sempre a proposito di resistenza e di guerriglia contro culturale oltre alle storie del precedente post eccovene altre
Roma, San Lorenzo in mano ai boss del quartiere. La ristoratrice-coraggio: "Ci sentiamo soli, qualcuno ci tuteli"
di Romina Marceca repubblica 3\9\2021(franceschi)
Minacce, soprusi, violenze: i pub sotto il ricatto di gang stile Gomorra. E contro i boss del quartiere c'è stata una sola denuncia. L'ultimo raid: distrutto un locale, titolare in ospedale
Alle 23 in piazza dell'Immacolata a San Lorenzo sono seduti in un pub malandato. Ridono, chiacchierano con amici e parenti sotto la luce fioca dei lampioni e le telecamere di Occhi sulla città. Accanto il fedele pitbull color champagne. Sono loro i boss del quartiere con tanto di auto posteggiata in mezzo alla strada. Due fratellastri, una famiglia, e a capo di una gang composta da giovani che spacciano agli angoli delle strade marijuana, hashish, mettono a segno piccoli furti mentre loro collezionano insopportabili soprusi ai ristoratori. Sono legati all'estrema destra, frequentano il giro degli ultras, nel loro passato arresti e denunce, mettono in campo l'arroganza in stile Gomorra con coltelli alla mano. La loro base operativa, di giorno, è un ex centro sociale. Il quartiere sa, tace e subisce.
Ma c'è chi, nonostante un passato non del tutto limpido, ha deciso di dire "No". È Giulia, nome di fantasia, che racconta a Repubblica da dietro il bancone: "Qui siamo governati da criminali, non ce la facciamo più. Io, mio marito e mio cognato abbiamo iniziato a denunciarli da un anno. Arrivavano, consumavano al banco e poi andavano via. Utilizzavano il nostro bagno per spacciare. Siamo stati minacciati di morte più volte". Ma c'è di più. Contro il pub della coppia una settimana fa è stata scagliata una molotov. "Siamo esasperati. Il locale è stato incendiato perché ci siamo rifiutati di pagare un'estorsione", ricostruisce la ristoratrice, si asciuga il sudore perché quando parla di loro si innervosisce. "Per fortuna non c'era nessuno all'interno ma fuori è scoppiato il panico", ricorda.
La beffa è arrivata da lì a poco. Giulia alza gli occhi al cielo: "I carabinieri hanno arrestato chi ha messo a segno l'attentato incendiario e la mattina ce lo siamo ritrovati qui. Il giudice l'ha scarcerato. Lui ha sputato contro la nostra saracinesca e ha detto: "Ah 'nfame hai riaperto? Io ti faccio chiudere un'altra volta come ieri". Una persecuzione". Mentre il fratellastro intorno alle 2 della notte è passato davanti al locale urlando: "Invece di dare fuoco al locale, doveva dare fuoco a te". La denuncia, l'ennesima, è stata presentata il 29 agosto. In procura ci sono diversi fascicoli sui due fratellastri: droga, minacce e l'ultimo per tentata estorsione. Uno dei due ha anche un Daspo ma gira senza problemi nel quartiere. "Sono stata anche accusata - continua - di avere sposato un uomo immigrato. "Hai portato un nero qui", mi hanno detto". Con gli immigrati, che disprezzano, poi però i fratelli farebbero affari per rifornirli di droga.
L'ultimo atto di forza ieri: il locale del cognato è stato distrutto da altri due uomini della gang. Giulia lo racconta al telefono: "Mio cognato è in ospedale, il pub è devastato. Ci sentiamo soli, abbiamo paura. Qualcuno ci tuteli". Secondo Giulia altri ristoratori hanno presentato denuncia ma, tra gli intervistati, nessuno ammette a Repubblica di avere alzato la testa contro i due capoccia. "Sì, è vero - dice un altro titolare di pub - qui si spaccia ovunque. Dopo Desirée è ritornato tutto come e peggio di prima. Ci sono questi due fratelli guappi ma io non gli ho mai dato confidenza. Una volta mi sono arrivati dei coltelli contro il locale ma nulla di preoccupante". Una resa a una situazione inaccettabile.
