San Francisco Chronicle)
La lampadina nella caserma dei pompieri di Livermore (dal San Francisco Chronicle)
Brilla dal 1901 e per ora non dà segno di voler smettere in tempi brevi. E’ la lampadina più longeva del mondo, appesa nella caserma dei pompieri di Livermore, una cittadina della California, ed è anche il punto di partenza per noi di Poche Storie per parlare del Consorzio Phoebus, una straordinaria cospirazione risalente agli anni Venti del secolo scorso messa in atto per controllare il mercato mondiale delle lampadine attraverso l’invecchiamento artificiale dei prodotti. La cosiddetta obsolescenza programmata. A onor del vero, la lampadina di Livermore non è mai stata spenta se non in un’occasione: quando i vigili del fuoco si trasferirono dalla vecchia caserma nella zona centrale alla sede attuale, nel 1976. Il cordone di alimentazione venne tagliato (svitare il bulbo fu considerato eccessivamente rischioso) e la “centenaria, (quasi) eterna lampadina” fu spenta per 22 minuti. Il tempo necessario per il trasferimento. Nel 2001 il centenario fu festeggiato in perfetto stile americano, con balli, canti, cibo e un sonante Happy birthday to you,intonato in coro dagli abitanti della cittadina e dai non pochi turisti accorrsi per la celebrazione. La lampadina è anche finita nel Guinness dei primati. La sua esistenza è monitorata da una telecamera la cui immagine si aggiorna ogni 30 secondi, come si può vedere qui (da quando è stata decisa la sorveglianza video, tre telecamere si sono già guastate per l’usura, mentre lei resiste).
Adolphe Chaillet
Adolphe Chaillet
L’ingegnere francese – Il filamento è di carbone e la potenza originaria deve essere stata di 50-60 watt, anche se oggi si è ridotta a 4 watt per il decadimento naturale del filamento. E’ stata prodotta dalla fabbrica di Shelby, in Ohio, il cui direttore tecnico agli inizi del ‘900 era Adolphe A. Chaillet, un francese emigrato negli Stati Uniti nel 1892 (che si è portato nella tomba il segreto della sua costruzione). D’altronde non si sa nemmeno con precisione quando e come sia morto, nè pare siano sopravvissuti documenti dettagliati su come venivano prodotte le sue lampadine. In questa domanda di brevettodepositata nel 1900 e menzionata dalla voce di Wikipediain lingua inglese dedicata all’inventore, Chaillet si dilunga molto sulla forma del filamento e del bulbo. Entrambi erano concepiti per dirigere il fascio luminoso verticalmente verso il basso, a differenza delle lampadine della concorrenza che proiettavano molta luce in linea orizzontale, dove non serviva nel caso più frequente di installazione sui soffitti delle abitazioni. Tuttavia nel documento non si fa cenno alla costruzione del filamento.
Carbonio e tungsteno – In un articolo apparso sulla rivista Electrical review del 10 marzo 1897, la fabbrica di Shelby si era limitata a ribadire che il filamento veniva prodotto localmente, negando che fosse di importazione tedesca, e che
«the filament is much nearer pure carbon than anything on the market».


