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10.6.25

diario di bordo n 127 anno III api ingegnieri, canapa legale lo stato rovina la vita il caso di emilio pischedda , Ex suora di clausura fa visita alle consorelle prima del matrimonio , Sposa incontra il bambino che ha ricevuto il cuore di suo figlio e ascolta il battito in chiesa , un automobilista salva un grifone

 Le api: vere e proprie ingegneri!

Questa foto è stata scattata dal proprietario dell'alveare. L'apicoltore si è dimenticato di mettere i telaini in cui le api immagazzinano il miele, quindi hanno costruito una propria architettura a partire dal favo, che tiene conto della ventilazione naturale, in modo che l'aria possa circolare liberamente e mantenere una temperatura stabile. Sorprendente ! 🐝
Testo e foto di Costantina Ferrandino.

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fomt e unione sarda del 8\6\2006
«La lunga inchiesta sulla canapa legale mi ha rovinato la vita» Emilio Piscedda: avevo le serre a Capoterra, adesso campo la famiglia tra mille sacrifici

Per tre anni è stato considerato un trafficante di droga, ha perso tutto quello che aveva costruito in una vita di lavoro e ha dovuto sopportare anche le maldicenze della gente. Dopo una lunga battaglia legale Emilio Piscedda, 57 anni, ormai ex imprenditore agricolo di Capoterra, ha avuto finalmente giustizia: quella che coltivava nella sua azienda in zona Is Piscinas era davvero canapa industriale, aveva un Thc compreso tra lo 0,3 e lo 0,6 %, quindi del tutto legale. Piscedda, difeso dagli avvocati Lorenzo Simonetti e Claudio Miglio, è stato assolto con formula piena dai giudici della Corte d’appello di Cagliari, ai quali si era rivolto dopo una condanna in primo grado di un anno e mezzo col


rito abbreviato per detenzione di sostanze stupefacenti al fine di spaccio.
L’amarezza
Un’assoluzione che lascia l’amaro in bocca e che potrebbe portare presto Piscedda ad avviare un causa contro lo Stato per i danni economici che l’hanno costretto a chiudere la sua azienda.«L’incubo è cominciato una sera di aprile del 2022 – racconta Emilio Piscedda -, quando una decina di carabinieri arrivati direttamente da Cagliari, hanno suonato alla mia porta. Mi hanno chiesto di accompagnarli in azienda, non ricordo quanti cani antidroga fossero presenti, ma non ero particolarmente preoccupato, altri carabinieri e poliziotti avevano in precedenza fatto dei controlli sulla mia azienda, ma era sempre risultato in regola. Anche le analisi effettuate in caserma erano dalla mia parte: la percentuale di tetraidrocannabinolo presente nelle infiorescenze della mie piante di canapa era in linea con il limite consentito dalla legge, nonostante ciò, mi hanno sequestrato e poi distrutto oltre sette quintali di merce pronta ad essere venduta. Ancora non mi capacito di come sia potuto finire al centro di un caso giudiziario che in soli tre anni ha stravolto la mia vita».
L’investimento
Cinquantasettemila piante di canapa messe a dimora su una superficie di tre ettari, centinaia di ore di lavoro gettate alle ortiche: quella piantagione che Emilio Piscedda aveva messo in piedi nelle campagne di Capoterra non ha fatto in tempo a dare i suoi frutti.
«L’investimento iniziale, il duro lavoro per eliminare le erbacce e proteggere le piante senza pesticidi, tutto è andato perduto – racconta Piscedda -, le infiorescenze, già essiccate e pronte per essere vendute, sarebbero dovute andare a delle case farmaceutiche, invece dopo il sequestro – nonostante non potessero essere considerate droga – sono state distrutte».
Una seconda vita
Dopo il sequestro di quegli oltre sette quintali di canapa industriale, perfettamente legale secondo i giudici della Corte d’Appello di Cagliari, Emilio Piscedda è andato avanti, ma non può dimenticare l’errore giudiziario di cui è stato vittima: «I miei figli hanno dovuto sopportare il peso di quelle accuse infamanti, e ho dovuto combattere i pregiudizi della gente. Ero un imprenditore, ho lavorato sin da bambino nel settore agricolo, oggi la mia azienda nelle campagne di Capoterra è ridotta a un rudere e vivo facendo il manutentore stagionale d’inverno nella penisola e d'estate in Sardegna: per fortuna ho una splendida famiglia alle spalle che mi ha sempre supportato, qualcun altro forse non avrebbe retto a tutto questo. Non so se riuscirò ad avere giustizia, ma sono intenzionato ad andare fino in fondo per riavere quello che mi è stato tolto».

Ex suora di clausura fa visita alle consorelle prima del matrimonio Le immagini pubblicate sui media colombiani, la cui origine e datazione restano sconosciute, mostrano la donna mentre condivide un momento di preghiera e raccoglimento con la comunità religiosa che per anni è stata la sua casa spirituale. La protagonista del video avrebbe lasciato il monastero dopo un percorso di discernimento personale, una scelta maturata nel tempo e seguita con rispetto dalla comunità. 

