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21.7.24

«Ho iniziato a rapinare banche a 18 anni, oggi sono un soccorritore. Il carcere non funziona, ma può offrire delle possibilità»la storia di francesco ghelardini



 Una vita passata a svaligiare banche, poi l'improvviso cambio di rotta dopo essere tornato in carcere e la nuova vita da soccorritore. Questa è la storia di Francesco Ghelardini, 58enne di Milano cresciuto nel quartiere Comasina che ha parlato di com'è la malavita dall'interno, di carcere e di opportunità.«Da anni sono assunto a tempo indeterminato come responsabile e soccorritore alla “Intersos” di Abbiategrasso. La mia nuova vita è questa, con la divisa. Mi è stata data una possibilità, non smetterò mai di ringraziare i responsabili della società», ha detto al Corriere della Sera.«Da anni sono assunto a tempo indeterminato come responsabile e soccorritore alla “Intersos” di Abbiategrasso. La mia nuova vita è questa, con la divisa. Mi è stata data una possibilità, non smetterò mai di ringraziare i responsabili della società», ha detto al Corriere della Sera.
Le rapine in banca
Ghelardini è stato raggiunto dal "giro" in modo molto semplice, quasi "naturale": «Mio fratello più grande era già nel giro. Ho sempre frequentato ragazzi più grandi. Un giorno ero al bar e mi fanno: “Vuoi venire a fare una rapina?”. Non ci ho neanche pensato». Da quel momento ha iniziato sempre più spesso a svaligiare banche, un'abitudine che a lungo andare era diventata quasi come una droga e che l'uomo ha raccontato dettagliatamente: «Un esterno pensa che tutto duri pochi minuti, ma c’è la preparazione, lo studio dell’obiettivo, la preparazione psicologica. È come essere sul rasoio tutto il giorno. E anche il dopo rapina diventa emotivamente forte».Un'attività che quindi si fa tutt'altro che a cuor leggero, che implica un coinvolgimento emotivo e che porta Francesco a sostenere che i rapinatori abbiano quel qualcosa in più rispetto, ad esempio, agli spacciatori, perché «per entrare in una banca ci vuole coraggio. Non sai quello che ti capiterà, puoi essere preso, possono spararti».Poi però, «ti piace da matti», e infatti, come spiega, l'obiettivo vero delle rapine diventano le rapine stesse, non più il denaro: «Nel ’92 mi sono “ballato” via 500 milioni di vecchie lire in otto mesi. Non riesci ad attribuire un vero valore al denaro che rubi. Ne conosco pochi che sono riusciti ad arricchirsi veramente».


L'ultimo arresto
Nel 2013 è stato arrestato per l'ultima volta, un momento cruciale che lo ha fatto fermare a riflettere, l'idea di tornare in carcere lo ha scosso e gli ha aperto tutto ad un tratto la strada per una vita diversa. Sebbene il carcere non funzioni, a parte rarissime eccezioni, come conferma lo stesso Ghelardini, non è escluso che possa offire delle «possibilità».Psicologi, educatori, sacerdoti e l'ex direttore di San Vittore Luigi Pagano sono tutte persone che Francesco ringrazia e ricorda con affetto perché gli hanno permesso di dare un seguito alle sue intenzioni, di ragionare concretamente a una vita oltre il carcere.Adesso salva vite insieme alla "Intersos" e ha scritto anche due libri in cui ha concentrato tutta la sua esperienza, e in occasione della presentazione ufficiale di uno di questi ha vissuto un momento molto toccante, l'abbraccio con un carabiniere che l'ha arrestato: «Ho grande rispetto degli investigatori. Sai che loro ti danno la caccia, diventa quasi una sfida, giocata sull’astuzia. E vale per entrambi».

24.9.23

La sfida di restare di mario caabresi

canzone  consigliata 
Paese mio che stai sulla collina...

Si racconta spesso di chi lascia la città per fuggire nella natura. Ma la storia più comune (e meno romantica ) è quella dei piccoli borghi da cui i giovani vanno via. Un fenomeno di spopolamento che continua da un secolo e sembra inesorabile. Ma in alcuni borghi ad esempio a Calascio, in Abruzzo, è nato un progetto per dare un futuro ai ragazzi, per non farli partire. E così sono ricominciati anche a nascere i bambini.