 carbonio purissimo, quindi, in un momento in cui le società che costruivano lampadine si stavano già dando da fare per sostituirlo con altri materiali più resistenti. Nel 1911 la General Electric, che un anno dopo avrebbe comprato la Shelby, avrebbe messo in commercio lampadine con il filamento in pasta di tungsteno, seguite nel 1913 da modelli in tungsteno puro e con il bulbo non più vuoto ma riempito di gas inerti, per esempio l’argo, un altro brevetto GE che assicurava una durata maggiore. Il problema è che per capire davvero i segreti della lampadina di Livermore, bisognerebbe romperla, cosa improponibile. Quindi per ora se ne sta lì tranquilla e protegge il suo segreto.
Stabilimento Siemens per la produzione di lampadine nei primi anni del '900
Stabilimento Siemens per la produzione di lampadine nei primi anni del ‘900
Vecchiaia rapida – Se state pensando che la stiamo facendo un po’ lunga su una semplice lampadina, di cui peraltro si sono già occupati molti organi di informazione (per esempio, qui una trasmissione di TV2000 quiun articolo del Daily Mail), avete forse ragione. Il fatto è che siamo venuti a conoscenza dell’esistenza del fenomeno di Livermore attraverso questo video in lingua spagnola, che ci ha introdotto al concetto dell’obsolescenza programmata. In altre parole la convenienza per l’industria di far durare relativamente poco i suoi prodotti e di renderli non riparabili se non a costi proibitivi, in modo da renderne in apparenza vantaggiosa la sostituzione e tenere in moto il volano del ciclo produzione-consumo. Lo stesso video ci ha informati dell’esistenza del Consorzio Phoebus, un accordo internazionale segreto stipulato nel 1924 tra i maggiori fabbricanti di lampadine a incandescenza per ridurre la vita dei loro prodotti in modo da assicurarsi un continuo mercato di sostituzione.
Accordo internazionale – Ci rendiamo conto, sembra una storia che potrebbe piacere molto ai complottisti, a chi parla delle scie chimiche e del finto sbarco sulla Luna. Però questa è vera, con fior di documenti a sostenerla, come si può leggere in questi due molto approfonditi articoli del New Yorker e di un sito collegato all’Ieee, l’Institute of electrical and electronic engineers. Nel dicembre del 1924 si riunirono aGinevra i massimi rappresentanti mondiali dell’industria delle lampadine: la tedesca Osram, l’olandese Philips, la francese Compagnie des Lamps, l’ungherese Tungsram,la britannica Associated Electrical Industries, la giapponese Tokyo Electric e alcune sussidiarie internazionali (brasiliana, cinese e messicana) dell’americana General Electric. Lo scopo era quello di controllare il mercato globale del settore che, seppur molto redditizio, stava cominciando a dare segni di rallentamento per l’eccessiva vita utile dei prodotti, in quel momento tra le 2.000 e le 2.500 ore di funzionamento ininterrotto. Osram, ad esempio, aveva registrato un brusco calo delle vendite sul mercato tedesco, con 63 milioni di lampadine nell’anno fiscale 1922-23 scesi a 28 milioni nell’anno successivo. Bisognava correre ai ripari.
Thomas Alva Edison
Thomas Alva Edison
