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29.12.24

Diario di bordo n 94 anno II . odio gratutito verso cecilia strada da destra e dal Chef rubio ., i topi di fogna con marce svastiche si preparano al 7 gennaio ricordo ei fatti di acca larentia ., il dramma di una coppia di genitori di Orbassano (Torino), Alessandro e Cristina .,

In queste ore i soliti miserabili (  metaforicamente  parlando  ) stanno infettando   i social e non solo purtroppo  (specie sotto certi giornalacci e siti  di destra extraparlamentare   come  il   ink  citato  nerlle  righe   successive  )  sbavando bile, ignoranza e cattiveria pura contro la giornalista Cecilia Sala, imprigionata da otto giorni in un carcere iraniano.
“Se la tengano pure”.“Si sta facendo le vacanze di Natale in carcere per scrivere il libro”.“La Boldrini
indossi il burka e vada a farla liberare”“ , Diamogli la Salis in cambio”, Fatele fare quello che chiedeva per i Marò in India” Cecilia Sala, mentre frigna dalla prigione, spuntano i suoi post infami che scrisse contro i nostri militari . E poi via delle solite sciocchezze da bar vomitate sotto le decine di notizie sull’arresto. “Cosa ci faceva in Iran?”
Lavorava. Come tutti noi. Di mestiere fa la giornalista. E all’Iran ha dedicato libri, podcast, inchieste.
“Perché andare in un Paese dittatoriale? Se l’è cercata”.
Perché è questo che fanno gli inviati di guerra e nei teatri più pericolosi: documentare le dittature e le violazioni dei diritti umani e farle conoscere. Si chiama giornalismo.
Non doveva, non poteva immaginare che accadesse quello che è accaduto?  Ma certo: le tante Cecilia Sala che nelle zone più tormentate del mondo, vanno, cercano di capire e raccontare quello che vedono e apprendono, lo devono mettere in conto. Come l’avranno senz’altro messo in conto Domenico Quirico e Daniele Mastrogiacomo, Giuliana Sgrena, i tanti – una lunga lista – che ci hanno rimesso la vita.
Cosa ci sono andati a fare, in Iran, in Afganistan, in Somalia, nella ex Jugoslavia, in Cecenia? Cosa ci andavano a fare Antonio Russo, Maria Grazia Cutuli, Marcello Palmisano, Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Marco Luchetta, Dario D’Angelo… Ma anche cosa ci andavano a fare, pur senza andare troppo lontano, i giornalisti uccisi dalla Cosa Nostra e dalla Camorra, i cui anniversari celebriamo ogni anno e ricordiamo con affetto?
Mesi fa a New York una bella mostra di fotografie di Gerda Taro, la fotografa morta stritolata dai cingoli di un carro armato nei giorni della guerra civile in Spagna. Che c’era andata a fare? A realizzare quelle immagini che ancora oggi si guardano con commozione e dolore, documenti della tragedia di un popolo la cui libertà e i cui diritti venivano soffocati da Francisco Franco, Adolf Hitler e Benito Mussolini.Il suo compagno, Robert Capa, che ci andava a fare anche lui in quella Spagna, e poi durante la Seconda guerra mondiale in Nord Africa, lo sbarco in Normandia, la liberazione di Parigi… e ancora la guerra arabo-israeliana del 1948, la guerra d’Indocina del 1954, fino a morire dilaniato da una mina a Thau Binh ? A centinaia, migliaia di reporter, fotografi, cineoperatori, si potrebbe rivolgere la stessa domanda: che ci siete andati a fare ?Se si risponde: per farvi sapere, forse se la replica sarà una scrollata di spalle. Gli indifferenti, gli “struzzi” ci sono ovunque, sempre ci saranno come sempre ci sono stati. C’è però un’altra possibile risposta: se noi si fosse iraniani, afgani, russi, ucraini, tibetani, appartenenti a uno dei cento popoli che devono subire e patire guerre, dittature, oppressioni, vorremmo o no che il mondo libero sapesse delle nostre tragedie, sofferenze e persecuzioni? Ci conforterebbe o no sapere che qualcuno sa della nostra resistenza, della nostra volontà di poter vivere liberi di sognare e di forgiare il proprio destino? Se la risposta a queste domande è sì, ecco che cosa ci sono andati a fare, che cosa ci vanno a fare, in Iran e in altri paesi che Dio sembra aver dimenticato. Ecco perché a tutti loro occorre dire grazie per quello che hanno fatto e cercano di fare.
“Dove sono ora le femministe?”
Dove sono sempre state e dove saranno sempre (quelle vere): ad alzarsi in piedi contro un regime liberticida e brutale contro le donne e a sostenere la liberazione di Cecilia Sala.
“E adesso chi paga?”
Nessuno. Donne e uomini di Stato sono al lavoro (giustamente in silenzio) per riuscire a liberarla con ogni mezzo e canale diplomatico. Ma, se fosse necessario, sarei ben felice che le nostre tasse fossero utilizzate per riportare in Italia una giornalista la cui unica colpa è quella di fare il proprio mestiere.
Non c’è cifra, invece, che possa ripagarci di tanta miseria  umana     come  ,  oltre  quella    già citata    dello chef  Rubio .  Infatti egli ha   scritto  « Lunga vita all'Iran e a chi resiste alle ingerenze imperialiste Miracolate sioniste e spie con la passione dei viaggi non dovrebbero essere compiante, ma condannate »  .  Ha  già  detto tutto  mentana  un miserabile  idiota



