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7.12.21

ecco perchè non si fa una seria lotta all'evasione fiscale , ma si finge di farla .Comuni sciolti per mafia, dove comandano i clan si spende di più in opere edilizie e gestione dei rifiuti. Ma si incassano meno tasse

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da i FQ di Mario Portanova | 7 DICEMBRE 2021

Comuni sciolti per mafia, dove comandano i clan si spende di più in opere edilizie e gestione dei rifiuti. Ma si incassano meno tasse


Due economisti hanno stimato l'impatto del condizionamento criminale sui bilanci degli enti locali. E hanno scoperto che le risorse vengono dirottate, con un aumento medio del 14%, verso i settori di interesse strategico per i clan. Mentre il gettito della tassa sui rifiuti tende a crollare

Teniamo puntigliosamente il conto dei Comuni italiani sciolti per mafia – in questo momento sono più di 200, fra gli ultimi San Giuseppe Jato, nella foto – ma poco o nulla sappiamo di cosa succede davvero alle casse di un municipio in cui la criminalità organizzata è in grado di condizionare le scelte politiche e amministrative. Una ricerca appena pubblicata dà qualche risposta: dove governano i mafiosi, la spesa pubblica per la raccolta dei rifiuti e per le opere edilizie è maggiore del 14% rispetto ai comuni non infiltrati. Una cifra considerevole, visto che si tratta di voci di budget in genere già molto pesanti. Parallelamente, la ricerca registra un crollo del 20% nella riscossione della tassa dei rifiuti rispetto al gettito atteso.
“I risultati complessivi sembrano dimostrare che i gruppi criminali prendono il controllo degli enti locali per dirottare le risorse pubbliche verso settori dove hanno interessi strategici”, scrivono gli economisti Marco Di Cataldo dell’Università Ca’ Foscari Venezia e Nicola Mastrorocco del Trinity College di Dublino nel loro studio appena pubblicato su The Journal of Law, Economics & Organization.
Non è che la spesa pubblica di questi Comuni esploda in favori e sprechi, come ci si potrebbe aspettare. Semplicemente, il bilancio viene modificato secondo le convenienze dei clan. “L’impatto sulle scelte di investimento non porta necessariamente a un aumento della spesa, ma a una sua ridefinizione, più difficile da identificare”, commenta De Cataldo. “Vediamo l’aumento di impegni di spesa per opere pubbliche di edilizia e gestione dei rifiuti, a discapito generalmente di servizi come trasporto pubblico e illuminazione pubblica”. Mentre tendono a restare stabili gli stanziamenti in servizi sociali, istruzione, polizia locale, amministrazione.I settori individuati non costituiscono una sorpresa, dato lo storico attivismo delle imprese mafiose nel ciclo dei rifiuti e nel mattone, ma è la prima volta che una ricerca accademica quantifica l’impatto economico del condizionamento mafioso su un ente pubblico. Per farlo, i ricercatori hanno preso a campione tutti i 1738 Comuni di Calabria, Campania, Sicilia, Basilicata e Puglia e hanno confrontato i dati di bilancio fra quelli sciolti per mafia secondo la legge 164 del 1991 e quelli che non hanno mai subito il provvedimento.
Esaminando le sentenze di scioglimento, i ricercatori hanno individuato diverse modalità con cui il crimine organizzato si infiltra nelle amministrazioni comunali. In modo diretto, come nel caso di Nardodipace (Vibo valentia) dove il figlio del boss è stato vicesindaco, o più indiretto come nel caso di Cinisi (Palermo) o Gricignano di Aversa (Caserta) che hanno visto accordi pre-elettorali con i clan. Ricorrente anche la compravendita di voti, che emerge dalla sentenza che ha sciolto Seminara (Reggio Calabria).Meno frequente la conquista di un municipio con minacce e intimidazioni. È accaduto pr esempio ad Africo (Reggio Calabria). Ma nella maggior parte dei casi la mafia conquista i nostri comuni soprattutto facendo accordi con la politica. Alla pari.

4.10.21

Cerignola, nel comune sciolto per mafia l'assurdo appello del candidato ai criminali: "Noi vi lasciamo lavorare, fatelo anche voi

Alla  faccia   dell'ironia     questo  si  chiama  favoreggiamento     o associazione mafiosa.

  di  cosa  stiamo parlando  





“Cari mafiosi, ladri, criminali, estorsori, voi continuate a fare liberamente il vostro mestiere. Noi politici facciamo il nostro. Da pari a pari. Con affetto e riconoscenza”. Se fosse uno sketch comico, sarebbe degno del miglior discorso di Cetto La Qualunque.
Ma non ha nemmeno il tono dello scherzo di cattivo gusto, l'appello assurdo che Michele Romano – candidato consigliere comunale alle elezioni di Cerignola per Con, partito nella coalizione del candidato sindaco di centrosinistra Francesco Bonito – fa ai “titolari di attività illegali” in un video che posta sul suo profilo Facebook: “Voi avete il commercio degli stupefacenti, dell'usura, dei giochi, del commercio
delle armi, furti, riciclaggio, rapine, estorsioni, prostituzione, locali notturni e anche diurni. Una preghiera vi faccio: lasciate a noi politici almeno un settore: quello della politica e dell'amministrazione in Comune. Anche noi dobbiamo campare, anche noi abbiamo famiglia. Noi non vogliamo entrare nei vostri affari, ma anche voi non dovete entrare nei nostri” dice Romano prima della conclusione, che suona se possibile ancora più paradossale.

