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4.3.09

Se l'Occidente vuole la pace, deve digiunare



SS_Kuwait91_fallenSebastiao Salgado, Workers

Fallen worker: A fire fighter from the Safety Boss team knocked unconscious
by a blast of gas from the wellhead. Greater Burhan Oil Field, Kuwait, 1991



Torno ad un mio post di qualche tempo fa, solamente per aggiornare alcune cifre: l'ente di ricerca americano National Priorities ci fornisce, qui, un aggiornamento sul costo della guerra in Iraq.
Per contrasto, il sito degli Obiettivi del Millennio (MDGs) delle Nazioni Unite, tra i quali il principale è naturalmente sradicare la povertà e la fame, ha invece pubblicato di recente il Rapporto 2008, di cui segnalo uno stralcio.


(...) Continua su Le coordinate galat(t)iche.

5.11.08

Hussein, da non credere!


Ho puntato la sveglia alle 5,30 e sono stato fortunato. Così ho visto in diretta Jesse Jackson ascoltare Obama in silenzio, immobile, mentre le lacrime gli rigavano il volto. E sul quel viso c'era Martin Luther King, Angela Davis, Nelson Mandela. Ho seguito il discorso di McCain, dignitoso e rispettoso della contesa. Laggiù quando si perde non si invocano i brogli. Poi Obama. Già. E così mentre in Italia si faranno classi separate per bianchi e diversi dal bianco, negli Usa eleggono presidente un uomo nato a Honolulu da padre Kenyota, vissuto da piccolo in Indonesia. Che di nome fa Barack Hussein! Insomma una svolta epocale. E siccome al di là dei massimi sistemi si vive anche di piccole soddisfazioni, stamattina davanti al caffè ho immaginato il cattivo risveglio di Borghezio, Boso, Calderoli, Castelli, Bossi e compagnia. Gentaglia che siamo riusciti a mandare al governo del nostro paese. E il prode Gasparri che non si è risparmiato la cialtronata giornaliera (Al Qaeda sarà contenta). E che dire di quel pirlone di ministro degli esteri che si è affrettato a dire che tra Obama e il suo capo ci sono molte similitudini. Certo, come tra la Gioconda e Cicciolina. Per compiacere il cavaliere c'è chi mangerebbe sterco e direbbe che sa di cacao. Non so se Obama cambierà il mondo. So però che non sarà più il mondo del gruppo di texani che stava attorno a Bush e che la maggioranza degli americani ha già consegnato alla storia definendoli "vecchi scemi bianchi". Barack Hussein. Che giorno quel 5 novembre 2008!




Raffaele Mangano



21.5.07

Senza titolo 1842

finalmente   dopo tante angherie   da  parte degli Usa   l'italia  si prende una bella  rivincita 



VALENCIA - Luna Rossa torna in finale con un capitano napoletano: Francesco De Angelis. L’obiettivo minimo è raggiunto. Con James Spithill al timone la barca di Patrizio Bertelli straccia Bmw Oracle: è di 5-1 il verdetto definitivo.E per la prima volta gli americani sono fuori dai giochi. Negli oltre 150 anni di storia della ‘brocca’ piu’ famosa del mondo non era mai successo. Per Bmw Oracle, che aveva il budget più grande e si sentiva la barca da battere, è delusione pesantissima. La finale della Louis Vuitton, per non parlare della sfida con Alinghi per la Coppa America, gli americani la vedranno in tv.

24.5.06

Muri

“Racconta la leggenda che Romolo tracciò sul Palatino un lungo solco sul quale far erigere una cinta muraria così alta e potente che nessun nemico avrebbe osato oltrepassarla. Remo oltrepassò il solco appena tracciato, schernendo il fratello per la presunzione. Questi, preso dalla rabbia, uccise il fratello e su quel sangue eresse il suo futuro regno”.

 

Muri, barriere, sbarramenti. Da sempre e ancora. Muri che dividono, che separano, alimentando odio e incomprensioni. Ma anche muri che occultano, nascondono, sottraggono alla vista i problemi…muri per non vedere, né sentire il grido di protesta ed il dolore degli altri popoli. E ancora muri…di omertà e silenzio, di reticenza e paura Muri di incomunicabilità e di incomprensione, barriere di disprezzo e indifferenza, di infamia e intolleranza.

