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25.3.24

DIARIO DI BORDO N°40 ANNO II comunità ebraica e israele dovrebbero fare pace con le loro contraddizioni il caso di Alessandro Orsini ., No’ all’agnello per Pasqua: la scelta di un ristorante di Battipaglia., lezione di kate midlenton all morbosità dei media .

Dopo le denunce della comunità ebraica il pm della Procura di Roma, Erminio Amelio, ha aperto due fascicoli per istigazione all’odio razziale per il professore Alessandro Orsini e Gabriele Rubini, noto come Chef Rubio. L’indagine per istigazione all’odio razziale di Orsini e Chef Rubio Il 24 gennaio scorso la comunità ebraica di Roma, con il presidente e legale rappresentante della comunità, Victor Fadlun, assistito dall’avvocato Roberto De Vita, ha depositato in questura due esposti: «Per plurime e reiterate condotte integranti i reati di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa e per diffamazione aggravata». Le denunce effettuate dopo i post di Chef Rubio e Alessandro Orsini Al centro delle due querele ci sarebbero i post dello chef, compreso un: «coltello antisionista con manico in legno d’ulivo» pubblicato su X e poi anche il post in cui il professor Orsini, all’indomani del 7 ottobre, avrebbe definito «una rivolta» il massacro di Hamas.  Nella denuncia a carico del professor Orsini: «C’è un’opinione chiaramente animata da un pregiudizio antisemita nei confronti di Israele e che, dopo il 7 ottobre, la reiterata e costante ripetizione di determinati pensieri, anche attraverso il sapiente accostamento di fatti non veri con fatti veri e di elementi travisati, mira a creare una vera e propria giustificazione delle operazioni terroristico-stragiste di Hamas, attribuendo agli israeliani e agli ebrei in quanto tali la responsabilità nella causazione degli eventi di tale gravità. Ed è bene notare e sottolineare come il professore Orsini compia questa operazione il 7 e l’8 ottobre, ben prima della reazione militare israeliana». Nel caso di Rubio, viene affermato che: «Tutti i commenti, soprattutto quelli successivi al 7 ottobre, sottolineano ed evidenziano il concetto di sionismo= terrorismo. Il post del coltello assumerebbe ulteriore e autonoma rilevanza in termini di pericolosità istigatoria oltre che discriminatoria per odio antisemita».
 Posso  capire  che  Orsini  non piaccia  o  non   si  vada  d'accordo .  Ma la comunità ebraica   prima di  chiedere  la   la chiusura  dei suoi  social   e denunciarlo per  istigazione  all'odio  razziale  per  aver  scritto   di Netanyhau  le  stesse  cose   che  scrivono   diversi  giornali  israeliani   .  La  comunità  ebraica    e  gli  stessi  israeliani   dovrebberoi oltre a fare  pace con il  proprio  cervello     con  se  stessi   perchè  :  In realtà Orsini negli anni, oltre a collaborare con l’ambasciata d’israele, è intervenuto più volte per condannare l’antisemitismo. Il 7 novembre 2019 su Facebook, in relazione agli insulti ricevuti dalla senatrice Liliana Segre, scriveva che “devi essere un menomato . Nel libro Isis (Rizzoli, 2018), a pagina 47 sosteneva che “credere che tutti i mali del Medio Oriente siano colpa di Israele significa credere che in M-O esista solo il conflitto israelo-palestinese”. L’8 novembre 2023, poi, proprio nel corso della presunta “campagna antisemita”, Orsini pubblicava un post dal titolo “ebrei persone meravigliose”.Ora  saranno  i pm a stabilire se il professore ha superato il confine della legittima opinione, scadendo nella discriminazione razziale (o nella sua istigazione).Per la   denuncia   dello che f Rubio   sono  d'accordo con loro  perchè  pur  essendo antisionista   considero    estremo   ill suo  gesto è il suo discriminare   i   sionisti  perchè , va bene  criticare  le  loro idee    \ pensiero , ma arrivare  a   :  fare  ungesto  simile    e ad isolarli   significa   abbassarsi al loro livello  . infati    il  conduttore tv Chef Rubio che, tra i vari post, ha scritto che “la colonia illegale sionista va smantellata, i suoi sostenitori isolati e il sionismo bandito dal mondo”, pubblicando la foto di un coltello da cucina con la scritta “coltello antisionista”.

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leggo  sul  web    che   Un ristorante di Battipaglia non serve agnello in occasione delle festività di Pasqua. Questa la decisione del ristorante Ex Voto di Battipaglia che in occasione della domenica delle Palme e della Santa Pasqua non servirà il classico agnello pasquale. Una scelta particolarmente apprezzata dalla comunità animalista ( vegna soprattutto ) che – da anni – si batte per cancellare la tradizione di consumare carne di agnello in occasione delle festività pasquali.Scelta che ha creato e crea polemiche perchè a pasqua é si mangia l’agnello come tradizione infatti Nel Nuovo Testamento, Giovanni Battista accoglie così Gesù: «Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”, prefigurandone il ruolo sacrificale per la redenzione dell’umanità. Proprio “come agnello condotto al macello”, come profetizzava Isaia (Isaia, 53,7). »Ora come è La libertà è sacra anche quella come dicono alcuni : ‹‹ di non frequentare locali del genere che penalizzano onesti lavoratori già fatto con i sapientoni nel periodo del covid . I pastori soprattutto in continente devono già combattere con le mode ambientaliste pro lupo salvo poi criticare i cani da guardiania perche pericolosi. ›› è altrettanto sacra quella sia ei ristoratori di non servirlo . oppure quello che prediliggo io il buon senso cioè il ristoranre dovrebbe anche accontentare tutti sia gli animalisti ed i vegani ( veri o modaioli ) sia i " carnivori " \ tradizionalisti .

