Conosco François-Xavier Nicoletti (in foto, ndr), alias A Vurpa, «La Volpe», da quasi 30 anni. Ne ho condiviso – e in larga parte condivido – l’inguaribile attaccamento alla Calabria, lo spirito dell’emigrato (di successo) che non accetta lo spopolamento della regione, i disservizi in aumento e il clientelismo che ancora oggi, forse più di sempre, la identificano e caratterizzano.
di Emiliano MORRONE
François è un ex banchiere, brillante, geniale, affabile, di cuore e dalla testa dura come ogni calabrese doc. Per me è una specie di zio: ho avuto il privilegio di discutere a lungo con lui, per telefono e nella sua bellissima casa del rione Fulippa, a San Giovanni in Fiore, paese di cui siamo entrambi figli. Non solo. Ci unisce l’ironia ostinata, il senso della frassia, la leggerezza nel buttarla in commedia e una comicità istrionica che ci ha spesso visto ridere a crepapelle, malgrado il tragico, cioè l’inadeguatezza dei vari governanti, la loro impreparazione e le sofferenze causate alla povera gente da una politica autoreferenziale e falsa, quasi per intero. Dal lontano 2002 abbiamo cercato insieme, non di rado tra nette divergenze, a volte con contrasti perfino aspri a causa dei suoi “pruriti” da accentratore, dicontribuire all’emancipazione della nostra San Giovanni in Fiore, della nostra Calabria, da cui si continua a partire nell’indifferenza generale.
Potrei scrivere la storia di questo personaggio inquieto e scomodo, cui mi lega un affetto speciale, una riconoscenza che non riesco a raccontare bene, vinto dai ricordi. Lo ammetto con candore: François continua a essere, per me, una sorta di istigatore necessario, una specie di alter ego, uno che la canta senza peli sulla lingua e che mi offre spunti per riflessioni, scritti corsari e fame di giustizia sociale.Parto con le somiglianze. Sia lui che io non riusciamo a capacitarci di un fatto, di come sia possibile che l’intelligenza, il talento e la tenacia di tanti calabresi trovi scherno e muri da una massa contenta di subire e patire in loco. Come ha osservato, a ragione, l’avvocato Alfonso Luigi Marra, oggi la società non sopporta la differenza, non la tollera perché la ritiene pericolosa, destabilizzante, rivoluzionaria. Pensarla diversamente significa, soprattutto in Calabria, attirarsi le antipatie, l’odio di tanti soggetti che campano grazie al sistema e che non avrebbero combinato un bel nulla, se non avessero avuto protettori e appoggi politici. Ne è convinto anche l’amico Mauro Francesco Minervino, antropologo e scrittore che, con coraggio impressionante, ha denunciato in largo logiche e costumi di una terra, la Calabria, in cui la ‘ndrangheta, per quanto capillare e potente, resta un alibiper non ammettere omissioni, corresponsabilità e miopie della classe dirigente, da Roma a Catanzaro e Reggio Calabria.François è un uomo di mondo, che ha vissuto la miseria e la ricchezza estrema; che si è fatto dal nulla partendo da ragazzino col suo parlato sangiovannese crudo; che ha raggiunto traguardi alti con volontà e sacrificio, costruendosi una posizione senza piegarsi e rammollirsi, cosciente che avrebbe potuto contare soltanto sul suo cervello fine e sulla propria capacità di persuadere investitori e padroni della finanza di vertice. Ciononostante, non si è lasciato comprare né ha perduto il suo legame con la terra madre. Anzi, ha impiegato una vita intera a inseguire per missione il riscatto della sua, della mia gente, rimasta a guardare, ad attendere il corso (immutabile) degli eventi.Avevo in animo di scrivere un pezzo di cronaca sull’ultima Consulta degli Emigrati calabresi, tenutasi a inizio dicembre presso la sede della Regione Calabria, a Catanzaro. Poi mi sono detto che sarebbe stato