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10.9.23

Uno spiraglio di luce

 


“Sulle Tracce dell'Altrove”... dalle primissime pagine uno spiraglio di luce pare trapelare dalle righe di ogni foglio. Quello di Cristian A. Porcino Ferrara, si profila fin da subito come un viaggio interiore ricco e profondo, a tratti doloroso, ma sempre lucido.

Una lettura piacevole e fluida, a tratti illuminante, soprattutto quando l'autore tocca temi di rilievo etico-morale come la spiritualità e la religiosità, l'omosessualità e l'esperienza travagliata del coming out etc...

Si coglie in sordina la presenza di un fil rouge che inevitabilmente lega ogni tematica a quella successiva, poiché è la continua ricerca interiore a guidare la mano dell'autore, non vi è mai stacco brutale tra i temi... come un flusso di coscienza scorre e va... come un fiume che non ha inizio né fine... così questo testo ci lascia la parola, apre e invita alla riflessione personale.

Grazie a Cristian A. Porcino Ferrara per essere riuscito a raccogliere spunti riflessivi tanto delicati in una lettura elegante.


Prof.ssa Francesca Curreli


Il libro è in vendita su Amazon 

18.7.21

La prima regola per farsi ascoltare è ascoltare!

«Oggi vi parlo dell’ultimo libro scritto da un amico e collega durante l’emergenza sanitaria: Ciao, Prof!. Un titolo alternativo potrebbe essere “Ciao, ragazzi!” perché è proprio un libro che parla anche dei suoi alunni e si rivolge a loro con tenerezza e saggezza, invogliandoli a esprimere un’opinione come pochi riescono a fare. L’autore senza tanti giri di parole va dritto al sodo esprimendo egli stesso la sua opinione e spronando gli allievi a fare la stessa cosa su argomenti importanti e attualissimi come il bullismo, la violenza sulle donne e di genere, i diritti civili, il razzismo, il peso delle parole… argomenti da sempre cari a Porcino, presenti in tanti suoi saggi e che al giorno d’oggi sono visti, purtroppo, ancora come tabù. Per i temi trattati parte sempre dalla storia antica, sua grande passione, ma per catturare l’attenzione e far riflettere gli allievi, rapporta tutto ai giorni nostri e prendendo spunto da fiction, serie tv, romanzi, film, personaggi amati dai giovani, senza usare espressioni ostiche, spinge a interessarsi alla materia arrivando dritto al cuore. Segue questo percorso in aula, ma ancor di più durante la pandemia che ha travolto e stravolto le nostre vite. Durante la DaD per appassionare e interessare gli allievi, quale modo migliore se non quello di proporre e analizzare testi musicali o parlare di un film “immedesimandosi” e stimolando la creatività e la libertà di pensiero? L’autore fa riflettere e invita a riflettere, in libertà e dando spazio a opinioni svariate e personali, senza  giudicare, facendo sentire importanti i ragazzi, a cui si chiede di esprimere il “loro” pensiero e non quello che gli altri vogliono sentire. Un modo intelligente e piacevole per restare vicini ai propri allievi in un periodo difficile e di distanziamento sociale. Magari avessimo avuto dei Proff. così!».


                                      Viviana Cosentino (giornalista) 


Il libro "Ciao, Prof!" è in vendita su Amazon e  Libreria Universitaria. 

2.1.18

cosa ne pensano le femministe pure delle dichiarazioni della Pellegrini ? in particolare quelle che .....

... mi hanno fatto , vedere archivio blog , il cazziatone quando espressi dei dubbi sul fatto che Asia Argento poteva denunciare subito d'aver subito molestie e violenza dal porco e depravato di Weinstein anziché aspettare 20 anni .


Ora la mia opinione davantri alle dichiarazioni  di  Federica Pellegrini    riportata  dall'unione  sarda online d'ieri  


                                            Federica Pellegrini


Lo scandalo delle molestie sessuali non riguarda solo il mondo dello spettacolo, ma anche quello dello sport.
A dirlo è Federica Pellegrini in un'intervista a SkySport24.
"Non sono casi eclatanti: se succedesse a me verrebbe fuori ovunque, invece accade a povere ragazzine e nessuno lo sa", ha detto la nuotatrice, che ha deciso di lanciare un appello alle vittime degli abusi, chiedendo loro di non rimanere in silenzio.
"Bisogna volere bene a se stesse e bisogna denunciare subito: se deve succedere qualcosa bisogna avere una famiglia presente o qualcuno di fidato che sappia capire", ha detto ancora la campionessa.
Pellegrini ha poi parlato delle giovani che, magari cedendo a un ricatto, inviano scatti hot, che poi finiscono sui social.
Su Internet "girano tante foto di minorenni", ha continuato la nuotatrice.
"Allora posso dire una cosa alle ragazzine del nostro ambiente? Non mandate foto in giro. Non serve veramente a niente mostrare le t***e e il c**o, perché il vero amore lo troverete fra vent’anni e di sicuro non vi sceglierà perché gli manderete una foto un po' più nuda rispetto alle altre. Quindi per favore smettete questo circolo vizioso", ha concluso.