    DA   https://mariocalabresi.com/



Un secolo fa a Santo Stefano di Sessanio vivevano novecento persone, poi è cominciata l’emigrazione verso Belgio e Francia e oggi ci abitano in settanta. A Calascio erano quasi duemila, trent’anni fa resistevano in duecentocinquanta, ora sono rimasti in ottanta. Da qui sono partiti verso Stati Uniti e Canada. Siamo in Abruzzo, a 1.200 metri sul livello del mare, sotto l’altopiano di Campo Imperatore, nel cuore del massiccio del Gran Sasso. Lo spopolamento maggiore è cominciato negli anni Cinquanta e non si è mai fermato. Per secoli gli abitanti di questi luoghi sono stati pastori, vendevano la lana e facevano il formaggio, e agricoltori, lenticchie soprattutto. Poi il loro mondo è finito e se ne sono andati. I paesi sono diventati dei fantasmi silenziosi. In questi anni abbiamo letto e ascoltato storie di persone coraggiose – coppie giovani, qualche straniero, adulti stanchi di un’esistenza dai ritmi insostenibili – che hanno lasciato le città dove sono nati, per andare a vivere in montagna. Storie nobili, ma non fenomeni diffusi, non una risposta alla domanda vera: perché non esiste la possibilità di restare?
Uno scorcio del paesaggio rurale tra Santo Stefano di Sessanio e Calascio (AQ)

Pensavo che non ci fosse una risposta a questa domanda, ma mentre camminavo in quello che il grande antropologo e esploratore Fosco Maraini aveva ribattezzato “Il piccolo Tibet”, sono inciampato in qualcosa che somiglia a una ricetta, che contiene gli ingredienti per un tentativo di soluzione.
Partiamo dall’inizio, quest’estate volevo fare un viaggio di scoperta, in cui camminare nella natura e conoscere posti nuovi, sognavo l’Islanda, poi ho pensato che, a essere onesti, c’era ancora un pezzo d’Italia che non conoscevo bene: le aree interne, quella dorsale appenninica che dall’Abruzzo arriva in Calabria, passando per il Molise e la Basilicata.
Un’ “Italia vuota” per usare il titolo di un bel libro scritto da Filippo Tantillo.
Così mi sono comprato una cartina e sono partito. È stata un’esperienza meravigliosa, ho negli occhi panorami e luoghi che non immaginavo e mi sono portato a casa incontri indimenticabili. Impensabile fare l’elenco, ho fatto 18 tappe e percorso 1.600 chilometri, vi suggerisco solo l’Abbazia di Bominaco, con un ciclo di affreschi del tredicesimo secolo; la città romana di Sepino; le piccole Dolomiti lucane a Castelmezzano; i calanchi di Aliano – il paese della Basilicata in cui venne mandato al confino dal Fascismo il pittore Carlo Levi, che ci ambientò il suo romanzo: Cristo si è fermato a Eboli – un paesaggio a metà tra la Cappadocia e le rocce dell’Arizona, dove ho partecipato a un festival immaginifico organizzato dal poeta Franco Arminio.
Gli affreschi dell’Abbazia di Bominaco
Il parco archeologico di SepinoIl Comune di Castelmezzano, in provincia di Potenza
Uno scatto dal festival “La Luna e i Calanchi” di Aliano, giunto quest’anno alla tredicesima edizione. La direzione artistica del festival è del poeta Franco Arminio

In Abruzzo, la regione che mi ha stupito di più per l’estensione dei boschi e dei paesaggi, ho fatto alcuni cammini con Lorenzo Baldi, una guida di Roma che vive a Calascio da quasi trent’anni. Mentre salivamo in una lunga vallata per raggiungere Rocca Calascio (in due ore non abbiamo incontrato nessuno tranne due caprioli maschi che combattevano per il controllo del territorio) mi sono fatto raccontare la storia di quella terra. Ho provato a immaginare quale potesse essere il panorama nel Cinquecento, quando in quest’area c’erano centomila pecore, e per controllare nemici e pericoli alla torre centrale quadrata di epoca normanna ne vennero aggiunte altre quattro e una cinta muraria.

