E' proprio vero che il tempo è galantuomo .Strano che che choi diceva che non era vero che s'era dimesso e che l'elezione di Bergoglio \ papa fracesco fosse illeggittima e il vero papa pontefice fosse benedetto XVI , stiano zitti e muti
Infattti è notizia di questi giorni che è stata trovato un documento inedito una lettera inedita (del 2014) di Benedetto XVI che spiega il perché delle dimissioni: piena validità di rinuncia e Conclave successivo.
Pubblicato 8 Agosto 2025
Benedetto XVI, lettera inedita su dimissioni: “mia rinuncia valida”/ Papa Ratzinger: “ci pensò anche Wojtyla”

Papa Benedetto XVI nel 2016 in Vaticano (ANSA, Osservatore Romano)
Da quel 11 febbraio 2013 il mondo intero, non solo la Chiesa Cattolica, si sono interrogati sul perché delle dimissioni dal Pontefice di Benedetto XVI: i suoi quasi 10 anni di ritiro dopo la storica rinuncia del ministero petrino nel ruolo di “Papa Emerito” ne hanno come acuito un senso di mistero, dando adito anche a diverse teorie sulle possibili cause
È però una lettera inedita comparsa in questi giorni, autografata da Papa Benedetto XVI nel 2014, a ribadire con orza che la sua scelta non sarebbe dipesa da alcun caos interno alla Chiesa dell’epoca, ma solo per le sue condizioni di animo e corpo. Non solo, nello scritto pubblicato da Nicola Bux nel suo ultimo saggio – e datato 21 agosto 2014 – Joseph Ratzinger sottolineava che la sua è stata una rinuncia «piena e valida».La lettera inedita di Benedetto XVI tenderebbe così a confermare ancora una volta che le sue dimissioni dal Ministero petrino furono valide e che dunque il Conclave successivo, dove venne eletto Papa Francesco, fu del tutto regolare. Lo scritto è stato all’epoca indirizzato a monsignor Nicola Bus che ora nel suo ultimo libro appena pubblicato riporta integralmente quella lettera scritta dopo che lo stesso sacerdote aveva scritto al Pontefice per esprimere tutti i propri dubbi sulla liceità ed effettiva validità della rinuncia avvenuta con la “Declaratio” di Ratzinger durante il Concistoro del febbraio 2013.«Dire che nella mia rinuncia avrei lasciato “solo l’esercizio del ministero e non anche il munus” è contrario alla chiara dottrina dogmatica-canonica»: Benedetto XVI ribadisce che nelle sue dimissioni vi la piena rinuncia tanto al “ministerium”, quanto al “munus” di Pietro, ovvero che con quella rinuncia è stato lasciato sia l’esercizio pratico che il suo ufficio da Pontefice di Santa Romana Chiesa. Addirittura
Ratzinger in quella lettera chiarisce come siano assurde le speculazioni avanzate da “storici e altri teologici”, che «secondo me non sono veri storici e neppure teologi».
LA LETTERA DI BENEDETTO XVI E IL “PENSIERO” DI SAN GIOVANNI PAOLO II AD UNA POSSIBILE RINUNCIA
Nel corso degli anni dopo le storiche dimissioni di Benedetto XVI venne ripercorso più volte l’effettiva validità di quella scelta dal punto di vista canonico, con il Papa Emerito che già in più occasioni spiegò di aver lasciato per l’incapacità di tenere il vigore di cuore e animo nel gestire l’ingente Ministero affidato dal Conclave dopo la morte di San Giovanni Paolo II. In questa lettera datata 2014, dunque un anno dopo l’ingresso nel Monastero interno ai giardini vaticani, viene spiegato dal Santo Padre tedesco che è canonicamente e dogmaticamente possibile che il Papa «rinunci liberamente» e che tale «valga pienamente, lasciando l’ufficio e tutto quanto connesso ad esso».Le dimissioni di Papa Benedetto XVI l’11 febbraio 2013 frame dal video RaiPlay i cui annunciava le sue dimmissioni )
Nel corso della lettera pubblicata dal libro di Bud integralmente si ripercorre anche il fondato “parallelismo” che intercorre tra le dimissioni di un Vescovo diocesano e quelle del Vescovo di Roma, ovvero il Pontefice: la scelta della rinuncia è legittima, tanto che – rivela Benedetto XVI – anche Papa Wojtyla prese in considerazione l’idea delle dimissioni avvicinandosi al suo 75esimo compleanno e con le sue condizioni di salute molto precarie. «Ha seriamente riflettuto se non sarebbe corretto ritirarsi dal suo ministero petrino», si legge nella lettera oggi presente su molti dei quotidiani italiani, a cominciare dal “Corriere della Sera”.