è questa  sia che lo abbia detto ( cosa che non credo visto che a differenza di beatrice vio la vedo poco su media , mi sembra più discreta e poco prezzemolino ) per farsi pubblicità e farsi vedere sia che lo pensa sinceramente ha ragione troppe ragazzine esagerano nel mostrarsi in pose hot nella rete


24.11.17

“Una riflessione sul sessismo e la violenza di genere”


Dopo l’esplosione del caso Harvey Weinstein si è scoperchiato il vaso di Pandora e il mondo si è accorto delle molestie e violenze che quotidianamente subiscono milioni di donne nel mondo. Come si evince dalla lettura del libro di Porcino la violenza sulle donne non è un fenomeno contemporaneo ma addirittura affonda le sue radici nel libro sacro di ebrei e cristiani: la Bibbia. Spesso si tenta di ignorare il retaggio culturale che sta dietro al nostro pensiero. Lo stesso linguaggio che usiamo quotidianamente violenta insistentemente la vita e la dignità delle donne. Quest’odio atavico si riscontra, per l’appunto, nelle parole e negli atti di molti maschi. Per quanto mi riguarda ho trovato molto utile la parte sul sessismo linguistico e l’analisi dei modelli di giochi stereotipati che caratterizzano l’attività ludica delle bambine. Chi ha stabilito che i maschietti devono giocare con le macchine e le femminucce con fornelli e bambolotti? Molto interessante il racconto della battaglia per l’emancipazione femminile portata avanti da Olympe de Gouges. Il libro di Cristian A. Porcino Ferrara ha molti pregi e infatti ha ricevuto anche l’autorevole apprezzamento del Presidente della Repubblica e di Monica Cirinnà. Pertanto il mio modesto consiglio è proprio quello di leggere il libro “Canzoni contro l’omofobia e la violenza sulle donne” e di meditare intensamente sul progetto educativo ideato dall’autore. L’educazione attiva all’affettività di genere è un passo importante da chiedere e pretendere in ogni istituto scolastico. Diceva R. W. Emerson “L’unica persona che sei destinato a diventare è quella che scegli di essere” ma non esiste consapevolezza senza conoscenza. Tocca quindi a noi uomini, a noi padri riparare i torti del passato e aiutare i nostri figli a rapportarsi in modo sano all’universo femminile, e combattere  ogni forma di stereotipo e pregiudizio di stampo omofobo e misogino insito in una cultura arcaica e maschilista. Insieme possiamo farcela. Yes, we can!

Matteo La Rosa

Per acquistare il libro su Amazon: https://www.amazon.it/Canzoni-contro-lÕomofobia-violenza-sulle/dp/1326718746/ref=sr_1_4/278-5287069-8066946?s=books&ie=UTF8&qid=1467560280&sr=1-4

23.11.17

anche l'artte dice no al femminicidio . comprenetazioni di Mario bianchi

Anziché i soliti   discorsi di circostanza   su tale  fenomeno   lascio che a parlare di questo  siano le queste foto   (http://www.mariobianchi.eu/gallery/compenetrazioni/  )  le  altre le potete  trovare  qui  di mario bianchi    che  ringrazio   per la   gentile  concessione 













le foto di Mario rendono benissimo  il  tema  del femminicidio    confermando quanto dice :<< Dalle testimonianze delle vittime distupro si apprende che "chi ne esce, lo fa portando con sé l'esperienza della morte". >> Ida Magli . Esse sono dure ed indigeste , anche se dovrei essere assueffatto ( almeno per la mia generazione , cresciuta negli anni '80 con i mito della milano da bere ed il culto delle immagini e dove il corpo della persona viene usata non più come trasgressione \ rottura dei tabù , ma per vendere ) vedendone quotidianamente l'abuso e l'utilizzo improprio trasformando un immagine drammatica in un immagine normale usata per rclamizzare qualunque cosa e in articoli cartacei e telematici che nulla hanno a vedere con il dramma che esse rapressentano . Infatti concordo con quanto dice nell'introduzione in questa sua galleria lo stesso autore : << Ataviche paure affiorano sui visi di chi sisottopone all'esperimento, la fotocamera registra rigide posture di corpi morti con disarticolazioni di manieristica memoria e lo sguardo, rassegnato, tradisce chi sa che anche i carnefici sono nostri figli >>

26.1.17

io non mi sento italiano dopo i casi di Mantova ( pestata a colpi di sedia: «Nessun cliente del bar mi ha difesa» ) e il caso di venezia dove un extracomunitario affoga e oltre ad insultarlo e filmarlo nessuno lo salva o choama soccorsi

Mantova, pestata a colpi di sedia: «Nessun cliente del bar mi ha difesa»

Parla la donna ferita in un locale di Borgochiesanuova dal compagno dell’ex amica. «Continuava a picchiarmi anche a terra, ma i dieci presenti non hanno fatto nulla»

MANTOVA. Oltre alle botte, tante botte, a farle ancora male è l’indifferenza degli uomini che hanno assistito al pestaggio senza muovere un dito per fermare la furia dell’aggressore, o anche solo per chiamare i soccorsi. «Lo scriva, mi raccomando, l’omertà dei dieci clienti che erano nel bar e anche del titolare. Sì, fa tanto male...». Giulia (nome di fantasia a tutela della donna) è stata aggredita sabato mattina, in un bar del quartiere Borgochiesanuova.
«Ero con un’amica, siamo entrate per comprare le sigarette – racconta Giulia, trentadue anni – seduta a un tavolino abbiamo visto un’amica comune, insieme al suo compagno. Un uomo violento che ci ha allontanato da lei facendoci perdere l’amicizia. Ecco, io mi sono avvicinata per chiederle di uscire qualche minuto fuori, giusto il tempo di parlare un po’, di chiarirci. Ma lui è scattato come una furia, in un lampo, le ha impedito di alzarsi e mi è saltato addosso».
A questo punto il racconto della donna accelera per sgranarsi come il fotogramma di un incubo. «Mi ha preso a sediate, sedie di ferro. Con la prima sedia mi ha buttato a terra, colpendomi alle braccia, alla schiena, al collo – ricorda Giulia con voce spezzata – cadendo ho sbattuto contro il bancone e lui ha continuato a colpirmi anche quando ero a terra, con un’altra sedia. La terza sediata l’ho ricevuta quando mi sono rimessa in piedi, poi, non contento, ha rotto un bicchiere e con i cocci mi ha ferito all’inguine. E intanto nessuno è intervenuto».
Il referto del pronto soccorso parla di una prognosi di guarigione di ventitré giorni, sufficienti per innescare l’indagine d’iniziativa da parte delle forze dell’ordine, senza che sia necessaria la querela della donna. Ma Giulia l’avrebbe denunciato di sua iniziativa, anche per un pugno scarso di giorni.
E poi, a bruciare, ci sono anche le altre ferite. L’indifferenza di chi non è intervenuto a difenderla, l’omertà degli stessi – della serie «un’aggressione? noi non abbiamo visto niente» – e poi la reazione dell’amica, ormai ex.
«Quando mi sono trascinata fuori, insieme alla mia amica, quella vera, per chiamare i carabinieri e il 118, lui e lei mi hanno seguito urlandomi addosso delle minacce irripetibili. Sì, anche lei. E poi c’è un’altra cosa che non mi va giù». Quale? «Io continuo a passarci davanti a quel bar, e lui è sempre dentro, tranquillo, come se non fosse successo nulla. Meno male che le telecamere del locale hanno registrato tutto, le immagini non mentono».
Ora il film dell’aggressione è compresso nella chiavetta usb dei carabinieri.
 Sta nel palmo di una mano, ma per Giulia pesa più di un macigno. (ig.cip)