Obiettivo mille ore – Si decise quindi di ridurre gradatamente la vita utile del prodotto a 1.000 ore, “vendendo” ai consumatori l’idea di uno scambio, per loro in apparenza vantaggioso, tra una minore durata e un prezzo più alto a fronte di una migliore qualità della luminosità prodotta. Ma non ci fermò lì: una parte importante dell’accordo prevedeva la divisione del mercato mondiale in quote di produzione e vendita cui le imprese avrebbero dovuto attenersi, con multe salate in caso di sforamento. Sanzioni altrettanto importanti sarebbero state comminate, sempre a opera del consorzio, a chi si fosse azzardato a mettere sul mercato lampadine più longeve di quanto stabilito. Ogni stabilimento delle imprese aderenti al consorzio doveva mandare esemplari dei propri prodotti ad alcuni laboratori situati in Svizzera, dove venivano sottoposti a dei test per misurarne la durata. Lentamente lo scopo venne raggiunto: tra il 1926 e il 1934 la vita utile delle lampadine prodotte dalle imprese del cartello Phoebus scese da una media di 1.800 ore a 1.205 ore. E le vendite ripresero fiato.
Guerra e fine – Tuttavia la “pax luminosa” e il relativo “bengodi” non durarono a lungo. Già all’inizio degli anni ’40 la General Electric si trovò sotto attacco da parte dell’Antitrust americano. E poi arrivò la Seconda Guerra mondiale, che trasformò in nemici i complici di pochi anni prima. Nel 1945 il consorzio Phoebus non esisteva più. La domanda che oggi ci dobbiamo fare è: il consorzio o qualcosa che gli assomiglia sono rinati? E’ ancora valida la teoria dell’obsolescenza programmata, che peraltro durante la Grande Depressione seguita alla crisi del 1929 fu promossa a dottrina economica vera e propria in grado di far ripartire le imprese, vincere la deflazione e rimettere in moto il ciclo economico stagnante? Sicuramente, rispetto agli anni Venti e Trenta, la sensibilità ambientale e la coscienza che le risorse del Pianeta non sono infinite hanno portato a un capovolgimento della mentalità dominante.
I Led eterni – Il mercato delle lampadine è ora sempre più dominato dai Led, che hanno portato la vita utile media a 25mila ore: in altre parole 1.041 giorni, tre anniUna lampadina a incandescenza prodotta da un’impresa Phoebus nel 1935, accesa sempre il primo gennaio, si sarebbe spenta il 12 febbraio dopo aver consumato molta più energia. Per quanto riguarda le lampadine, quindi, i fabbricanti sembrerebbero aver rinunciato all’obsolescenza programmata: tra l’altro la Osram, la società tedesca che per prima concepì l’idea di Phoebus, è fortissima sul mercato delle lampadine a Led di lunga durata. Ma l’idea del consumo ininterrotto come panacea di tutti i mali dell’economia è tutt’altro che passata di moda, come del resto dimostrano gli infiniti appelli a consumare di più lanciati dai vari leader mondiali, per uscire dalla crisi iniziata nel 2008 (e non ancora superata).
Un'immagine tratta dal sito Small Footprint Family per sensibilizzare i consumatori sull'uso delle lampade a led, meno dannose per l'ambiente
Un’immagine tratta dal sito Small Footprint Family per sensibilizzare i consumatori sull’uso delle lampade a led, meno dannose per l’ambiente
Moda e dintorni – Oggi l’impulso a consumare di più, almeno per certe categorie di prodotti, sembra affidato più ai contenuti emotivi degli oggetti che alla loro durata. Insomma è più facile farli passare di moda che farli rompere, come dimostrano i prodotti Apple che fanno appello a novità anche minime tra le diverse serie di uno stesso oggetto per indurre i consumatori alla sostituzione. Anche se la casa di Cupertino, con le sue batterie integrate di durata incerta e i suoi portatili sigillati di ultima generazione impossibili da potenziare, ha cominciato a profumare parecchio di anni ’30 e di obsolescenza programmata. Ma c’è forse anche dell’altro. Il video dal quale siamo partiti per scrivere questo articolo suggerisce per esempio che le stampanti siano state programmate per smettere di funzionare dopo un tot di ore grazie a un chip nascosto. Non siamo riusciti a trovare prove univoche di questa affermazione, che quindi non ci sentiamo di sottoscrivere.

