Non solo è bella, ma ha lo sguardo fiero, diretto. Questo la rende al
tempo stesso adulta e bambina. Solo i bambini, o i poeti, o gli eroi riescono a
levare gli occhi, a snudare l'altrui ipocrisia con la schiettezza inconsapevole
e audace delle anime primitive. Lo sguardo dei bambini, dei poeti, degli eroi
non ha bisogno di veli. Somiglia molto allo sguardo di Dio, dal quale non si
può scappare. Ecco perché i malvagi, i falsi, i violenti non lo sopportano. Lo
evitano; e, se non riescono a domarlo, non hanno alcuno scrupolo a farlo tacere
per sempre.
Malala
Yousafzai ha quattordici anni. Sono tanti, sono pochi? La misurazione del tempo
è molto relativa, soprattutto se si tratta di adolescenti. Non bambini ma
nemmeno propriamente adulti, considerati impropriamente "terra di
mezzo" e invece alla disperata ricerca di un posto per sé nel mondo, gli
adolescenti incutono paura a un mondo invecchiato e rigido. Malala, di paura ne
infonde tanta. E' pachistana e, dall'età di undici anni, quando si è ancora del
tutto bambini, tiene un blog, un semplice blog come fanno altri bambini e
adolescenti in ogni parte del mondo. Solo che, dal suo blog, Malala non sfogava
frustrazioni da figlia insoddisfatta, non lo riempiva di cuoricini né, come
accade ad alcune teenager italiane, aspirava a diventare velina. Malala
scriveva altro: "Dateci penne per scrivere, prima che
qualcuno metta armi nelle nostre mani"; e protestava perché nella sua
provincia certi maschi barbuti, che sotto il pretesto della religione
mascherano la propria violenza e ignoranza, aggredivano le ragazze, impedendo
loro di frequentare la scuola. Secondo costoro, l'unico compito delle donne è
quello di servire il loro padrone, con gli occhi bassi e col silenzio.
"Diffonde idee laiche, ci attacca, è una fan di Obama" gridavano i
barbuti. L'hanno seguita, scovata su un autobus diretto a scuola, e le hanno
sparato, ferendola gravemente alla testa e al collo.
Ma non sono riusciti a fermarla. Quel suo sguardo, per loro così insopportabile
e odioso ("osceno", l'hanno definito), continuerà ad accusarli e a
perseguitare la loro cattiva coscienza.
"Da anni Malala aspettava quel killer, ma ha continuato a difendere il
futuro, il suo e anche il nostro", scrive Corradino Mineo di Rainews.
Perché il "nostro"? In fondo, potrebbe obiettare qualcuno, Malala
vive in un Paese lontano, è immersa in una cultura molto arretrata. Qui, da
noi, certe cose non accadrebbero mai. Qui, da noi, le donne sono rispettate.
Sono pari agli uomini.
Ora, a parte il fatto che non si capisce perché il metro per giudicare
"pari" una persona debbano essere gli uomini, informatevi un po' come
vivevano le donne del nostro Sud fino a pochi anni fa, e, in qualche caso,
ancor oggi. Chiedete da quanto tempo le donne italiane hanno diritto di voto.
Non lo sapete? Dal 1946; in Myanmar, tale diritto risale al 1922.
Fate un'inchiesta su quanti lavori erano preclusi alle donne
italiane in un recente passato. Domandate a quanto risale il nuovo diritto di
famiglia, per cui l'uomo non è più capo della donna e della famiglia. Cercate
di sapere quando è stato abolito lo jus
corrigendi, che permetteva al marito di picchiare la moglie e i figli
"a scopo correttivo". Scoprite come mai l'adulterio di un uomo veniva
sanzionato con una multa, e quello della donna con la galera. Sappiate che, per
una donna che commetteva un delitto "d'onore", si aprivano le porte
dell'ergastolo; un uomo rischiava, al massimo, cinque o sei anni. Questo fino
al 1981.