la  seconda     successa a Venezia  qui  maggiori  news    che si può riassumer e cosi 
L'immagine può contenere: sMS

2.6.13

Femminicidio, capirsi per combatterlo insieme


   leggendo  il manifesto   di questa  comunity  di facebook www.facebook.com/UccidiAncheMe


Informazioni
"Uccidi anche me" è un progetto fotografico di Fiorella Sanna e Francesca Madrigali.
Una serie di ritratti e interviste in cui volti e parole si mescoleranno tra loro per dare ancora più forza e più voce alla lotta contro il femminicidio.
Descrizione
Lo scopo del progetto "Uccidi anche me" è quello di sensibilizzare le persone sul tema del femminicidio, coinvolgendo donne e uomini che "donano" il proprio volto e le proprie opinioni e pensieri sul gravissimo fenomeno che sta assumendo il carattere di emergenza in Italia. Fotografiamo e intervistiamo le persone che stanno partecipando- già tantissime, fra le quali le nostre amiche e amici, sorelle, madri, artisti, esponenti della società civile e della politica.
Il nostro approccio non vuole essere “luttuoso” o peggio quello di accentuare gli aspetti della cronaca nera, ma al contrario vogliamo dare risalto alla forza di reazione delle donne e alla loro consapevolezza dei meccanismi che possono generare la violenza. Anche gli uomini sono parte attiva del progetto, in quanto la violenza sulle donne è un problema sociale oltre che di genere. Soltanto portando l'argomento ad un livello più esteso, "pubblico", di cittadinanza possiamo sperare di combatterlo efficacemente.  




ho trovato due articoli un po' dati certo , ma poco importa vista la loro attualità presi da ilfattoquotidiano
il primo  è  di  | 15 maggio 2013
Rileggiamo quel capolavoro di Simone Weil intitolato “L’’Iliade poema della forza”. Separare la forza dalla violenza sembra non sia cosa facile. Che cosa vuole una donna? Vuole un uomo forte, non un uomo violento. Come possiamo farci capire? Forse dovremmo esercitarci di più davanti allo specchio per imparare a pesare le parole, a influenzare l’anima dell’interlocutore e non solo per sedurre, ma soprattutto per salvarci la pelle.
Chi è un uomo forte? Probabilmente è quello che riesce a mantenere la calma nei momenti difficili, che conosce il suo valore anche quando gli altri non lo riconoscono, che è capace di sorridere, di resistere, di consolare, di proteggere. L’uomo forte è colui che conosce la sua stessa forza e che sa usarla a tempo e a luogo. L’uomo forte non è l’uomo violento.Noi invece, care, dolci e belle amiche siamo piene di qualità ma spesso inciampiamo nei nostri graziosi piedi, andiamo fuori tema, usiamo le parole con scarsa attenzione, il nostro coraggio è spesso imprudente, la nostra paura è spesso inutile.Dicevo dunque andiamo fuori tema, come è successo l’altra sera a ‘Servizio Pubblico e dispiace dirlo visto che parliamo di un grande e generoso lavoro svolto da molte donne che hanno collaborato per aiutare le più sfortunate tra noi. Parlo di Ferite a Morte e sono qui per dire che l’ultima cosa da fare è criticarci a vicenda. Non è quindi una critica la mia ma solo un’osservazione marginale, dove è proprio sui margini che si gioca la vita o la morte, come tante storie ci raccontano.Paola Cortellesi con la sua faccia spiritosa e il suo sorriso irresistibile mi è sembra piaciuta come donna e come attrice, ma nel suo intervento ha ripetuto più di una volta una frase pericolosa: “Meglio morta che con te…”. Questa è la distrazione di cui parlavo prima, l’ingenuità che si paga anche in termini di comunicazione.Il tema è tale che non ammette margini di errore oltre quelli già accaduti, che hanno provocato la morte. “Meglio morta che con te” è la frase sbagliata, quella giusta, secondo me, è “meglio viva che con te”, e questo perché con quell’uomo, che ha confuso fatalmente la forza con la violenza, non si può essere che morte.Mi piacerebbe che ci accorgessimo tutte che nell’esercizio di raccontare l’orrore, nei dettagli, nella coazione a ripetere e persino nel tentativo di satira dell’orrore stesso, esiste il pericolo di partecipare inconsapevolmente al grande spettacolo mediatico della violenza in genere e in particolare della più gettonata, quella sulle donne.Lo facciamo spesso, ci sbagliamo e a volte colgo un lampo di ironico compatimento nell'atteggiamento di chi, uomo di potere illuminato, ci concede visibilità ed è dalla nostra parte. Spesso non siamo all’altezza delle poche occasioni che ci vengono offerte, prendiamo grandi e piccoli abbagli senza riuscire a sfruttare l’attimo fuggente. Se non ora quando? Una frase magnifica, un’altra straordinaria performance che alcune donne hanno inventato, moltissime hanno praticato per poi alla fine essere semplicemente rimandate a casa. Come può succedere che preziosi minuti concessi in prime time a “Servizio Pubblico” vengano adoperati con generosità ma senza la dovuta attenzione?Dicono che l’attenzione sopravviverà al deserto, ma temo che prima si debba attraversarlo

il  secondo   sempre  dalla  stessa  fonte   un altro articolo interessante   di   Rita Guma | 6 luglio 2012