22.12.13

Il Natale d'un ladro di gamberoni, stakanovista di Buoncammino la storia di Corrado Maccio' di 48 anni che entra ed esce dall'età di 14

bandito senza tempo -The gang o nella mia ora di libertà - F. De Andrè

Ecco che Corrado Maccio'  già noto  alle cronache per  un guinness dei primati per


unione sarda novembre  2013  


Cagliari, il ladro dai numeri-record  Arrestato 21 volte in trent'anni


Cagliari, il ladro dai numeri-record Arrestato 21 volte in trent'anni Un ladro cerca di forzare la portiera di un'auto  "Ancora tu?"» Gli agenti delle volanti, rassegnati, hanno messo per l’ennesima volta le manette attorno ai
polsi di Corrado Macciò, accusato di furto su auto. Con quello di martedì, il 48 enne cagliaritano ha raggiunto la cifra record di 21 arresti negli ultimi trent’anni. Dal conto sono esclusi le denunce e il coinvolgimento in diverse indagini. L’ultima volta il pregiudicato era finito in cella ad aprile: aveva appena forzato la serratura di sette auto in sosta.




ora si confessa in un intervista rilasciata al bravo Giorgio pisano sul'unione d'oggi 22\12\2013



Il Natale d'un ladro di gamberoni, stakanovista di Buoncammino
di GIORGIO PISANO
Fare il ladro, a meno che non ti capiti di diventare onorevole, è sempre più difficile. Ne sa qualcosa Corrado Macciò, cagliaritano di 48 anni, asciugato da una vita di eroina: fra entrate e uscite in carcere ha registrato finora 62 passaggi e il conto è tutt'altro che chiuso. Riesce perfino a scherzarci: «Sono da Guinness dei primati».
Figlio d'un preside delle Magistrali, affidato poi a un patrigno che è stato assassinato («credo per rapina»), ha la licenza media e parlerebbe un buon italiano se la droga - che non prende più da un anno - non gli avesse divorato gran parte dei denti. Abita alla Caritas di viale Fra' Ignazio e racconta di non starci benissimo, il menu non l'appassiona («peggio del pasto in galera») eppoi deve vedersela con altre piccole seccature. «Rubano». Rubano, dove? «Nelle camere della Caritas. Io sto in una a quattro letti. Beh, se dimentichi dentro qualcosa di importante, quando torni non la trovi più». Dopo aver subito l'ultimo furto, ha chiesto ad un'assistente sociale «almeno un giubbottino perché fa freddo, già lo vede. Altrimenti torno a rubare, le ho detto, e quella: faccia come crede».
All'intervista assiste il difensore, avvocato Antonella Saba. Che definisce il suo assistito «la classica vittima della società». Come mai entra ed esce dal carcere come fosse un bagno? «I suoi sono piccoli reati: furti che mette a segno giusto per campare. Incassa condanne piuttosto brevi e, per questo, appena libero ricomincia. È davvero una specie di re degli arresti». L'avvocato non cerca attenuanti, vuol tracciare la storia di un uomo che
ha quattro giudizi pendenti in primo grado e qualcosina anche in Appello e in Cassazione. «Ma non è un cattivo soggetto». L'interessato conferma: «Sono un ladro ma migliore di tanti altri che rubano molto più di me. Io non faccio il politico e quindi rubo solo quello che mi serve davvero per sopravvivere». L'ultima volta che l'hanno beccato aveva in mano una busta della spesa prelevata da una macchina in sosta. «Pazienza, sarà per la prossima». Detesta il mondo e nessuno, sicuro di scontare una condanna a vita - dentro e fuori il carcere - per colpa di un destino che non si è scelto. Ladro di galline? Anche molto meno, dice con orgoglio per spiegare che non si vergogna affatto di quello che fa, di quello che lui chiama «il mio lavoro». Non insegue la pietà obbligatoria delle feste comandate, soprattutto gli sguardi di ipocrita e sofferta riprovazione. «Rubo, e allora?»
Quando è stato l'esordio in questo mondo di ladri.
«Avevo 13 anni. Ero in discoteca a Serramanna. Per tornare a Cagliari ho rubato una 500. Mi è servita per imparare a guidare».
È andato tutto bene?
«Benissimo. Quella volta non mi hanno arrestato. Posso ringraziare uno?»
Anche due.
«No, uno. Uno del mercato di San Benedetto: in quest'ultimo anno che non prendo sostanze stupefacenti mi sta aiutando».