Rocca Calascio, dove ambientarono parte del film Ladyhawke con Michelle Pfeiffer e Rutger Hauer, aveva visto andare via il suo ultimo abitante nel 1956 e non aveva più avuto una luce accesa finché un romano non decise di ristrutturare un rudere per le vacanze, che nel 1992 diventò il luogo dove restare e mettere su famiglia. «Quel pazzo romano – mi ha raccontato Lorenzo – si chiama Paolo ed è mio fratello. Ha fatto la scommessa di poter vivere di turismo. Ha sistemato un altro rudere e lo ha trasformato in un rifugio con una camerata con i letti a castello, poi da una vecchia casa ha tirato fuori tre camere e così, piano piano, è nato un piccolo albergo diffuso. Oggi Rocca Calascio ha sette abitanti: mio fratello, sua moglie e i loro cinque figli».



La rocca di Calascio e uno scorcio dal paesaggio che si può osservare dal suo interno

Lorenzo è arrivato nel ‘94, dopo aver fatto l’alpino a L’Aquila e aver preso il brevetto come pilota di aerei, ma senza riuscire ad essere assunto dall’Alitalia. Così ha iniziato a lavorare in montagna, facendo un progetto di ripristino e manutenzione delle antiche mulattiere (quelle che mi ha fatto percorrere). Con il tempo ha gestito un piccolo rifugio a Campo Imperatore, sulle piste dello sci di fondo, e poi ha cominciato ad accompagnare i turisti in montagna e nei boschi. «In questi anni mi ha salvato l’inglese, sono stati gli stranieri i primi a capire questi territori, e la cosa più bella che faccio è la salita in cima al Corno Grande nelle notti di luna piena per vedere l’Adriatico all’alba». Anche lui si è sposato e vive con due figli nel paese di Calascio (poco a valle della Rocca).
Il più grande cruccio di Paolo e Lorenzo era quello di dare un futuro a quei figli nati in un posto dove non nasceva più nessuno, di non vederli obbligati ad andarsene come accade da un secolo. Così nel 2020 hanno fatto nascere una Cooperativa di comunità (un modello di innovazione sociale che nasce per creare lavoro nei piccoli borghi e frenare lo spopolamento) che si chiama “Vivi Calascio”.I ragazzi della cooperativa “Vivi Calascio”, fondata da Paolo e Lorenzo Baldi nel 2020

È nata nel momento in cui c’è stato un aumento del turismo e sono cresciute le necessità dell’accoglienza. «In questa cooperativa adesso ci lavorano 14 persone dai 16 ai 30 anni per sei mesi all’anno. Alla metà di loro riusciamo a garantire il contratto tutto l’anno. Fanno accoglienza turistica, gestione dei bus navetta, biglietteria, servizio informazioni, gestiscono il parcheggio delle auto, la torre di Rocca Calascio e il negozio di souvenir. Abbiamo reinvestito i primi utili comprando 20 biciclette elettriche e formando i ragazzi come guide cicloturistiche».
Il problema però è l’inverno, allora la cooperativa ha cominciato a lavorare anche nella cura del verde pubblico, nelle manutenzioni comunali e dei sentieri e nella pulizia dalla neve: «Per tenere le persone a vivere qui bisogna dargli uno stipendio tutti i mesi: questa la nostra sfida e ce la faremo». Una delle ragazze della cooperativa si è sposata e ha due bambini piccoli: la prima nuova famiglia nata qui.Il Battistero di Santa Maria della Pietà visto dalla Rocca di Calascio

Ma ora, grazie anche ai fondi del PNRR, a Calascio pensano ancora più in grande: vogliono aprire un ostello, un campeggio, un rifugio in montagna e una scuola di pastorizia. Oggi ogni turista che si ferma qui vorrebbe provare il pecorino locale e nella testa di questi due fratelli e di queste ragazze e ragazzi c’è la speranza che questi immensi prati tornino anche ad essere dei pascoli (per la gioia dei lupi…).


