unione sarda novembre 2013
Cagliari, il ladro dai numeri-record Arrestato 21 volte in trent'anni
Cagliari, il ladro dai numeri-record Arrestato 21 volte in trent'anni Un ladro cerca di forzare la portiera di un'auto "Ancora tu?"» Gli agenti delle volanti, rassegnati, hanno messo per l’ennesima volta le manette attorno ai
polsi di Corrado Macciò, accusato di furto su auto. Con quello di martedì, il 48 enne cagliaritano ha raggiunto la cifra record di 21 arresti negli ultimi trent’anni. Dal conto sono esclusi le denunce e il coinvolgimento in diverse indagini. L’ultima volta il pregiudicato era finito in cella ad aprile: aveva appena forzato la serratura di sette auto in sosta.
Il Natale d'un ladro di gamberoni, stakanovista di Buoncammino
di GIORGIO PISANO
Fare il ladro, a meno che non ti capiti di diventare onorevole, è sempre più difficile. Ne sa qualcosa Corrado Macciò, cagliaritano di 48 anni, asciugato da una vita di eroina: fra entrate e uscite in carcere ha registrato finora 62 passaggi e il conto è tutt'altro che chiuso. Riesce perfino a scherzarci: «Sono da Guinness dei primati».
Figlio d'un preside delle Magistrali, affidato poi a un patrigno che è stato assassinato («credo per rapina»), ha la licenza media e parlerebbe un buon italiano se la droga - che non prende più da un anno - non gli avesse divorato gran parte dei denti. Abita alla Caritas di viale Fra' Ignazio e racconta di non starci benissimo, il menu non l'appassiona («peggio del pasto in galera») eppoi deve vedersela con altre piccole seccature. «Rubano». Rubano, dove? «Nelle camere della Caritas. Io sto in una a quattro letti. Beh, se dimentichi dentro qualcosa di importante, quando torni non la trovi più». Dopo aver subito l'ultimo furto, ha chiesto ad un'assistente sociale «almeno un giubbottino perché fa freddo, già lo vede. Altrimenti torno a rubare, le ho detto, e quella: faccia come crede».
All'intervista assiste il difensore, avvocato Antonella Saba. Che definisce il suo assistito «la classica vittima della società». Come mai entra ed esce dal carcere come fosse un bagno? «I suoi sono piccoli reati: furti che mette a segno giusto per campare. Incassa condanne piuttosto brevi e, per questo, appena libero ricomincia. È davvero una specie di re degli arresti». L'avvocato non cerca attenuanti, vuol tracciare la storia di un uomo che
ha quattro giudizi pendenti in primo grado e qualcosina anche in Appello e in Cassazione. «Ma non è un cattivo soggetto». L'interessato conferma: «Sono un ladro ma migliore di tanti altri che rubano molto più di me. Io non faccio il politico e quindi rubo solo quello che mi serve davvero per sopravvivere». L'ultima volta che l'hanno beccato aveva in mano una busta della spesa prelevata da una macchina in sosta. «Pazienza, sarà per la prossima». Detesta il mondo e nessuno, sicuro di scontare una condanna a vita - dentro e fuori il carcere - per colpa di un destino che non si è scelto. Ladro di galline? Anche molto meno, dice con orgoglio per spiegare che non si vergogna affatto di quello che fa, di quello che lui chiama «il mio lavoro». Non insegue la pietà obbligatoria delle feste comandate, soprattutto gli sguardi di ipocrita e sofferta riprovazione. «Rubo, e allora?»
Quando è stato l'esordio in questo mondo di ladri.
«Avevo 13 anni. Ero in discoteca a Serramanna. Per tornare a Cagliari ho rubato una 500. Mi è servita per imparare a guidare».
È andato tutto bene?
«Benissimo. Quella volta non mi hanno arrestato. Posso ringraziare uno?»
Anche due.
«No, uno. Uno del mercato di San Benedetto: in quest'ultimo anno che non prendo sostanze stupefacenti mi sta aiutando».
Vuol farne il nome?