Cerignola, il candidato si rivolge ai mafiosi: "Noi non vogliamo entrare nei vostri affari, voi non entrate nei nostri"


“Da pari a pari, a ognuno il suo campo. Già la politica è difficile e complicata senza di voi – fa notare Romano – se invece vi ci mettete anche voi, la politica diventa un casino. Vi prego, riflettete e allontanate da voi qualche cattivo avvocato che vi sta consigliando male. Quello capace di portarvi sulla cattiva strada. Non ho altro da dirvi, con affetto e riconoscenza” chiude il novello Cetto di Cerignola, città alle prese con non pochi problemi, visto che l'ultimo consiglio comunale era stato sciolto proprio per infiltrazioni mafiose. Sindaco in quel momento era Franco Metta, del centrodestra, inserito non a caso nei giorni scorsi nell'elenco dei nove candidati impresentabili, messo a punto dalla commissione parlamentare antimafia. In un contesto come questo suona se possibile ancora più incredibile l'appello del candidato che dichiara affetto e riconoscenza ai criminali cerignolani.Il video ha scatenato molte proteste. Non a caso Romano lo ha rimosso dal suo profilo Facebook. Ma a farlo circolare ci ha pensato il coordinatore regionale di Forza Italia, Mauro D'Attis: “C'è un limite a tutto e se non un video da scherzi a parte credo che la comunità di Cerignola (e non solo) debba reagire, mentre viene interessato il Prefetto di Foggia per le azioni eventuali del caso - attacca il parlamentare forzista - Se ha voluto scherzare è di pessimo gusto. Se non ha voluto scherzare vuol dire che lui e chi l'ha candidato devono sparire dalla politica”.

2.10.21

In sardegna non c'è la mafia classica ma quella moderna dell'usura e del riciclaggio

   Dopo  due  articoli   sulla  mafia     anzi  le mafie   (  1  e II)    ho ricevuto questa  email  .  Lo  so  che   è  come  dare  le perle  ai  porci  perchè   ci  sono sempre  più elementi  che   la nostra  isola   è  a  rischio mafia ma  non ho resistito .   Ma  prima del  botta  e   riposta    che  sarà  il post  d'oggi   voglio chiarire  ancora    una  volta   la mia   posizione    ,  facendo  mio   e  condividendo  questo post  

Finite le commemorazioni sui nostri martiri per la giustizia giusta e in primis per il beato giudice Rosario Livatino , dobbiamo chiederci e chiedo agli amici e conoscenti cosa possiamo fare da cittadini comuni per portare avanti il credo , l’etica , la lotta alla mafia e chi distrugge il nostro amato ambiente cioè quello che ha creduto il nostro giudice martire per la giustizia ? Non basta la sola riconoscenza per quello che ha fatto , ma secondo me bisogna portare avanti le sue idee. Cosa ci impegnamo a fare sulle centinaia di beni confiscati lasciati abbandonati dai burocrati ?Cosa facciamo per l’ambiente che lui ha tanto amato e protetto ? Non facciamo di lui solo un santino e basta

Veniamo ora al post vero e proprio .

Ciao
E' da  un po'   che   volevo scriverti  ,  e  solo  ora  trovo il  coraggio  . Avevo letto  dei tuoi interventi   sulla mafia   in Sardegna  isola  felice  dal punti di  vista  mafioso.  In  base  a    cosa affermi  ciò  ,  perchè  problemi a problemi  ,  la nostra  Sardegna  ha  si dei problemi come  tutto il sud  ,  ma  non  ha  la  mafia  .  Perché queste  speculazioni  . La mafia  in Sardegna  lo  dice    anche  Pino Arlachi  in questo     saggio      (  se  non lo hai  letto scaricatelo qui ) Quindi  smettila  di  dire  stupidaggini  sui  pseudo siti antimafia   come amazzatecitutti  e  ora  sul  tuo  blog  