28.3.23

La coop opera a Porto Ferro ( sassari ) nel reinserimento di soggetti svantaggiati . Lavoro, surf e volontariato a Piccoli Passi il ritorno alla vita


La coop opera a Porto Ferro nel reinserimento di soggetti svantaggiati Una seconda possibilità per ex carcerati, pazienti psichici e minori a rischio Tutto può accadere, a “Piccoli passi”. Porto Ferro è un posto meravigliosamente “sperduto”, più per la narrazione e l’essenza che per l’impossibilità a raggiungerlo. Dista 35 chilometri da Sassari e 28 da Alghero ma è in territorio sassarese: ci si arriva percorrendo la strada statale 291 della Nurra. A Porto Ferro si fa surf, c’è la natura selvaggia, ci si fanno le escursioni a piedi e a cavallo, c’è il Baretto che nel 2023 compie 20 anni di attività e ci sono


festival culturali e musicali che sono ormai appuntamenti radicati della primavera, estate e autunno della baia. Ma a Porto Ferro, proprio con la “complicità” di Baretto, Bonga surf School e Vosma e sotto la regia della cooperativa sociale “Piccoli Passi”, è il sociale ad essere lavorato ad arte e declinato in inclusione, integrazione, valorizzazione e recupero. Se ne parla poco, ma è una realtà tangibile. Operativa e foriera di grandi soddisfazioni che sotto la traccia del tramonto e delle note che spesso lo accompagnano, passa in secondo piano Accoglienza a Piccoli passi «Nasce tutto lì, dietro il Baretto, oltre le dune. Nasce e diventa realtà importante a livello nazionale e unica in Sardegna rispetto a una particolare tipologia di accoglienza, di servizi e di inserimenti: la cooperativa ha lavorato con i minori, spesso alle prese con situazioni difficili e problemi psichici e psichiatrici, ha lavorato con i disabili, con carcerati ed ex carcerati, umanità varia passata al setaccio dell’integrazione appunto favorendo un vero e concreto intreccio di storie e culture diverse». Si appassiona e parla con il sorriso sul volto Danilo Cappai della cooperativa “Piccoli passi”. Nel campeggio di Porto Ferro, modalità colonia estiva, arrivava l’adolescente del centro Sardegna che all’alba si alzava per andare in campagna e poi andava a scuola con il pari età di Torino che prendeva il tram ma poi andava in ferie al parco del Valentino a spendere la paghetta: «Vite diverse, trasportate in una dimensione in cui una maglietta e un costume da bagno azzeravano già in partenza tutte le disparità e le differenze di classe – spiega –. Il ragazzo mandato sull’isola dai servizi sociali di Cinisello Balsamo o dal comune del Nord Est della Sardegna insieme al figlio del notaio che vive in America e gli regala una vacanza esotica chiamando in agenzia. Ma la vacanza, qui, era uguale per tutti. E alla fine, erano abbracci e lacrime, per tutti noi operatori compresi». Questa visione è la stessa che ha animato ogni singola azione della cooperativa e del Baretto: «Questa piccola società si è rivelata modello adattabile al surf camp e alla gestione del Baretto: anche lì, fronte mare e sotto la tettoia della nostra struttura, ragazze e ragazzi, uomini e donne di ogni età ed estrazione sociale si incontrano in costume da bagno per vivere le loro giornate. Non sai chi hai di fianco, ma le differenze non sussistono». Una realtà aperta, che dopo anni dedicati ai minori, oggi collabora con il carcere di Alghero. Risultato? Tre inserimenti importanti trasformati in contratti a tempo indeterminato a ridare vita e prospettiva a chi aveva rischiato di perderla. E di perdersi. Dal
carcere al lavoro «Uno alla volta ci sono stati affidati e hanno iniziato a lavorare. Per qualcuno è arrivato un contratto a tempo indeterminato. Uno dei nostri si è comprato casa e vive oggi per conto suo. Stessi obiettivi di sempre: non è più semplice o più complicato, devi integrare e includere secondo equilibri esistenti e delicatissimi a prescindere». Oltre a chi ha avuto a che fare con il carcere e ora si ritrova a vedere una seconda possibilità proprio fronte mare, da diversi anni a Porto Ferro sono in corso inserimenti di persone con problemi psichici, ovviamente sotto controllo delle apposite strutture: «Sono 4/5, fanno un percorso estivo, lavorano al bancone, ai tavoli della griglieria, in cucina o nella squadra manutenzioni». Un enorme passo avanti quello compiuto da chi 20 anni fa arrivava su quella
meravigliosa spiaggia selvaggia e sperduta per cominciare a costruire quel che oggi è piccolo grande merito e vanto oltre l’aspetto ludico e vacanziero. «Porto Ferro era abbandonato da tutti, istituzioni comprese. Era meta di campeggio abusivo che spesso lasciava tracce indelebili del suo passaggio sul territorio. Noi, insieme ai surfisti, la Bonga School, Vosma abbiamo accettato la sfida in un luogo per nulla semplice e si è creato un equilibrio naturale – continua Danilo Cappai –. Diverse realtà. Sguardi diversi sulla realtà. Persone spesso agli antipodi che convivono fra loro in armonia perfetta. Quando anche le istituzioni si sono accorte di noi, Porto Ferro era già stato scoperto e riscoperto da chi aveva percepito quell’equilibrio umano, quella sorta di magia che lo rende un posto speciale. Si sente che c’è. Il magistrato e l’ex galeotto, il dj e la modella, lo studente e il medico nella baia sono tutti, realmente uguali. Non è facciata. È realtà, la nostra realtà».

