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10.8.25

diario di bordo n 140 anno III Benedetto XVI, lettera inedita su dimissioni: “mia rinuncia valida” ., Un incrocio col pomodoro ha dato vita alle patate: i capolavori dell’evoluzione-------


E' proprio  vero che  il tempo è galantuomo .Strano che  che  choi diceva   che non era  vero che  s'era  dimesso   e  che l'elezione di Bergoglio \  papa   fracesco      fosse illeggittima  e  il  vero papa    pontefice  fosse benedetto XVI , stiano zitti  e  muti  
 Infattti è  notizia  di questi  giorni    che  è  stata  trovato  un  documento inedito    una  lettera inedita (del 2014) di Benedetto XVI che spiega il perché delle dimissioni: piena validità di rinuncia e Conclave successivo. 

Pubblicato 8 Agosto 2025

Benedetto XVI, lettera inedita su dimissioni: “mia rinuncia valida”/ Papa Ratzinger: “ci pensò anche Wojtyla”

                        Papa Benedetto XVI nel 2016 in Vaticano (ANSA, Osservatore Romano)






Da quel 11 febbraio 2013 il mondo intero, non solo la Chiesa Cattolica, si sono interrogati sul perché delle dimissioni dal Pontefice di Benedetto XVI: i suoi quasi 10 anni di ritiro dopo la storica rinuncia del ministero petrino nel ruolo di “Papa Emerito” ne hanno come acuito un senso di mistero, dando adito anche a diverse teorie sulle possibili cause
È però una lettera inedita comparsa in questi giorni, autografata da Papa Benedetto XVI nel 2014, a ribadire con orza che la sua scelta non sarebbe dipesa da alcun caos interno alla Chiesa dell’epoca, ma solo per le sue condizioni di animo e corpo. Non solo, nello scritto pubblicato da Nicola Bux nel suo ultimo saggio – e datato 21 agosto 2014 – Joseph Ratzinger sottolineava che la sua è stata una rinuncia «piena e valida».La lettera inedita di Benedetto XVI tenderebbe così a confermare ancora una volta che le sue dimissioni dal Ministero petrino furono valide e che dunque il Conclave successivo, dove venne eletto Papa Francesco, fu del tutto regolare. Lo scritto è stato all’epoca indirizzato a monsignor Nicola Bus che ora nel suo ultimo libro appena pubblicato riporta integralmente quella lettera scritta dopo che lo stesso sacerdote aveva scritto al Pontefice per esprimere tutti i propri dubbi sulla liceità ed effettiva validità della rinuncia avvenuta con la “Declaratio” di Ratzinger durante il Concistoro del febbraio 2013.«Dire che nella mia rinuncia avrei lasciato “solo l’esercizio del ministero e non anche il munus” è contrario alla chiara dottrina dogmatica-canonica»: Benedetto XVI ribadisce che nelle sue dimissioni vi la piena rinuncia tanto al “ministerium”, quanto al “munus” di Pietro, ovvero che con quella rinuncia è stato lasciato sia l’esercizio pratico che il suo ufficio da Pontefice di Santa Romana Chiesa. Addirittura
Ratzinger in quella lettera chiarisce come siano assurde le speculazioni avanzate da “storici e altri teologici”, che «secondo me non sono veri storici e neppure teologi».
LA LETTERA DI BENEDETTO XVI E IL “PENSIERO” DI SAN GIOVANNI PAOLO II AD UNA POSSIBILE RINUNCIA
Nel corso degli anni dopo le storiche dimissioni di Benedetto XVI venne ripercorso più volte l’effettiva validità di quella scelta dal punto di vista canonico, con il Papa Emerito che già in più occasioni spiegò di aver lasciato per l’incapacità di tenere il vigore di cuore e animo nel gestire l’ingente Ministero affidato dal Conclave dopo la morte di San Giovanni Paolo II. In questa lettera datata 2014, dunque un anno dopo l’ingresso nel Monastero interno ai giardini vaticani, viene spiegato dal Santo Padre tedesco che è canonicamente e dogmaticamente possibile che il Papa «rinunci liberamente» e che tale «valga pienamente, lasciando l’ufficio e tutto quanto connesso ad esso».Le dimissioni di Papa Benedetto XVI l’11 febbraio 2013  frame  dal   video RaiPlay  i cui annunciava  le  sue dimmissioni )


Nel corso della lettera pubblicata dal libro di Bud integralmente si ripercorre anche il fondato “parallelismo” che intercorre tra le dimissioni di un Vescovo diocesano e quelle del Vescovo di Roma, ovvero il Pontefice: la scelta della rinuncia è legittima, tanto che – rivela Benedetto XVI – anche Papa Wojtyla prese in considerazione l’idea delle dimissioni avvicinandosi al suo 75esimo compleanno e con le sue condizioni di salute molto precarie. «Ha seriamente riflettuto se non sarebbe corretto ritirarsi dal suo ministero petrino», si legge nella lettera oggi presente su molti dei quotidiani italiani, a cominciare dal “Corriere della Sera”.
Sebbene Ratzinger riconosca – come all’epoca fece San Giovanni Paolo II – che vi è una lettera differenza pastorale tra i due tipi di vescovi, è anche doveroso che il Santo Padre ne tenga sempre conto davanti a Dio e alla Chiesa. Nel libro viene indicata oltre alla lettera anche la fotocopia dell’invio ufficiale dal Vaticano, per confermare non si tratti di un falso o di uno scritto fake: come spiega “La Nuova Bussola Quotidiana”, la scelta di Bux di pubblicare tale lettera ora, 2 anni dopo la morte di Ratzinger, è per non alimentare con il Ponte il Pontefice ancora in vita ulteriori polemiche, divenendo “strumento di inutili e feroci critiche”.


