15.9.21

Esclusa dal concorso perché part-time, la Cassazione le dà ragione: "E' discriminazione di genere risposta ai miei detrattori del post in italia stiamo regredendo fra sessimo , razzismo , talebani nostrani parte 1 e parte 2

Esclusa dal concorso perché part-time, la Cassazione le dà ragione: "E' discriminazione di genere

Attribuire un punteggio più basso per l'avanzamento di carriera a chi ha un contratto di lavoro part-time diventa una discriminazione di genere, dal momento che sono soprattutto donne ad avere un orario ridotto. È questa la conclusione a cui sono arrivati i giudici della Cassazione partendo dal ricorso di una dipendente dell'Agenzia delle Entrate del Piemonte, assistita dagli avvocati Alberto Biscaro e Roberto Marraffa - che aveva fatto causa davanti al tribunale di Torino dopo essere stata scartata nel bando di concorso a cui aveva partecipato per passare di livello.



"Questa è stata una causa pilota che è andata avanti per dieci anni ma ce ne sono molte altre che ora ci auguriamo che seguano questo iter, ora che la Suprema Corte ha dato precise indicazioni giurisprudenziali è il commento dell'avvocato Biscaro - E soprattutto apre una strada a tutte quelle donne che, soprattutto negli enti pubblici, hanno scelto un orario ridotto ma sono state mortificate nelle loro carriere".La donna, inquadrata come funzionario di terza area F1, aveva partecipato al bando del 30 dicembre 2010 per la progressione economica alla posizione F2 ma la sua selezione non era andata a buon fine perché era stata penalizzata nel criterio di "esperienza di servizio maturata" che per i lavoratori part-time veniva calcolata in proporzione all'effettivo tempo lavorato e non all'anzianità raggiunta.Nella sentenza della Corte d'appello piemontese (in dissenso con quanto era stato stabilito dal tribunale di Torino) non si era evidenziata in questo criterio una discriminazione di genere, dal momento che il calcolo dell'esperienza di servizio si applicava a tutti i dipendenti in part-time, indipendentemente dal fatto che fossero uomini o donne. Ma secondo la dipendente "nonostante la neutralità del criterio adottato, l'istituto del part-time è collegato in misura preponderante al genere femminile, che se ne avvale quale modalità più compatibile con le necessità familiari"."Pertanto - prosegue il ricorso - la scelta di ridurre il punteggio per il lavoro part-time incideva astrattamente su entrambi i sessi ma realizzava una discriminazione indiretta di genere". Inoltre la selezione era fatta sulla base dei titoli di studio e dell'esperienza di servizio, ma "il punteggio per i titoli era attribuito una volta sola - si denunciava ancora - mentre quello per l'esperienza aumentava in ragione di ciascun anno di servizio, sicché la sua riduzione per il part-time non poteva essere compensata dai titoli posseduti".La Cassazione ha confermato che nel giudizio sulla causa "non andava compiuta una verifica riguardo al trattamento, ma all'effetto discriminatorio", che è proprio quello che la legislazione intende con "discriminazione indiretta" ovvero l'effetto negativo su un determinato sesso rispetto all'altro determinato da un atto o una prassi apparentemente neutri.Secondo la Cassazione, che ha accolto il ricorso della donna e rinviato la causa alla Corte d'appello di Torino, "l'obiettivo di apprezzare in maniera puntuale l'esperienza di servizio è di per sé legittimo - si legge nella sentenza - ma il giudice di merito dovrà valutare se nel contesto delle mansioni della ricorrente esista o meno un nesso tra l'esperienza acquisita con l'esercizio della funzione e il numero delle ore di lavoro svolte".

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