                    lettera  firmata 

IL  solito   pusillanime  che   scrive   lettere  anonime   senza  firmarsi  . Una  persona  poco  attenta  ai problemi  della   sua terra  . Una  persona  poco informata  sulla   nostra terra  .Essa  è anche poco informata    perchè  : 1)  non ho  , almeno  nel  nostro blog    , ancora parlato  della mafia \ delle  mafie in Sardegna  . 2)  ignora   o  fa  finta  d'ignorare  che "  The Times They Are A-Changin' "   e  che  la  criminalità  nostrana     si  è  ormai  trasformata   al 90 %   in criminalità mafiosa   3)  che  la  mafia   non  come   l'intende  il  buon saggio ,  ma  ormai  d'aggiornare  di Pino Arlacchi ,  qualcosa  di classico   come   quello  del film   il padrino   , o quei  bravi ragazzi    ma  qualcosa  di  nuovo . Ma  andiamo  con ordine  La criminalità organizzata in Sardegna ha subìto e continua a subire un profondo cambiamento. E cominciare a parlare di associazione a delinquere di stampo mafioso, seppur con tutte le cautele possibili, non è più un’eresia. Anzi. È l’estrema sintesi di un lungo lavoro di studio contenuto nel volume “Droghe e organizzazioni criminali in Sardegna. Letture sociologiche ed economiche”, curato dalla professoressa Antonietta Mazzette ed edito da Franco Angeli. Il volume è stato presentato ieri pomeriggio nel cortile dell’istituto Farina-San Giuseppe, inserito nel contesto delle manifestazioni di “Sassari Estate 2021”. Infatti , Il tribunale di Cagliari ha    sempre  secondo  --- la  nuova  Sardegna  del  26\6\2021 ---   messo a disposizione dell’osservatorio sociale sulla criminalità in Sardegna (Oscrim) migliaia di sentenze che sono passate nel setaccio del team di ricerca. Ma chi si aspetta un volume infarcito di numeri e statistiche come tanti altri realizzati in passato rimarrà piacevolmente sorpreso. 

Lo hanno spiegato bene ieri Meloni, parlando senza mezzi termini di una svolta, e Gianni Caria. «È una ricerca che ha particolare originalità – ha detto il procuratore – ed è la prima volta in Italia che si fa una ricerca non soltanto quantitativa ma qualitativa, con la lettura del racconto delle sentenze».
Secondo le ricerche svolte dal team di studiosi, la maggior parte degli autori del traffico di sostanze stupefacenti è di nazionalità italiana (86%) mentre il restante 14 per cento sono stranieri, soprattutto di nazionalità nigeriana. «Il loro ruolo (tanto degli uomini quanto delle donne) non è solo quello del trasporto materiale della droga – si legge nel volume – per lo più occultata all’interno del proprio corpo, i cosiddetti corrieri ovulatori, ma è anche quello dell’organizzazione, rivestendo talvolta anche ruoli dirigenziali». Dopo i nigeriani sono particolarmente attivi gli egiziani, intercettatati più volte dalla Guardia di finanza, a bordo di imbarcazioni cariche di ingenti quantitativi di hashish. In generale i risultati dell’analisi effettuata dagli studiosi portano a ritenere che «la criminalità in Sardegna abbia subito e stia ancora subendo un profondo cambiamento e che, seppure con estrema cautela, si possa iniziare a parlare di criminalità organizzata intesa come associazione a delinquere di stampo mafioso che, a sua volta, subisce un cambiamento profondo [...  segue  nota  1 ]».
Ma   a lanciare  l'all'allarme  non  sono     quelli che  potresti  definire   , caro anonimo  , quattro  gatti  o   utopisti  ma  dei Magistrati  . Infatti    La differenza tra un paese dove c’è la mafia e uno dove non c’è è semplicemente un’inchiesta giudiziaria ben fatta. Significa che mafia e camorra sono dappertutto, basta cercarle e trovarle. Vale anche per la Sardegna. Così dice Catello Maresca, sostituto procuratore a Napoli in servizio alla Direzione distrettuale antimafia. È il magistrato che ha arrestato Michele Zagaria, l’ultimo boss dei casalesi. Infatti  Maresca l’altro ieri è intervenuto al convegno organizzato a Olbia dall’Ordine dei commercialisti di Tempio, con il sostegno della Camera di commercio di Sassari, su un tema centrale per la lotta alla mafia: i beni sequestrati come beni comuni. Dalle sue parole un segnale d’allarme: «Nessuno può dirsi o sentirsi “lontano” dalla mafia o dalla camorra, perché sono ovunque. Certo non si manifestano più con lupara e gambali, piuttosto con investimenti immobiliari e turistici, con il controllo degli appalti oppure con operazioni finanziarie nelle borse d’Europa. In Sardegna lo Stato non è presente solo d’estate in vacanza a Porto Cervo, ma anche sulle tracce della criminalità organizzata. Ad esempio, seguendo il filo che ha portato alla cattura di un boss come Zagaria ci siamo imbattuti in investimenti in Corsica e in Sardegna. Nessuno quindi può chiamarsi fuori .... segue  NOTA  2 ».
Quindi  come vedi  la  sardegna da  Nord  a Sud  è terreno  d'infiltrazioni    mafiose  ,  secondo  La Direzione investigativa antimafia: sulla droga alleanza tra criminalità sarda, camorra e 'ndrangheta. Infatti    anche  Claudio Lo Curto, avvocato generale della Repubblica nella sezione distaccata della Corte d'Appello di Sassari.   che ha  scritto la  sentenza     del Maxi processo con  i Giudici Falconme  e  Borsellino , il più profondo conoscitore dell'asse Sardegna - Sicilia, ne ha messo a fuoco carattere e metodi, ha ben chiari i punti di forza e soprattutto le debolezze. Poco prima che la malattia lo porti via, nel 2017, non riesce a trattenersi dinanzi allo scellerato invio in Sardegna di gran parte dei protagonisti del maxi processo e di tutti i vertici della criminalità organizzata in Italia, dalla mafia alla camorra, dall'Ndrangheta alla Sacra Corona Unita. Quando il primo elenco finisce nelle sue mani non si trattiene e sbotta: « Con i 41 bis arriveranno i parenti, anche cinque o sei, e poi altre persone, che saranno sempre diverse. Arriveranno dieci o quindici giorni prima e se ne andranno anche dieci giorni dopo. Il tempo necessario per monitorare il terreno e allacciare amicizie, contatti. Si faranno conoscere, ricicleranno denaro, concederanno prestiti a tassi da usura, e magari, in seguito all'impossibilità di pagamento del creditore, rileveranno l'azienda .....  Nota  3 ». 
Potrei continuare     ma  finirei per  annoiarti e   a d  annoiare  chi mi  legge  e   quindi    rimando   agli altri  link sotto  .  Spero  d'esserti  stata  utile   d'averti  aperto  gli occhi  . 
Ti  consiglio inoltre   questo libro 