Ho letto in questi mesi centinaia di commenti di lettori agli articoli sul femminicidio e vi ho ritrovato clichè che ho spesso contrastato, dato che da oltre dieci anni mi occupo di diritti umani (di donne e uomini, etero, trans e gay indistintamente). Vorrei quindi fare chiarezza sui pregiudizi che a mio avviso animano molte persone in tema di violenza sulle donne, perché le violazioni dei diritti umani sono spesso questione di disinformazione e incomprensione.
Il termine femminicidio (o femmicidio) è ricorrente da anni a livello internazionale per descrivere fenomeni di violenza che interessano molti paesi latini – emblematici i casi del Messico (Ciudad Juarez), della Colombia, della Spagna – e anche altri paesi occidentali, sebbene siamo soliti attribuire ai soli paesi arabi e africani ed a ragioni tribali e religiose il triste primato.
Si parla di femminicidio quando la donna viene uccisa in quanto donna. Non sono casi di femminicidio l’operaia morta sul lavoro, la donna morta in un incidente d’auto o la soldatessa uccisa in guerra, a condizione che l’operaia non sia buttata dall’impalcatura dai colleghi maschi infastiditi ad esempio dalle sue assenze per cure parentali, il frontale non sia causato dall’ex della donna per vendetta e la soldatessa sia vittima di un proiettile in battaglia o di una bomba lanciata nel mucchio e non sia prima stuprata come arma di guerra.
Affermazione ricorrente è “se l’è cercata”, indicando in un comportamento ritenuto “libero” della donna la licenza per il maschio di fare quello che vuole: stuprarla – magari in branco – o ammazzarla di botte. Questo è un atteggiamento maschilista e portatore di cultura della violenza. Purtroppo è un atteggiamento duro a morire, anche perché apparso persino in qualche sentenza.
Affermazione differente, e che va meglio analizzata, è che alcune donne cercano l’uomo violentoovvero vedono benissimo che lo è e ci si mettono insieme lo stesso. Dietro tale convinzione ritengo si annidi una delusione: molti degli autori di tali considerazioni sono infatti uomini miti e colmi di attenzione verso le donne, ma nella loro vita sono stati spesso accantonati dalle ragazze che essi corteggiavano e che hanno preferito un tipo più aggressivo (che non vuol dire necessariamente violento).
Tuttavia faccio notare che la vera brutalità quasi mai si esterna nel periodo dei primi appuntamenti o del fidanzamento (in cui non emergono nemmeno altri difetti, come l’essere pantofolaio o anteporre il lavoro alla famiglia) perché le difficoltà quotidiane sono minime, lei sogna e lui cerca di dare il meglio di sé, mentre qualche accenno possessivo viene vissuto come un segno di passione. I difetti più o meno gravi emergono col tempo, quando finiscono la poesia e l’ansia della conquista, arrivano le responsabilità dei figli e le bollette da pagare, o si perde il lavoro. Allora ciascuno perde i freni inibitori ed esaspera o rivela la propria parte migliore o peggiore, come spesso avviene anche per i malati gravi. Perciò non è accettabile addossare alla donna la responsabilità di una scelta d’amore da pagare fino alle estreme conseguenze.
Va considerato anche che oggigiorno ci sono tanti uomini esasperati perché magari estromessi dalla vita dei figli con una separazione o un divorzio anche se colpevoli solo nei confronti della moglie, per adulterio o trascuratezza per via del lavoro o addirittura incolpevoli. Anche se molte violenze fisiche o psicologiche sono reali, non è insolito che, dopo la rottura, un uomo venga accusato infondatamente di violenze di ogni tipo (così come non mancano le false accuse di stalking) per evitare che gli siano affidati i figli o che il magistrato disponga l’affido condiviso.
Un adultero o un uomo che dopo anni non sopporta più la moglie non deve pagare perdendo i figli, specularmente a quanto avviene per una donna (e i figli non devono pagare l’astio fra i propri genitori perdendo di fatto uno di essi). Difficile che un uomo con una esperienza devastante come la perdita di un figlio per una ripicca sia comprensivo nei confronti delle donne, che vedrà come delle privilegiate dallo Stato quando gratificate con l’affidamento della prole e dalla società quando considerate sempre sicuramente vittime.
Questo non giustifica assolutamente la violenza contro le donne, ma può spiegare l’atteggiamento critico e persino duro di alcuni uomini di fronte agli articoli di commento sul femminicidio e la difficoltà di costituire un fronte unito contro la violenza alle donne.




27.5.13

Il peccato originale




Dunque, i numeri. Dal solo mese di maggio ad oggi, fanno venti.
Intendo i casi. Le persone sono molte di più, perché alcune vicende sono avvenute nello stesso giorno coinvolgendo più persone.
Cito, in ordine sparso:
- Roma, assassinio di Alessandra Iacullo, 25 anni, confessa il fidanzato cinquantenne: "Ero geloso".
- In varie regioni d'Italia, Ilaria, Chiara e Alessandra vengono uccise lo stesso giorno dai rispettivi partner. Erano intenzionate a lasciarli.
- Napoli, donna accoltellata in aperta campagna, accusato l'ex marito, geloso.
- Biloca, ragazza diciassettenne subisce un tentativo di stupro mentre si reca a scuola.
- Bergamo, estetista aggredita dall'ex marito che aveva denunciato.