Quella della coppia è una voce fuori dal coro. È anche vero che a San Lorenzo il bianco e il nero non sono colori ben definiti e scivolare nell'area grigia è facile. Non sarebbe un mistero il fatto che alcuni titolari di locali danno il lasciapassare allo spaccio dentro ai pub. "Quelli lì sono stati i primi a dare manforte ai fratelli sanlorenzini. Adesso sono passati dall'altra parte", è quanto pensa di Giulia e del marito un altro ristoratore.
All'una di venerdì notte gli affari di droga vanno avanti senza problemi nonostante il presidio delle forze dell'ordine ai lati di piazza dell'Immacolata e di largo degli Osci. I locali da 2 euro a shottino sono strapieni di minorenni e universitari di ritorno dalle vacanze. Acquistare un pezzo di "copertone" (hashish di scarsa qualità) è più facile che mettersi in fila per una birra. "Ma se vuole - si avvicina un uomo dei fratelli - abbiamo anche cocaina".
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La scuola di Alicudi è tra quei pochi istituti d'Italia che il covid non ha stravolto. Anche prima della pandemia, infatti, non aveva problemi di distanziamento: perché gli studenti sono tre, in tutto. E già si praticava la dad (spesso si facevano collegamenti video con le altre scuole delle isole Eolie).
In questo reportage inedito (girato nel gennaio del 2020) raccontiamo una delle scuole più sperdute d'Italia. Gli insegnanti devono affrontare viaggi di ore per raggiungere i loro alunni. O devono trasferirsi sull'isola, e affittare una casa. Con il risultato che lo stipendo se ne va quasi tutto per pagare le spese. E a volte gli alloggi non sono esattamente confortevoli, visto che si tratta di abitazioni soprattutto estive: una maestra racconta che la sua - ad esempio - non ha i vetri alle finestre. E se il mare è grosso, anche i prof che non si sono trasferiti sono costretti a rimenere sull'isola.
Per arrivare a scuola bisogna salire 356 scalini. E a volte, per portare i pesi, gli abitanti (non sono più di 60) usano ancora gli asini.
Sull'isola il virus non è mai arrivato, i residenti sono quasi tutti vaccinati, come quasi tutti gli insegnanti, guidati dalla storica preside Mirella Fanti. E tra qualche giorno si ricomincia, suona di nuovo la campanella
di Valeria Teodonio
regia di Sonny Anzellotti
immagini di Sonny Anzellotti e Valeria Lombardo
montaggio di Alberto Mascia
grafica Riccardo Pulvirenti
rebblica5\9\2021
Teddy, il pugile di Auschwitz che tentò di mettere KO i nazistidi Andrea Tarquini
rebblica5\9\2021
Teddy, il pugile di Auschwitz che tentò di mettere KO i nazistidi Andrea Tarquini
Tadeusz Pietrzykowski
In un libro e in un film appena usciti in Polonia la figlia di Tadeusz Pietrzykowski racconta come il padre complottò per assassinare il comandante del lager in cui era stato rinchiuso per motivi politici. Liberato dall'Armata Rossa, condusse una vita umile: il regime comunista non gli riconobbe i suoi atti di eroismo
Per sportivi e tifosi polacchi e di tutta Europa si chiamava Tadeusz Pietrzykowski, detto Teddy, era l´idolo del ring, campione polacco dei pesi gallo e giovane promessa del pugilato europeo. Per i nazisti fu il prigioniero numero 77, come gli fu tatuato sul braccio. Adesso un film appena uscito, "Il campione di Auschwitz", e una biografia di lui scritta postuma dalla figlia, Eleonora Szafran, dal titolo "Mistrz", il maestro, ricordano il suo eroismo, gli anni tragici nella fabbrica della morte della Shoah nazista tedesca nella Polonia occupata da Berlino e Mosca, poi la povertà nel dopoguerra, quando il regime comunista si guardò bene dall´onorare il suo eroismo. Ci sono voluti 76 anni perché la sua avventura straordinaria uscisse dal silenzio e riaffiorasse nel mondo della Memoria.