«No, non è il caso di fare nomi. Scriva solo che ha un box. Basta così. Capirà».
Il kit del ladro.
«Servono tante cose. Prima di tutto spadini, poi piccoli martelli e attrezzi che si cambiano di volta in volta».
Stanno in una valigetta, come quella dell'idraulico o bastano le tasche?
«Macché valigetta e valigetta. Se devo fare un lavoro porto con me solo quello che mi serve. L'importante è non improvvisare».
È vero che per aprire una porta blindata basta un pezzetto di radiografia?
«Dipende dalla porta blindata. Non è sempre così semplice».
Vuol dire che i sistemi di difesa e d'allarme stanno migliorando?
«Decisamente. Ma stiamo migliorando anche noi. Bisogna adeguarsi ai tempi».
Il colpo più facile.
«Nel 1977, me lo ricordo ancora. Un borsello con una milionata e mezzo di lire in contanti».
Come li ha spesi, droga?
«Quando mai, allora non m'interessava. Ho speso tutto in sigarette, nei bar, al flipper».
Il colpo più difficile.
«In un appartamento. Quando stavo lavorando è suonato il campanello: era il padrone di casa. Mi ha tradito il mio metodo».
Perché, ha un metodo?
«In quel periodo aprivo le macchine e rubavo solo le chiavi che lasciavano nel portaoggetti. Mi limitavo a questo dopo aver dato un'occhiata all'indirizzo sul libretto di circolazione. Poi mi davo da fare».
Subito?
«Quasi sempre. Grazie alle chiavi non dovevo forzare la serratura o, peggio, fare chiasso. Questo per dire che potevo tranquillamente lavorare anche di mattina».
Com'è finita quella volta col padrone in arrivo?
«Ha suonato sperando che qualcuno gli aprisse ma c'ero solo io in casa. Appena si è allontanato, me ne sono andato. Sempre con l'aria tranquilla, senza correre. Che gli avevo ripulito la casa quello l'ha scoperto quando io ero al sicuro da un pezzo».
Il colpo più sfortunato.
«Ero in un appartamento quando sono rientrati i proprietari. Avevo preparato tutto quello che dovevo portar via in un angolo del salotto ma a quel punto ho dovuto lasciar perdere. Sono scappato».
Mai restituito il bottino?
«La refurtiva, vuol dire? Sì, a un poliziotto della Digos. Era un bravo ragazzo. Me ne sembrava male. Anche se...»
Anche se?
«Anche se in Questura, quando ci capita uno come me, non l'accolgono facendo festa. C'ho bazzicato molto, in Questura. E anche dai carabinieri».
Differenze?
«Parlo per esperienza personale. I poliziotti sono, come posso dire?, più diretti, vanno subito al dunque e sono dolori. I carabinieri invece perdono la pazienza solo se li provochi».
Lei li provoca?
«No, però volevo dire che se mi fanno una certa domanda e tento di non rispondere o di girarci attorno, mi danno l'aiutino».
C'è un colpo che è l'orgoglio della sua vita?
«No, non ricordo niente del genere. Ho rubato tante di quelle volte che confondersi è un attimo. E continuo: finita questa intervista, visto che è sabato e quindi giorno buono per lavorare, mi sposto nel rione di San Benedetto, che è la mia piazza».
Ruba solo nel quartiere di San Benedetto?
«Nooo, quando mai. Ma preferibilmente sì. A San Benedetto, sarà perché ci sono cresciuto, mi sono affezionato. Sanno che se escono di casa potrei entrarci io: questa non la scriva perché è una battuta».
Cosa ruba?
«Tutto quello che capita: dalla roba da mangiare ai gioielli. L'altra settimana, quando m'ha pizzicato una pattuglia, avevo preso una bella busta della spesa piena di gamberoni. Mi sono detto: Corrado, questi te li porti alla Caritas e te li cucini. Invece m'hanno messo le manette».
Quanto impiega ad aprire una macchina?
