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28.3.23

La coop opera a Porto Ferro ( sassari ) nel reinserimento di soggetti svantaggiati . Lavoro, surf e volontariato a Piccoli Passi il ritorno alla vita


La coop opera a Porto Ferro nel reinserimento di soggetti svantaggiati Una seconda possibilità per ex carcerati, pazienti psichici e minori a rischio Tutto può accadere, a “Piccoli passi”. Porto Ferro è un posto meravigliosamente “sperduto”, più per la narrazione e l’essenza che per l’impossibilità a raggiungerlo. Dista 35 chilometri da Sassari e 28 da Alghero ma è in territorio sassarese: ci si arriva percorrendo la strada statale 291 della Nurra. A Porto Ferro si fa surf, c’è la natura selvaggia, ci si fanno le escursioni a piedi e a cavallo, c’è il Baretto che nel 2023 compie 20 anni di attività e ci sono


festival culturali e musicali che sono ormai appuntamenti radicati della primavera, estate e autunno della baia. Ma a Porto Ferro, proprio con la “complicità” di Baretto, Bonga surf School e Vosma e sotto la regia della cooperativa sociale “Piccoli Passi”, è il sociale ad essere lavorato ad arte e declinato in inclusione, integrazione, valorizzazione e recupero. Se ne parla poco, ma è una realtà tangibile. Operativa e foriera di grandi soddisfazioni che sotto la traccia del tramonto e delle note che spesso lo accompagnano, passa in secondo piano Accoglienza a Piccoli passi «Nasce tutto lì, dietro il Baretto, oltre le dune. Nasce e diventa realtà importante a livello nazionale e unica in Sardegna rispetto a una particolare tipologia di accoglienza, di servizi e di inserimenti: la cooperativa ha lavorato con i minori, spesso alle prese con situazioni difficili e problemi psichici e psichiatrici, ha lavorato con i disabili, con carcerati ed ex carcerati, umanità varia passata al setaccio dell’integrazione appunto favorendo un vero e concreto intreccio di storie e culture diverse». Si appassiona e parla con il sorriso sul volto Danilo Cappai della cooperativa “Piccoli passi”. Nel campeggio di Porto Ferro, modalità colonia estiva, arrivava l’adolescente del centro Sardegna che all’alba si alzava per andare in campagna e poi andava a scuola con il pari età di Torino che prendeva il tram ma poi andava in ferie al parco del Valentino a spendere la paghetta: «Vite diverse, trasportate in una dimensione in cui una maglietta e un costume da bagno azzeravano già in partenza tutte le disparità e le differenze di classe – spiega –. Il ragazzo mandato sull’isola dai servizi sociali di Cinisello Balsamo o dal comune del Nord Est della Sardegna insieme al figlio del notaio che vive in America e gli regala una vacanza esotica chiamando in agenzia. Ma la vacanza, qui, era uguale per tutti. E alla fine, erano abbracci e lacrime, per tutti noi operatori compresi». Questa visione è la stessa che ha animato ogni singola azione della cooperativa e del Baretto: «Questa piccola società si è rivelata modello adattabile al surf camp e alla gestione del Baretto: anche lì, fronte mare e sotto la tettoia della nostra struttura, ragazze e ragazzi, uomini e donne di ogni età ed estrazione sociale si incontrano in costume da bagno per vivere le loro giornate. Non sai chi hai di fianco, ma le differenze non sussistono». Una realtà aperta, che dopo anni dedicati ai minori, oggi collabora con il carcere di Alghero. Risultato? Tre inserimenti importanti trasformati in contratti a tempo indeterminato a ridare vita e prospettiva a chi aveva rischiato di perderla. E di perdersi. Dal
carcere al lavoro «Uno alla volta ci sono stati affidati e hanno iniziato a lavorare. Per qualcuno è arrivato un contratto a tempo indeterminato. Uno dei nostri si è comprato casa e vive oggi per conto suo. Stessi obiettivi di sempre: non è più semplice o più complicato, devi integrare e includere secondo equilibri esistenti e delicatissimi a prescindere». Oltre a chi ha avuto a che fare con il carcere e ora si ritrova a vedere una seconda possibilità proprio fronte mare, da diversi anni a Porto Ferro sono in corso inserimenti di persone con problemi psichici, ovviamente sotto controllo delle apposite strutture: «Sono 4/5, fanno un percorso estivo, lavorano al bancone, ai tavoli della griglieria, in cucina o nella squadra manutenzioni». Un enorme passo avanti quello compiuto da chi 20 anni fa arrivava su quella
meravigliosa spiaggia selvaggia e sperduta per cominciare a costruire quel che oggi è piccolo grande merito e vanto oltre l’aspetto ludico e vacanziero. «Porto Ferro era abbandonato da tutti, istituzioni comprese. Era meta di campeggio abusivo che spesso lasciava tracce indelebili del suo passaggio sul territorio. Noi, insieme ai surfisti, la Bonga School, Vosma abbiamo accettato la sfida in un luogo per nulla semplice e si è creato un equilibrio naturale – continua Danilo Cappai –. Diverse realtà. Sguardi diversi sulla realtà. Persone spesso agli antipodi che convivono fra loro in armonia perfetta. Quando anche le istituzioni si sono accorte di noi, Porto Ferro era già stato scoperto e riscoperto da chi aveva percepito quell’equilibrio umano, quella sorta di magia che lo rende un posto speciale. Si sente che c’è. Il magistrato e l’ex galeotto, il dj e la modella, lo studente e il medico nella baia sono tutti, realmente uguali. Non è facciata. È realtà, la nostra realtà».