 

Ricordo quel giorno, nel lontano 1989, quando vidi distruggere, insieme a milioni di telespettatori, il lungo e infamante muro di Berlino costruito durante la Guerra Fredda tra Unione Sovietica e Stati Uniti . Era stato eretto da 60.000 soldati tra il 12 e il 13 agosto 1962 lungo un tracciato di 160 chilometri. Quella barriera, alta 4 metri, finì per separare un popolo sottomettendolo ai propri fini politici ed economici. Migliaia di famiglie rimasero divise per diversi decenni, vivendo l’orrore ed il dolore di quella lacerazione. Molti tentarono di oltrepassare il muro, pochi ci riuscirono, altri persero la vita sotto i proiettili delle guardie o sui campi minati della Germania Est. Riassumere in poche parole l’emozione di quel giorno è impossibile. Ogni picconata data aumentava la nostra euforia e ci abbiamo creduto che quella fosse una data che avrebbe segnato un’epoca. Eravamo orgogliosi testimoni di un evento storico mondiale e speravamo che da quelle macerie sarebbe sorto un mondo migliore!

 

Ma gli uomini non hanno memoria. Non sanno mettere in atto gli insegnamenti che la Storia consegna loro ed al passato si rivolgono solo quando fa comodo. Così, nel mondo si continuano ad erigere muri, senza che l’opinione pubblica registri nemmeno più l’evento. Rientra nelle normalità, nella quotidianità mediata dai telegiornali. Io ci voglio provare a renderli visibili. Non è una gran cosa, probabilmente non servirà nemmeno a niente. Li citerò a caso, così come vengono…senza un ordine cronologico. Sono molti. Troppi. Così saranno l’occasione per una serie di post sull’argomento e per avviare una riflessione sul dramma dell’immigrazione.

 

Comincio da Ceuta e Melilla, due piccole enclave spagnole in Marocco, trasformate in basi militari per la posizione strategica che occupano nel Mediterraneo. Nel 2000, l'Unione Europea ha stanziato 300 milioni di Euro per la costruzione di una barriera di filo spinato elettrificato al confine tra le enclave spagnole e il Marocco, con lo scopo di contenere l'immigrazione clandestina. Le misure legislative anti-terrorismo hanno agevolato l’applicazione di queste misure restrittive che, in palese violazione di tutte le convenzioni internazionali per i diritti umani, riducono a zero le misure di accoglienza. Questo rende ‘accettabile’ che la polizia di frontiera spagnola spari su civili inermi che tentano di entrare in EuropaIl Marocco, nel 2002, ha chiesto ufficialmente davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la restituzione della sovranità sulle due enclavi, ma per adesso non c’è nessuna novità. Le due cittadine costituiscono l’ultima frontiera meridionale tra Europa e Africa e, proprio per questo motivo, vengono prese d’assalto dai disperati di turno che tentano di fuggire dagli scenari di guerra, fame e miseria africani. Nella zona di Melilla c’è una radura chiamata Pinares de Rostrogordo, dove la rete di recinzione è alta solo tre metri. Nella boscaglia vivono centinaia di famiglie che bivaccano in attesa dell’occasione buona e, quando credono di notare un allentamento della sorveglianza, escono correndo dalla boscaglia e assaltano la rete con tutto quello che capita: scale, corde, ramponi, rami d’albero. Ma la recinzione è dotata di sofisticati strumenti di controllo e i gruppi vengono immediatamente individuati , ricacciati indietro, braccati come cani, inseguiti con gli elicotteri, pestati. Viene loro stracciato il documento di identità, a cancellare non solo un’identità, ma qualsiasi velleità di fuga futura!