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Kate Middlenton : << ho un tumore e faccio la chemioterapia non pediamo mai la speranza >> Un messaggio ( vero o falso , poco spontaneo secondo alcuni come questo e quest altro articolo di https://www.thesocialpost.it/ ) , ma che oltre ad essere un messaggio a tutti i malati , lo è anche alla stampa più morbosa ed ai complottisti che trovano voce ed amplificazione in essa . Ilnoltre il modo in cui Kate Middleton, non la Principessa del Galles ma semplicemente Kate, ha raccontato al mondo di avere un cancro e di sottoporsi alla chemioterapia racconta, in fondo, molto più di noi che di lei. Di una società e un giornalismo che, per settimane, ci hanno propinato ( ed ancora   continuano ) ogni singola teoria complottista su una foto (come se fosse un affare di Stato), costringendola di fatto a rendere pubblico ciò che è o dovrebbe essere la cosa più intima e privata che esista. E non c’è Corona o popolarità che tenga.

5.1.23

laura '75 dopo aver sconfitto un tumore ha fatto karate è arrivata a conseguire la cintura blu.

 Dall'account stesso della protagonista

Laura, classe 75, ha iniziato a praticare il Karate non più giovanissima, nonostante ciò dopo un percorso di formazione costante è arrivata a conseguire la cintura blu. Una strada non sempre facile considerando varie problematiche legate anche a problemi di salute seri a cui è dovuta andare incontro durante questo cammino. Un tragitto di grandi insegnamenti che, grazie al supporto dei due tecnici del "Martial Club Tempio Pausania" : Giuliano Addis e Pietro Manueddu, è riuscita a portare avanti nonostante le difficoltà. Questa esperienza vuole essere una testimonianza per tutte quelle persone che pensano non sia possibile seguire un percorso formativo, come quello del Karate, in età adulta e un'esortazione affinché si portino avanti i propri obbiettivi con determinazione e assiduità. Quello che sento di dire a tutte le persone che affrontano una difficoltà è di non arrendersi mai davanti ai problemi, fissare degli obiettivi e portarli a termine seguendo la propria linea di pensiero e concentrandosi sul traguardo da raggiungere.

2.11.22

L’impresa trasmessa nei monitor delle sale d’attesa dell’Aou La missione della “Sassari” in Qatar Tre biker fra le dune del Marocco «Grazie per il vostro coraggio»

 dalla  nuova  sardegna    del  2\11\2022   


Nuova sfida vinta dopo il tumore, la chirurga Nonnis: «Esempio per tutti»


                                Nadia  cossu  
Sassari
“Lacrime libere di donne che non temono l’emozione”. Una breve didascalia che dice tanto. L’ha scritta Rita Nonnis, chirurga senologa dell’Aou di Sassari, sul suo profilo Facebook per accompagnare l’immagine del traguardo finale raggiunto dalle “sue” tre combattenti, innamorate della vita e pronte ad accettarne le sfide. In sella alle loro mountain bike, Paola Zonza, Daniela Tocco e Donatella Mereu

hanno partecipato alla Marocco Expedition Women Challenge. Quasi quattrocento chilometri percorsi in bicicletta tra dune e terreni pietrosi, tra piste e sentieri del profondo Marocco, dalle montagne al deserto, attraversando piccoli villaggi e remoti insediamenti di popolazioni berbere. Senza però mai perdere di vista l’obiettivo: arrivare all’ultima tappa e urlare al mondo “Noi ce l’abbiamo fatta, potete riuscirci anche voi”. Un “voi” che comprende chiunque stia affrontando la propria battaglia personale. Così come è successo a loro tre, che hanno combattuto e vinto la malattia. «Grazie di cuore per il vostro impegno e la vostra grande generosità per aiutare chi come voi ha affrontato periodi difficili – è il messaggio che la dottoressa Nonnis, componente medica della spedizione, ha dedicato a Paola, Daniela e Donatella – Grazie per la grande serietà ma anche per l’allegria con cui avete affrontato senza mai
perdervi d’animo i momenti difficili». Un medico è una sicurezza quando si vivono esperienze complesse. Rita Nonnis è una grande e stimata professionista la tenacia con la quale ha portato e continua a portare avanti – cercando di superare innumerevoli difficoltà – vari progetti di crescita per la sanità sassarese (la Breast Unit è un esempio calzante) hanno fatto di lei un punto di riferimento soprattutto per le donne che combattono contro il tumore. «Con voi e da voi ho imparato molto, dal punto di vista umano e professionale – si rivolge ancora alle biker – Come nelle altre sfide della vita vi siete preparate con caparbietà e avete affrontato con consapevolezza tutto il percorso con una forte motivazione. Siete donne sensibili, coraggiose e determinate». E lo specifica, la Nonnis, che far parte delle “women challenge” non significa essere “super women” «ma donne che conoscono i propri limiti, li accettano e sanno cosa fare». Esattamente l’identikit di ciascuna delle protagoniste di questa avventura in Marocco. Che, naturalmente, è stata possibile grazie alla sinergia e all’impegno imprescindibile di altre persone. Il progetto è stato organizzato e realizzato da Acentro per il sociale di Cagliari con il patrocinio di Regione, Comune di Cagliari, Asl di Cagliari, Aou di Sassari, Lilt, Ail Cagliari,Fondazione Taccia, Mai più Sole e Associazione sinergia femminile. Con il supporto di numerose aziende del territorio. L’Aou di Sassari è stata molto presente durante questo viaggio, prima con la consegna di materiale medico alla vigilia della partenza e poi con la trasmissione – nei monitor delle sale di attesa dell’Azienda – delle immagini che raccontavano quotidianamente la piccola grande impresa. A guidare l’avventura il capo carovana, Maurizio Doro, biker d’esperienza e fine conoscitore del Marocco. Con loro anche il coach Antonio Marino e Michele Marongiu, ideatore dell’avventura, oltre al videomaker Pierandrea Maxia che ha documentato ogni singola tappa. Prima del rientro in Italia la comitiva ha donato i presidi medici e i farmaci – che per fortuna non è stato necessario di utilizzare – del kit di pronto soccorso. La dottoressa Nonnis li ha consegnati nelle mani di madame Keltoum Touhami Elwazzani che nel villaggio di Agdz è attiva proprio nella sensibilizzazione contro il cancro alla mammella. Un modo speciale di concludere la sfida