3.1.23

Sovrappeso e depressione superati grazie a Nube Il legame speciale con il cane dei carabinieri di Romana

   da  la  nuova    Sardegna 

Ha 30 anni, è depresso e pesa più di 200 chili. Una vita di difficoltà che spesso lo portano ad avere contatti con i carabinieri. E proprio uno di loro è la sua salvezza: il comandante di Romana si accorge del feeling tra il ragazzo e il cane della caserma e decide di affidarglielo a patto che ogni giorno lo porti a fare una passeggiata. Il giovane finora ha perso 80 chili. Il giovane era arrivato a pesare più di 200 chili Poi la sfida che ha vinto e che gli ha cambiato la vita






Romana Ogni mattina “Nube” lo aspetta, infila il suo muso bianco tra le grate metalliche della recinzione della caserma dei carabinieri e quando lo vede arrivare inizia a scodinzolare e a guaire. È il momento della passeggiata, dello svago, della libertà. E non solo per questa dolcissima cagna adottata durante il primo lockdown dal comandante della stazione di Romana ma, soprattutto, per un giovane trentenne che grazie a Nube ha ripreso in mano la propria vita, tormentata da una serie di vicissitudini, e ha dato una svolta decisiva alla sua esistenza afflitta dalla depressione. È una storia di coraggio, determinazione, voglia di rinascita quella che ogni giorno si presenta davanti agli occhi degli abitanti di questo piccolo paese del Meilogu. I protagonisti ricordano un po’ – se non altro per l’intensità del legame che li unisce – Belle e Sebastien, il bambino e il cane pastore dell’omonima serie televisiva (ma anche cartone animato) tratta dal romanzo di Cécile Aubry. A Romana succede che un giovane, a causa di alcune problematiche familiari e personali, inizia a stare male. A vivere un disagio che, inconsciamente, combatte assumendo cibo senza controllo. Tanto da arrivare a superare i 200 chili di peso e a non riuscire quasi più a muoversi. In questo momento non facile della sua vita capita che i carabinieri del paese più volte debbano andare a casa del trentenne e spesso accade anche che lui venga convocato in caserma. Ed è allora che scatta l’incontro magico. Tra il ragazzo e la cagna Nube – quasi come se avessero dialogato telepaticamente – nasce un legame che ha da subito qualcosa di straordinario. Il giovane racconta ai militari di aver sempre desiderato un cane ma non di non esser mai riuscito ad averne uno per via dei suoi problemi di salute e altre difficoltà. Al comandante della stazione, il luogotenente Marco Catani, non sfuggono quelle parole e – così come raccontato da alcuni abitanti del paese rimasti colpiti dal buon cuore del carabiniere – fa una proposta al trentenne che ben presto si rivelerà anche la sua più grande opportunità di riscatto . Il comandante gli prospetta cioè l’affidamento di Nube per alcune ore o per tutta la giornata. E comunque ogni volta che gli avesse fatto piacere stare con lei. Facile immaginare lo sguardo del giovane, diventato improvvisamente
e luminoso. Il luogotenente pone però alcune condizioni imprescindibili: le passeggiate devono essere costanti, la cagna deve avere la museruola, il giovane deve raccogliere le feci e deve dimostrare quotidianamente l’attività svolta e finalizzata alla riduzione del peso. Il ragazzo, manco a dirlo, accetta e per documentare la propria buona volontà si arma di contapassi digitale e ogni giorno, a fine camminata, i dati registrati sono oggetto di controllo da parte del “superiore”. Il risultato di questo patto ha dell’incredibile: il trentenne ad oggi ha infatti già perso 80 chili, il suo stato di salute è notevolmente migliorato, a tal punto che i farmaci che era costretto ad assumere a causa delle complicazioni dovute al peso, sono stati no stati ridotti. Gli abitanti di Romana hanno fatto il resto, con continui incoraggiamenti e complimenti per la forza e la determinazione dimostrate dal ragazzo. «Una storia – hanno detto alcuni di loro – che ci auguriamo possa incoraggiare tutte quelle persone che, per una serie di motivi, si lasciano andare. Un invito a cercare in loro stessi una ragione per risollevarsi e riprendere in mano la propria vita, per il rispetto di se stessi e delle persone che li amano». Immancabile il grazie ai carabinieri: «Perché giornalmente, anche nei posti più lontani, vegliano su di noi e, come in questo caso, sono in grado di dare una carezza, una parola di conforto o semplicemente di ascoltare un disagio».