sterile, se non ripetitivo. Vi parlo di François perché, come me, egli non sopporta la finzione né la retorica del potere, che, in occasione della Consulta di fine anno, ha dipinto la Calabria come la California, rinunciando all’equilibrio e al pudore.La Calabria è ancora, purtroppo, l’ultima regione d’Europa: per dati economici, indicatori sociali e qualità della vita. Qui la rassegnazione impera come le vecchie glorie della politica, che assicurano sviluppo e diritti sapendo di mentire, di avere le mani legate e di voler mantenere la situazione attuale, che garantisce proventi e benessere a una ristretta minoranza di palazzo.François vive a Ginevra, ma continua a girare per il globo. Fondatore dell’associazione , si impegna per stringere patti di amicizia e gemellaggi con luoghi storici dell’emigrazione o della cultura calabrese; per esempio Clarksburg, in West Virginia, o Paola (Cosenza), la città di san Francesco, caritatevole e miracoloso, con l’omaggio, di Nicoletti, di un meraviglioso arazzo tessuto a mano dal maestro .All’inizio del nuovo millennio, Nicoletti consentì al Comune di San Giovanni in Fiore di beneficiare di fondi europei per il Programma di sviluppo urbano, mettendo sul piatto oltre 100mila euro in contanti per la ristrutturazione di casette, nel centro storico, in cui ospitare residenti all’estero. Un progetto fortunato e poi ampliato, con l’acquisto e la risistemazione di altre dimore abbandonate. Il benefattore non fu compreso, anzi venne deriso da un manipolo di, direbbe Francesco Guccini,«perbenisti interessati», con un’ingratitudine più unica che rara, come gli ripetemmo con l’esemplare direttore di Il Crotonese, Domenico Napolitano, presso il quale mi formai da giornalista.Negli anni altre attività utili, di Nicoletti, di conservazione della memoria e di promozione del rapporto tra concittadini ed emigrati; ad esempio la traduzione in italiano e altre lingue del bellissimo Bread, Wine and Angels, della scrittrice, oriunda sangiovannese, Anna Paletta Zurzolo. Quindi la battaglia politica, nel senso nobile della parola, per l’istituzione della consulta comunale degli emigrati, ad oggi inattiva, nonché un lavoro a tutto campo per creare ponti culturali ed economici tra la Calabria e gli Stati, non solo europei, in cui vivono generazioni di calabresi. E, non da meno, il sostegno diretto dell’ex banchiere alla candidatura di Gianni Vattimo quale sindaco di San Giovanni in Fiore, nel lontano 2005; un diffuso documentario in italiano e in inglese sul pensiero di Gioacchino da Fiore, diretto dal compianto regista Max Cavallo, e lo sforzo di aprire, al posto del locale Istituto Alberghiero, chiuso da un bel pezzo e abbandonato al silenzio del tempo, una scuola internazionale per professionisti della ristorazione e del turismo, di cui né la Regione di centrodestra né quella, attuale, di centrosinistra hanno voluto sapere, preferendo sciupare i fondi (europei) per la formazione professionale.
Infine l’impulso alla nascita del club Unesco di San Giovanni in Fiore e, poiché nemo propheta in patria (sua), la donazione di un’opera di metallo, simbolica e maestosa, al Comune di Soveria Mannelli (Cz): l’albero della pace (in foto appena sopra, ndr), realizzato dal maestro Francesco Talarico e rifiutato alla chetichella dal Comune di San Giovanni in Fiore.Di recente ho avuto il piacere di incontrare ancora François, che non è ancora rincoglionito, nonostante i suoi 80 anni suonati. Tante volte riesco a parlare molto meglio con emigrati come lui – e l’amico Pippo Marra, patron di Adnkronos originario di Castelsilano (Kr) –, che non hanno mai smesso di sognare un futuro migliore per la Calabria, croce e delizia del loro animo da sognatori.