- Calabria, trovata donna uccisa. Subiva violenze da parte del marito da una trentina d'anni.
- Caserta, aspirante Miss Italia ridotta in fin di vita dal fidanzato che le spappola la milza. Lei si riprende: "Lo perdono, perché lo amo".
- Perugia, due stupri nella stessa notte.
- Pesaro, l'ex partner d'una avvocata (molti giornali scrivono "avvocatessa") le getta acido in faccia per lavare l'onta d'essere stato abbandonato.
- Vicenza, dopo aver denunciato l'ex partner per maltrattamenti una donna viene sfregiata con l'acido da maschi incappucciati.
- Acilia, dopo l'abbandono insegue la moglie con l'auto, fino a stritolarla. Poi inscena il suicidio (che, naturalmente, non va in porto).
- Padova, poliziotto uccide la moglie e si suicida (questa volta, stranamente, ci riesce). I giornali titolano: "Motivi sentimentali".
- Frosinone, un operaio costringe la moglie a girare film porno davanti ai figli e la violenta ripetutamente. In più la minaccia con la frase: "Zitta o farai la fine di Melania Rea".
- Napoli, spranga l'ex moglie poi devasta il negozio del nuovo compagno di lei: "Non potevo sopportare di essere abbandonato".
- Napoli, picchia la moglie col matterello per ucciderla. Viene fermato in tempo.
- Firenze, massacra la moglie incinta: "Non hai pulito bene la casa".

- Milano, si avventa sull'ex compagna e l'abbatte a coltellate. E continuerebbe a infierire sul corpo se non fosse fermato da un ragazzo diciassettenne che ha tentato vanamente di salvare la donna. Lui continua a farneticare: "Mi ha lasciato, non posso sopportarlo".
- Novara, otto minorenni (maschi) indagati per istigazione al suicidio della quattordicenne Carolina, ingiuriata e diffamata all'inverosimile.

- Roma, una ragazza viene indotta a ubriacarsi quindi stuprata.
In ordine cronologico, questo è l'ultimo caso, posto li abbia ricordati tutti. Il più efferato, però, sintesi perfetta e atroce di tutti gli altri, è avvenuto però, come si sa, l'altro ieri in Calabria:
- Fabiana, 15 anni, accoltellata e bruciata, ancor viva, dal "fidanzatino" (così si legge su quasi tutti i media) maggiore di lei di un anno. Osceno l'articolo dell'"Unità" (!), che parla di "dramma della gelosia e dell'adolescenza".
A ciò si aggiungano due dati:
- A Modena, scarcerato dopo appena un anno Ivan Forte, che strangolò la fidanzata Tiziana da cui aveva avuto un figlio.
- A Milano, la metà delle denunce per violenza sulle donne vengono archiviate.

Numeri. Semplici numeri. In svariate occasioni, anche da questa sede, ho analizzato le radici culturali, sociali e storiche del femminicidio. Non mancherò di ricordarle questa volta ancora, l'ennesima. Ma ogni capitolo s'arricchisce di dolenti, agghiaccianti novità.
Ne menziono solo due, a paradigma della controffensiva maschile di fronte al fenomeno: la dotta dissertazione di tale prof. Tonello sul "Fatto Quotidiano" di alcuni giorni fa (Femminicidio, i numeri sono tutti sbagliati) e  l'intemerata d'una sedicente Gilda (?) su "Mente Critica", che pure nel titolo (I veri numeri del femminicidio) riecheggia il post di Tonello ma se ne differenzia per il tono iroso e rivendicativo, corredato dall'eloquente immagine d'una donna molto aggressiva nell'atto di sparare ai testicoli d'un giovane e inerme uomo.
Tra i due interventi il più pericoloso è quello di Tonello, sia per la maggior diffusione della testata per cui scrive, sia per il lessico all'apparenza neutro, distaccato, insomma "razionale".

L'illustre cattedratico esordisce contestando i numeri di violenza antifemminile evocati dai media e sottolineando l'"enfasi" posta sulle venticinque donne uccise da inizio anno (il suo scritto risale all'11 maggio scorso). Annota anche, tra l'indignazione e lo scherno, che "si mescolano disinvoltamente aggressioni e omicidi, stupri e molestie, molestie psicologiche e aggressioni con l’acido", mentre per lui solo gli omicidi (il termine "femminicidio" è ovviamente rifiutato, vedremo poi perché) possono semmai suscitare un campanello d'allarme poiché, in tutti gli altri casi, la donna non è stata uccisa. Stupri e sfregi con l'acido - soluzione "all'indiana", barbara quant'altre mai, per negare la specificità della donna, quindi la sua esistenza, una sorta di burqa di fuoco: ma l'autore non vi fa caso - non sono da considerare delitti, la donna fisicamente non muore.

Egli passa quindi in rassegna i dati, a suo dire sicuri, dell'Istat e scopre cosa? Che la violenza sfociata in assassinio ai danni delle donne non solo non è aumentata, ma sarebbe addirittura in calo. 
Certo, egli concede, "pure un solo cadavere è di troppo" ma in un Paese di 60 milioni di abitanti ci saranno sempre "i mafiosi, i violenti, i folli". Di femminicidio poi nemmeno parlarne, il neologismo è orribile (esiste già il correlativo "omicidio", perché coniarne un altro?) e, del resto, non significa nulla: assurdo paragonare l'inesistente la mattanza di donne p. es. alla Shoah perché - cito testualmente - "gli ebrei Samuel, Israel, Ruth o Esther venivano mandati dai nazisti nelle camere a gas per il solo fatto di essere di religione ebraica, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione. Le donne uccise da ex partner non vengono uccise 'in quanto esseri umani di sesso femminile' bensì esattamente per la ragione opposta: per essere quella donna che ha rifiutato quell’uomo".
Si tratta del ragionamento d'un cattedratico, d'un professore universitario, che dovrebbe conoscere la storia.
Pur ritenendo impensabile, nel 2013, dover confutare simile concentrato d'ignoranza, stupidità e cattiveria, pure il frangente mi ci costringe, non foss'altro perché la maggioranza dell'opinione pubblica, e quasi la totalità dei maschi, vi aderisce volentieri, non pochi addirittura plaudendo (uno di loro, tra i commenti, ha persino invitato i suoi congeneri alla rivolta contro la disinformazione operata dal "nazifemminismo"). Mi appresto dunque a bere l'amaro calice.