«Dipende dal tipo e dalla marca. Io ho aperto anche Ferrari. Bellissimo anche l'ultimo modello della Maserati, la berlina a quattro posti. I tempi? Su Bmw o su Mercedes serve un po' di pazienza, non sono semplicissime. Sul gruppo Fiat invece vado liscio».
Risponda con un sì o con un no: l'ha mai pagata una parcella da avvocato?
«No».
Quindi conta su molti benefattori.
«Mia madre, quand'era viva, qualcosa ogni tanto la pagava. Io, anche se da un anno non mi drogo, non ce la faccio. Spero di vincere la causa che ho intentato contro mio fratello a proposito della casa di famiglia: è roba grossa, molti soldi. Se vinco pago i debiti».
Come si sente rispetto agli onorevoli che rubano migliaia di euro?
«Mi arrabbio. Davanti a loro, sono un dilettante. E loro ladri veri. Poi, loro in carcere ci finiscono una volta solo e per poco. Io entro ed esco da Buoncammino. Mi ricordo perfino una cella dove eravamo undici».
Li sente come concorrenti?
«No. Io vado a giornata».
A Buoncammino lei è uno di casa?
«Mi chiamano per nome».
Quanto tempo ci ha passato?
«Circa ventotto anni ma non tutti di fila, e me ne restano ancora da fare».
Le è mai capitato di finire due volte nella stessa cella?
«Eccerto. Le guardie mi dicono: Corra', vai nella tua camera».
Se la ricorda la prima volta?
«A 18 anni appena compiuti. Lei si chiederà se prima ho fatto Riformatorio visto che ho iniziato a rubare da pischello. No, Riformatorio no: non c'erano già più ai miei tempi».
Oltre che a Buoncammino, dove è stato detenuto?
«Macomer, Lanusei, Oristano, Mamone, Is Arenas, Sassari, Badu 'e Carros. Tutte, le ho girate tutte».
La peggiore?
«Lanusei e, poi, Macomer. Pessime. Erano posti dove mandavano i casinisti per punizione».
E lei è un casinista.
«Ogni tanto. E siccome sapevano che Lanusei era proprio brutta, mi trasferivano lì».
In carcere ha stretto amicizie?
«Qualcuna ma non amicizie vere e proprie».
Il presidente del Cagliari calcio ha detto che il carcere straripa di gente meravigliosa.
«Ha ragione, proprio così. Tanto è vero che Massimo Cellino ci aiuta. Manda calendari, uova di Pasqua e altri regali».
Ci faccia capire: la gente meravigliosa è dentro, e quella che sta fuori?
«Lasciamo perdere che è meglio. Facciamo che ha ragione Cellino e fermiamoci qui».
Paura?
«Dove, in carcere? E quando mai, mi conoscono tutti».
Beh, magari i compagni di cella possono organizzare qualche scherzetto...
«A me non è mai successo niente. Ogni tanto schizza di testa qualche ragazzino e allora noi a dirgli stai calmo che sennò è peggio. Bisogna spiegargliele certe cose ai giovani».
Un giudice ha detto che Buoncammino non redime. È d'accordo?
«In carcere uno entra brutto ed esce peggio. Impara a fare il delinquente, cambia carattere, prende l'esempio dagli altri».
In cella di cosa parlate?
«Mah... sesso droga e rock'n roll. E di cosa vuole che si parli in galera?»
C'è un colpo che sogna?
«Eccerto che ce l'ho però non glielo posso dire».
Perché?
«Perché metta che decida di farlo. Cosa faccio, do l'annuncio? È che non è facile, eppoi mi servono attrezzi».
Di che genere?
«Da manovale. Evabbè, glielo dico: per entrare devo buttar giù un bel pezzo di muro».
Le hanno mai proposto di fare il salto ?
«Quante volte, quante volte... Ma non mi interessa. Io rubo, e non intendo smettere, soltanto per vivere. Preferisco entrare e uscire, sono uno stakanovista di Buoncammino».
Ha mai provato a lavorare?
«Non me ne hanno mai dato, lavoro».
Ne ha cercato?
«Per un po', con mio patrigno ho provato a fare il meccanico dentista ma poi l'hanno ucciso ed è finito tutto».