Sta   te  decidere   quale  pillola  scegliere  



 è  stato  un piacere   poter   rispondere   alla tua lettera   . però la prossima  volta   un po'  meno arrogante      se  ma    mi  riponderai   e    mi  scriverai  ancora  , mi farebbe  piacere    sapere  almeno  il tuo nome  .    Se  poi  decidi  ,  capisco benissimo   ,    che  il  tuo nome  non compaia     basta  chiedere  esplicitamente  nella  tua   email  di  non  metterlo 





Sitografia 


7.9.21

Roma, San Lorenzo in mano ai boss del quartiere. La ristoratrice-coraggio: "Ci sentiamo soli, qualcuno ci tuteli" , Alicudi, la scuola più piccola d'Europa: tre alunni in tutto. Ma per i prof è un'impresa ,ed altre storie

   sempre  a  proposito  di resistenza  e  di  guerriglia  contro  culturale  oltre  alle storie    del precedente  post    eccovene  altre 




Roma, San Lorenzo in mano ai boss del quartiere. La ristoratrice-coraggio: "Ci sentiamo soli, qualcuno ci tuteli" 
                             di Romina Marceca repubblica    3\9\2021(franceschi)


Minacce, soprusi, violenze: i pub sotto il ricatto di gang stile Gomorra. E contro i boss del quartiere c'è stata una sola denuncia. L'ultimo raid: distrutto un locale, titolare in ospedale