1.11.20

cancro ai tempi del covid . “Operata a mie spese per guarire dal cancro ai tempi del Covid la storia di Marina Gazzini



da repubblica online la storia che è riuscita ad affrontare un simile problema senza farsi prendere dal panico e dalla paura con intelligenza e coraggio. Tale signora ha Un carattere forte e solare. Lei comunque ha potuto pagarsi l'operazione (anche se non è giusto dovrebbe essere lo stato aiutare il cittadino non solo il privato ), lei è stata fortunata perchè purtroppo c'è chi muore perchè non può pagare di tasca sua non è solo sulla coscienza di chi ci amministra, ma anche di chi evade le tasse e/o ruba impunemente soldi pubblici.



L'8 marzo non è solo la data del lockdown a Milano. È anche il giorno in cui Marina Gazzini riceve la diagnosi di tumore al seno. "Il secondo. L'altro l'avevo curato cinque anni prima. È un cancro nuovo, del tutto indipendente dal primo. Mi hanno spiegato che è un caso raro, non sono stata fortunata". Le sfortune, in quei giorni, Gazzini, 55 anni, di Milano, professoressa di storia medievale alla Statale,




sembra raccoglierle tutte. Le porte della sala operatoria le si sbarrano davanti a causa del Covid. E per chi vuole sapere cosa voglia dire curare una malattia grave in piena emergenza pandemia (sono mille le nuove diagnosi di cancro in Italia ogni giorno), lei è disposta a raccontare tutta la sua storia. Lo fa anche come testimonial dell'Airc, l'Associazione italiana per la ricerca del cancro, che da domani e per una settimana organizza i suoi tradizionali "Giorni della ricerca", con la maratona Rai e la possibilità di acquistare i Cioccolatini della ricerca, stavolta online tramite Amazon, per sostenere lo studio della malattia. Perché, come ha ricordato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nell'ospitare al Quirinale i membri dell'Airc: "C'è il Covid, ma le altre malattie non sono finite in lockdown. Troppi screening e troppe cure vengono rinviati a causa della pandemia".


Lei ne sa qualcosa. Come si è sentita quel giorno?

"Avevo una visita di controllo. Ormai erano passati cinque anni dal primo tumore del seno, ed è arrivata la sorpresa dall'altro. Il medico ha provato a scherzare: meno male che ne ha solo due".

Immagino non avesse voglia di ridere.

"Nell'ospedale pubblico che mi stava seguendo il Covid è entrato subito e in modo pesante. Le sale operatorie sono state immediatamente chiuse. Impossibile eseguire interventi. Idem per la chemio e tutto il resto. Mi hanno detto che se ne sarebbe riparlato a giugno. Ma conosco i tempi di attesa e ho pensato che non avrei potuto aspettare".

Come ha fatto?

"Sono andata in clinica. Ho pagato completamente di tasca mia, perché non ho un'assicurazione. Ero almeno tranquilla, visto che mi ha operato la dottoressa del primo tumore. A Pasqua ero già fuori".

Oggi com'è la situazione?
"Migliorata. Ho ripreso le cure e i controlli nell'ospedale pubblico, dove hanno compreso benissimo la mia scelta. L'attenzione per il coronavirus è estrema, le distanze sono rispettate in modo rigoroso, all'ingresso distribuiscono mascherine nuove, per evitare che qualcuno si presenti con quelle strausate. C'è il disagio di non poter essere accompagnati, soprattutto per i pazienti che vengono da lontano. Ma nel complesso ci si sente in un luogo sicuro. Certo, il clima è diverso".

In che senso?
"L'ospedale è vuoto. Ci sono solo i pazienti. E il personale è stremato. Si vede chiaramente".

Anche l'intervento l'ha affrontato da sola.

"È stato un momento di enorme tristezza. In fondo però non si è mai davvero soli. Si parla con gli altri, si formano legami di solidarietà".

Come ha fatto ad affrontare una tale serie di colpi avversi?

"Mi ha aiutato il lavoro. Non ho mai smesso, mi ha permesso di non pensare. Con la didattica a distanza nessuno si è accorto di niente. Solo alla fine ho raccontato tutto ai colleghi. Non perché avessi dei problemi a rendere pubbliche le mie vicende. Ma loro sono persone splendide e mi avrebbero chiesto di non lavorare. Io invece ne avevo bisogno".

Ma il coronavirus non le fa paura?
"No, per nulla. Non voglio essere fraintesa. Mi rendo perfettamente conto della sua gravità e seguo con attenzione ogni precauzione. Qui in Lombardia è stato uno tsunami, una tragedia. Il lockdown, chiusa in casa con mia madre e mia figlia, è stato pesante, come per tutti. Ma no, non riesco a provare paura. Vorrei anzi dare un messaggio di speranza a chi comincia oggi la sua storia contro il tumore. Il momento per ammalarsi non è certo ideale. Ma oggi non è come un tempo. Ci sono macchine e terapie che cinque anni fa, quando ho avuto la prima malattia, non erano nemmeno immaginabili. Ed è tutto merito della ricerca".