Vuol farne il nome?
«No, non è il caso di fare nomi. Scriva solo che ha un box. Basta così. Capirà».
Il kit del ladro.
«Servono tante cose. Prima di tutto spadini, poi piccoli martelli e attrezzi che si cambiano di volta in volta».
Stanno in una valigetta, come quella dell'idraulico o bastano le tasche?
«Macché valigetta e valigetta. Se devo fare un lavoro porto con me solo quello che mi serve. L'importante è non improvvisare».
È vero che per aprire una porta blindata basta un pezzetto di radiografia?
«Dipende dalla porta blindata. Non è sempre così semplice».
Vuol dire che i sistemi di difesa e d'allarme stanno migliorando?
«Decisamente. Ma stiamo migliorando anche noi. Bisogna adeguarsi ai tempi».
Il colpo più facile.
«Nel 1977, me lo ricordo ancora. Un borsello con una milionata e mezzo di lire in contanti».
Come li ha spesi, droga?
«Quando mai, allora non m'interessava. Ho speso tutto in sigarette, nei bar, al flipper».
Il colpo più difficile.
«In un appartamento. Quando stavo lavorando è suonato il campanello: era il padrone di casa. Mi ha tradito il mio metodo».
Perché, ha un metodo?
«In quel periodo aprivo le macchine e rubavo solo le chiavi che lasciavano nel portaoggetti. Mi limitavo a questo dopo aver dato un'occhiata all'indirizzo sul libretto di circolazione. Poi mi davo da fare».
Subito?
«Quasi sempre. Grazie alle chiavi non dovevo forzare la serratura o, peggio, fare chiasso. Questo per dire che potevo tranquillamente lavorare anche di mattina».
Com'è finita quella volta col padrone in arrivo?
«Ha suonato sperando che qualcuno gli aprisse ma c'ero solo io in casa. Appena si è allontanato, me ne sono andato. Sempre con l'aria tranquilla, senza correre. Che gli avevo ripulito la casa quello l'ha scoperto quando io ero al sicuro da un pezzo».
Il colpo più sfortunato.
«Ero in un appartamento quando sono rientrati i proprietari. Avevo preparato tutto quello che dovevo portar via in un angolo del salotto ma a quel punto ho dovuto lasciar perdere. Sono scappato».
Mai restituito il bottino?
«La refurtiva, vuol dire? Sì, a un poliziotto della Digos. Era un bravo ragazzo. Me ne sembrava male. Anche se...»
Anche se?
«Anche se in Questura, quando ci capita uno come me, non l'accolgono facendo festa. C'ho bazzicato molto, in Questura. E anche dai carabinieri».
Differenze?
«Parlo per esperienza personale. I poliziotti sono, come posso dire?, più diretti, vanno subito al dunque e sono dolori. I carabinieri invece perdono la pazienza solo se li provochi».
Lei li provoca?
«No, però volevo dire che se mi fanno una certa domanda e tento di non rispondere o di girarci attorno, mi danno l'aiutino».
C'è un colpo che è l'orgoglio della sua vita?
«No, non ricordo niente del genere. Ho rubato tante di quelle volte che confondersi è un attimo. E continuo: finita questa intervista, visto che è sabato e quindi giorno buono per lavorare, mi sposto nel rione di San Benedetto, che è la mia piazza».
Ruba solo nel quartiere di San Benedetto?
«Nooo, quando mai. Ma preferibilmente sì. A San Benedetto, sarà perché ci sono cresciuto, mi sono affezionato. Sanno che se escono di casa potrei entrarci io: questa non la scriva perché è una battuta».
Cosa ruba?
«Tutto quello che capita: dalla roba da mangiare ai gioielli. L'altra settimana, quando m'ha pizzicato una pattuglia, avevo preso una bella busta della spesa piena di gamberoni. Mi sono detto: Corrado, questi te li porti alla Caritas e te li cucini. Invece m'hanno messo le manette».
Quanto impiega ad aprire una macchina?
«Dipende dal tipo e dalla marca. Io ho aperto anche Ferrari. Bellissimo anche l'ultimo modello della Maserati, la berlina a quattro posti. I tempi? Su Bmw o su Mercedes serve un po' di pazienza, non sono semplicissime. Sul gruppo Fiat invece vado liscio».
Risponda con un sì o con un no: l'ha mai pagata una parcella da avvocato?
«No».
Quindi conta su molti benefattori.
«Mia madre, quand'era viva, qualcosa ogni tanto la pagava. Io, anche se da un anno non mi drogo, non ce la faccio. Spero di vincere la causa che ho intentato contro mio fratello a proposito della casa di famiglia: è roba grossa, molti soldi. Se vinco pago i debiti».