2.6.14

fa rivivere gli antichi giochi di strada per liberare i ragazzi delle dipendenze della playstation e perchè non crescano solo cellulari dipendenti


vi potrebbero essere  utili   queste due  libri  




Abò  -giochi di strada  in un villaggio della  Gallura   Quintinio Mossa ( editrice  Taphiros luglio2004 )
















Bruno Vargiu, Via Mannu e dintorni   rievocazione di ricordi che l’autore fa della via dove è nato e ha vissuto in adolescenza. Attraverso la descrizione di una copiosa galleria di personaggi, aneddoti e giochi di carrèra, emerge uno spaccato, non solo di via Mannu, ma della Tempio degli anni dell’ultimo dopo guerra.











e questo mio precedente  post   su uno dei giochi  più usati


il 28\5\2014 L'associazione  culturale  (  di   cui sono fiero  di far parte  )  la sardegna  vista   da  vicino   per  cercare  materiale  per  


la  nuova  sardegna  de l20\4\2014

La terza edizione di Primavera in Gallura, la manifestazione etnica, ideata ed organizzata dall’associazione culturale di Aggius,“ Stazzi e Cussogghjj”, verrà presentata ufficialmente martedì mattina, alle 11,30, a Tempio nel palazzo dell’ex provincia Olbia-Tempio, in Piazza Brigata Sassari,
una  passata  edizione 
nei pressi dell’antica chiesa di Sant’Antonio. Saranno presenti, l’assessore al Turismo della Regione Sardegna, Francesco Morandi i rappresentanti delle amministrazioni locali coinvolte nella manifestazione e ovviamente gli organizzatori dell’Associazione Stazzi e Cussogghij, cui va dato merito di perseguire con grande caparbietà gli scopi promozionali del territorio gallurese che stanno alla base della sua attività. L’evento, partendo da sabato e domenica prossimi, da Oschiri, interesserà, settimanalmente, sino alla fine di giugno, undici comuni, le rispettive Proloco, lì dove esistono ed altre associazioni culturali. Nell’ordine, dopo Oschiri, settimana dopo settimana, saranno in vetrina i comuni di Berchidda (11 maggio, Aglientu (24/25 maggio), La Maddalena (31 maggio), Santa Teresa di Gallura e Trinità D’Agultu (1° giugno), Aggius(7/8 giugno), Luogosanto (14/15 giugno), Palau(14 giugno), Tempio( 21/22 giugno) e infine Olbia (28/29 giugno).La manifestazione darà ad ogni comunità l’occasione di far rivivere, per un giorno, gli antichi mestieri, le usanze e le tradizioni legate soprattutto al sistema agropastorale, e far gustare i sapori di cibi, rimasti solo nella mente dei più anziani e difficilmente reperibili sul mercato. L’iniziativa, che verrà presentata martedì, ha il patrocinio e la collaborazione della Regione, della Camera di Commercio di Sassari, della Fondazione Banco di Sardegna, dei Comuni e delle Proloco. (a.m.)
 ha  tenuto  grazie  anche  ai nipoti e  figli degli iscritti  , ma anche    ai figli dei loro amici\che  che si sono offerti volontari  , una  giornata  di riscoperta  d'antichi  giochi  .