23.4.17

Hostess muore a 33 anni, Italo e i colleghi le dedicano un treno dell'alta velocità

Se un giorno vi capitasse di viaggiare a bordo di un treno Italo dell'alta velocità e di leggere sulla fiancata, proprio il numero 25 allora ricordatevi della storia di Annalisa Venticinque, che un male incurabile tumore  \  cancro  ha portato via venerdì 14 aprile ma il cui ricordo continuerà a viaggiare 



Hostess muore a 33 anni, Italo e i colleghi le dedicano un treno dell'alta velocità Annalisa Venticinque scomparsa a causa del cancro: una targa nella cabina del train manager del convoglio numero 25
  da repubblica  di   GERARDO ADINOLFI



Una storia triste, ma anche di amicizia e di lavoro. Di una giovane hostess dei treni Italo di 33 anni morta a causa del cancro e dell'affetto dei suoi colleghi che, per non dimenticarla, le hanno voluto dedicare un convoglio. Così se un giorno vi capitasse di viaggiare a bordo di un treno Italo dell'alta velocità fate caso al numero scritto sulla fiancata, proprio sotto la cabina di guida. E se leggete il numero 25 allora ricordatevi della storia di Annalisa Venticinque, che un male incurabile ha portato via venerdì 14 aprile ma il cui ricordo continuerà a viaggiare.
L'"Annalisa 25" da oggi infatti percorrerà i binari italiani con una targa affissa nella cabina del train manager, in ricordo della collega che non c'è più. L'azienda, in accordo con i dipendenti, ha deciso di dedicarle prorpio il treno numero 25 della flotta. Annalisa era di Pignataro Maggiore, in provincia di Caserta. Ha lavorato prima come hostess di volo per la Air One e poi è con Ntv, sui treni dell'alta velocità. Un lavoro che era anche una passione, fatto di amicizie e soddisfazioni.
"Ha lasciato un segno indelebile nella nostra mente - scrive Tiziana, una collega e amica di Annalisa - a bordo si crea un legame speciale, trascorri molto tempo insieme e lavorando capita anche di confidarsi, aiutarsi, fare battute sceme. C'è uno spirito di squadra che in questi giorni ci ha unito di più intorno a lei che non meritava
tutto questo male ma lo ha affrontato con dignità esemplare e con il suo sorriso di sempre". I messaggi così continuano anche sulla sua pagina Facebook: "Sarà triste - dicono alcuni amici - non ritrovarti più sul treno".

6.3.15

testamernto di Oren Miller malato terminale

da www.huffingtonpost.it Aggiornato:    
OREN MILLER FAMILY
Venerdì 30 maggio 2014 ho scoperto di avere un cancro ai polmoni al quarto stadio. Le persone nelle mie condizioni non hanno una lunga aspettativa di vita e la cura si limita a renderlo solo più sopportabile. Ci sono altre opzioni da discutere più avanti, come i trattamenti sperimentali. Resto ottimista ma, sinceramente, credo di sapere a che punto mi trovo.
Quattro anni fa, nell'estate del 2010, eravamo a Bethany Beach (città degli Stati Uniti) e tutti si divertivano un mondo. I membri della mia famiglia ed alcuni amici erano intenti a costruire castelli di sabbia, facevano continui bagni, insomma tutti erano rilassati... tutti tranne me, il solito ansioso. Avevo centinaia di mail da leggere e tantissime idee per il mio blog che non avevo il tempo di scrivere, ero circondato da troppa sabbia e non c'era abbastanza caffè. Ho provato a fingere di divertirmi ma gli altri riuscivano a capire che non ero nella mia "comfort zone" e che, peggio ancora, non volevo neanche essere lì.
Solo sulla strada del ritorno ho avuto una sorta di rivelazione. Solo allora ho capito cosa mi stava sfuggendo. Guidando verso casa mi sono reso conto di essere nel bel mezzo della più grande tragedia dell'esistenza umana: stavo vivendo il miglior momento della mia vita e non lo sapevo neanche.
Fu un giorno positivo, perché una volta presa la decisione, beh... Siete in Paradiso, ogni secondo della vostra vita. Andando avanti le cose sono migliorate: ho preso una decisione consapevole quel giorno d'estate, tornando a casa da Bethany Beach, e sono stato capace di riaffermare quella decisione nel mio subconscio, da allora in poi. Questo ha creato una netta separazione tra vivere in un inferno in terra (dove arrancavo di continuo, ero sempre infelice, sempre insoddisfatto, sempre indietro con il mio lavoro, nel rapporto con mia moglie, con i miei amici ed i miei figli) e ritrovarsi, invece, in un vero e proprio Paradiso, dove, sebbene continuassi a desiderare di più dalla vita, sapevo di avere già tutto.
Credo nel Paradiso in Terra e credo che si può trovare ovunque lo si cerchi. Ecco dove l'ho trovato io:
Ho trovato il mio Paradiso nei lunghi tragitti in macchina con i miei figli. Il fatto di doverli scarrozzare ogni giorno a scuola avrebbe dovuto darmi sui nervi e invece ho sfruttato quei momenti in auto per parlare del loro mondo e del mio, per far conoscere loro la musica, per aggiornarmi su ciò che ascoltavano, per parlare dei valori e di cose senza senso.
Ho trovato il Paradiso nel pavimento sporco di un campo di basket. Andavo a prendere la mia bimba all'asilo alle 12, quindi dovevamo aspettare per ore che il fratello uscisse da scuola prima di tornare a casa. Ricorderò per sempre quei giorni passati ad aspettare con mia figlia e spero che anche lei lo faccia. Per quattro ore restavamo lì seduti a dividerci il pranzo nella stanza dei giochi della scuola, dove mi preparava panini di plastica e tè, per poi correre in campo a giocare. O meglio, lei guidava una parata marciando lungo la linea nera e io restavo dietro di lei, arrancando. Si era inventata quel gioco, ribattezzato "Andiamo alla festa di compleanno". Ci sedevamo uno di fronte all'altro e ci passavamo la palla, facendola rotolare sul pavimento. Poi arrivava il momento delle coccole e restavamo abbracciati in mezzo al campo mentre le persone ci giocavano intorno.