17.5.06

Messico

Adelante Giorgio, si puedes. Con juicio”

In un discorso alla nazione Bush delinea un nuovo piano per arginare l’immigrazione clandestina dal Messico, piazzando alla “Frontera” seimila  soldati della Guardia Nazionale che dovrebbero collaborare con i circa 12.000 della Guardia di frontiera Tremiladuecento chilometri di confine presidiati a sconfessare, se ancora ce ne fosse il bisogno, l’elasticità del concetto di democrazia made in Usa. Bel salto di qualità. Il sogno a stelle e strisce si infrange, svanisce il mito del Grande Paese che accoglie “le masse stanche, oppresse e affamate” . La terra della libertà e delle mille opportunità si è persa, forse proprio in quel tragico 11 settembre quando, insieme alle Torri gemelle, andò in fumo anche il senso di onnipotenza e di sicurezza che aveva accompagnato gli Stati Uniti fino ad allora.

 

Ora Bush intende erigere un muro umano ed elettronico intorno alla nazione, inneggiando alla difesa dell’identità nazionale. Un’identità che si configura come un atto di razzismo molto forte, visto che il termine di riferimento è la sola popolazione bianca, anglofona e protestante. Con questa strategia Bush parla un po’ a tutti i suoi potenziali elettori che reclamano provvedimenti più severi per impedire a frotte di messicani di attraversare clandestinamente i confini. Ma, con un evidente atteggiamento cerchiobottista, non tralascia di dare un contentino anche alle migliaia di immigrati e ispanici che, in aprile, hanno manifestato nelle piazze, rivendicando il loro “orgoglio” latino. Sono voti sui quali mettere le mani…un bottino considerevole visto che, ad una stima approssimativa, la comunità ispanica si aggira intorno ai 40 milioni di persone! [leggi tutto]

31.3.06

Senza titolo 1213

Ecumenici



Leonhard Ragaz



http://ecumenici.altervista.org/html/  (si chiede di citare anche il sito in caso di diffusione sul web)  Numero curato da Augusta De Piero, insegnante volontaria in Palestina







eciale Palestina





 



Bet_GateWall



 



Ho fotografato la breccia nel muro, ancora senza porta, lo scorso aprile 2005. Era venerdì, una mattina presto: la giornata festiva per i mussulmani garantiva un minor affollamento e quindi maggior tranquillità. Non c’era la jeep dei militari che spesso stazionava alla porta: i militari non amano le fotografie.Ho aspettato che passasse qualcuno; ho scattato la mia fotografia e me ne sono andata. Ogni volta che guardo le figurette di quella donna con la sua bambina riprovo il gelo che sentii allora, mentre cercavo di riprenderle e assieme di non lasciarmi sfuggire tutti gli otto metri di cemento armato che le sovrastavano.Betlemme, da dove venivano, era alle loro spalle…Avevano dovuto abbandonare il mezzo con cui erano arrivate fin là qualche centinaio di metri più a sud.
Se avranno superato il check point, qualche centinaio di metri più a nord, si saranno trovate sulla strada per Gerusalemme, obbligate a trovare un altro fortunoso mezzo di trasporto. Se la loro meta era Gerusalemme (distante meno di 10 km.) l’avranno raggiunta nel tempo di un’ora o forse più, se così voleva il soldato al check point.
La strada che avrebbero potuto percorrere prima della seconda intifada (che iniziò il 28 settembre del 2000 come reazione della famosa passeggiata di Sharon sulla spianata delle moschee, accompagnato da una “scorta” numerosissima: si dice che i soldati che lo proteggevano fossero più di mille) collegava direttamente Gerusalemme ed Hebron, sfiorando il colle su cui sorge Betlemme.
Ora quella strada è stata resa ben più scorrevole, ma è accessibile solo alle “targhe gialle” (automobili di cittadini di Israele, anche se risiedono da coloni nei Territori palestinesi). Anche la tomba di Rachele, la matriarca della tradizione biblica, morta nel partorire Beniamino, che si trova alle spalle delle due donne della foto, circondata da un suo privato muro (a Betlemme i muri si inanellano) è inaccessibile ai Palestinesi. Così di quella tomba racconta la Bibbia: “Poi partirono da Betel. C'era ancora qualche distanza per arrivare a Efrata, quando Rachele partorì. Ella ebbe un parto difficile.  <…> Rachele dunque morì e fu sepolta sulla via di Efrata, cioè di Betlemme. Giacobbe eresse una pietra commemorativa sulla tomba di lei. Questa pietra commemorativa della tomba di Rachele esiste tuttora” (Genesi 35:16 - 20) .
Un tempo, nel piccolo edificio che ospita una tradizione, segno di una memoria non più condivisa, si recavano anche le donne mussulmane a chiedere aiuto per un buon parto: ora lo possono fare solo le ebree. Alcune palestinesi invece sono morte di parto e soprattutto sono morti parecchi neonati per i blocchi imposti ai check point.
Il passaggio che vediamo nella fotografia dallo scorso novembre non esiste più: è stato sbarrato da una porta metallica che si apre elettronicamente. Ora coloro che escono da Betlemme non trovano più il check point, di cui ho un disgustato ricordo, ma devono attraversare la zona orribilmente tecnologica. Per accedervi devono oltrepassare una nuova porta, poche decine di metri ad est dell’altra, accanto ad una minacciosa torretta. Quando il l’ho fotografata non aveva il cancello controllabile elettronicamente che ora la sbarra.