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Allla faccia  di chi dice  che nonesistono gli incroci ed  ancora  coltiva    la  purezza    .  Essi esistono  in  natura   vedere  notiza   riportata  sotto   e quindi   anche nell'uomo  

da https://www.geopop.it/ tramite msn.it 





Vi siete mai chiesti da dove arrivano le patate? Penserete che non sia una domanda da perderci il sonno, eppure la misteriosa origine di questi tuberi ha affascinato (ed è proprio il caso di dirlo, tenuto svegli) moltissimi ricercatori. La risposta arriva dallo studio del dott. Zhiyang Zhang e il suo team dell’Accademia Cinese delle Scienze Agrarie a Shenzhen, pubblicato su Cell il 31 Luglio. Non ci sono dubbi: la patata discende dal pomodoro! La ricerca ha decretato che l’antenato delle patate moderne (chiamato Petota) è un ibrido nato 9 milioni di anni fa dall’incrocio tra gli antenati dei pomodori (Tomato) e un gruppo di piante chiamate Etuberosum. Questo affair tra le due piante ha portato allo sviluppo di una caratteristica fondamentale, il tubero, una sorta di magazzino di nutrienti e acqua che ha permesso alla Petota di sopravvivere e proliferare fino a creare una propria linea di discendenti: le moderne patate.


Come mai ci si è chiesto da dove vengono le patate?

Tutto è partito da un’osservazione: la pianta di patate (Solanum tuberosum) assomiglia fisicamente a un gruppo di piante dell’America Latina, in particolare in Cile, conosciute con il nome di Etuberosum. Entrambe sono piante geofite,
cioè fanno crescere organi sotterranei necessari a far germogliare una nuova pianta, permettendogli così di riprodursi senza bisogno di semi: stoloni per le patate, rizomi per le Etuberosum. Queste ultime però non producono tuberi.
Secondo analisi filogenetiche, che ricostruiscono le parentele tra piante e confrontano i loro alberi genealogici, le patate sembrerebbero però più imparentate con i pomodori, nonostante la somiglianza fisica con l’Etuberosum. Questa incongruenza ha insospettito i ricercatori. In realtà, potevamo immaginare che fossero tutte e tre parenti dal fatto che appartengono alla stessa famiglia, le Solanaceae, ma nessuno si sarebbe aspettato che addirittura discendessero l’una dall’altra.


Come hanno capito che la patata discende dal pomodoro

Analizzando il genoma di 450 patate coltivate e 56 specie selvatiche, i ricercatori hanno scoperto che tutte condividono la stessa struttura genetica a mosaico, composta da una miscela stabile e bilanciata di geni provenienti dall’Etuberosum e dal pomodoro, suggerendo appunto che queste due piante siano i genitori della Petota. Circa il 60% del patrimonio genetico della patata arriva dall’Etuberosum, e circa il 40% deriva dal pomodoro.



Un incrocio col pomodoro ha dato vita alle patate: i capolavori dell’evoluzione

Ecco l’inghippo: perché c’è più DNA dell’Etuberosum, ma le analisi filogenetiche dicono che patate e pomodori sono parenti più stretti? Si tratta di guardare non solo alla quantità di patrimonio genetico, ma anche all’architettura del genoma, all’ordine e sequenza in cui sono messi i vari geni e quanti e quali sono funzionali: in questo, patate e pomodori sono molto più simili di patate ed Etuberosum. È una questione di qualità e di come viene usato il DNA, non solo di quantità.
Come si è formato il tubero
La domanda successiva è: come è nato il tubero, un organo del tutto nuovo che le piante genitrici non hanno? Grazie all’interazione e combinazione di geni specifici si sono formate nuove interazioni genetiche che hanno permesso la formazione dei tuberi. I geni fondamentali che hanno portato alla formazione del tubero come rigonfiamento degli stoloni arrivano da entrambe le piante genitrici.
Dai pomodori arriva il gene SP6A, una sorta di interruttore che indica alla pianta quando iniziare a produrre il tubero. Dall’Etuberosum arriva invece il gene IT1 che coordina la crescita degli stoloni da cui si formeranno i tuberi. La cosa interessante è che presi singolarmente non bastano: senza uno dei due, il tubero non si sarebbe formato, non sarebbe nata la nuova specie Petota e in definitiva non avremmo le patate che conosciamo oggi.
La “killer application” delle patate: tubero e tempismo perfetto
Come molti ibridi tra specie molto diverse e lontane tra loro, la Petota era poco fertile, con scarse probabilità di sopravvivenza. Ma il tubero, con la sua possibilità di immagazzinare nutrienti e acqua e la capacità di far germogliare nuove piante tramite riproduzione asessuata (cioè senza semi), gli ha permesso di sopravvivere e proliferare. Infatti, se dimenticate le patate nella dispensa, dopo un po’ di tempo, vedrete nascere dei germogli.



La fortuna della Petota è legata anche a un altro fondamentale evento geologico: la formazione della catena montuosa delle Ande. Questo ha portato alla comparsa di nuovi ambienti, nuove nicchie ecologiche che la patata ha potuto colonizzare con poca concorrenza. La formazione delle Ande e la specializzazione della patata a sopravvivere in un ambiente “ostile”, ha anche permesso una separazione fisica tra la Petota e le sue piante d’origine, impedendo così una nuova ibridazione all'indietro (backcrossing) con una di loro e favorendo invece la specializzazione di una nuova linea genetica, con le centinaia di patate discendenti che conosciamo oggi.
I vantaggi dell’ibridazione tra due specie diverse tra loro
La ricerca ha anche identificato un antenato comune tra i pomodori e l’Etuberosum, da cui però le due specie si sarebbero differenziate circa 14 milioni di anni fa. Dopo ben 5 milioni di anni, ormai diventate specie completamente differenti, sono però riuscite a reincrociarsi e creare l’ibrido Petota, tramite un’ibridazione interspecifica.