Tadeusz, detto Teddy dai fan della boxe polacchi e di tutta Europa, cattolico e patriota convinto, finí ad Auschwitz come prigioniero politico polacco arrestato dalla Gestapo mentre cercava di raggiungere l´Europa occidentale e unirsi all´Armata polacca, che poi in guerra sotto la guida del generale Wladyslaw Anders a fianco degli alleati combatté con piú uomini e armi che non la Francia gaullista.
Il sogno di Teddy di lottare per la libertà a fianco di quegli eroi fu infranto dall´orrida macchina repressiva del Terzo Reich. All´inizio fu percosso torturato maltrattato e costretto a lavorare come una bestia come tutti gli altri detenuti ebrei o polacchi. Poi il caso e il suo temerario coraggio gli fornirono la via di sopravvivere: un detenuto tedesco, che svolgeva il ruolo di Kapò, sapeva che Teddy era un pugile famoso e gli propose di organizzare un match.
Tutti i compagni d´internamento tentarono invano di dissuadere Tadeus: che tu vinca o perda ti assassineranno, conosci i nazisti, gli dissero. Lui decise di rischiare, e con un colpo ben assestato alla mascella mise KO Walter Düning sanguinante. Qui venne la svolta: il Kapò, preso da ammirazione sportiva verso l´avversario, anziché chiedere di giustiziarlo come i capi del campo avrebbero sperato, decise di aumentargli le razioni di cibo e medicinali, e di alleggerire di molto la quantità di duro lavoro richiestogli.
Tadeusz non tenne mai tutto per sé: divise cibo e medicine con i compagni di detenzione. E con abile segretezza, cercò il piú delle volte invano di contattare i combattenti dell'Armja Krajowa, l´esercito interno dello Stato clandestino polacco: voleva convincerli a organizzare un attentato per giustiziare il crudele comandante di Auschwitz, elaborò egli stesso un dettagliato piano operativo.
Invano. Non gli riuscí mai, tanta era la sorveglianza repressiva. Allora approfittando del fatto che grazie al Kapò messo KO riceveva anche carta matite e tempo per prendere nota, scrisse tremende e realistiche cronache sulla vita quotidiana nella città della morte nazista tedesca. E intanto fondò un circolo di boxe nel campo col permesso die Kapò per dare un po´di speranza di vita ai dannati della terra.
Liberato con gli altri internati dalle divisioni scelte dell´Armata rossa in avanzata, tentò di ricominciare con la carriera di pugile, ma gli anni di detenzione lo avevano reso troppo debole e malato. Si guadagnò la vita onestamente e con paga frugale da insegnante di educazione fisica. Mai il regime comunista gli conferì premi, mai narrò le sue gesta: era un aspirante resistente obbediente al governo in esilio a Londra, i suoi eroi furono sempre Anders e l´Armia Krajowa, cui da detenuto passò informazioni, non i partigiani comunisti né tantomeno il regime comunista poi instaurato dai nuovi occupanti sovietici che combatté per tre anni di guerra civile l´Armia Krajowa e assassinò con la falsa accusa di tradimento moltissimi ex partigiani, oltre a colmare prigioni e campi di prigionieri politici maltrattati e torturati almeno fino alla svolta di Gomulka nel 1956, sulla scia della destalinizzazione.
Oggi Teddy torna un eroe. E il ricordo di lui è anche un monito per il giorno d´oggi, dice alla Afp l´attore Piotr Glowacki che lo impersona nel film: "Come chi protesta oggi, egli combatté contro la discriminazione di chiunque, per ragioni etniche sessuali politiche o qualunque altra“. Un eroe, insomma, ma secondo questa chiave di lettura un eroe scomodo per i sovranisti omofobi.
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