Sebbene Ratzinger riconosca – come all’epoca fece San Giovanni Paolo II – che vi è una lettera differenza pastorale tra i due tipi di vescovi, è anche doveroso che il Santo Padre ne tenga sempre conto davanti a Dio e alla Chiesa. Nel libro viene indicata oltre alla lettera anche la fotocopia dell’invio ufficiale dal Vaticano, per confermare non si tratti di un falso o di uno scritto fake: come spiega “La Nuova Bussola Quotidiana”, la scelta di Bux di pubblicare tale lettera ora, 2 anni dopo la morte di Ratzinger, è per non alimentare con il Ponte il Pontefice ancora in vita ulteriori polemiche, divenendo “strumento di inutili e feroci critiche”.
------
Allla faccia di chi dice che nonesistono gli incroci ed ancora coltiva la purezza . Essi esistono in natura vedere notiza riportata sotto e quindi anche nell'uomo
da https://www.geopop.it/ tramite msn.it
Vi siete mai chiesti da dove arrivano le patate? Penserete che non sia una domanda da perderci il sonno, eppure la misteriosa origine di questi tuberi ha affascinato (ed è proprio il caso di dirlo, tenuto svegli) moltissimi ricercatori. La risposta arriva dallo studio del dott. Zhiyang Zhang e il suo team dell’Accademia Cinese delle Scienze Agrarie a Shenzhen, pubblicato su Cell il 31 Luglio. Non ci sono dubbi: la patata discende dal pomodoro! La ricerca ha decretato che l’antenato delle patate moderne (chiamato Petota) è un ibrido nato 9 milioni di anni fa dall’incrocio tra gli antenati dei pomodori (Tomato) e un gruppo di piante chiamate Etuberosum. Questo affair tra le due piante ha portato allo sviluppo di una caratteristica fondamentale, il tubero, una sorta di magazzino di nutrienti e acqua che ha permesso alla Petota di sopravvivere e proliferare fino a creare una propria linea di discendenti: le moderne patate.
Come mai ci si è chiesto da dove vengono le patate?
Tutto è partito da un’osservazione: la pianta di patate (Solanum tuberosum) assomiglia fisicamente a un gruppo di piante dell’America Latina, in particolare in Cile, conosciute con il nome di Etuberosum. Entrambe sono piante geofite,
cioè fanno crescere organi sotterranei necessari a far germogliare una nuova pianta, permettendogli così di riprodursi senza bisogno di semi: stoloni per le patate, rizomi per le Etuberosum. Queste ultime però non producono tuberi.
Secondo analisi filogenetiche, che ricostruiscono le parentele tra piante e confrontano i loro alberi genealogici, le patate sembrerebbero però più imparentate con i pomodori, nonostante la somiglianza fisica con l’Etuberosum. Questa incongruenza ha insospettito i ricercatori. In realtà, potevamo immaginare che fossero tutte e tre parenti dal fatto che appartengono alla stessa famiglia, le Solanaceae, ma nessuno si sarebbe aspettato che addirittura discendessero l’una dall’altra.