28.3.16

BOLZANO Bolzano, mendicante finto invalido: «Lo faccio per i miei figli»

BOLZANO

Bolzano, mendicante finto invalido: «Lo faccio per i miei figli»

All’incrocio tra via Mayr Nusser e ponte Loreto simula spasmi e zoppica . L’ammissione: «So che è sbagliato, ma nessuno ascolta la mia storia»
 
BOLZANO. Una storia di inganno e disperazione, nascosta nelle pieghe del fenomeno dei mendicanti sempre molto discusso a Bolzano . La storia di un’invalidità simulata per intenerire i passanti perchè non c’è tempo di raccontare la propria storia di povertà. Chi frequenta l’incrocio tra via Mayr Nusser e ponte Loreto conosce un mendicante con il bastone che si apposta sempre, intorno a mezzogiorno, nei pressi del semaforo. Presenta un’evidente zoppia alla gamba destra e soffre di spasmi alla testa. Peccato che tutto questo sparisca in un video che una nostra lettrice, Dany Calabrese, ha girato in via Alto Adige dove si vede l’uomo camminare senza alcun problema. Com’è possibile l’invalidità a comando? Lo abbiamo chiesto direttamente a lui che, dopo un attimo di resistenza, ha ammesso di fingere. «Ho due bambini e sono senza soldi. Cerco di guadagnare qualcosa per la mia famiglia e sono costretto a fare questo. Onestamente non rubo e non faccio del male».


Un’attività, quella dell’elemosina, che lo occupa tutti i giorni. «Vengo sempre qui al semaforo e in una giornata riesco a guadagnare circa dieci euro». Almeno questo dice lui. «Pochissimo, ma è tutto quello che riesco a permettermi». Non è l’unico, in famiglia, a utilizzare la tecnica della finta malattia. «Anche mio padre, in Romania, finge di avere dei problemi ad entrambe le gambe. Ripeto, cerchiamo di trovare un modo per sopravvivere senza dover delinquere». D’accordo, ma perché imbrogliare i cittadini? «Nessuno ha voglia o tempo di ascoltare la storia di un uomo in difficoltà». Un giornale è un buon modo per farla sapere. «Sì, ha ragione. Io sono un cittadino romeno che da anni vive a Bolzano. I miei bambini stanno a casa, in Romania: non ho occasione di vederli ma voglio aiutarli comunque. Non c’è lavoro, non c’è niente. Io sono sostanzialmente un povero». Anche lui arriva dal discusso parco Stazione . «Dormo lì e di giorno mi sposto. Di questi soldi tengo lo stretto necessario per me, il resto lo mando a casa». Raccontare la propria storia può aiutare più di fingere lungo la strada malattie inesistenti. Strappiamo la promessa, in cambio, di chiedere aiuto onestamente. Tra inganno e disperazione.

26.8.15

storie ai margini





 una riflessione sul sistema carcerario, affidata a una lettera che abbiamo ricevuto da Bancali ( sassari )  Dietro ognuno di noi c'è sempre una storia diversa, una società che si consideri civile dovrebbe capire cio e sapere che le carceri contengono persone umane che pagano una pena per aver commesso degli errori, nessuno di noi puo dire: io su quella pietra nn mi siedero mai, tutti siamo soggetti ad errore chi più chi meno e una persona che sta pagando una pena detentiva si deve gia considerare parte integrante della società civile quindi per me è giusto che le carceri siano rese fruibili dai cittadini liberi, con ciò nn metto in dubbio che ci possano essere carceri dove si adottano delle restrizioni per via della sicurezza per cui si debbono prendere altre misure

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...