N.b
non riporto tutte  le  mie foto  mie perchè   : 1)   non ho ottenuto    il permesso dei genitori  di riportare  le  foto dei loro  figli ., 2)  i soggetti sono troppo  vicini e  per la legge italiana , le  foto dei minori in primo piano  non posso essere  pubblicate
Quindi  le  foto  che   ivi riporto sono  o dell'iscritta  Natalina Casu o  prese  dalla  rete oppure  alcune mie  dove   non sono ritratti i protagonisti in primo piano  .


I  principali   vista  l'improvvisazione  sono stati  :
le  gubbine \biglie  
lu carruleddu 
pampana 
corda
 i  giochi con le  figurine 
la  carniola \  il cerchio  

ecco  le  foto   d'alcuni d'essi 


  •   le  gubbine  \  le  biglie  
Con la  "  variante  "  \  modalità  a  Pola   .  Si  scava  una buca  premendo e  roteando  con forza il tacco   sul terreno in modo  da  creare una buca  . IL Pola  appunto . verso cui   ad una  distanza  concordata  i giocatori  lanciano  le proprie biglie . ( da  Abò  -giochi di strada  in un villaggio della  Gallura   Quintinio
Mossa editrice  Taphiros luglio2004 - vedi sopra  la copertina   ) . Ogni giocatore ha a disposizione un numero definito di biglie. Il totale viene distribuito nelle buche, in quantità calcolate e memorizzate. A turno, ciascuno tira verso le buche una biglia, stando sulla linea di partenza che viene tracciata a una certa distanza dalle buche. Se il giocatore riesce a far entrare la biglia in buca, prende le biglie che stanno in essa, e riprende la sua. Se ciò non accade si perde la biglia che verrà posta nella buca in cui si è fermata più vicina. Vince chi accumula un numero maggiore di biglie.  (  da http://www.regoledelgioco.com/giochi-di-abilita/biglie/  )



  di   natalina  casu 

  •  pampana \  campana  


.

da http://www.regoledelgioco.com/category/giochi-di-abilita/page/2/
  • Lu  carruleddu  
rinvio  al mio post  di  cui trovate  sopra  l'url 

  • la  carniola  \  cerchio 
che può essere  o di  copertone  o una vecchia  ruota   oppure  in legno e  lo si  può  far  muovere  o  le mani  o  con un bastoncino  o  un  ferro  

di natalinma  casu 

                                                     di natalina  casu 

ma  qui  è stato  anche usato  a  mo'  di Hula hoop  come  alcune foto  scattate  da me 



E' stata una  bellissima  giornata  , una  dimostrazione  che  si  può anche  divertirsi e  giocare   senza   giochi elettronici  .  E  pensare  che all'inizio  , si ha  avuto  un po'  di  difficoltà visto  che le  nuove  generazioni sono ormai  disabituati  a  giocare  con qualcosa  di diverso  che  sia  : il pallone  , la bicicletta , e  la  play station infatti




Ma  poi  .......    ( vedere righe  precedenti  )   si  sono scatenati   ed alcuni non volevano  andarsene    , i genitori   gli hanno  portati via  quasi a forza  . Ci hanno  addirittura ringrazio  per  averli  fatto scoprire  giochi     che  neppure  conoscevano  o  ignoravano  come nel caso  del  carroleddu  o del  cerchio  l'esistenza   se  non nelle  foto dei nonni\e.
 Sono  ritornato bambino anch'io  , nel  vedere   giocare questi bambini\ e  . i  è venuta  un po' di  nostalgia   della mia infanzia  (  generazione di mezzo cioè   fine anni  70  prima anni 80 )  fatta  di questi    giochi   ma anche  di imitazioni  di eroi  del  kolossal cinematografici    e  serie  tv  degli anni  70\90  o   miti  sportivi  . Un epoca in  cui i  video  e  sale  giochi   stavano iniziando a prendere piede