Alle 23 in piazza dell'Immacolata a San Lorenzo sono seduti in un pub malandato. Ridono, chiacchierano con amici e parenti sotto la luce fioca dei lampioni e le telecamere di Occhi sulla città. Accanto il fedele pitbull color champagne. Sono loro i boss del quartiere con tanto di auto posteggiata in mezzo alla strada. Due fratellastri, una famiglia, e a capo di una gang composta da giovani che spacciano agli angoli delle strade marijuana, hashish, mettono a segno piccoli furti mentre loro collezionano insopportabili soprusi ai ristoratori. Sono legati all'estrema destra, frequentano il giro degli ultras, nel loro passato arresti e denunce, mettono in campo l'arroganza in stile Gomorra con coltelli alla mano. La loro base operativa, di giorno, è un ex centro sociale. Il quartiere sa, tace e subisce.
Ma c'è chi, nonostante un passato non del tutto limpido, ha deciso di dire "No". È Giulia, nome di fantasia, che racconta a Repubblica da dietro il bancone: "Qui siamo governati da criminali, non ce la facciamo più. Io, mio marito e mio cognato abbiamo iniziato a denunciarli da un anno. Arrivavano, consumavano al banco e poi andavano via. Utilizzavano il nostro bagno per spacciare. Siamo stati minacciati di morte più volte". Ma c'è di più. Contro il pub della coppia una settimana fa è stata scagliata una molotov. "Siamo esasperati. Il locale è stato incendiato perché ci siamo rifiutati di pagare un'estorsione", ricostruisce la ristoratrice, si asciuga il sudore perché quando parla di loro si innervosisce. "Per fortuna non c'era nessuno all'interno ma fuori è scoppiato il panico", ricorda.
La beffa è arrivata da lì a poco. Giulia alza gli occhi al cielo: "I carabinieri hanno arrestato chi ha messo a segno l'attentato incendiario e la mattina ce lo siamo ritrovati qui. Il giudice l'ha scarcerato. Lui ha sputato contro la nostra saracinesca e ha detto: "Ah 'nfame hai riaperto? Io ti faccio chiudere un'altra volta come ieri". Una persecuzione". Mentre il fratellastro intorno alle 2 della notte è passato davanti al locale urlando: "Invece di dare fuoco al locale, doveva dare fuoco a te". La denuncia, l'ennesima, è stata presentata il 29 agosto. In procura ci sono diversi fascicoli sui due fratellastri: droga, minacce e l'ultimo per tentata estorsione. Uno dei due ha anche un Daspo ma gira senza problemi nel quartiere. "Sono stata anche accusata - continua - di avere sposato un uomo immigrato. "Hai portato un nero qui", mi hanno detto". Con gli immigrati, che disprezzano, poi però i fratelli farebbero affari per rifornirli di droga.
L'ultimo atto di forza ieri: il locale del cognato è stato distrutto da altri due uomini della gang. Giulia lo racconta al telefono: "Mio cognato è in ospedale, il pub è devastato. Ci sentiamo soli, abbiamo paura. Qualcuno ci tuteli". Secondo Giulia altri ristoratori hanno presentato denuncia ma, tra gli intervistati, nessuno ammette a Repubblica di avere alzato la testa contro i due capoccia. "Sì, è vero - dice un altro titolare di pub - qui si spaccia ovunque. Dopo Desirée è ritornato tutto come e peggio di prima. Ci sono questi due fratelli guappi ma io non gli ho mai dato confidenza. Una volta mi sono arrivati dei coltelli contro il locale ma nulla di preoccupante". Una resa a una situazione inaccettabile.
Quella della coppia è una voce fuori dal coro. È anche vero che a San Lorenzo il bianco e il nero non sono colori ben definiti e scivolare nell'area grigia è facile. Non sarebbe un mistero il fatto che alcuni titolari di locali danno il lasciapassare allo spaccio dentro ai pub. "Quelli lì sono stati i primi a dare manforte ai fratelli sanlorenzini. Adesso sono passati dall'altra parte", è quanto pensa di Giulia e del marito un altro ristoratore.
All'una di venerdì notte gli affari di droga vanno avanti senza problemi nonostante il presidio delle forze dell'ordine ai lati di piazza dell'Immacolata e di largo degli Osci. I locali da 2 euro a shottino sono strapieni di minorenni e universitari di ritorno dalle vacanze. Acquistare un pezzo di "copertone" (hashish di scarsa qualità) è più facile che mettersi in fila per una birra. "Ma se vuole - si avvicina un uomo dei fratelli - abbiamo anche cocaina".

................

La scuola di Alicudi è tra quei pochi istituti d'Italia che il covid non ha stravolto. Anche prima della pandemia, infatti, non aveva problemi di distanziamento: perché gli studenti sono tre, in tutto. E già si praticava la dad (spesso si facevano collegamenti video con le altre scuole delle isole Eolie). 

 
In questo reportage inedito (girato nel gennaio del 2020) raccontiamo una delle scuole più sperdute d'Italia. Gli insegnanti devono affrontare viaggi di ore per raggiungere i loro alunni. O devono trasferirsi sull'isola, e affittare una casa. Con il risultato che lo stipendo se ne va quasi tutto per pagare le spese. E a volte gli alloggi non sono esattamente confortevoli, visto che si tratta di abitazioni soprattutto estive: una maestra racconta che la sua - ad esempio - non ha i vetri alle finestre. E se il mare è grosso, anche i prof che non si sono trasferiti sono costretti a rimenere sull'isola.
Per arrivare a scuola bisogna salire 356 scalini. E a volte, per portare i pesi, gli abitanti (non sono più di 60) usano ancora gli asini. 
Sull'isola il virus non è mai arrivato, i residenti sono quasi tutti vaccinati, come quasi tutti gli insegnanti, guidati dalla storica preside Mirella Fanti. E tra qualche giorno si ricomincia, suona di nuovo la campanella
 
di Valeria Teodonio
regia di Sonny Anzellotti
immagini di Sonny Anzellotti e Valeria Lombardo
montaggio di Alberto Mascia
grafica Riccardo Pulvirenti





rebblica5\9\2021
Teddy, il pugile di Auschwitz che tentò di mettere KO i nazistidi Andrea Tarquini

Tadeusz Pietrzykowski
 
In un libro e in un film appena usciti in Polonia la figlia di Tadeusz Pietrzykowski racconta come il padre complottò per assassinare il comandante del lager in cui era stato rinchiuso per motivi politici. Liberato dall'Armata Rossa, condusse una vita umile: il regime comunista non gli riconobbe i suoi atti di eroismo