1) Tonello rispolvera l'antico ma sempre efficace alibi del delinquente "folle, violento o mafioso". Un modo - peraltro, tipicamente maschile - di gettare la colpa fuori di sé. Sull'altro, sul diverso. Non ha potuto, come certo avrebbe desiderato, imputare la responsabilità agli stranieri, magari islamici, perché gli autori di questi delitti sono tutti italiani, appartengono alle categorie sociali più disparate e la loro età varia dalla maturità, talora dalla vecchiaia, fino, negli ultimi casi, addirittura alla puerizia. I motivi ispiratori dei loro delitti sono però identici: gelosia, abbandono.
Resta da vedere se siano "folli, violenti o mafiosi". Chiaramente no. Si tratta di persone del tutto normali, persino - come invocano le sempre protettive famiglie dei minorenni implicati - di "bravi ragazzi", educati, rispettosi. Non i diversi da temere, entità astratte e mostruose emergenti dal fondo scuro della marginalità sociale, ma i nostri vicini di casa, gli stimati professionisti cui affideremmo una pratica, i valenti operai specializzati e i padri di famiglia amorevolmente premurosi coi figli. No, esimio luminare Tonello, il mostro non è il diverso, il mostro cova in ognuno di noi. Nel Suo linguaggio asciutto e nel piglio professorale col quale nega l'evidenza per non mettere in discussione il modello culturale e (dis)educativo imperante dall'alba dell'umanità.
2)  Ignoro cosa insegni Tonello. Spero, per lui ma soprattutto per i suoi studenti, non storia o materie affini. Sa infatti, o dovrebbe sapere, anche un alunno di dodici anni, nemmeno particolarmente edotto, che gli ebrei furono sterminati non "per il solo fatto di essere di religione ebraica", ma per il solo fatto di esistere. Fossero o no convertiti al cristianesimo, per il pagano Hitler non aveva la minima importanza: ne è la più illustre, ma ovviamente non unica prova sant'Edith Stein, filosofa tra le più insigni del suo secolo, autrice d'importanti e pionieristici studi intorno alla donna, e martire ad Auschwitz nel 1942. Affermare che lo sterminio degli ebrei aveva motivazioni religiose significa non aver compreso nemmeno alla lontana, e forse nemmeno studiato, le radici del nazismo, e viene seriamente da chiedersi come l'individuo che osa sproloquiare simili bestialità possa permettersi di scrivere su una testata nazionale e/o d'insegnare negli atenei.
3) Sul cinismo e freddezza con la quale è liquidato, o notevolmente ridimensionato,  l'omicidio - come si ostina a definirlo Tonello - di "quella donna per aver rifiutato quell'uomo" la verecondia imporrebbe di sorvolare, ma non si può. Nella prosa che si vuole asettica e scientifica, in realtà sfilacciata e perniciosa, di Tonello non balena neppur per un attimo la futilità del movente. "Per essere quella donna che ha rifiutato quell’uomo" è infatti un'argomentazione risibile, un'aggravante e non un'attenuante del crimine. Soprattutto quando "quell'"uomo, assassino di "quella" donna, al contrario di ciò che asserisce Tonello, peraltro senza lo straccio di prove o statistiche altrove da lui così insistentemente addotte per confermare le sue tesi, non appartiene per nulla alla categoria dei "folli, violenti o mafiosi".
4) "Le parole sono importanti!", esclamerebbe ora il Nanni Moretti di Palombella rossa, parafrasando Pasolini. E giungiamo al famoso, o famigerato, termine "femminicidio" che Tonello, Gilda e molti/e altri non vogliono nemmeno sentir menzionare. Non esistono "femminicidi" secondo costoro, bensì "omicidi". Vengano puniti come tali, e non facciamola tanto lunga.