oren miller bball
Persino il Paradiso include delle condizioni. A marzo abbiamo cambiato casa. E' una bella casa, la dimora dei sogni. E' il posto dove i miei figli cresceranno e questo mi spezza il cuore. Non m'importa di me, davvero. Ho avuto la vita migliore che si possa desiderare, ma c'è solo una cosa, qualcosa per cui darei la vita: vedere i miei figli crescere.
Ho cresciuto dei bambini felici. Come tutti, a volte si lamentano ma, in generale, sono felici. Sono il mio capolavoro: due bambini amabili, svegli, intelligenti, divertenti e felici. E non posso lasciare che questo finisca, non posso permettere che crescano infelici. Non posso lasciare che ci sia un buco nel loro cuore al posto del padre, che ricorderanno a malapena. Voglio che siano felici. Voglio esserci per renderli felici.
Voglio che mia moglie sia felice, perché lo merita. Vorrei poterla rendere felice proprio ora.
Credo che accettazione e tristezza possano coesistere. La tristezza è inevitabile, sono un essere umano e cercare disperatamente di elevarsi al di sopra di questa condizione fa solo più male. Ma accetto. Accetto che la vita sia limitata, che il mio momento stia per arrivare. Accetto che la mia esistenza sia stata e continui ad essere un dono, così come accetto l'eventualità di non veder crescere i miei figli.
Dovrei lamentarmi? Dovrei urlare al cielo: "Perché proprio io?" O dovrei sentire che sto vivendo il meglio della mia vita, proprio ora, soprattutto ora, ora che sono confuso, stanco e un po' triste?
Quello che succederà al mio corpo nei prossimi mesi è ancora relativamente ignoro. Ma ecco quello che sappiamo, invece:
Sappiamo che sono il più grande figlio di p... che abbia mai calpestato questa terra, sappiamo che sarò amato fino all'ultimo dalle persone che ho avuto l'immenso privilegio di conoscere: una moglie che adoro e due figli che mi stupiscono in ogni momento.
Voglio farvi solo una richiesta.
La mia bambina è un tipetto timido. Potreste vederla giocare da sola e sarete tentati di dire "Com'è carina mentre gioca tutta sola". Ma andate da lei, giocate con lei. Ha bisogno di voi.
Il mio ragazzo è terribilmente sensibile. Ricorderà qualsiasi cosa gli venga detta, analizzandola per mesi in quella sua testolina geniale. Non scherzate con lui solo per divertirvi o lo danneggerete. Rispondete alle domande che vi pone, o cercate di indicargli la direzione per trovare delle risposte. Gli piace giocare e bighellonare in giro, ma dovrete trattarlo come un adulto. E' più sveglio di me... e probabilmente anche di voi.
A mia moglie concedete una pausa. Lasciate che stacchi un po'. E' una personalità di tipo A sul lavoro, ma a casa vuole solo relax e divertimento. Aiutatela in questo. Vorrà farsi carico di tutte le responsabilità, non lasciate che lo faccia. Ditele di rilassarsi, di prendersela comoda. Aiutatela a godersi la vita. E non la etichettate o rinchiudete. Non usate quella "parola che inizia per V" (vedova). Quella parola non la rappresenta. Lei non è una banale semplificazione. Sapete chi è, invece? La figlia che ogni genitore desidera, la madre che ogni bambino si aspetta. Anche se sono stato a casa e ho fatto la mia buona parte per tirare su questi bambini meravigliosi, senza di lei non sarebbe stato possibile. Continuerà a tirarli su e loro cresceranno, diventando adolescenti ed adulti magnifici, grazie alla loro mamma.
E lei è la donna dei miei sogni.

oren miller

Questo post è apparso per la prima volta su "A Blogger and a Father Cancer".
Nota dei direttori di Huffpost Parents: Oren Miller è venuto a mancare sabato 28 febbraio. Sappiamo che il suo ricordo verrà serbato nei cuori di quanti sono stati toccati dalle sue meravigliose parole.
Questo blog è stato pubblicato originariamente su Huffington Post United States ed è stato tradotto dall'inglese da Milena Sanfilippo.



25.7.14

il destino e come una lotteria . Malata di cancro prepara il funerale ma .... la diagnosi si rivela errata la storia di Denise Clark

da  unione sarda  Venerdì 25 luglio 2014 14:39

A Denise Clark era stato diagnosticato un cancro in stadio terminale: lei aveva organizzato il suo funerale e scritto lettere d'addio ai suoi figli. In realtà la diagnosi era errata.
Le avevano dato pochi mesi di vita, quindi Denise Clark, 34 anni, di Aberdeen (Regno Unito), aveva pensato a tutto: organizzare il suo funerale, dire addio ai suoi figli con una lettera, godersi l'ultima estate con la sua famiglia.

Si è però scoperto che quella diagnosi, che parlava di un tumore in stadio terminale, era sbagliata. La donna quindi farà causa all'ospedale.
La storia, raccontata dal Telegraph, è iniziata 5 anni fa, quando era incinta del suo secondo figlio, Luca. Un esame aveva riscontrato un cancro al collo dell'utero e, per salvarle la vita, i medici avevano fatto nascere in anticipo il bambino e sottoposto la mamma a una serie di cure. La malattia, le avevano detto, era stata debellata. Due anni fa il problema si è ripresentato: nuovi esami e diagnosi devastante; il tumore si era riformato. Questa volta, però, le rimaneva poco tempo, perché era in stadio avanzato. La donna, che nel frattempo si era separata dal marito, che non aveva retto alla difficile situazione, era rimasta con i suoi due figli, aveva seguito delle terapie in diverse cliniche specializzate per "allungare" il periodo di tempo per stare in vita, spendendo oltre 10mila sterline.
Per quest'estate aveva preso delle ferie speciali dal lavoro per trascorrere le vacanze con i bambini (Harvey, 10 anni, e Luca, 4). Aveva scritto loro delle lettere, che avrebbero potuto leggere e conservare: "E' stato struggente mettere nero su bianco quelle parole", racconta Denise. Poche settimane fa, invece, il colpo di scena: quella diagnosi si è rivelata errata. "Nessuno potrà mai restituirmi la serenità persa in questi anni, i sorrisi mancati, i pianti devastanti ogni giorno e ogni notte", ma una cosa non dimenticherà mai: "Il viso dei miei bambini quando sono tornata a casa e ho detto loro: la mamma non se ne va più".