Questo processo di incrocio tra specie molto diverse e lontane tra loro, ribadiscono gli autori dello studio, può talvolta agire come catalizzatore evolutivo, scatenando quella che viene chiamata radiazione evolutiva, ossia la rapida espansione e diversificazione di una nuova specie, come nel caso delle patate. L’ibridazione e la formazione del tubero ha agito come una sorta di turbo che ha permesso alla Petota,l’antenato delle patate moderne, di espandersi e differenziarsi in una specie tutta sua.

29.4.25

DIARIODI BORDO N 118 ANNO III questioni di lana carina sull'errore della tomba di papa bergoglio ,Alpini partigiani e repubblichini insieme a difesa della Val d’Aosta Reparti delle Fiamme verdi e delle penne nere il 28 aprile 1945 si schierarono gli uni al fianco degli altri per impedire la conquista militare delle truppe francesi , ed altre storie

 Che questioni di caprina fa questo articolo. La scritta è leggibile,no? e allora dove sarebbe l'erroere ? Se si vogliono fare i lanacaprinosi, allora anche la U, come viene rappresentata


graficamente (non solo qui ma in tutte le scritture i lapidi , insegne , persino quella dei tribunali , la legge è un uguale per tutti ), è un errore perché sembra una V, ma essuno ha mai scritto un articolo .Evidentemente non sapevano che ... scrivere per alungare il brodo .


da msn.it

[...]
L'errore sulla lapide del Papa
Il Santo Padre aveva chiesto una lapide con l'unica scritta "Franciscvs" nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Ma proprio su quella scritta è stato fatto un errore che non è sfuggito ai fedeli. La seguenza delle lettere è disarmonica. A segnalare l'errore è il settimanale L'Espresso. Chi ha inciso Franciscus sulla lapide ha esagerato la distanza tra le lettere "R, A, e N", lasciando troppo spazio tra la terza lettera e le altre.
Non sarebbe stato effettuato il “kerning", l’operazione con la quale si regola lo spazio tra coppie di lettere di una parola, per renderla il più leggibile possibile. Un errore che è già stato esposto a migliaia di fedeli, da giorni in fila per rendere omaggio al Papa.


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Alpini partigiani e repubblichini insieme a difesa della Val d’Aosta
AGI
Marco Patricelli