Ebbene, "omicidio", la cui etimologia Tonello evidentemente non conosce - zero in italiano oltre che in storia, quindi, per il nostro chiarissimo docente - deriva da "homo" e "cidium", da "caedes" (=uccisione), e indica la morte d'un uomo per mano d'un altro uomo. Infatti: la morte d'un uomo.
Tonello, Gilda e molti/e altri alzerebbero il sopracciglio, fors'anche si straccerebbero le vesti urlando al mio "nazifemminismo estremista": ma via, lo sanno tutti, per uomo s'intende essere umano, pertanto anche la donna!
Ecco, è proprio il "pertanto" che guasta: se le parole sono importanti, l'ossimoro, da tutti considerato naturale e persino ovvio, del "neutro maschile" è insensato.
Il neutro maschile non include: anzi, è l'esclusione per antonomasia. Il neutro maschile è la cifra linguistica che giustifica ogni violenza, razzismo, prevaricazione, guerra, schiavitù, omofobia e, naturalmente, misoginia e sessismo. Dalla notte dei tempi. Il neutro maschile presuppone un'umanità modellata su un solo archetipo: il maschio, l'essere umano vero e proprio - esattamente come intendono i suoi difensori, non accorgendosi dell'equivoco -, immagine e incarnazione di Dio (alle donne, immagini solo terrene e, per giunta, malriuscite dell'uomo-maschio, non è infatti concesso il ministero sacerdotale né di rappresentare in nessun modo la divinità). Cui tutto è concesso, cui è stato dato in compito di dominare la Terra - e i suoi abitanti, a partire dalla compagna messagli al fianco.
Il linguaggio, espressione tipicamente e compiutamente umana, è dunque sempre stato in mano al maschio, declinato al maschile secondo sensibilità e mentalità maschili. Dalle quali la donna è di necessità esclusa; di qui l'esigenza di coniare nuovi termini. No, non è omicidio, è femminicidio. No, non si tratta del singolo uomo che uccide la singola donna, ma di tutta una mentalità che avalla, presuppone, prepara queste morti. E, se non tutte giungono a tale epilogo, il seme dell'odio è stato comunque gettato. Chi potrebbe rispettare e considerare di pari dignità un individuo ritenuto persino dai più grandi ingegni umani, non esclusi uomini piissimi e talora in odore di santità, infido, sensuale, lascivo, linguacciuto, di debole cervello e, in tempi più recenti, sottovalutato o cancellato dai libri di scuola, mercificato dal consumismo sessuale e degradato a puro oggetto di piacere? Eppure è questo che quotidianamente e, in varie forme a seconda delle latitudini e delle religioni, viene inculcato fin dalla più tenera età.
Oggi poi il sesso, perduta quell'aura di sacertà che lo contraddistingueva come compimento, diremmo linguaggio fisico, d'una intesa spirituale, è divenuto sfogo bruto e velleitario, da consumare subito e, anche in tal caso, da pretendere, in particolare se la ragazza è la "propria" ragazza, se è carina, se ha corrisposto a un bacio. Un rifiuto da parte sua viene ritenuto un'insopportabile onta, un'inconcepibile ribellione.
Già negli scorsi anni scrivevo che il problema del femminicidio non riguardava tanto le donne quanto gli uomini. La questione è maschile, non femminile. E questo, non è stato compreso del tutto nemmeno dalle stesse donne, se è vero che pure le più attente e sensibili, nel commentare lo strazio di Fabiana, la bambina arsa viva dal coetaneo per essersi rifiutata di cedere alla fregola di lui, si rivolgono alla madre dell'assassino rivolgendole aspri rimproveri: "...Perché, cara madre, se tuo figlio ha ritenuto che picchiare, violentare ed uccidere una donna fosse un suo diritto divino...se tuo figlio si è sentito in dovere di punire con la violenza "l'onta" subita dalla donna che lo aveva lasciato/rifiutato...se l'uomo che tu hai portato in grembo e cresciuto è arrivato a tanto...la colpa è ANCHE TUA! Che madre sei stata e che donna sei stata? Cosa hai insegnato a tuo figlio?", chiede accorata Anna Rita Leonardi nella sua Lettera alla madre dell'uomo che ha ucciso brutalmente, su ZoomSud.it. Tutto vero, naturalmente: moltissime donne - l'ultimo caso, la miss che ha ritirato la denuncia al suo aguzzino - hanno introiettato la stessa misoginia di cui la società è imbevuta senza insegnare alcun rispetto verso le congeneri ai loro figli maschi.
Ma il padre, dov'era? I genitori non sono due? Perché, in casi simili, l'uomo non viene mai chiamato in causa? Non è stato lui, anche per legge, qui in Italia, fino al 1975, il "capofamiglia"? Non è lui la guida morale e spirituale della casa, l'essere umano per eccellenza, il rappresentante di Dio in terra e via esaltando? O lo è solo quando si tratta di ricevere privilegi e onori?
Scriveva Edith Stein negli anni Trenta del secolo scorso: "In origine fu affidato ad ambedue [all'uomo e alla donna, n.d.A.] il compito di conservare la propria somiglianza con Dio, di custodire la terra e di propagare il genere umano. [...] Dopo il peccato, il rapporto reciproco si mutò, da puro legame di amore, in legame di dominio e soggezione, e fu sfigurato dalla concupiscenza". L'umanità, e il maschio in particolare, non ancora divenuto uomo, sembrano a ogni latitudine, Nel terzo millennio, ancora storpiati da questo peccato originale.

21.5.13

o ama troppo e male o non capisce cosa sia il femminicidio picchiata dal compagno dice: “Voglio tornare con lui”

N.b 
per  chi leggerà  il mio commento \  premessa NON SONO misogino od  odio le donne , ma    solo certi loro  comportamenti  strani e contraddittori

 chi le  capisce  le donne  prima fanno tanto le "preziose" ( posizione più o meno comprensibile  )    anche se   a  volte    quando  gli chiedi :   il numero di cellulare  ( prima  che esistessero \  prendessero il sopravvento  le  chat  e le video chiamate  )  o  una  videochiamata per  parlarci dal vivo   ,  o  se  sono  tue compaesane  o dei dintorni   gli chiedi  ( sui  facebook  o  al cellulare  o  a  voce  )   senza nessun  scopo recondito  di uscirci  a prendere  qualcosa o  vedere un film o  un altro spettacolo  .Ovviamente  senza  generalizzare perché  non tutte   per  fortuna smileysmiley non  sempre    sono   cosi in quanto  le donne  