 





 



Bethlehem Wall



 



Così mi hanno descritto quel passaggio amici betlemiti:
”   Diretta a Gerusalemme, JJ varca con un certo scetticismo la piccola porta riservata ai pedoni e inizia un lungo, intricato percorso nel nuovo sistema di controlli ora in vigore. Molte altre persone attendono che venga loro concesso di passare e formano una lunga coda, attendono pazientemente (la pazienza palestinese é ormai famosa, dato il gran numero di controlli che devono subire), quasi muti, allibiti, resi ancor più minuscoli dall’impianto ad alta sicurezza che sta loro davanti. Si avanza uno alla volta, dopo aver sentito l’urlo del soldato, e solo quando si accende la luce verde; si varca la prima porta, poi la seconda, poi la terza, porte a ruota, come nelle carceri; si depositano tutti gli effetti personali; agli uomini viene intimato di togliersi la giacca, la camicia, la cintura dei pantaloni, si ordina loro di scuotere i pantaloni; ai bambini che in fila aspettano pazientemente di poter andare a scuola, viene chiesto di vuotare le tasche e lo zaino: quaderni, matite, colori… tutto viene sparso e fatto scivolare all’interno delle grosse macchine che ispezionano accuratamente ogni più piccolo oggetto”. So che queste descrizioni possono sembrare noiose ma so anche che a volte viene facilitato il passaggio di pellegrini e turisti “importanti” che poi portano in Italia impropri ricordi, finalizzati a rendere incredibile il tormento quotidiano dei Palestinesi. E questi privilegiati ricordi non ci aiutano a capire perché Betlemme è considerata una prigione a cielo aperto. Augusta De Piero



 



 



 



Arrivare a Betlemme….



 



 




Se è difficile entrare e uscire dalle città palestinesi, soffocate del muro che si avvita su se stesso come un serpente, è difficile, per i Palestinesi naturalmente, anche arrivarvi.Infatti in quella minuscola terra  - più piccolo della Lombardia lo stato di Israele, di estensione minore del Friuli-Venezia Giulia la Cisgiordania e striscia di Gaza insieme - c’è una doppia rete viaria: scorrevole quella che serve ai coloni (ai cittadini di Israele che non risiedono nei Territori è vietato recarvisi dalle stesse autorità israeliane), spezzata da blocchi che impediscono di percorrere un lungo tratto con lo stesso mezzo di trasporto, quella palestinese..Nel distretto di Betlemme, vicino alla cittadina di Beit Jala c’è uno strano check point. Si trova in località Al Khadr dove la strada che collega Hebron a Gerusalemme (la cosiddetta main road) taglia irrimediabilmente il territorio betlemita





 



Main road_Gilo



 