....... 


In questi giorni centinaia di notissimi topi di fogna della Storia si stanno organizzando alla luce del sole per “commemorare i camerati caduti” ad Acca Larentia, come ogni 7 gennaio.
Questo abominio non nasce col favore delle tenebre in qualche riunione clandestina ma in post pubblici sui social, dichiaratamente e orgogliosamente, senza che nessun organo pubblico o di governo alzi un


dito o muova un sopracciglio. 
Quando, il 7 gennaio, ci sveglieremo anche quest’anno con duecento o più camicie nere con 

( ....  ) 
marce svastiche e federali
sotto i fanali
l'oscurità
e poi il ritorno in un paese diviso
nero nel viso
più rosso d'amore
( ....   ) 
che urlano “Presente” a braccia tese,lo sdegno ipocrita e la finta sorpresa della destra destra, sappiate che tutti sapevano tutto, ma nessuno è voluto intervenire.

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  concludo  questo  numero     con un   classico   post \  commento  a mente    fredda  .  

Infatti    è  proprio   a    freddo   , dopo  qualche  giorno dalla sua  diffusione sui media  , che riesco  a  riportare  una  storia triste     come questa  .
Questa non è una storia di mostri e nemmeno di orchi ma di esseri umani capaci di orrori indicibili e di altri esseri umani che, di fronte a quell’orrore, non riescono a trovare una qualche forma di salvezza terrena.
È la storia di una coppia di genitori di Orbassano (Torino), Alessandro e Cristina, lui medico, lei
farmacista, che si sono tolti la vita insieme, come gesto estremo di rifiuto a una vita a cui non riuscivano più a dare un senso, un verso  dopo  la  tragedia  che  gli  ha  colpiti  .
Due anni prima la figlia di 28 anni Laura (nome di fantasia) si era impiccata in seguito a dei traumi indelebili per le violenze e gli abusi subiti da un parente (deceduto da tempo) quando era bambina.
Laura non si è suicidata, non è corretto, avevano raccontato a chi glielo aveva chiesto.  «Chi pone fine alla sua vita a causa di una violenza è vittima di un omicidio psichico e il suo aguzzino è un assassino. Ora noi siamo soltanto ombre  ».Anche il loro gesto è figlio e conseguenza indiretta di quell’omicidio in vita, in una catena familiare di dolore che Alessandro e Cristina non sono riusciti a spezzare in altro modo.  Ha  ragione    Lorenzo tosa  



Questa storia ti annichilisce, ma racconta anche moltissimo di Noi .          Vicino con ogni cellula intima e personale a questa famiglia, sperando che serva almeno in parte per riflettere sulle conseguenze del dolore, sui muri di omertà che circondano la famiglia come costrutto sociale e la società intera. Voglio ricordarli così, in un momento di felicità, come tanti ne avranno vissuti. Riposino in pace, ora.