Tra pochi giorni è vigilia di Natale.
«Natale è un periodo che si lavora duro. Ci sono molti soldi in giro e quindi tempo per rilassarsi non ce n'è. Per noi Natale è un bel momento, interessante».
Festeggia?
«Perché, secondo lei alla Caritas si festeggia? A pranzo arriva roba buona che ci manda qualche ristoratore generoso. Ma poi, a cena, torna la solita minestra».
Con chi ce l'ha?
«Giudici, polizia, assistenti sociali. Io rubo perché non ho altre possibilità. A chiedere l'elemosina non ci vado, se lo mettano bene in testa».
Figlio d'un preside delle Magistrali, affidato poi a un patrigno che è stato assassinato («credo per rapina»), ha la licenza media e parlerebbe un buon italiano se la droga - che non prende più da un anno - non gli avesse divorato gran parte dei denti. Abita alla Caritas di viale Fra' Ignazio e racconta di non starci benissimo, il menu non l'appassiona («peggio del pasto in galera») eppoi deve vedersela con altre piccole seccature. «Rubano». Rubano, dove? «Nelle camere della Caritas. Io sto in una a quattro letti. Beh, se dimentichi dentro qualcosa di importante, quando torni non la trovi più». Dopo aver subito l'ultimo furto, ha chiesto ad un'assistente sociale «almeno un giubbottino perché fa freddo, già lo vede. Altrimenti torno a rubare, le ho detto, e quella: faccia come crede».
All'intervista assiste il difensore, avvocato Antonella Saba. Che definisce il suo assistito «la classica vittima della società». Come mai entra ed esce dal carcere come fosse un bagno? «I suoi sono piccoli reati: furti che mette a segno giusto per campare. Incassa condanne piuttosto brevi e, per questo, appena libero ricomincia. È davvero una specie di re degli arresti». L'avvocato non cerca attenuanti, vuol tracciare la storia di un uomo che
ha quattro giudizi pendenti in primo grado e qualcosina anche in Appello e in Cassazione. «Ma non è un cattivo soggetto». L'interessato conferma: «Sono un ladro ma migliore di tanti altri che rubano molto più di me. Io non faccio il politico e quindi rubo solo quello che mi serve davvero per sopravvivere». L'ultima volta che l'hanno beccato aveva in mano una busta della spesa prelevata da una macchina in sosta. «Pazienza, sarà per la prossima». Detesta il mondo e nessuno, sicuro di scontare una condanna a vita - dentro e fuori il carcere - per colpa di un destino che non si è scelto. Ladro di galline? Anche molto meno, dice con orgoglio per spiegare che non si vergogna affatto di quello che fa, di quello che lui chiama «il mio lavoro». Non insegue la pietà obbligatoria delle feste comandate, soprattutto gli sguardi di ipocrita e sofferta riprovazione. «Rubo, e allora?»
Quando è stato l'esordio in questo mondo di ladri.
«Avevo 13 anni. Ero in discoteca a Serramanna. Per tornare a Cagliari ho rubato una 500. Mi è servita per imparare a guidare».
È andato tutto bene?
«Benissimo. Quella volta non mi hanno arrestato. Posso ringraziare uno?»
Anche due.
«No, uno. Uno del mercato di San Benedetto: in quest'ultimo anno che non prendo sostanze stupefacenti mi sta aiutando».
Vuol farne il nome?
«No, non è il caso di fare nomi. Scriva solo che ha un box. Basta così. Capirà».
Il kit del ladro.
«Servono tante cose. Prima di tutto spadini, poi piccoli martelli e attrezzi che si cambiano di volta in volta».
Stanno in una valigetta, come quella dell'idraulico o bastano le tasche?
«Macché valigetta e valigetta. Se devo fare un lavoro porto con me solo quello che mi serve. L'importante è non improvvisare».
È vero che per aprire una porta blindata basta un pezzetto di radiografia?
«Dipende dalla porta blindata. Non è sempre così semplice».
Vuol dire che i sistemi di difesa e d'allarme stanno migliorando?