E guardate, soprattutto, i dati: gli stupri nell'ultimo periodo sono aumentati
del 60%, quasi tutti commessi in famiglia o da fidanzati abbandonati, che non
potevano tollerare l'idea che la "loro proprietà" decidesse da sola,
e senza di loro. Del resto, questi delitti restano quasi sempre impuniti, anche
perché fino al 1992 la violenza sessuale era un "reato contro la
morale" che comportava pochi anni di carcere. Il pregiudizio, però, che
tutto sommato la donna "se la sia cercata" è ancora molto diffuso.
Se poi guardiamo gli attuali modelli televisivi, e anche politici, quel che
viene proposto come "ideale" alle ragazze è la donna che si concede a
tutti, che usa sé stessa solo per il proprio corpo e si vende al miglior
offerente per ottenere soldi facili e agevolazioni d'ogni tipo.
Per molto tempo ha furoreggiato una trasmissione
dall'eloquente titolo La pupa e il
secchione. Vi siete mai domandati perché Il pupo e la secchiona sarebbe stato improponibile?
A Sesto San Giovanni il Comune ha lanciato il progetto Toponomastica femminile, per
l'intitolazione di quattro parchi cittadini a donne importanti del passato. E,
in effetti, vie, piazze, luoghi pubblici delle città italiane recano
spessissimo nomi maschili, come i libri scolastici e le grammatiche; e ciò in
barba alla realtà, dove le donne sono state spesso protagoniste in vari campi
della cultura, dell'arte, della scienza e della religione, e in un Paese come
il nostro, dove il 90% dei laureati sono donne e non uomini. Donne che,
peraltro, difficilmente trovano impieghi all'altezza della loro preparazione.
In compenso, in caso di crisi, sono le prime a venir licenziate; e fate una
ricerca sui "licenziamenti in bianco" che molte donne sono costrette
a firmare preventivamente, in spregio a tutte le leggi vigenti.
Quando poi l'insegnante propone questi argomenti a scuola non
è raro trovare il furbetto o furbetta di turno, di solito impegnato/a nei fatti
suoi, che a un certo punto salta su e chiede, con una punta d'ironia:
"Scusi prof, ma lei è femminista?". Ignorando il significato
dell'aggettivo, per costoro "femminista" è sinonimo di donna isterica,
odiatrice di uomini.
Chiederemmo mai a una persona che sta annegando: "Scusa, ma a te non piace
l'acqua?"?
Che le donne abbiano dei diritti non è infatti per nulla
assodato, non presso la mentalità maschile ma, talvolta, nemmeno tra le stesse
donne.
Ecco perché lo sguardo di Malala oggi interessa tutte. E
tutti. Non è "faccenda del suo Paese" né tantomeno della sua
religione, l'Islam, che non vieta da nessuna parte l'istruzione alle ragazze.
E' faccenda comune. Perché dietro i pretesti dell'onore, della modestia, della
politica, della religione si nasconde la pretesa antica, e barbara, degli
uomini a dominare altri esseri viventi, la natura, le cose. Ecco perché Malala
scrive: "Dateci penne e non armi". Ella sa bene, dal poco/tanto dei
suoi quattordici anni, che l'ignoranza è sinonimo di violenza, di
sopraffazione, di guerra. E, in un mondo globale come il nostro, non si può più
distinguere tra vicini e lontani. Il benessere delle donne comporta,
automaticamente, una maggior felicità degli uomini perché significa maggiori
diritti per tutti, sempre e comunque.
Malala è un'eroina dei nostri tempi e di ogni tempo. I
diritti, infatti, non sono un dato acquisito una volta per sempre. Malala ci
ricorda che sono il frutto di sacrifici e di lotte e che, per essi, molte e
molti hanno perso la vita a cui pure tenevano tanto.
I ragazzi italiani che si trascinano stancamente a scuola e
le ragazze che durante l'ora di grammatica sbuffano sognando bamboleggianti il
fidanzatino di turno è bene che si sveglino.