22.12.13

Cancro come Hiroshima . da http://mattax-mattax.blogspot.it/


Pensare ilcancro

di Matteo Tassinari

Pensare il cancroCome ogni grande e mortale malattia della terra e dell'uomo, il cancro è prima di tutto un "oggetto" da pensare per volgere ad un possibile miglioramento. Un corpo estraneo, vivace, sconosciuto prima, neoplasia (néos “nuovo”, plásis, “formazione”) o tumore (dal latino tumor, “rigonfiamento”), indica una massa anormale di tessuti che crescono in eccesso ed in modo scoordinato rispetto ai tessuti normali e che persiste in questo stato quando va bene, quando va male degenera fino all’approdo di buona speranza, all’epilogo della partita si spera giocata bene, come le poesie Marco di Van Basten o Michel Platinì nel rettangolo verde dove il vento scombina i capelli, mai le idee.
L'uomo nel sacco

 Ripensando alle bufere





L'argomentare dell'oncologo e della letteratura medica, non è sufficiente, come non fornisce neppure un modo di pensarlo, un modo non dico di discuterci, ma di viverlo come parte di me, non chiamandolo più "corpo estraneo" come spesso i dottori dicono. Mi rimane indigesto, mi fa paura,  percepire il tumore come evento generico, incorporeo, elusivoimprecisato, astrattofumosoapprossimativosommario. Come le collezioni di dati, bioritmi, scopie, tomografie assiale computerizzate, geometria proiettiva, rotazione del tubo radiogeno, liquidi di contrasto e su quei dati un nugolo di mosche che discutono, confronti, idee terapeutiche, ricerche, novità, speranze, sudore, pianto. Tutto questo non arriva a formare un pensiero. La religione ripete macchinalmente le sue formule, perché è necessaria una lunga vita di tormento morale per sentire la volontà di Dio come qualcosa di reale e di presente provvidenza e misericordia che non corrispondono a quanto umanamente s'intende con queste parole. La filosofia scantona, non ce la fa nonostante le sue spalle grosse. Dai guadagni stratosferici di Big Pharma International sul cancro non si direbbe l'indotto economico che arreca il tumore come fonte a cui attingere. Il pensiero ha indugiato l’affronto di più sulle grandi pandemie. La peste nera e quella bubbonica, il vaiolo, il colera, la sifilide, oggetto di storici, filosofi, pensatori, romanzieri, cronisti dei tempi in cerca di esplicazioni razionali per cercare di non abbandonarsi troppo all’insondabile mistero della vita. La forza del male obbliga tutti alla sottomissione per quanto energica la nostra risposta di fronte a ciò che fugge per vite intere. Tocca a chi tocca.














Dai al cancro la giustizia che invoca

Si entra in una killing zone, battuta, illimitata, dall'artiglieria atomica e antica, senza la minima speranza. Un chemioterapico sa bene che la cura spesso è peggio del male, nell’atroce prolungamento del dolore con l’aggiunta di altro vomito e tempo da vivere con pruriti insopportabili o escoriazioni nate dal nulla sulle gambe  e ventre. Voler pensare, il cancro, per cercare di spiegarlo. Ma spiegare cosa? Che i linfonodi hanno bisogno di una piallata a base di sedute di radioscopiche? Ripensare il cancro è anche ricordare gli amici colpiti, senza illusioni per me stesso, imbarcato da più di 30anni su questa comune barca da naufragio sicuro, morti di aids o tumori causati dalle difese immunitarie basse o cd4 vicino allo zero quando dovrebbero essere 1200 copie. Pensarlo, sbagliando, sia pure. Se si rifiuta il rischio di errore si è già rinunciato a qualsiasi pensiero sul cancro e la bestia ha già vinto. Questo mai! Quel che conta è uscire dalla nefanda e sinistra passività del silenzio metafisico, dare al tumore la giustizia che invoca, famelico, la giustizia della definizione astratta, il diritto di cittadinanza in un perimetro sacro, in cui l'odore d'ospedale non sia accolto insieme all'eterna verità. Trattarlo con riguardo perché è un enigma che la sfinge cosmica propone ai crocicchi, quando meni una vita non normale (secondo gli altri) perché farselo nemico è la fine prematurata. Non è servilismo, ma chi conosce personalmente Hiv e Cancro sono aspetti importanti, se non altro per il tempo che dedicano a te. Non ti lasciano mai solo, aspettano il momento migliore, per loro, per te il peggiore.
Cellule in stato iniziale di decomposizione tumorale ai polmoni
















“La diffusione 

mondiale del cancro”

La terra contiene la vita, può contenerla e generarla senza essere vivente, perché separiamo natura organica da natura inorganica? L’inorganico io lo penso come qualcosa di puramente immateriale. Sento la musica rock come una proiezione dell'inorganico, come leggo un romanzo di Baricco per saggiarne l’inconsistenza assoluta. Anche le città invase dalle macchine subiscono un'invasione dell'inorganico. Dal mondo non vivente a quello pulsante, sono fatte di metalli e di plastica e hanno bisogno di energia inorganica. La terra è tutta organica, tutta vivente, interamente pulsante. Anche nel pavimento che costò il rogo a Michel Serve (teologo, umanista e medico spagnolo, oltre che dedito allo studio della Bibbia) si interessò a scienze astronomiche, meteorologia, giurisprudenza, anatomia e matematica. Fu rogato nell’ottobre del 1953 dai calvinisti. Tutta vivente, la terra, come la vide Bruno, non come lo vedono i tecnocrati dello sfruttamento e della distruzione. E come essere vivente parlo di vita come cicli, assoggettamento alla morte, morte periodica e morte definitiva. La terra è un essere mortale, è la scoperta che ci spetterà a seguire questo on the road.