«Decisamente. Ma stiamo migliorando anche noi. Bisogna adeguarsi ai tempi».
Il colpo più facile.
«Nel 1977, me lo ricordo ancora. Un borsello con una milionata e mezzo di lire in contanti».
Come li ha spesi, droga?
«Quando mai, allora non m'interessava. Ho speso tutto in sigarette, nei bar, al flipper».
Il colpo più difficile.
«In un appartamento. Quando stavo lavorando è suonato il campanello: era il padrone di casa. Mi ha tradito il mio metodo».
Perché, ha un metodo?
«In quel periodo aprivo le macchine e rubavo solo le chiavi che lasciavano nel portaoggetti. Mi limitavo a questo dopo aver dato un'occhiata all'indirizzo sul libretto di circolazione. Poi mi davo da fare».
Subito?
«Quasi sempre. Grazie alle chiavi non dovevo forzare la serratura o, peggio, fare chiasso. Questo per dire che potevo tranquillamente lavorare anche di mattina».
Com'è finita quella volta col padrone in arrivo?
«Ha suonato sperando che qualcuno gli aprisse ma c'ero solo io in casa. Appena si è allontanato, me ne sono andato. Sempre con l'aria tranquilla, senza correre. Che gli avevo ripulito la casa quello l'ha scoperto quando io ero al sicuro da un pezzo».
Il colpo più sfortunato.
«Ero in un appartamento quando sono rientrati i proprietari. Avevo preparato tutto quello che dovevo portar via in un angolo del salotto ma a quel punto ho dovuto lasciar perdere. Sono scappato».
Mai restituito il bottino?
«La refurtiva, vuol dire? Sì, a un poliziotto della Digos. Era un bravo ragazzo. Me ne sembrava male. Anche se...»
Anche se?
«Anche se in Questura, quando ci capita uno come me, non l'accolgono facendo festa. C'ho bazzicato molto, in Questura. E anche dai carabinieri».
Differenze?
«Parlo per esperienza personale. I poliziotti sono, come posso dire?, più diretti, vanno subito al dunque e sono dolori. I carabinieri invece perdono la pazienza solo se li provochi».
Lei li provoca?
«No, però volevo dire che se mi fanno una certa domanda e tento di non rispondere o di girarci attorno, mi danno l'aiutino».
C'è un colpo che è l'orgoglio della sua vita?
«No, non ricordo niente del genere. Ho rubato tante di quelle volte che confondersi è un attimo. E continuo: finita questa intervista, visto che è sabato e quindi giorno buono per lavorare, mi sposto nel rione di San Benedetto, che è la mia piazza».
Ruba solo nel quartiere di San Benedetto?
«Nooo, quando mai. Ma preferibilmente sì. A San Benedetto, sarà perché ci sono cresciuto, mi sono affezionato. Sanno che se escono di casa potrei entrarci io: questa non la scriva perché è una battuta».
Cosa ruba?
«Tutto quello che capita: dalla roba da mangiare ai gioielli. L'altra settimana, quando m'ha pizzicato una pattuglia, avevo preso una bella busta della spesa piena di gamberoni. Mi sono detto: Corrado, questi te li porti alla Caritas e te li cucini. Invece m'hanno messo le manette».
Quanto impiega ad aprire una macchina?
«Dipende dal tipo e dalla marca. Io ho aperto anche Ferrari. Bellissimo anche l'ultimo modello della Maserati, la berlina a quattro posti. I tempi? Su Bmw o su Mercedes serve un po' di pazienza, non sono semplicissime. Sul gruppo Fiat invece vado liscio».
Risponda con un sì o con un no: l'ha mai pagata una parcella da avvocato?
«No».
Quindi conta su molti benefattori.
«Mia madre, quand'era viva, qualcosa ogni tanto la pagava. Io, anche se da un anno non mi drogo, non ce la faccio. Spero di vincere la causa che ho intentato contro mio fratello a proposito della casa di famiglia: è roba grossa, molti soldi. Se vinco pago i debiti».
Come si sente rispetto agli onorevoli che rubano migliaia di euro?