Per sportivi e tifosi polacchi e di tutta Europa si chiamava Tadeusz Pietrzykowski, detto Teddy, era l´idolo del ring, campione polacco dei pesi gallo e giovane promessa del pugilato europeo. Per i nazisti fu il prigioniero numero 77, come gli fu tatuato sul braccio. Adesso un film appena uscito, "Il campione di Auschwitz", e una biografia di lui scritta postuma dalla figlia, Eleonora Szafran, dal titolo "Mistrz", il maestro, ricordano il suo eroismo, gli anni tragici nella fabbrica della morte della Shoah nazista tedesca nella Polonia occupata da Berlino e Mosca, poi la povertà nel dopoguerra, quando il regime comunista si guardò bene dall´onorare il suo eroismo. Ci sono voluti 76 anni perché la sua avventura straordinaria uscisse dal silenzio e riaffiorasse nel mondo della Memoria.
Tadeusz, detto Teddy dai fan della boxe polacchi e di tutta Europa, cattolico e patriota convinto, finí ad Auschwitz come prigioniero politico polacco arrestato dalla Gestapo mentre cercava di raggiungere l´Europa occidentale e unirsi all´Armata polacca, che poi in guerra sotto la guida del generale Wladyslaw Anders a fianco degli alleati combatté con piú uomini e armi che non la Francia gaullista.
Il sogno di Teddy di lottare per la libertà a fianco di quegli eroi fu infranto dall´orrida macchina repressiva del Terzo Reich. All´inizio fu percosso torturato maltrattato e costretto a lavorare come una bestia come tutti gli altri detenuti ebrei o polacchi. Poi il caso e il suo temerario coraggio gli fornirono la via di sopravvivere: un detenuto tedesco, che svolgeva il ruolo di Kapò, sapeva che Teddy era un pugile famoso e gli propose di organizzare un match.
Tutti i compagni d´internamento tentarono invano di dissuadere Tadeus: che tu vinca o perda ti assassineranno, conosci i nazisti, gli dissero. Lui decise di rischiare, e con un colpo ben assestato alla mascella mise KO Walter Düning sanguinante. Qui venne la svolta: il Kapò, preso da ammirazione sportiva verso l´avversario, anziché chiedere di giustiziarlo come i capi del campo avrebbero sperato, decise di aumentargli le razioni di cibo e medicinali, e di alleggerire di molto la quantità di duro lavoro richiestogli.
Tadeusz non tenne mai tutto per sé: divise cibo e medicine con i compagni di detenzione. E con abile segretezza, cercò il piú delle volte invano di contattare i combattenti dell'Armja Krajowa, l´esercito interno dello Stato clandestino polacco: voleva convincerli a organizzare un attentato per giustiziare il crudele comandante di Auschwitz, elaborò egli stesso un dettagliato piano operativo.
Invano. Non gli riuscí mai, tanta era la sorveglianza repressiva. Allora approfittando del fatto che grazie al Kapò messo KO riceveva anche carta matite e tempo per prendere nota, scrisse tremende e realistiche cronache sulla vita quotidiana nella città della morte nazista tedesca. E intanto fondò un circolo di boxe nel campo col permesso die Kapò per dare un po´di speranza di vita ai dannati della terra.
Liberato con gli altri internati dalle divisioni scelte dell´Armata rossa in avanzata, tentò di ricominciare con la carriera di pugile, ma gli anni di detenzione lo avevano reso troppo debole e malato. Si guadagnò la vita onestamente e con paga frugale da insegnante di educazione fisica. Mai il regime comunista gli conferì premi, mai narrò le sue gesta: era un aspirante resistente obbediente al governo in esilio a Londra, i suoi eroi furono sempre Anders e l´Armia Krajowa, cui da detenuto passò informazioni, non i partigiani comunisti né tantomeno il regime comunista poi instaurato dai nuovi occupanti sovietici che combatté per tre anni di guerra civile l´Armia Krajowa e assassinò con la falsa accusa di tradimento moltissimi ex partigiani, oltre a colmare prigioni e campi di prigionieri politici maltrattati e torturati almeno fino alla svolta di Gomulka nel 1956, sulla scia della destalinizzazione.
Oggi Teddy torna un eroe. E il ricordo di lui è anche un monito per il giorno d´oggi, dice alla Afp l´attore Piotr Glowacki che lo impersona nel film: "Come chi protesta oggi, egli combatté contro la discriminazione di chiunque, per ragioni etniche sessuali politiche o qualunque altra“. Un eroe, insomma, ma secondo questa chiave di lettura un eroe scomodo per i sovranisti omofobi.