 Ma   spesso  succedono fatti come quelli  narrati sotto  


Infatti     leggo su  ilfattoquotidiano questo  interessante  articolo  
La sera del 19 maggio qualcuno ha cercato di introdursi nella sede del centro anti-violenza ‘Artemisia’ di Firenze e non riuscendovi  ha dato alle fiamme una porta finestra.  Il pericolo di incendio è stato scongiurato dall’intervento di una operatrice che stava cominciando il turno direperibilità.Da tempo le operatrici  di ‘Artemisia’ ricevono ingiurie, minacce di violenza e di morte. Il centro anti-violenza fiorentino era  stato preso di mira anche  sul web ricevendo invettive violente e intimidazioni da gruppi misogini. Artemisia non è però l’unico caso. Altri centri hanno ricevuto minacce e subito atti vandalici.In passato il centro anti-violenza ‘Linea rosa’ di Ravenna e la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna subirono effrazioni nella loro sede e atti vandalici. Due anni fa una volontaria di ‘Demetra’ venne minacciata di essere uccisa e buttata in un sacco dell’immondizia: “So chi sei e dove abiti”, le disse l’ex compagno di una donna che aveva denunciato le violenze subite. Ma l’episodio più grave risale all’ottobre del 2007, quando, nel tribunale di Reggio Emilia, Giovanna Fava, allora presidente e avvocata del centro anti-violenza ‘Nondasolaviene ferita mentre patrocinava in tribunale la causa di una donna vittima di violenza.  L’ex marito, accusato di maltrattamenti nei confronti della moglie, durante l’udienza le spara e poi uccide la moglie stessa e il cognato. E ancora, le minacce alla legale del centro anti-violenza  ’Le melusine‘ di L’Aquila dopo  un processo per stupro.Quanto è accaduto ad Artemisia e agli altri centri deve tenere alta l’attenzione delle istituzioni perché le operatrici dei centri, oltre a operare in difficoltà per gli scarsi aiuti ricevuti da parte di tutti i governi che si sono succeduti, sono esposte a rischi continui.Le risposte della politica continuano a sembrare inappropriate o demagogiche. Preoccupa sentir parlare di task force e braccialetti anti-stalking da parte dei ministri della Repubblica e delude la scelta della titolare delle Pari opportunità Iosefa Idem di  incontrare, il 22 maggio, decine di associazioni impegnate nel contrasto alla violenza di genere e alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale. Una riunione fiume che durerà dalle 9 alle 17  in cui ogni associazione avrà cinque minuti di tempo per presentare richieste ed esporre criticità. Cinque minuti! Le risposte politiche continueranno a essere inadeguate se i problemi non saranno affrontati nel rispetto delle differenti specificità e con interventi mirati. E quali specificità è possibile ascoltare e comprendere in cinque minuti? Inoltre il rinnovo del Piano nazionale  anti-violenza è ancora in alto mare. La politica è latitante anche per contrastare il degrado culturale che stiamo vivendo in Italia, con rigurgiti di razzismofondamentalismo cattolico, sessismo e misoginia.Il problema della violenza contro le donne viene trattato ancora da  troppi intellettuali (che avrebbero la responsabilità di sensibilizzare e far riflettere l’opinione pubblica), come qualcosa che riguarda patologie o emarginazione sociale. Quante volte abbiamo letto che il problema dellacultura del femminicidio in Italia è enfatizzato? C’è ancora chi nega l’impatto culturale dilinguaggio e immagini violente e umilianti nei confronti delle donne, purtroppo molto utilizzate dai mass media e dalla pubblicità. E c’è ancora chi normalizza il femminicidio, tacciando chi ne parla di “bigottismo” e “moralismo”: due paroline magiche per rimuovere il problema.

Poi  invece  c'è  chi , sempre  dallo  stesso  giornale  ,  come Rosaria  Aprea   o   come dico  nel titolo  ama troppo  il suo  uomo  o  è succube  di lui  
Era il 1987 e negli Stati Uniti la psicoterapeuta Robin Norwood pubblicava il libro che da quell’anno in poi sarebbe stato uno dei best seller più diffusi al mondo, secondo il New York Times: “Donne che amano troppo” (Feltrinelli editore).
Rosaria Aprea in una foto dal profilo Facebook
Tradotto in quasi tutte le lingue, seguito da rimaneggiamenti e aggiornamenti nel corso del tempo, questo libro resta una pietra miliare per affrontare, decodificare e cercare di risolvere quel groviglio spaventoso e abissale di sentimenti che in molte donne prende il nome di “amore” verso un uomo violento, e che è in realtà una forma profonda di dipendenza“Donne che amano troppo” è un testo che dovrebbe essere in ogni scuola, e che specialmente in famiglia non dovrebbe mancare dagli scaffali delle librerie domestiche. Ma, per restare con i piedi per terra, si deve sapere che nel nostro Paese si legge poco, e che nonostante gli sforzi ammirevoli di chi fa politica culturale si è ben lontani dal mettere la lettura, e questo tipo di lettura, ai posti apicali dellepriorità educative.Mentre in Italia, infatti, si discute di femminicidio, fronteggiando come primo ostacolo proprio il negazionismo di molti (e molte) che si ostinano a questionare sulla legittimità del neologismo,l’intervista de Il Corriere del Mezzogiorno alla 20enne di Caserta massacrata di botte il 15 maggio dal fidanzato è materiale drammaticamente attuale e importante per ragionare sulla connivenza, lacomplicità e il sostegno femminile alla cultura patriarcale sulla violenza. La giovane, alla quale è stata asportata la milza perché spappolata dalle percosse subite dal compagno Antonio Caliendo, già in passato denunciato per le botte inflitte alla stessa ragazza, è stata intervistata dal quotidiano e, ancora ricoverata in Chirurgia d’urgenza all’ospedale civile di Caserta, ha detto: “Io non voglio che Antonio resti ancora chiuso lì dentro (in prigione, ndr). Lo so che non si è reso conto di quello che mi ha fatto e voglio tornare con lui“.Nell’intervista Rosaria Aprea recita un rosario di scuse già visto molte volte: nega le botte in un surreale cortocircuito dell’evidenza, visto che Caliendo è accusato di tentato omicidio, date le conseguenze dei calci sul suo corpo; si dice preoccupata del fatto che il fidanzato sia rinchiuso in cella, ritira la denuncia contro l’uomo, che per fortuna, vista l’entità delle percosse e il comportamento recidivante, resta in carcere perché comunque il reato è procedibile d’ufficio.“Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo. Amare troppo è calpestare, annullare se stesse per dedicarsi completamente a cambiare un uomo ‘sbagliato’ per noi che ci ossessiona, naturalmente senza riuscirci – scrive Robin Norwood – Amare in modo sano è imparare ad accettare e amare prima di tutto se stesse, per potere poi costruire un rapporto gratificante e sereno con un uomo ‘giusto’ per noi. Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua indifferenza o li consideriamo conseguenze di una infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo. Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo. A dispetto di tutta la sofferenza e l’insoddisfazione che comporta, amare troppo è una esperienza tanto comune per molte donne che quasi siamo convinte che una relazione intima debba essere fatta così”.Le parole della Norwood, scritte nel 1987, rimbalzano a distanza di 25 anni come attualissima e lucida analisi su come sia urgente non smettere di sottolineare che la violenza contro le donne va prima di tutto riconosciuta come tale: se, infatti, le ventenni e i ventenni di oggi non sono in grado di percepire la differenza tra ardore e sopruso, tra passione e prevaricazione, e tra amore e morte, questa confusione ignorante è la prima emergenza da affrontare. Subito
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emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...