Ecco  perchè è necessario  introdurre   fin  dagli asili \  ed  elementari una  cultura  non  violenta  e   lezioni  d'educazione : all'affettività  e alla  sessualità , al rispetto e  ala convivenza \  coesistenza  , alla  legalità . Ma  soprattutto    ricominciamo   ad  introdurre   nelle  scuole il medico  e  lo  psicologo scolastico.  Tutti elementi  che  i  precedenti  governi hanno smatellato .   

9.7.24

a che se noi ci crediamo assolti siamo per sempre coinvolti . Manuela Petrangeli si poteva salvare: il messaggio del killer all’amico 40 minuti prima dell’omicidio

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Pubblicato: 09/07/2024 14:39
Manuela Petrangeli messaggio killer

 Manuela Petrangeli si poteva salvare: il messaggio del killer all’amico 40 minuti prima dell’omicidio

  da  thesocialpost  
 Delfina Rebecchi
Cronaca
Pubblicato: 09/07/2024 14:39

leggi anche  
Omicidio Manuela Pietrangeli, le parole shock di Molinaro dopo l’agguato: “Speriamo che l’ho presa bene”


Manuela Petrangeli si sarebbe potuta salvare dalle due fucilate che l’hanno raggiunta e uccisa lo scorso 4 luglio. Infatti, secondo quanto si legge nell’ordinanza della gip di Roma, Valeria Tomassini, che ha disposto il carcere per l’assassino della donna, Gianluca Molinaro, e che Repubblica ha potuto visionare in esclusiva, sarebbe “mancata quella partecipazione sociale che avrebbe potuto strappare alla morte la 51esima donna ammazzata in Italia da un uomo” dall’inizio del 2024.
L’ordinanza spiega che un amico e la madre dell’assassino avrebbero potuto avvertire le forze dell’ordine anche 40 minuti prima del femminicidio di Manuela Petrangeli. Ma ciò non è accaduto. E così Gianluca Molinaro è rimasto solo, fuori di sé e armato. Alle 13.04 del 4 luglio Molinaro scrive a un amico della palestra che frequentava: “Dai forse oggi pio due piccioni co’ na fava”. L’amico si chiama Emanuele e dichiara a sua volta: “Ho ricevuto strani messaggi tramite l’applicazione Whatsapp da Gianluca. Ma non mi sono soffermato ad ascoltare con attenzione perché erano dal contenuto poco chiaro”.


Ma Emanuele si presenterà in caserma dai carabinieri in zona Casalotti soltanto intorno alle 14, dopo che Molinaro gli invia una foto del fucile appoggiato sul sedile della sua Smart. Solo a quel punto ascolta i messaggi dell’amico e scopre che alle 13.16 gli ha detto “di essere confusamente giunto al limite della sopportazione dell’ex compagna perché ‘Sono fatto alla vecchia maniera’. Parlando con la voce biascicante gli ha comunicato di trovarsi sotto al lavoro della donna e di essere in attesa che la stessa finisse il turno di lavoro alle 13.30”, si legge ancora nell’ordinanza.
Insomma, se l’amico avesse ascoltato prima quel messaggio, forse avrebbe potuto fare qualcosa per convincere il killer a calmarsi. Purtroppo però, già alle 13.44, Gianluca Molinaro gli manda un altro messaggio in cui è scritto: “Gli ho sparato, gli ho sparato du’ botte, gli ho sparato, l’ho massacrata, è finita”. Poi, dopo essersi costituito, Molinaro “riceve una chiamata sul cellulare dalla madre, come costatato dagli operanti dalla visione dello schermo dello smartphone, alla quale risponde al solo fine di comunicarle che si trova in caserma e dice ‘Sono in caserma dai carabinieri di Casalotti, è successo quello che ti ho detto, senza che vieni qui’”. Insomma, anche la madre sarebbe stata a conoscenza delle sue intenzioni omicide, ma non avrebbe fatto nulla.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...