L’interesse nazionale e l’amor di patria prevalente sulle contrapposizioni, gli odi e i rancori del recente passato e pure del presente. Il 28 aprile 1945 sul fronte occidentale dell’Italia dilaniata dall’occupazione tedesca e dalla guerra civile, i partigiani e i repubblichini, nemici fino al giorno prima, si ritrovavano dalla stessa parte per difendere la Val d’Aosta dal disegno di annessione del generale Charles De Gaulle.§È stato, solo di recente, lo storico valdostano Andrea Désandré a reperire i documenti del Servizio informazioni militari (Sim) e ricostruire nei dettagli la singolare alleanza che vide fianco a fianco un reparto di artiglieria repubblichino e le unità della resistenza per tamponare le infiltrazioni dell’esercito francese a Valgrisenche, Valle di Rhêmes e Pré-Saint-Didier.
Il ruolo del maggiore Adam dei Servizi segreti
L’impensabile fu reso possibile dall’accorta e lungimirante opera di mediazione e cucitura su più versanti del maggiore degli alpini Augusto Adam, ufficiale del Sim, che aveva portato altresì, con l’ausilio del vescovo, a convincere i reparti tedeschi e uno di paracadutisti della Folgore a ritirarsi in ordine da Aosta senza abbandonarsi né a scontri né a distruzioni, consentendo la liberazione pacifica della città, uno dei principali obiettivi degli Chasseurs des Alpes francesi del generale Paul-André Doyen. E così il colonnello Armando De Felice comandante del 4˚reggimento Alpini della divisione Littorio e il maggiore Adam raggiunsero un accordo personale: i partigiani valdostani delle Fiamme verdi con regolamentare cappello alpino si schierarono in alta quota e le penne nere dell’esercito repubblichino a valle, tenendo pure lontane le truppe tedesche. Tutti insieme, compatibilmente, per fronteggiare con le armi i francesi e le loro mire sulla provincia.
Il piano segreto di annessione di De Gaulle risaliva al 1943
De Gaulle già nel 1943 aveva elaborato un piano di annessione per vendicare l’aggressione dell’Italia fascista alla Francia del 10 giugno 1940. Il generale aveva tenuto gli Alleati all’oscuro di questo ambizioso progetto incuneato nel più vasto quadro dell’aiuto alleato ai partigiani italiani costretti a sconfinare in territorio francese nel 1944 per sottrarsi ai rastrellamenti nazifascisti. Ma le manovre sulla frontiera del Distaccamento delle Alpi (Armée des Alpes) agli ordini di Doyen non erano sfuggite al Governo Bonomi e il 9 febbraio 1945 il ministro degli Esteri Alcide De Gasperi aveva presentato un memoriale all’ammiraglio Ellery Wheeler Stone, capo dell’amministrazione militare alleata in Italia, il quale aveva subito avvisato gli ambasciatori di Gran Bretagna e Stati Uniti, oltre al comandante in capo Maresciallo Harold Alexander. Gli Alleati ordinarono di conseguenza a De Gaulle di non oltrepassare il confine.
I francesi sembrarono obbedire, ma ad aprile, col tracollo del fronte, approfittarono dell’autorizzazione a pattugliare una fascia di territorio italiano che non doveva andare oltre i venti chilometri di profondità, per una serie di infiltrazioni mirate. Pattugliare non significava occupare, ma il Distaccamento delle Alpi il 26 aprile si mosse superando il Piccolo San Bernardo e arrivando a posizionare truppe a Ivrea, Rivoli e Savona.
Gli Chasseurs des Alpes fermati dall’artiglieria della Rsi
Fu solo il colpo di coda invernale che, ostacolando trasporti e spostamenti, impedì la discesa in Valle d’Aosta di un esercito numericamente più importante. I francesi, peraltro, non si comportarono affatto da liberatori e cominciarono subito a distribuire le loro carte annonarie. Il 27 superarono la Val di Rhênes ma il 28 gli Chasseurs des Alpes vennero fermati a La Thuile dal tiro degli obici del gruppo Mantova della Monterosa, lungo la linea italiana mista, mentre grazie all’accordo trilaterale di Adam si insediava ad Aosta il prefetto partigiano Alessandro Passerin d’Entrèves che a nome del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia chiamò tutti gli italiani a difendere la città dalle mire francesi: risposero i partigiani e ancora una volta gli alpini della Rsi dei battaglioni Varese e Bergamo della 2ª divisione granatieri Littorio, ed elementi dell’ormai disciolto Esercito nazionale repubblichino.
Gli Alleati impongono la ritirata al di là della frontiera del 1939
Sempre il 28 aprile Alexander chiese da Caserta al comandante supremo Dwight Eisenhower di intervenire su De Gaulle, e il generale Devers di conseguenza impartì a Doyen l’ordine di cessare le operazioni in Val d’Aosta. Quest’ultimo fece finta di non aver ricevuto tale ordine e fino al 7 maggio si comporterà di conseguenza, quando non potrà più fare a meno di obbedire al generale Alphonse Juin, capo di stato maggiore, messo alle strette dagli Alleati i quali per disinnescare la situazione avevano inviato un distaccamento americano che arriverà l’8 maggio per il definitivo cessate il fuoco, rilevando gli italiani nello schieramento al confine e chiudendo la seconda battaglia delle Alpi.
Se la crisi militare era apparentemente raffreddata, non altrettanto poteva dirsi di quella diplomatica, divenuta incandescente. I francesi non erano riusciti né a emulare gli jugoslavi titini sul fronte orientale, portando dalla loro parte le brigate partigiane assai meno politicizzate di quelle Garibaldi, né la popolazione valdostana sottoposta a un’intensa propaganda annessionista. Il diretto e deciso intervento del presidente statunitense Harry Truman, unito all’aperta ostilità di Winston Churchill sulle mire espansioniste di De Gaulle, avrà un peso definitivo nel far ritirare le truppe francesi da Ventimiglia e dalle zone italiane occupate, rientrando nei confini del 1939.
Scongiurato il pericolo di un plebiscito sotto occupazione
Ma ancora una volta una “dimenticanza” del generale Doyen lascerà i soldati francesi nei due paesini di Briga e Tenda, che poi il trattato di pace di Parigi assegnerà alla Francia. Doyen aveva avuto precise e dettagliate istruzioni proprio da De Gaulle su quella “dimenticanza”. Nessun plebiscito si era tenuto in Val d’Aosta, da provincia qual era trasformata in Circoscrizione autonoma con decreto luogotenenziale di Umberto di Savoia del 7 settembre 1945, preludio allo statuto speciale. In questa maniera si era disinnescato l’ultimo tentativo francese di ottenere quel territorio per via legale, formula che De Gasperi definì come l’altra faccia della medaglia della politica brutale di Tito sui territori orientali. A est la Jugoslavia aveva potuto contare sull’appoggio comunista, mentre a ovest la Francia si era scontrata con un inedito e imprevisto sentimento nazionale italiano che in quell’emergenza aveva risaldato due anime lacerate dalla guerra civile.
29\4\2025

Ombretta Floris, estetista di Desulo malata di tumore al seno, si mostra con i suoi figli che la aiutano nella sua lotta quotidiana contro la malattia…







Ombretta Floris, estetista 39enne di Desulo in provincia di Nuoro, l’avevamo lasciata il 10 marzo sui monti della sua Desulo quando con una macchinetta elettrica si era rasata a zero i capelli che le cadevano a ciocche a causa delle cure contro il tumore al seno contro il quale combatte da gennaio.

“Pelata o no, sono sempre io. La mia essenza non dipende dai miei capelli”, scrive nel suo ultimo post su Fb. Ed ha ragione. La sua bellezza, la sua essenza, vanno oltre quei capelli.


La Floris è madre di due figli ai quali ha raccontato la sua malattia, che rappresentano per lei, come per tutte le madri ed i padri, motivo di gioia e di orgoglio.
E per chi soffre, un sostegno nella malattia. Non è facile per un genitore confessare ad un figlio la propria malattia: sia essa fisica o psichiatrica. È come mostrare un fianco, mostrare una fragilita’ che non ci possiamo permettere e non ci è concessa, sopratutto quando non abbiamo nessuno che ci aiuta a crescerli.
Invece la Floris come tante altre persone malate, condivide con i figli la malattia e le cure. Cerca e trova in loro gli abbracci, i baci, le carezze che fanno bene quanto e più di ogni medicina.
Ombretta si mostra forte, sorridente nei momenti felici, ma si mostra pubblicamente anche nei momenti tristi e complessi. Raccontandosi attraverso i social network per essere un esempio a chi come lei lotta per un cancro o un altra malattia, senza filtri.