Come hanno capito che la patata discende dal pomodoro
Analizzando il genoma di 450 patate coltivate e 56 specie selvatiche, i ricercatori hanno scoperto che tutte condividono la stessa struttura genetica a mosaico, composta da una miscela stabile e bilanciata di geni provenienti dall’Etuberosum e dal pomodoro, suggerendo appunto che queste due piante siano i genitori della Petota. Circa il 60% del patrimonio genetico della patata arriva dall’Etuberosum, e circa il 40% deriva dal pomodoro.
Un incrocio col pomodoro ha dato vita alle patate: i capolavori dell’evoluzione
Ecco l’inghippo: perché c’è più DNA dell’Etuberosum, ma le analisi filogenetiche dicono che patate e pomodori sono parenti più stretti? Si tratta di guardare non solo alla quantità di patrimonio genetico, ma anche all’architettura del genoma, all’ordine e sequenza in cui sono messi i vari geni e quanti e quali sono funzionali: in questo, patate e pomodori sono molto più simili di patate ed Etuberosum. È una questione di qualità e di come viene usato il DNA, non solo di quantità.
Come si è formato il tubero
La domanda successiva è: come è nato il tubero, un organo del tutto nuovo che le piante genitrici non hanno? Grazie all’interazione e combinazione di geni specifici si sono formate nuove interazioni genetiche che hanno permesso la formazione dei tuberi. I geni fondamentali che hanno portato alla formazione del tubero come rigonfiamento degli stoloni arrivano da entrambe le piante genitrici.
Dai pomodori arriva il gene SP6A, una sorta di interruttore che indica alla pianta quando iniziare a produrre il tubero. Dall’Etuberosum arriva invece il gene IT1 che coordina la crescita degli stoloni da cui si formeranno i tuberi. La cosa interessante è che presi singolarmente non bastano: senza uno dei due, il tubero non si sarebbe formato, non sarebbe nata la nuova specie Petota e in definitiva non avremmo le patate che conosciamo oggi.
La “killer application” delle patate: tubero e tempismo perfetto
Come molti ibridi tra specie molto diverse e lontane tra loro, la Petota era poco fertile, con scarse probabilità di sopravvivenza. Ma il tubero, con la sua possibilità di immagazzinare nutrienti e acqua e la capacità di far germogliare nuove piante tramite riproduzione asessuata (cioè senza semi), gli ha permesso di sopravvivere e proliferare. Infatti, se dimenticate le patate nella dispensa, dopo un po’ di tempo, vedrete nascere dei germogli.
La fortuna della Petota è legata anche a un altro fondamentale evento geologico: la formazione della catena montuosa delle Ande. Questo ha portato alla comparsa di nuovi ambienti, nuove nicchie ecologiche che la patata ha potuto colonizzare con poca concorrenza. La formazione delle Ande e la specializzazione della patata a sopravvivere in un ambiente “ostile”, ha anche permesso una separazione fisica tra la Petota e le sue piante d’origine, impedendo così una nuova ibridazione all'indietro (backcrossing) con una di loro e favorendo invece la specializzazione di una nuova linea genetica, con le centinaia di patate discendenti che conosciamo oggi.
I vantaggi dell’ibridazione tra due specie diverse tra loro
La ricerca ha anche identificato un antenato comune tra i pomodori e l’Etuberosum, da cui però le due specie si sarebbero differenziate circa 14 milioni di anni fa. Dopo ben 5 milioni di anni, ormai diventate specie completamente differenti, sono però riuscite a reincrociarsi e creare l’ibrido Petota, tramite un’ibridazione interspecifica.
Questo processo di incrocio tra specie molto diverse e lontane tra loro, ribadiscono gli autori dello studio, può talvolta agire come catalizzatore evolutivo, scatenando quella che viene chiamata radiazione evolutiva, ossia la rapida espansione e diversificazione di una nuova specie, come nel caso delle patate. L’ibridazione e la formazione del tubero ha agito come una sorta di turbo che ha permesso alla Petota,l’antenato delle patate moderne, di espandersi e differenziarsi in una specie tutta sua.