Tomografia compiuterizzata assiale
Linfoma biosfera

Il sole agonizza
e agonizzerà ancora per molti decenni. I raggi cosmici, sfilacciandosi, i gas di schermo della biosfera bombardano cancro sui tessuti viventi, sui deserti, gli oceani, i ghiacciai silenziosi come i veri predatori della natura, quando sferrano l’attacco è il caos, il nulla, perché ormai è già tardi. Solo chi è stato azzannato alla gamba da un coccodrillo guatemalteco può capire, gli altri stiano zitti. Spesso ho pensato alla morte per cancro della terra, anche se non l'abitassero che i bei sauri di cui ammiriamo i meravigliosi scheletri, appare sempre meno contestabile che il suo cancro primario abbia nome uomo. La terra è piena di metastasi, molte sono già esplose come Hiroshima.













Non esiste
cancro soggettivo

Ora, penso che sarebbe stato più semplice per me e per voi che leggete questo trattato di medicina empirica, mi era più semplice romanzare le ore vissute con Valerio colpito da aids e tumore, chi si piace si prende e ancora per molti mesi agli infettivi. Ma deprecavo l’idea di fare retorica, o quasi, su un argomento così serio da farti piangere alle 4 di notte in bagno, perché intuisci dove ti sei cacciato, o meglio, dove la vita t’ha cacciato. Non mi pareva il caso a giocare al Balzac su questo argomento e allora ho scelto più un taglio metafisico, alla Ceronetti, dove capisci solo dietro ad una vasta concentrazione sul testo, ma è un capire profondo, non un comprendere teorico, serve sensorialità, tanta. Tutte le epidemie si presentano velate. Chi riesce a strappare il velo e dice, senza inorridire, la faccia che ha visto, non è creduto. La prima volta che mi arrivò una voce sul cancro come evento epidemico mondiale fu negli anni ‘70, leggendo qualcosa. Si trattava dell'opinione di un cancerologo francese che commentava l’atomica di Hiroshima più o meno cosi: “E’ cominciata la diffusione mondiale del cancro”. Ce l'ho dentro ancora quella voce, quelle parole, quella infallibile profezia. Ed ero bambino. Ma è già, subito, un difficile lavoro per il pensiero operare l’allacciamento, in termini speculativi, tra lo bomba di Hiroshima e il cancro mondiale.
Era il 4 dicembre 1993, venti anni fa. Frank Zappa morì a Los Angeles per un cancro alla prostata. Negli ultimi tempi della sua vita, non rinunciò alla sua vena polemica annunciando di volersi candidare alla presidenza degli Stati Uniti in totale dissenso con la politica dell’ex presidente Reagan e con quella di George Bush. Il suo biglietto da visita o slogan era: "Potrei mai far peggio di Ronald Reagan?". Geniaccio!

Il cancro in guerra

Siamo ad un caso si direbbe di pestilenza che segue il carro della guerra, ma con due differenze importanti: nell'area atomizzata siamo già fuori della guerra, siamo nella passività assoluta. e già nel cuore di tenebra della peste e nell'epidemia di cancro abbiamo ormai oltrepassato ogni limite storico di tempo. Dunque, se il cancro epidemico è figlio di Hiroshima, non lo è per cause materiali. Può esserlo per cause metafisiche e se oggi dicessi che lo è lo direi da filosofo quale non sono, non da medico certo. Cinquant'anni dopo, il velo non si è ancora alzato sull'enigmatica faccia, nessuno parla ragionevolmente, di epidemia mondiale di cancro, ma soltanto, eufemisticamente, di pericolo di una diffusione sempre maggiore del carcinoma. Sarebbe troppo rischioso dire che il tumore e pandemico. Alzando senza paura il velo, la faccia, è là. Siamo noi, viviamo, ci muoviamo, parliamo, leggiamo, scriviamo, cerchiamo di superarci senza riuscirvi, con mille possibilità di morire in altro modo perché la Moira permane come realtà generatrice d'infinite cose, in un universo battuto da un’epidemia di tumori maligni. Un vaso di Pandora ancora da scoperchiare, chi lo alzerà quel coperchio? L'uomo cancerifica la terra con la sua presenza in eccesso e la sua attività di delirio consumistico, coi suoi pensieri criminali e con la sua impossibilità di amare al di là di quel che più strettamente gli somiglia. Solo tre o quattro poeti fra tutti hanno sperimentato l'amore infinito, gli altri hanno amato donne, uomini, vino, oppio, qualche gatto e la terra gli salda il conto, d'accordo col cielo e il sole, inondando di cancro l'uomo. “La misura della vita è dunque la differenza che esiste tra lo sforzo delle potenze esterne e quello della resistenza interna. L'eccesso di quelle annuncia la sua debolezza; il predominare di questa è l'indice della sua forza
L'angelo sterminatore
Il deserto si allarga