In un altro post ci lascia questo messaggio: “Oggi senza filtri: occhi gonfi pieni di speranza, pelle imperfetta senza trucco e metteteci un po’ di sconforto, di stanchezza. Ma sappiate che non è legato assolutamente al tumore. Io sto facendo un lungo viaggio, sto tornando indietro nel tempo e sto cercando di aiutare quella bambina a capire il senso della vita. Vado oltre alla bellezza esteriore essendo un’ imprenditrice del settore, vado oltre la bellezza. L’ho sempre detto: sono Ombretta e non sono perfetta. Sto affrontando la chemio e sto imparando a conoscere me stessa in modi che non avrei mai immaginato. Sarà tutto strano per voi ma io amerò il mio tumore, amerò la terapia per tutto quello che mi sta dando”.

                           Maria Vittoria Dettoto

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questa  notizia  mi ricorda il  finale    dei   (Les Misérables)  di Victor Hugo

(francese)
«Il dort. Quoique le sort fût pour lui bien étrange,
Il vivait. Il mourut quand il n'eut plus son ange;
La chose simplement d'elle-même arriva,
Comme la nuit se fait lorsque le jour s'en va.»
(italiano)
«Riposa: benché la sorte fosse per lui ben strana,
pure vivea: ma privo dell'angel suo morì:
La cosa avvenne da sé naturalmente
come si fa la notte quando il giorno dilegua»
Jacopo Storni Era stato un agente immobiliare, quasi laureato in giurisprudenza: gli mancavano soltanto quattro esami. Ma dopo lo sfratto per morosità di cinque anni fa, la sua vita è precipitata. Fino allo scorso 10 aprile, quando il suo corpo senza vita è stato ritrovato su una panchina di piazza Tasso, in Oltrarno a Firenze.Una parabola drammatica, quella di Marco Amaranto, da lavoratore a senzatetto che rifiuta l’accoglienza e persino le cure. Nessun familiare alla tumulazione di lunedì mattina 28 aprile, tanto che gli operai del cimitero hanno proceduto alla cerimonia di sepoltura in solitaria. Soltanto il vento, il rumore della ruspa e quello delle zolle che ricoprono la bara.Sul mucchio di terra c’è una croce in legno: Amaranto Marco, prima il cognome poi il nome, nato il 2 ottobre del 1967 e morto il 9 aprile del 2025. Aveva 57 anni.



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Caterina Angelucci  Arttribune  27\4\2025

Storia della “Dama addormentata con vaso nero”, scomparsa e ritrovata grazie a un famoso film d’animazione
Ottant’anni dopo la scomparsa del capolavoro cubista del pittore ungherese Róbert Berény è stato individuato in una scena di “Stuart Little” da un ricercatore, che stava scrivendo la sua biografia. Ecco com'è andata

Era il 2009 quando un ricercatore della Galleria Nazionale Ungherese, Gergely Barki, stava guardando insieme alla figlia il film d’animazione americano Stuart Little del 1999, che racconta di una famiglia che adotta un topolino. Ma non è stata la trama a catturare l’attenzione di Barki, quanto un singolo frame del film in cui si vede, alle spalle dei protagonisti, un quadro appeso tra due lampade sopra il
camino del soggiorno. Dopo averlo guardato ripetutamente, lo studioso capisce di essere davanti alla Dama addormentata con vaso nero di Róbert Berény (Budapest, 1887 – 1953), capolavoro cubista scomparso dal 1928. E caso vuole, il ricercatore si stava occupando proprio in quel periodo della biografia del pittore ungherese, la cui opera non era stata più rinvenuta dopo una mostra della Munkácsy Guild.
La scoperta di Gergely Barki mentre guardava il film d’animazione “Stuart Little”
“Non potevo credere ai miei occhi quando ho visto il capolavoro a lungo perduto di Berény sulla parete dietro Hugh Laurie. Per poco non mi è caduta Lola – la figlia – dalle ginocchia”, raccontò al tempo Barki. “Un ricercatore non può mai staccare gli occhi dal lavoro, nemmeno quando guarda i film di Natale a casa”. Così, incuriosito dalla scoperta, iniziò a scrivere delle mail a tutte le persone coinvolte nel film, finché due anni dopo, nel 2011, gli rispose una scenografa.
Gergely Barki sulle tracce della “Dama addormentata con vaso nero” di Róbert Berény
“Mi disse che il quadro era appeso alla sua parete e che aveva acquistato il quadro in un negozio di antiquariato di Pasadena, in California, per un prezzo irrisorio, pensando che la sua eleganza fosse perfetta per il salotto di Stuart Little”, riportò Barki. Dopo che il dipinto venne utilizzato come sfondo per l’ambientazione della casa familiare del film hollywoodiano e l’attrezzatura di produzione imballata, la scenografa si portò via la Dama e la appese nel proprio appartamento come decorazione. “Ho avuto l’occasione di farle visita, di vedere il dipinto e di raccontarle tutto sul pittore”, continuò Barki.
La “Dama addormentata con vaso nero” di Róbert Berény
In seguito alla scoperta, la donna vendette il dipinto a un collezionista privato, che a sua volta lo mise all’asta presso la galleria Virag Judit di Budapest il 13 dicembre 2014, dove fu battuto a 230 mila euro, il prezzo più alto mai pagato per un dipinto di Róbert Berény.


