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12.4.22

Anche le donne hanno un ruolo nella costruzione dello stereotipo intorno al quale si è costruita una certa idea di maschio. E allora emerge l'esigenza di sfumare i confini e parlare di persone e tossicità di genere



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Indefinito ma potente ed evocativo. Il concetto di mascolinità tossica sembra davvero comodo per contestare le vecchie idee di virilità, quelle che rimandano a comportamenti aggressivi e distruttivi ma anche offensivi e banalizzanti nei confronti delle donne. C'è davvero ancora tanto da riflettere. Potremmo chiederci però se questa formula così popolare basti per rappresentare i significati complessi che promette, se effettivamente aiuti le nostre conversazioni, se non sia diventata una specie di etichetta
generica per spiegare qualunque problematica legata alla mascolinità andando così a semplificare la complessità del reale. E allora emerge l'esigenza di sfumare i confini e parlare di persone e tossicità di genere
L'idea stereotipata del maschio
Nel tentativo di promuovere interventi volti ad aiutare gli uomini a liberarsi del peso della gabbia di genere, nel 2018 l'American Psychological Association ha indicato una serie di tratti tossici legati alla mascolinità tradizionale: sopprimere le emozioni e mascherare la vulnerabilità, apparire autonomi, capaci, competitivi e dominanti, usare l'aggressività per dimostrare di essere maschi, sentirsi portati ad accedere al corpo delle donne come segno di virilità, essere ipersessuali, eterosessuali e tendenzialmente omofobi.
Anni di ricerca hanno suggerito che in effetti l'ideologia maschilista è psicologicamente dannosa, non solo per le donne. La tossicità è riferita a quei valori, quelle credenze, quelle aspettative che ruotano intorno allo stereotipo del maschio, che si infiltrano così bene nel modo in cui uomini e donne stanno in relazione, che silenziosamente fiancheggiano la disparità, negano, minimizzano e normalizzano la violenza.
Che le donne del resto possono essere banalizzate, svalutate, oggettivate, ridicolizzate, toccate, prese, aggredite, violentate sono pensieri che stanno dentro la cosiddetta vita normale.
Quando le donne sostengono la tossicità
La tossicità però non sta solo nei fatti di cronaca orribili. Esiste un serbatoio enorme di tossicità subdola ed endemica, intrinseca ai rapporti tra i generi, in ogni ambito. Anche noi donne ne siamo spesso complici senza rendendocene conto. Quando assumiamo atteggiamenti complementari a quelli tossici maschili oppure li imitiamo per sentirci libere. Quando diamo per scontato i loro privilegi perché così è sempre stato, quando ci appropriamo spavalde di qualche vantaggio e ci sentiamo per questo tanto emancipate. Quando bolliamo come poco di buono una donna e come farfallone, cacciatore, seduttore, don giovanni, latin lover, playboy un uomo che fa le stesse cose. Quando ridiamo di un amico poco prestante, quando pensiamo che un maschio gentile, sensibile ed empatico sia gay, quando crediamo di non essere niente di più del nostro corpo, quando commentiamo una donna per come è vestita e non per quello che dice. Quando ci concediamo al nostro compagno senza volerlo perché lui ha dei bisogni, quando pensiamo che se ci ha messo le mani addosso è perché è geloso e ci ama tanto. Quando usiamo la nostra condizione per ottenere agevolazioni. Quando ridiamo a battute da spogliatoio, quando ci alziamo da tavola per servirli, quando sorridiamo se un sconosciuto ci dice bellezza, cara, tesoro, quando ci guardiamo allo specchio con gli occhi degli uomini e ci valutiamo sulla capacità di attrarli sessualmente, quando accendiamo la tv e ci sembra normale vedere belle ragazze-cornice che sgambettano sorridendo. Quando diciamo a nostra figlia che è una principessa e a nostro figlio di non fare la femminuccia, quando aspettiamo un uomo che ci svolti la vita. Quando è ovvio che, tra me e lui, sia io a rimanere a casa e a rinunciare alla carriera. Sono solo degli esempi.
Cosa si rischia parlando solo di mascolinità tossica
Così, inutile forse farne un esclusivo marchio maschile. La tossicità sta nella nostra quotidianità, nei nostri pensieri, nella nostra cultura. Se da un lato quindi questo concetto permette di puntare l'attenzione su fenomeni inquietanti e per questo è importante, dall'altro potrebbe banalizzare il discorso sulla mascolinità, riproducendo oltretutto, invece di smantellare, stereotipi. Possiamo dire forse che parlare di mascolinità tossica, sotto certi aspetti, è fare un discorso sessista perché è come dire che un dato gruppo sociale pensa in un dato modo ed è portato a fare date cose per il fatto di avere un dato corpo. Che esiste quindi un destino biologico. Mentre la scienza ci spiega molto bene che maschi e femmine agiscono in modo diverso non a causa delle caratteristiche biologiche ma delle rigide norme sociali create attorno alla femminilità e alla mascolinità.
Inoltre, come solleva Manolo Farci, professore di sociologia della comunicazione e dei media digitali presso l'Università degli studi di Urbino Carlo Bo in un articolo online sul sito Il Tascabile, l'espressione mascolinità tossica rischia di diventare un "concetto bulldozer", una scorciatoia concettuale sfruttata per spiegare qualunque fenomeno che intercetta la mascolinità, impoverendo così il dibattito pubblico. Suonando come un'accusa, un rimprovero, una critica, tra l'altro, può portare a polarizzare ancora di più gli atteggiamenti che vorremmo cambiare. E di allontanare gli uomini dal problema, Io non sono violento, la cosa non mi riguarda. È una formula che rischia di far passare l'idea che le cose possono migliorare solo se gli uomini cambiano il loro comportamento sviando da una riflessione più ampia sui limiti strutturali imposti da secoli di cultura patriarcale, espressione vecchia e sorpassata ormai in disuso ma ancora tanto attuale.
Del resto potremmo chiederci se quando gli uomini esibiscono tacchi e unghie smaltate stanno davvero combattendo contro la disparità, se depotenziare il macho, rendendolo più morbido e sensibile, voglia dire farlo diventare più aperto alla parità. Certi atteggiamenti provocatori possono aiutare a scalzare idee stantie, senza dubbio. Ma parlare solo di mascolinità da risanare, di femminilità da potenziare, di quale sia, tra i due mondi, il migliore non aiuta a cambiare del tutto le cose perché non prescinde appunto dai mondi. Anzi consolida modelli di genere, perpetua l'idea che esistono giocattoli, abiti, libri, bevande, comportamenti, gusti, pulsioni, parole, preferenze, emozioni, pensieri per uomini e per donne. Forse dovremmo parlare di narrazione tossica dei generi, sfumare i confini più che ridefinirli, pensare che ci sono persone, e non maschi e femmine, a fare le cose. Rinunciare all'idea che genere, orientamento sessuale ed espressione di genere coincidono. La realtà è molto più sfumata dei nostri pensieri.

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