11.1.18

«In Calabria il negazionismo ha due facce» di Emiliano Morrone

da  non  Calabrese     ma  da  uomo del sud   concordo conil compagno di viaggio  Emiliano Morrone in calabria si sta facendo lo stesso errore che si fece con la mafia siciliana cioè si dic che non esiste e se ne nega l'esistenza .La stessa  cosa  che  si fa  in sardegna ( http://www.pinoarlacchi.it/it/pubblicazioni/libri/488-perche-non-ce-la-mafia-in-sardegna  )    con le  infiltrazioni  sempre  più massice    delle mafie   confermate  anche da  .Un boss della mafia siciliana (Salvatore Costanza)  qui ulteriori  news.Per questo che diffondo  , vedere articolo  sotto ,  questa  sua   riflessione appena pubblicata da Corriere della Calabria

Si continua a negare il dominio della 'ndrangheta, della massoneria deviata e della politica che le unisce. Per cambiare bisogna avere il coraggio di raccontare la realtà, di scrivere e dire la verità. Basta con l'ipocrisia, soprattutto con quella intellettuale.




Emiliano Morrone                       Emiliano Morrone
Possiamo ripeterci che la Calabria è bellezza, incanto, magia; agricoltura, gastronomia, olio e vini eccellenti. Possiamo esaltare l'umanità, l'accoglienza e la generosità del suo popolo. Possiamo dirci dell'antica tradizione della nostra terra, delle fatiche, dei sacrifici e del talento di giuristi locali, medici, accademici, imprenditori e artigiani, emigrati o residenti. Possiamo compiacerci ricordando la scuola pitagorica di Crotone, l'utopismo di Gioacchino da Fiore e Tommaso Campanella, la carità di Francesco di Paola, i natali dello scrittore Corrado Alvaro, del “Nobel” Renato Dulbecco, dello stilista Gianni Versace o del filosofo Ermanno Bencivenga. A compendio possiamo sbandierare le origini calabresi di uno degli intellettuali più famosi, Gianni Vattimo, o di artisti come Steven Seagal, Raul Bova, Chick Corea e John Patitucci.
Nulla cambierebbe la realtà: la Calabria è forse l'ultima regione d'Europa per servizi, diritti e indicatori economici, ma sta in cima per tasso di spopolamento. Qui comandano la 'ndrangheta, la massoneria deviata e una politica immorale che spesso lega cosche e logge. L'amministrazione pubblica è attraversata dalla corruzione; gli incarichi illegittimi fioccano in libertà e buona parte della burocrazia obbedisce ai governanti di turno e relativi faccendieri: “trucca” concorsi, istruttorie, autorizzazioni, concessioni e perfino bilanci. La sanità agonizza, il mare puzza, la montagna brucia, le strade crollano e i paesi muoiono.
In Calabria la fantasia supera la realtà: vige un diritto speciale che, plasmato alla bisogna, aggira e sotterra le norme comuni. Non di rado i concorsi sono una farsa, i peggiori occupano posti di responsabilità e i migliori sono respinti, isolati e indotti a partire.
La recente operazione “Stige” (della Dda di Catanzaro) ha confermato la pervasività dell'organizzazione criminale e l'adesione, le aderenze politiche diffuse. E ha ribadito che l'economia è alterata da un sistema, di connivenze, violenza e favori, che aumenta le disparità e la massa proletaria, divisa, costretta alla sopravvivenza e resa inabile alla rivolta.
Il negazionismo ha di solito due facce. La prima è quella dei conservatori integrali, che alle spalle alimentano l'odio verso chi scrive, racconta, denuncia, esorta, ammonisce; la seconda, più ingannevole, è quella degli apologeti, i quali, traendo lauti benefici dal ruolo raggiunto, dipingono una Calabria da sogno, immaginaria, mitica, unica. Della regione costoro decantano le potenzialità, che restano proiezioni, suggestione e motivo di orgoglio posticcio, strumentale al mantenimento dei rapporti di forza vigenti.
Per battere la 'ndrangheta strutturata e culturale occorre demolire due assunti falsi e propagandistici, pure utilizzati tra gli ingenui. Il primo è che siamo perfetti e non potremmo vivere meglio; il secondo è che la Calabria è la prima al mondo in quanto a paesaggio, storia e natura.
Abbiamo tanto, sì. Ma abbiamo perduto la memoria, a causa della cementificazione dei luoghi e dello spirito, della distruzione dei simboli e della capacità di giudizio.

3.3.13

come peppino impastato o finzione per infiltrarsi nella società antimafia ?


La mafia mi ripugna, parola di Caruana jr
Leonardo proviene da una famiglia mafiosa, ma ci tiene a far sapere che si distingue dai suoi congiunti. Lavora infatti nei terreni confiscati proprio ai clan.

domenica 3 marzo 2013 17:05





di Tancredi Omodei

Leonardo Caruana è figlio del boss Gerlando, conosciuto come Gigi, a sua volta figlio di Leonardo, morto assassinato. Nonno Leonardo era l'esponente di spicco della famiglia mafiosa. I Caruana e i Cuntrera, due famiglie storiche della vecchia mafia, a cavallo tra la terra d'origine, il Canada e il Sud America.