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La storia del figlio della vicedirettrice della CIA che si arruolò con la Russia

E morì nell'aprile del 2024 combattendo contro l'Ucraina a Bakhmut: si è saputo di lui soltanto adesso

Michael Gloss era il figlio di una vicedirettrice della CIA, l’agenzia di intelligence esterna degli Stati Uniti, e nell’aprile del 2024 morì combattendo nell’est dell’Ucraina per l’esercito russo. Aveva 21 anni e la

sua storia è diventata nota soltanto ora, dopo che venerdì il sito indipendente russo IStories ha pubblicato il suo nome e molti dettagli della sua vicenda. Dopo la pubblicazione dell’articolo la famiglia ha confermato tutto.
La storia di Gloss non è tanto diversa da quella di altre migliaia di volontari che si sono arruolati nell’esercito russo nel corso della guerra per soldi, adesione ideologica al regime del presidente Vladimir Putin o per ottenere benefici come la cittadinanza russa. Ma è al tempo stesso eccezionale per l’identità di Gloss: sua madre Juliane Gallina è la vicedirettrice della CIA con delega all’innovazione digitale e una delle funzionarie di intelligence più importanti del paese; suo padre Larry Gloss è un ex militare decorato e lavora anche lui nel campo dell’intelligence.In un’intervista con il Washington Post i genitori di Gloss hanno detto che non avevano idea che il figlio stesse combattendo in Ucraina con i russi fino a che, nel giugno del 2024, non ricevettero la comunicazione che era morto in guerra per una «ingente perdita di sangue» a seguito di un attacco di artiglieria. Michael Gloss militava in un reparto d’assalto russo e combatteva in prima linea sul fronte, in quella che al tempo era la zona più pericolosa di tutte: la cittadina di Bakhmut.
Parlando con il Washington Post, Larry Gloss ha detto che suo figlio Michael aveva sempre avuto problemi di salute mentale, anche se non ha specificato quali. Ha detto inoltre che era stato un bambino e poi un ragazzo insofferente nei confronti dell’autorità: «Era il giovane uomo più anti establishment (…) del mondo». Michael Gloss era un militante ambientalista, femminista e di sinistra. Sui suoi profili social ci sono fotografie in cui partecipa a proteste per l’ambiente e contro l’eliminazione del diritto federale all’aborto negli Stati Uniti. In una foto ha in mano un cartello con scritto: «Non si può vietare l’aborto, si può solo vietare l’aborto sicuro».Alcuni anni fa, ha detto Larry Gloss, Michael smise di prendere i farmaci che gli erano stati prescritti, e cominciò ad avere un comportamento più imprevedibile. Nel gennaio del 2023 abbandonò l’università e partì per l’Europa. Arrivò in Italia, dove lavorò per un periodo in alcune aziende agricole (sul suo profilo Instagram ci sono foto di scritte anarchiche e antifasciste scattate a Bari), e poi si spostò in Turchia per partecipare a un raduno di Rainbow Family, un’organizzazione di controcultura hippy nata negli anni Settanta e ancora attiva. In Turchia prese parte ai soccorsi dopo il gravissimo terremoto che colpì il paese nella primavera del 2023. In quel periodo si era fatto crescere la barba e vestiva con una tunica lunga, e tutti lo chiamavano “Gesù”.
Non è chiaro perché a un certo punto Michael abbia deciso di andare in Russia. Alcuni sostengono che avesse sviluppato forti sentimenti antiamericani e antioccidentali: «Guardava in continuazione video sulla Palestina ed era arrabbiatissimo con l’America. Ha cominciato a pensare di andare in Russia. Voleva entrare in guerra contro gli Stati Uniti. Ma penso fosse molto influenzato dai video cospirazionisti online», ha detto a IStories una persona che lo conosceva. In effetti nel 2023 Michael cominciò a utilizzare il social media russo VKontakte (simile a Facebook), e a pubblicare molto materiale di propaganda russa, soprattutto contro l’Ucraina.

       Soldati ucraini in trincea vicino a Bakhmut, marzo 2024 (AP Photo/Efrem Lukatsky)

Altri conoscenti ritengono che Gloss volesse andare in Russia per farsi finanziare un progetto ambientalista che sperava di mettere in atto, una specie di gigantesco sistema di purificazione dell’acqua. La famiglia ha ammesso di non avere idea di quali fossero le sue intenzioni. «Posso solo dare la colpa ai suoi problemi di salute mentale. Non c’è altra risposta logica», ha detto il padre.
Nell’agosto del 2023 Michael entrò in Russia passando per il confine con la Georgia. Viaggiò un po’ per il paese e poi a settembre, poche settimane prima della scadenza del suo visto turistico, firmò un contratto da soldato volontario con le forze armate russe. Fece due settimane di addestramento in un centro militare fuori Mosca, e poi da lì fu spostato a Ryazan, circa 200 chilometri a sud-est della capitale, dove fu inserito nel 137esimo reggimento aviotrasportato per continuare l’addestramento. IStories ha raccolto decine di video e foto pubblicate sui social da Michael stesso o da suoi compagni militari, molti dei quali erano mercenari nepalesi.
All’inizio del 2024, non si sa esattamente quando, Michael fu trasferito in Ucraina. A metà marzo la sua divisione cominciò a marciare verso Bakhmut. Michael fu ucciso il 4 aprile. La famiglia seppe della sua morte a giugno, e il suo corpo fu rimpatriato dalla Russia a dicembre. Per quasi un anno, la famiglia Gloss non ha voluto rivelare le circostanze in cui era morto. Sul suo necrologio la famiglia aveva fatto scrivere: «Con il suo cuore nobile e il suo spirito da guerriero, Michael stava portando avanti il suo eroico cammino quando è stato ucciso tragicamente nell’Est Europa».
Dopo la pubblicazione dell’articolo di IStories, la CIA ha diffuso un breve comunicato in cui ha scritto: «La CIA considera la morte di Michael una questione familiare privata e non una questione di sicurezza nazionale». È un modo per dire che secondo l’agenzia il fatto che Michael si fosse arruolato con la Russia non è legato al lavoro che facevano i suoi genitori, ma una scelta personale del giovane.
Larry Gloss ha detto che lui e sua moglie erano sconvolti quando hanno saputo che Michael aveva combattuto per la Russia: «Prego soltanto che non abbia fatto male a nessuno», ha detto.