«Mi arrabbio. Davanti a loro, sono un dilettante. E loro ladri veri. Poi, loro in carcere ci finiscono una volta solo e per poco. Io entro ed esco da Buoncammino. Mi ricordo perfino una cella dove eravamo undici».
Li sente come concorrenti?
«No. Io vado a giornata».
A Buoncammino lei è uno di casa?
«Mi chiamano per nome».
Quanto tempo ci ha passato?
«Circa ventotto anni ma non tutti di fila, e me ne restano ancora da fare».
Le è mai capitato di finire due volte nella stessa cella?
«Eccerto. Le guardie mi dicono: Corra', vai nella tua camera».
Se la ricorda la prima volta?
«A 18 anni appena compiuti. Lei si chiederà se prima ho fatto Riformatorio visto che ho iniziato a rubare da pischello. No, Riformatorio no: non c'erano già più ai miei tempi».
Oltre che a Buoncammino, dove è stato detenuto?
«Macomer, Lanusei, Oristano, Mamone, Is Arenas, Sassari, Badu 'e Carros. Tutte, le ho girate tutte».
La peggiore?
«Lanusei e, poi, Macomer. Pessime. Erano posti dove mandavano i casinisti per punizione».
E lei è un casinista.
«Ogni tanto. E siccome sapevano che Lanusei era proprio brutta, mi trasferivano lì».
In carcere ha stretto amicizie?
«Qualcuna ma non amicizie vere e proprie».
Il presidente del Cagliari calcio ha detto che il carcere straripa di gente meravigliosa.
«Ha ragione, proprio così. Tanto è vero che Massimo Cellino ci aiuta. Manda calendari, uova di Pasqua e altri regali».
Ci faccia capire: la gente meravigliosa è dentro, e quella che sta fuori?
«Lasciamo perdere che è meglio. Facciamo che ha ragione Cellino e fermiamoci qui».
Paura?
«Dove, in carcere? E quando mai, mi conoscono tutti».
Beh, magari i compagni di cella possono organizzare qualche scherzetto...
«A me non è mai successo niente. Ogni tanto schizza di testa qualche ragazzino e allora noi a dirgli stai calmo che sennò è peggio. Bisogna spiegargliele certe cose ai giovani».
Un giudice ha detto che Buoncammino non redime. È d'accordo?
«In carcere uno entra brutto ed esce peggio. Impara a fare il delinquente, cambia carattere, prende l'esempio dagli altri».
In cella di cosa parlate?
«Mah... sesso droga e rock'n roll. E di cosa vuole che si parli in galera?»
C'è un colpo che sogna?
«Eccerto che ce l'ho però non glielo posso dire».
Perché?
«Perché metta che decida di farlo. Cosa faccio, do l'annuncio? È che non è facile, eppoi mi servono attrezzi».
Di che genere?
«Da manovale. Evabbè, glielo dico: per entrare devo buttar giù un bel pezzo di muro».
Le hanno mai proposto di fare il salto ?
«Quante volte, quante volte... Ma non mi interessa. Io rubo, e non intendo smettere, soltanto per vivere. Preferisco entrare e uscire, sono uno stakanovista di Buoncammino».
Ha mai provato a lavorare?
«Non me ne hanno mai dato, lavoro».
Ne ha cercato?
«Per un po', con mio patrigno ho provato a fare il meccanico dentista ma poi l'hanno ucciso ed è finito tutto».
Tra pochi giorni è vigilia di Natale.
«Natale è un periodo che si lavora duro. Ci sono molti soldi in giro e quindi tempo per rilassarsi non ce n'è. Per noi Natale è un bel momento, interessante».
Festeggia?
«Perché, secondo lei alla Caritas si festeggia? A pranzo arriva roba buona che ci manda qualche ristoratore generoso. Ma poi, a cena, torna la solita minestra».
Con chi ce l'ha?
«Giudici, polizia, assistenti sociali. Io rubo perché non ho altre possibilità. A chiedere l'elemosina non ci vado, se lo mettano bene in testa».