Una multinazionale, con solidi collegamenti politici sia in Nord America (un gran business, e tanti soldi) che in Sicilia.
Ora, la notizia è che il giovane Leonardo, nella Siculiana del padre e del nonno, paese a due passi di Agrigento, dove la famiglia non ha mai strappato le radici; il giovane Leonardo - dicevamo - trova lavoro presso una villa confiscata al padre nel 2000 e consegnata al Comune. Era stato il Consorzio agrigentino per la legalità e lo sviluppo a gestire la gara per l'aggiudicazione della villa. Gara vinta dal Wwf.
E Leonardo Caruana tre mesi fa è assunto proprio da questa associazione. Ed è su quest'assunzione che i carabinieri vogliono vederci chiaro, per diradare eventuali ombre. Un dossier è già stato inviato alla Dda. Altre due associazioni ambientaliste, Legambiente ("una leggerezza, quella del Wwf") e Mare vivo hanno subito smentito di avere alcun tipo di rapporto con Caruana e negato un qualsiasi coinvolgimento nell'assunzione del giovane Caruana. Come dire, chiedete al Wwf.
Puntuali escontati i sospetti, inevitabili le polemiche. La vecchia storia dei padri e dei figli. Così è stato anche per Riina padre e Riina junior. Ma il tema è delicato: il percorso dei beni confiscati, l'esigenza di controllare che il giro lungo non si vada ad arenare sulla spiaggia dalla quale si era partiti, ma anche il rispetto dei diritti di chi non può pagare solo per il nome. Il giovane Caruana non ci sta, e si fa sentire. Lo fa con una lettera inviata alle massime autorità dello Stato, soprattutto alla Procura della Repubblica. Si indaghi pure su di lui, non ha niente da nascondere, vuole solo cogliere n'occasione di lavoro. E se le indagini dovessero dare il risultato che il giovane Caruana rivendica, la richiesta è di essere lasciato in pace. A questo punto, a buon diritto.
"Io sottoscritto Leonardo Caruana - scrive il giovane - con disappunto e rammarico... al centro di una vicenda riportata dagli organi di informazione laddove si adombra il sospetto che l'assunzione del sottoscritto da parte del Wwf possa celare "un interesse della famiglia Caruana alla gestione di quella villa che una volta era di loro proprietà". Ricordando le polemiche di stampa, Leonardo Caruama scrive: "Nella società della comunicazione... si dimentica... di ascoltare la versione del cittadino che si ritrova come soggetto compromesso nell' immagine e nella legittima aspettativa di una vita dignitosa, ovvero occupata nel lavoro..." Il mio rapporto con Wwf - è il senso della ricostruzione fatta dalla lettera di Caruana - non è di oggi e non è legata alla villa che fu dei miei. Con il Wwf ho un vecchio rapporto, fatto di volontariato non retribuito.
Impegno "apprezzato, profuso in silenzio e senza padrini politici".Caruana junior non ci sta ad essere additato come "il figlio di boss impiegato presso il Wwf con celati intenti mafiosi" Per Leonardo Caruana, il lavoro in Wwf "è il naturale sbocco di una attività decennale". "Ognuno di noi - scrive il giovane Caruana - ha diritto all'identità, all'immagine, valori protetti dalla Costituzione Italiana che si intendono violati quando, sulla scorta di un garantismo manicheo, si indica un volontario "figlio di boss.".
"La legge naturale di Maritan che regola i rapporti di padre e figlio - si legge nella lettera - è diversa dal diritto positivo che regola il diritto al lavoro e la tutela della persona. Il sottoscritto non è mafioso, non è sottoposto a misure di prevenzione personale, ha una condotta di vita specchiata, non frequenta pregiudicati, è incensurato, rispetta la Legge, ripugna la mafia, ha scelto di vivere onestamente e quindi, consapevole delle difficoltà inerenti il cognome, si è costruito un percorso di vita modesto ma limpido e nonostante tutto è penalizzato con considerazioni fuori di luogo che ledono l'immagine e compromettono la legittima aspettativa di avere il rinnovo dell'incarico presso il Wwf.
Ragione per la quale - è la conclusione di Leonardo Caruana - se a causa delle polemiche montate sulla stampa, con sospetto tempismo e dal sapore politico, il sottoscritto non dovesse riavere il rinnovo sarebbe violato il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla Legge oltre il diritto di avere una vita dignitosa e una retribuzione adeguata". Come dire, fate tutti gli accertamenti che volete, ma se sono pulito, tacete per sempre.

finalmente si usa il corpo di uomo e non di una donna per una pubblicità

finalmente uno spot nel quale il corpo usato è quello di un uomo non quello della donna, come sempre accade.Obbiettivo raggiunto  ma perché ...