Mentre l'angelo sterminatore tende a far morire tutto quel che è vivente, gas, petrolio, inquinamenti titanici, elefantiasi della globalizzazione, minacciosi quanto spaventosi inquina le falde terrene per entrare per nostra volontà nel corpo delle generazioni future. Il vile atto di chi ha il senso innato del diabolico. Guardate il lavoro dell'intelligenza, il travaglio della ragione: salvo qualche apparenza e poche eccezioni, è ormai rotto lavoro e travaglio per far crescere e accelerare la morte. Il deserto si allarga e l'allargarsi del deserto è uno stretto luogo dove l'uomo sempre più incapace di pensare la vita, si nasconde per darsi la morte. Guardate le stesse ricerche sul cancro. Non sono anticancro che per chi non vuole pensare, e per chi accetta la spennellata di morte che insita nei luoghi comuni dei “come stai”? Quando sai che hai un cancro e altro di debolezze? Non c’è nulla in quegli immensi apparati tecnologici ed elettronici, in quelle colossali statistiche, in quelle schedature frenetiche, in quelle sperimentazioni su sventurati animali, nulla dico che abbia la faccia della vita. Sono sforzi di beccamorti che s'ignorano. C'è una predestinazione quando si prendono vie errate e qualcosa impedisce che s’imbocchi la giusta, una predestinazione alla bancarotta del vivente. Questa bancarotta non è muta, anzi assume in tutto la forma di un grido, di un'immagine Geschrei dell'onda sonora ben più vasta e prolungata di quella sonnambulicamente trascritto da Edvard  Munch, che se fosse percepito ci sarebbe insopportabile e ci costringerebbe a"fare qualcosa" per placarlo.












Le stelle inacessibili
Senza percepirlo arrivo a conoscerlo, come gli astrofisici arrivano alla conoscenza esatta di presenze stellari inaccessibili per mezzo del calcolo e posso assicurare che non ci sono limiti al suo strazio, più forte di un milione di Ecube e di Racheli, ma mi è impossibile rendermi credibile dal momento che parlo dalla riva di un sistema di pensiero assassinato. Credo di poter dire che lo stato della terra sia attualmente molto peggiore di quello che viene descritto dalla scienza dominante più pessimistica, perché il grido, l'incessante lamento di Munch che non può essere percepito delle forme viventi visibili e non visibili, non è oggetto misurabile, perché interiore e senza canali di comunicazione nervosa esterna, come succede che di certi esseri che ci passano accanto non udiamo nulla, neppure un sospiro, eppure gridano a volte con la forza di mille agonie. 













Enigma cancro

È un sos come il mondo dei segnali a distanza, non ne ha mai conosciuti. Se un Dio all'improvviso ci bucasse gli orecchi, cesseremmo di occuparci d'altro, di nazionalismi o di Etruschi, di carriere dei figli o di mafia, di scacchi e Carmelo Bene e anche di cancro. Solo allora avremmo la percezione di realtà e di forze, di sofferenze e di sciagure, di rimedi dell'irrimediabile e di dicibilità dell'indicibile in cui ci sarebbe una nicchia illuminata, e in questa nicchia, in una luce pallida, lo spirito del cancro riscatterebbe, con qualche parola sommessa ma udibile, tanta cieca solitudine, tanta disperazione davanti agli enigmi da lui piantati all'interno dei corpi, in figura di cellule irriducibili e di degenerazioni organiche interne la cui origine vera è altrove, neppure spazialmente altrove, ma nell'esterno dell'interno là dove i limiti fisici del corpo si perdono nell'illimitatezza cosmica della mente. Alla malattia infettiva e contagiosa per impiantarsi è sufficiente la debolezza fisica a causa di una fragilità immunodepressa, il cancro invece è attratto soprattutto dal sovraccarico di attività psichica, dal dinamismo mentale dissennato, dagli sconvolgimenti dell'anima all'esasperazione mentale.
















Ldolce agonia

E’ questa la cifra totale della sofferenza che ognuno di noi porta in grembo, alcuni riescono a gestirla, altri no. Qui entrano in azione le cliniche della "dolce morte" (mai come in questo caso la parola dolce è stata usata a sproposito) pronte a venirti in aiuto ammazzandoti. Infilare una flebo con cobalto 12 e plutonio concentrato nelle vene di una persona disperata non ci vuole molto, sai quanta gente trovi che lo farebbe, perché è questo il terribile fatto, quanta gente farebbe il serial killer dal camice bianco. Ormai alle follie dell'uomo e della donna sono abituato, c'ho fatto quasi il callo, meno alle sue consistenze. Voglio dire che l'inquietudine sta più nella quantità di persone dedite a devianze mostruose, non tanto le devianze mostruose, per quanto orribili, ma il livello espansionale.













Il pane nella goccia

Pensare al cancro. Appropriarselo come pensiero per respingerlo come paura. Chi pensa opera, non stramazza di passività. Ma un pensiero schiavo dei dati e depurato di qualsiasi relazione col mistero, che mai ci sarà rivelato, del mondo, è un pensiero inoperante, un pensiero morto e che fa morire. Uno straordinario amico Veneto e che il cancro mi sottrasse giusto un paio di un paio d’anni fa, del quale incessantemente rimpiango la lucidità tranquilla anche a malattia inoltrata, la grande cortesia e sollecitudine fino all’estremo anelito mentale, avrebbe immediatamente compreso e condiviso questo mio ragionare del cancro universale che per molti, i più, non sarà così, c’è altro a cui pensare, ora. Sia dunque dedicato a tutti. Sia dedicato anche a tanti volti cari che là, nelle penombre, nelle stanze visitate, non raggiungibili da altri conforti, patiscono e tremano per sé e per altri. Getto il tuo pane sull’acqua e dopo molti giorni lo ritroverai per sfamarti. Acqua e pane. La vita. "Come una goccia di splendore", di Alvaro Mutis, poeta colombiano morto pochi mesi fa che consiglio.

Ma che fatica scrivere 'sto post!

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