5.3.14

Tra le curve delle opportunità di Giampaolo Cassitta



in sottofondo



dal mio compagno di viaggio facebookiani e non Giampaolo Cassitta



Le parole e i concetti hanno un suono. Raccontano quello che le immagini non riescono a codificare. Eppure, a volte, diventa difficile riuscire a scardinare ciò che le parole hanno costruito. Perché la gente ormai si è appropriata di quel termine, di quel modo di dire e lo fa diventare “luogo comune” e, in alcuni casi, diventa “verità rivelata”. E’ il caso del decreto “svuotacarceri” locuzione di questi giorni che è stata “affibbiata” ad un decreto poco amato da Lega e Cinque stelle e poco sostenuto dagli altri partiti. Intanto, quel decreto, divenuto Legge (Legge n.10 del 2014) non svuota, nella maniera più assoluta, le carceri. Non è un indulto,
un’amnistia, un regalo. E’ piuttosto qualcosa che parte da lontano e prova, seppure goffamente, ad “aggiustare” alcuni passaggi legislativi non proprio felici. E’ una legge “aperta” ad una nuova serie di soluzioni e prova a scrollarsi di dosso l’idea che tutto, in questo paese debba necessariamente “carcerizzato”, che tutti i reati devono passare obbligatoriamente per la fermata di un penitenziario. Prova a sveltire l’espulsione dei detenuti stranieri verso i loro paese di origine, prova a concedere, per un tempo di sei anni, una maggiorazione di liberazione anticipata a detenuti meritevoli del beneficio escludendo, tassativamente, detenuti di alta sicurezza, appartenente alla malavita organizzata, stupratori e pedofili. Per quelli non esiste nessuna possibilità di libertà. Quindi, il carcere, per chi ha commesso gravi reati non si svuota. Il decreto Legge 146/2013 prova invece, seppure con una certa timidezza, a dare la parola al detenuto con il diritto di reclamo giursdizionale, amplia la possibilità di ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale a quattro anni, restituendo nuove opportunità a chi, per esempio, ha già un lavoro oppure è all’interno di un progetto di inclusione sociale. Scommette sull’abbattimento della recidiva. E’ un discorso difficile e contorto. Un percorso complesso molto simile a quello sulla formazione: occorre scommettere sul futuro. Chi non passa per il “penitenziario” ha meno possibilità di rientrare all’interno del circuito delinquenziale. Vi sono studi che lo dimostrano e vi sono paesi, in Europa, che ci scommettono da anni. In Inghilterra, per esempio, la “messa alla prova” è una misura alternativa tra le più usate e apprezzate. Chi commette un reato non grave non entra in carcere ma, con una sorta di patto bilaterale tra Stato e reo, prova a dimostrare che si può scommettere sulla sua voglia di riscatto. In Italia questa proposta di legge giace dall’ultima legislatura nella commissione Giustizia alla Camera e il tragitto culturale, purtroppo, sembra essere piuttosto tortuoso. E’ difficile scommettere sulle persone, ed è difficile farlo con chi ha molte curve nel suo tragitto di vita. Il decreto approvato introduce, inoltre, la possibilità di poter trascorrere presso la propria abitazione la condanna, utilizzando il famoso “braccialetto”, dispositivo per il quale il nostro paese paga un affitto alla telecom da molti anni. Questa espiazione della pena appare in linea con le direttive europee e restituisce dignità a persone che, magari, per la prima volta si trovano a dover affrontare il percorso disagevole del penitenziario. Manca in questo decreto il coraggio vero, innovativo, di provare ad attuare la “riparazione del danno”, la possibilità di mediazione penale, la scommessa di mettersi in gioco e di farlo con un percorso serio, riflessivo, anche con la vittima del reato. 
Le carceri, dunque, non si svuotano. Ma vanno osservate con occhiali diversi. Dentro gli istituti penitenziari ci sono persone in grado di voler riscattare la propria vita, in grado di poter riparare ai propri errori, in grado di dimostrarlo. Vi è uno sforzo da parte di tutti per vincere questa scommessa e questo decreto più che “svuotacarcere” può essere appellato come: “piccola opportunità” per i detenuti ma anche per l’intera società.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...