24.4.25

Elly Schlein ha avuto il coraggio nel di squarciare il velo di ipocrisia su Papa Francesco che regnava sui banchi della destra e del governo in Parlamento ma poi salta la fila evitando code per la salma di papa francesco

 Ogni tanto    la leader    del  Pd    , roiesce  a  smarcarsi   dalle  correnti   e dai vecchi tromboni  del  partito   e  a  trovare  un po'  di coraggio    anche  se  è  solo  di circostanza   .   visto  che   

   






da il fatto d'oggi



La scomparsa di Papa Francesco ci priva di una voce significativa che ha saputo interrogare credenti e non credenti. Merita il nostro cordoglio.
Quello che non merita è l'ipocrisia di chi non ha mai dato ascolto ai suoi appelli e oggi cerca di seppellire nella retorica il suo potente messaggio. L’ipocrisia chi deporta i migranti, di chi toglie i soldi ai poveri, nega l'emergenza climatica, nega le cure a chi non può permettersele.
Il modo migliore per ricordarlo è cogliere l’esempio di coerenza tra quello che diceva e quello che faceva, sulla pace a Gaza e in Ucraina, il contrasto alle disuguaglianze, accogliere anziché respingere chi fugge da una guerra, cambiare un modello di sviluppo che sta creando disuguaglianze“.
Ecco chi era anche se con i suoi limiti e le sue retromarce ed ambiguita Papa Francesco Davvero. Ed ecco, soprattutto, chi sono quelli che oggi lo celebrano da morto.Dopo che per dodici anni lo hanno ignorato, combattuto con disinformazione e fake news , persino deriso da vivo e anche da morto non indignandosi e criticando la base del partito e dei loro simpatizzanti extraparlamentari .
Ora papa francesco




17.4.16

Di fronte al vecchio Cristo di © Daniela Tuscano

Non erano miserabili le lacrime della ragazzina che ieri, nel campo profughi di Lesbo, s'è gettata ai piedi del Pontefice. Non era miserabile la giovane donna che lo lavava col suo pianto e lo asciugava coi capelli. Era però familiare; prendeva vita, cioè, dai Vangeli, rendendo le narrazioni del catechismo potentemente vere. Quella ragazzina era la peccatrice pentita della casa del fariseo; una peccatrice, ecco, senza peccato, quindi intatta nel suo devastato dolore; senza ritegno; nulla aveva da ritenere.
Ma l'innocenza disperata non è mai miserabile. Non lo è davanti al vecchio Cristo venuto dalla fine del mondo (lui pure, figlio d'immigrati). E la casa del fariseo, oggi, è quell'evocativa isola mediterranea. Terra di dei, di poeti, d'amori lesbici. Terra di frontiera divenuta sede del mondo, dove passa il Dio patriarca, ebraico, musulmano, cingalese. Terra d'Europa, di vera Europa, che non ha sede a Bruxelles, ma è nata principessa fenicia, rapita da Zeus, allevata alla democrazia, grembo dell'umanesimo. Serviva un Papa argentino per ricordarlo, per scuotere i farisei nascosti in noi, il cinismo di governanti che hanno schiacciato a terra le mille ragazzine di ieri e domani.
Lui, il vecchio Cristo, non sa ma capisce. Non ha altri compiti che questo, immane. Non sa, ma capisce le paure di noi vecchi farisei. Non può giustificare i muri, le cortine di ferro, i respingimenti. Ma capisce, capisce l'esasperazione, lo smarrimento, l'impotenza anche di chi vive di qua dal muro. Noi. E mentre li e ci capisce, invita a superarli. Non sa perché non è un politico: è molto, tragicamente di più. È il cristianesimo. Non il cristianesimo "crociato" dell'infingarda, criminale propaganda di Is/Daesh. Ma il cristianesimo autentico, senza aggettivi. La forza disarmata in grado di smascherare le menzogne di fanatici e affaristi. Ecco cosa risponde ai giornalisti: "Guerra e fame sono effetto dello sfruttamento. Io inviterei i trafficanti di armi, quelli che le procurano ai gruppi in Siria per esempio, a passare un giornata nel campo profughi che ho appena visitato a Lesbo. Credo che per loro sarebbe salutare".
Ingenuità gesuita. Quindi ossimoro. Il vecchio Cristo, questo, lo sa benissimo. I "trafficanti d'armi" sono innanzi tutto i governi occidentali e mediorientali ed egli sa, pur se tenuto a sperare il contrario, che visitare il campo profughi non toccherebbe minimamente il loro cuore. Ma può toccare il nostro.
È a noi, al nostro torpore che il vecchio Cristo parla. Vuol spingerci alla ribellione? Forse! Il cristianesimo è anche e soprattutto questo: ribellione. Mai accomodante. Quando accarezza, schiaffeggia. Assesta un salutare ceffone ai nostri muri interiori. E se preleva tre famiglie siriane di fede islamica, per portarle in Vaticano, sa e capisce. Scandalizza, divide. Sa e capisce che quelle famiglie sono prima di tutto donne, uomini e bambini. Sa e capisce che l'Islam non va temuto, e ospitando Osama, Wafa, Omar e Masa dimostra la blasfemia di Is/Daesh più di mille perorazioni. Lo fa assieme a due fratelli dal nome biblico, gli ortodossi Bartolomeo e Ieronimous. Volesse il cielo che crolli definitivamente anche l'altro muro, quello coi cristiani d'Oriente...
I riflettori adesso sono spenti. È tornato il sabato del silenzio. I muri e i pianti e le ginocchia piagate sono ancora lì. Ma chissà che qualche Maddalena, in noi, non smetta di pungolarci. E ci faccia correre ai sepolcri del mare, delle guerre, della speculazione assassina. Forse, un domani, ci sconterà un po' di mesi di purgatorio.