Come si sente rispetto agli onorevoli che rubano migliaia di euro?
«Mi arrabbio. Davanti a loro, sono un dilettante. E loro ladri veri. Poi, loro in carcere ci finiscono una volta solo e per poco. Io entro ed esco da Buoncammino. Mi ricordo perfino una cella dove eravamo undici».
Li sente come concorrenti?
«No. Io vado a giornata».
A Buoncammino lei è uno di casa?
«Mi chiamano per nome».
Quanto tempo ci ha passato?
«Circa ventotto anni ma non tutti di fila, e me ne restano ancora da fare».
Le è mai capitato di finire due volte nella stessa cella?
«Eccerto. Le guardie mi dicono: Corra', vai nella tua camera».
Se la ricorda la prima volta?
«A 18 anni appena compiuti. Lei si chiederà se prima ho fatto Riformatorio visto che ho iniziato a rubare da pischello. No, Riformatorio no: non c'erano già più ai miei tempi».
Oltre che a Buoncammino, dove è stato detenuto?
«Macomer, Lanusei, Oristano, Mamone, Is Arenas, Sassari, Badu 'e Carros. Tutte, le ho girate tutte».
La peggiore?
«Lanusei e, poi, Macomer. Pessime. Erano posti dove mandavano i casinisti per punizione».
E lei è un casinista.
«Ogni tanto. E siccome sapevano che Lanusei era proprio brutta, mi trasferivano lì».
In carcere ha stretto amicizie?
«Qualcuna ma non amicizie vere e proprie».
Il presidente del Cagliari calcio ha detto che il carcere straripa di gente meravigliosa.
«Ha ragione, proprio così. Tanto è vero che Massimo Cellino ci aiuta. Manda calendari, uova di Pasqua e altri regali».
Ci faccia capire: la gente meravigliosa è dentro, e quella che sta fuori?
«Lasciamo perdere che è meglio. Facciamo che ha ragione Cellino e fermiamoci qui».
Paura?
«Dove, in carcere? E quando mai, mi conoscono tutti».
Beh, magari i compagni di cella possono organizzare qualche scherzetto...
«A me non è mai successo niente. Ogni tanto schizza di testa qualche ragazzino e allora noi a dirgli stai calmo che sennò è peggio. Bisogna spiegargliele certe cose ai giovani».
Un giudice ha detto che Buoncammino non redime. È d'accordo?
«In carcere uno entra brutto ed esce peggio. Impara a fare il delinquente, cambia carattere, prende l'esempio dagli altri».
In cella di cosa parlate?
«Mah... sesso droga e rock'n roll. E di cosa vuole che si parli in galera?»
C'è un colpo che sogna?
«Eccerto che ce l'ho però non glielo posso dire».
Perché?
«Perché metta che decida di farlo. Cosa faccio, do l'annuncio? È che non è facile, eppoi mi servono attrezzi».
Di che genere?
«Da manovale. Evabbè, glielo dico: per entrare devo buttar giù un bel pezzo di muro».
Le hanno mai proposto di fare il salto ?
«Quante volte, quante volte... Ma non mi interessa. Io rubo, e non intendo smettere, soltanto per vivere. Preferisco entrare e uscire, sono uno stakanovista di Buoncammino».
Ha mai provato a lavorare?
«Non me ne hanno mai dato, lavoro».
Ne ha cercato?
«Per un po', con mio patrigno ho provato a fare il meccanico dentista ma poi l'hanno ucciso ed è finito tutto».
Tra pochi giorni è vigilia di Natale.
«Natale è un periodo che si lavora duro. Ci sono molti soldi in giro e quindi tempo per rilassarsi non ce n'è. Per noi Natale è un bel momento, interessante».
Festeggia?
«Perché, secondo lei alla Caritas si festeggia? A pranzo arriva roba buona che ci manda qualche ristoratore generoso. Ma poi, a cena, torna la solita minestra».
Con chi ce l'ha?
«Giudici, polizia, assistenti sociali. Io rubo perché non ho altre possibilità. A chiedere l'elemosina non ci vado, se lo mettano bene in testa».

7.11.12

L'uomo che cammina 24 ore senza mai fermarsi se non 70 minuti



Una camminata di 24 ore, quasi senza sosta, a una velocità media di 4 chilometri all'ora combattendo la stanchezza fisica e mentale. E' l'impresa record di Rosario Catania, il trekker siciliano che utilizzando la tecnica del "Nordic Walking", la camminata nordica, ha percorso, giorno e notte, una pista di atletica a Catania

 per  approfondire

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...