Sul fondo è visibile l’insediamanteo di Gilo che strozza – insieme ad Har Homa che gli sta di fronte -






il passaggio dalla Cisgiordania del Nord alla Cisgiordania del Sud”.Altre strade che la raggiungono riducono il territorio a uno strano mosaico: muovono infatti dalle numerose basi militari imposte nel territorio cisgiordano e si immettono nella main road per consentirvi il rapido arrivo di soldati in caso di necessità.Oltre quella strada ci sono alcuni villaggi palestinesi di antica origine(Battir, Husan, Wadi Foqin e Nahhalin),  non a caso sorti in una zona ricca di sorgenti. L’acqua che ne sgorga, ora deve servire non solo al consumo dei nativi e all’irrigazione di orti e frutteti ma anche alla città di Betar Illit. un grosso insediamento posto in mezzo ai villaggi e collegato alla scorrevole main road che porta i coloni direttamente a Gerusalemme.I palestinesi però che volessero raggiungere Betlemme, dove si trovano uffici, scuole, ospedali  ecc. ecc., possono solo avvicinarsi alla main road, abbandonare il mezzo di trasporto, avventurarsi in carrarecce da a cui è stato strappato l’asfalto e dove grandi buche e avvallamenti impediscono il percorso alle automobili. Infatti se i villaggi, ridotti a bantustan, sono amministrati dall’Autorità palestinese (appartengono a quel territorio che il trattato di Oslo definì zona A) il territorio che li separa da Betlemme, pur se in palestinese, è ad amministrazione israeliana (zona C) L’attraversamento necessario della main road non prevede semafori: avviene a rischio e pericolo dei pedoni che devono anche subire la beffa di doversi difendere dai rischi dello scorrimento veloce delle automobili a targa gialla, negato alle loro con targa verde..



 





 



AlKhader_due strade



 






 A fianco del percorso palestinese sono visibili i segnali stradali che appartengono alla main road. Sul fondo dell’immagine sono visibili i cumuli di terra creati come ostacoli, che devono necessariamente venir scavalcati e che nei mesi di pioggia diventano un indescrivibile pantano.
Superato (e, per esperienza personale, assicuro faticosamente) il primo tratto bisogna, prima di attraversare la main road e affrontare un altro percorso simile a quello descritto, superare un fossatello, scavato apposta, che bisognerebbe scavalcare con un balzo se qualcuno non avesse pietosamente ammucchiato un po’ di sassi, sormontati da quello che sembra il vecchio piatto di una doccia. Naturalmente anche qui il passaggio è possibile solo per una persona alla volta, purché si tratti di persona dall’autonoma mobilità.
 





 



AlKhader_fossato



 







Sono rimasta molto colpita dalla dignità con cui la signora (che aveva accettato di venir fotografata), superava,tradizionalmente abbigliata,
il ponticello che tutto è fuorché provvisorio: un manufatto più idoneo probabilmente verrebbe distrutto
.Tutta la situazione è assurda: il passaggio dai villaggi alla città è naturalmente molto praticato: ho incontrato un anziano che si appoggiava a due bastoni per andare in ospedale a curare l’ernia al disco, bambini che andavano a scuola, lavoratori di ogni tipo, chi in tuta, chi in giacca e cravatta..



 





 



AlKhader_folla



 



Si possono incontrare anche donne che portano sulla testa  cesti di frutta o verdura per venderli a Betlemme. Gli orti dei villaggi producono ortaggi e frutta di ottima qualità, ma il trasferimento dei prodotti da quello che da secoli è il luogo di produzione alla città può avvenire solo sotto forma di trasporto personale. Se i prodotti agroalimentari vengono trasferiti oltre i confini della West Bank devono essere affidati alla responsabilità di Israele: il controllo confinario della West Bank appartiene infatti allo stato di Israele, con tutti i vantaggi e i problemi che ne possono conseguire; uno fra tutti, la questione dei rimborsi delle imposte doganali di cui si è parlato dopo la contestata vittoria elettorale di Hamas.Solo il breve confine fra Gaza e l’Egitto ha da pochissimo tempo, dopo l’uscita dei coloni dalla Striscia, un controllo internazionale. Speriamo funzioni per quel che può! Si è detto, da parte del nuovo governo israeliano, che invece il confine fra i Territori e la Giordania (anche se appartiene alle conquiste del 1967, mai riconosciute dall’ONU come stato di Israele) resterà sotto il loro controllo: la valle del Giordano, ricca di acque, è parte troppo ghiotta per venir riconsegnata.



 





 



 



 





emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...