                                               © Daniela Tuscano


10.7.15

.Vino vecchio, otri logori di © Daniela Tuscano

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I media e la blogosfera sembrano essersi accorti soltanto ieri del viaggio papale in America Latina. E solo a causa di “quella” foto, il crocifisso incastonato, tutt’uno con un martello in cui s’intreccia una pesante falce, dono del presidente boliviano Morales. Un crocifisso “comunista”, come ha titolato la quasi totalità della stampa e l’ha presentato l’astuto Evo, pronto a sfruttare propagandisticamente il colpo. All’aggettivo, che molti volevano confinare fra le anticaglie della storia, lo scandalizzatissimo Socci ha aggiunto nei suoi editoriali di fuoco altri vocaboli: vergogna e coca. Mancano all’appello sesso & rock’n’roll, ma non mancheranno i pretesti e con essi l’ennesima scomunica socciana.
Eppure Francesco è lì da settimana scorsa. Ha visitato l’Ecuador, si trova in Bolivia, andrà in Paraguay. Eppure i suoi appelli, la sua voce, avrebbero dovuto destar l’attenzione non solo dei cattolici, ma anche di chi, non credente, si è però sempre proclamato a fianco dei popoli terzi, delle
periferie del mondo, ha invocato giustizia e diritto, lamentato la collusione della Chiesa coi poteri forti e le multinazionali.
Invece. I devoti, gli zelanti, i pii, i lettori assidui delle testate religiose, sono perlopiù costernati. Tralasciamo pure il summenzionato Socci, ormai collocato su posizioni lefebvriane (a proposito, nessuno sconcerto da parte sua quando il da lui rimpianto papa Ratzinger riammise senza pentimento nel seno del cattolicesimo questa setta scismatica, antisemita e filonazista). Se restiamo dalle parti del cattolico medio, ecco un florilegio di mugugni a mezza bocca, sospiri, cachinni che talvolta sfocia in aperta ribellione: “Quanto sono lontani i viaggi di Wojtyla!”, “Benedetto dove sei?”, “Con tutto il rispetto, Santità, quel dono empio avrebbe dovuto rifiutarlo...”. Quel dono empio, diciamolo subito, era la riproduzione del crocifisso di Luis Esquivel, il Romero argentino, gesuita, poeta, giornalista, cineasta torturato e ucciso dai sicari del dittatore fascista Meza per aver difeso i diritti dei minatori. Pochi l’hanno rilevato, ovviamente gli zelanti e i pii lo ignoravano totalmente e una di loro, dai social network ha così commentato: “Poeta, regista ecc., a tempo perso faceva il gesuita”.
Dal lato opposto, quello dei cosiddetti progressisti, identica distrazione/fastidio. Ne esce snudato il terzomondismo da salotto. I loro strali contro le gerarchie ecclesiastiche complici del potere non erano pertanto frutto di solidarietà ma del qualunquismo dell’occidentale sazio, che inganna il tempo a digitare bolse frasi su una tastiera. 
Lo prova il silenzio presto calato sull’enciclica “Laudato si’”, dura denuncia della finanza speculativa subito degradata a documento ecologista o manuale per vegani. 
In realtà, sia i reazionari sia i nichilisti non hanno altro interesse che per i falsi temi; in particolare il sesso, in tutte le sue varianti e variabili.
Nella (in)civiltà delle immagini, non sappiamo più discernere i messaggi. I simboli. Siamo, insomma, divenuti analfabeti anche della vista. Riteniamo blasfemo il crocifisso marxista e non la Madonna del Manganello, le benedizioni delle armi, i cappellani militari e Wojtyla al balcone con Pinochet (pur se Francesco sarebbe ferito da queste contrapposizioni, che riterrebbe speciose; ne siamo consapevoli, ma corriamo il rischio). Perché i secondi ce li aspettiamo, ci sembrano ovvi e normali. Sia per osannarla, sia per maledirla, siamo convinti che il posto naturale della Chiesa sia a fianco dell’imperatore, dimentichi che il Fondatore ci aveva ordinato l’esatto contrario. Obliosi del fatto che la prima, vera Chiesa, non è la gerarchia, non è nemmeno il tempio, ma la nostra casa; l’assemblea; noi.
Bergoglio “comunista” è l’ultima idiozia della memoria smemorata. Avendo cancellato la vicenda umana e religiosa di Murri, Mazzolari, don Milani, ma anche – perché no? – Simone Weil e Madeleine Delbrêl, per tacere di Matteo Ricci, non comprendiamo che la preoccupazione dell’attuale Pontefice, per natura un centrista – come lo definisce Massimo Faggioli – non è politica ma pastorale; evangelica, totalmente e semplicemente evangelica. Sempre che si conferisca all’avverbio il suo reale senso, quello cioè di bastante a sé stesso, risolto, totale. 
Francesco non è un teologo della liberazione. È un teologo del pueblo; proviene da lì, ne è la fisicità. È un uomo di 79 anni, conservatore e ottimista, parroco del mondo. Non europeo. Dagli occhi meridionali, asiatici. Volutamente decentrato.
Uomo di ricostruzione e macerie, scomodo ai vertici ecclesiastici costretti però a seguirlo, consapevoli della gravità del momento, fra miseria, inequità, sfruttamento, terrorismo. Dove spesso i cristiani si sono ritrovati, come alle origini, dalla parte dei perseguitati e non dei persecutori. 
Tutto quanto è incomprensibile sia ai farisei da sagrestia, sia agli odifreddini in salsa rosa. Il loro è il classico vino vecchio in otri logori. Il dio dell’indifferenza e della sazietà è morto, ma essi ancora non lo sanno. 

© Daniela Tuscano

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

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