 

Prima di intraprendere una nuova tappa della sua vita, ha deciso di tornare per un ultimo saluto e un momento di preghiera con le sue ex sorelle.

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Sposa incontra il bambino che ha ricevuto il cuore di suo figlio e ascolta il battito in chiesa






Kaci Wilson è una giovane donna e mamma che prima di pronunciare il suo “sì” il mese scorso in una chiesa della Georgia ha voluto, con uno stetoscopio stretto tra le mani, ascoltare il battito del cuore di un bambino presente alla cerimonia. Un bambino di 7 anni che 2 anni fa ha ricevuto il cuore di uno dei figli della giovane sposa.
È una storia commovente quella raccontata dalla stessa sposa e dai suoi cari a People. La giovane ha voluto ascoltare, per la prima volta dalla tragedia di suo figlio, un suono a lei familiare. Appunto il battito del cuore del bambino scomparso in un drammatico incidente. Quell’organo donato ha salvato un
altro bambino, che per la prima volta Kaci ha incontrato nel giorno del suo matrimonio.
Tutto è avvenuto il 25 maggio scorso nella cittadina di Hiawassee, in Georgia, di fronte ad amici e familiari degli sposi. Prima di percorrere la navata la sposa si è concessa un momento con quel bambino che oggi vive grazie al cuore di suo figlio Myles. Lo ha incontrato insieme ai suoi genitori, che le hanno donato uno stetoscopio. “È stato un momento così commovente, per la prima volta mi sono sentita così vicina a lui dal giorno dell’incidente”, ha raccontato la sposa ricordando il figlio defunto. Quel bambino che vive col cuore del figlio della donna l’ha anche accompagnata lungo la navata verso lo sposo.
Il 18 aprile di due anni fa Kaci era in auto con i suoi gemelli di quattro anni e il figlio più piccolo di un anno quando un camion li ha travolti. Per uno dei gemelli, purtroppo, non c’è stato nulla da fare. Decidendo di donare gli organi del figlio sono stati salvati altri bambini, tra cui quel bambino che da tempo aspettava un cuore compatibile e che si è poi presentato al suo matrimonio. Da qualche tempo la sposa e la famiglia del bambino erano in contatto grazie a un amico comune, ma non si erano mai incontrati di persona. Fino appunto al giorno del matrimonio, quando la sposa ha deciso di invitare la famiglia alla cerimonia.
È stata una sorpresa per tutti, anche per lo sposo. La fotografa Brianna Hemphill, amica della sposa, ha condiviso gli scatti commoventi di quel giorno: "Erano tutti così pieni di amore e gioia, ma anche di dolore. Era un mix di emozioni. Ha mostrato alle persone quanto sia breve la vita, ma anche quanto sia preziosa quando ce l'hai", ha detto a People. "È una bellissima storia d'amore", ha aggiunto sui social condividendo le foto dell'incontro

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Perdas
il grifone che ha sfidato la morte sulla 131: una storia sarda di coraggio e salvezzaCi sono momenti in cui la natura, nella sua bellezza selvaggia e implacabile, decide di farsi ricordare. Momenti che, per una serie di coincidenze perfette, diventano simboli di qualcosa di più grande. È il caso di Perdas,
giovane grifone nato dal sogno sardo di ricostituire una colonia robusta di questi maestosi uccelli, padroni del cielo e custodi del nostro ecosistema.
Perdas ieri pomeriggio ha fermato il tempo sulla Statale 131. Ha fatto una breve pausa sul guard rail, quasi a voler osservare il traffico umano, quel traffico che noi diamo per scontato, che percorriamo ogni giorno con la testa piena di pensieri, ignari del mondo selvatico che ci sovrasta. Poi, con quella fiducia cieca nella forza delle proprie ali, ha deciso di ripartire. Ha spiccato il volo proprio quando sopraggiungeva un'auto in sorpasso: un urto, per fortuna, lieve, quasi una carezza. Fosse stato un attimo più lento o un attimo prima, oggi racconteremmo una storia molto più triste.Ed è proprio in quell’istante che inizia la seconda parte di questa storia, che parla della Sardegna migliore: di uomini e donne che, nonostante tutto, scelgono ancora di proteggere, di difendere, di salvare. Una straordinaria rete umana fatta di volontari, ambientalisti, ricercatori, agenti della Forestale, cittadini comuni capaci di agire e intervenire con rapidità e competenza.


Un automobilista ha visto la scena, ha fermato l'auto, ha chiamato subito il 1515. Nel frattempo ha protetto l’animale dal caldo e dal traffico, garantendo una chance di vita al giovane Perdas. Poco dopo è arrivata la Forestale, affiancata da Anas e Polizia di Stato: una sinergia perfetta. L'animale è stato portato al Centro di recupero di Forestas a Bonassai, dove è stato immediatamente assistito dai veterinari. Nessuna frattura, nessuna ferita grave. Solo tanto spavento e lo stato di shock, superato brillantemente con le cure tempestive ricevute.E così Perdas, giovane e audace, simbolo vivente del progetto LIFE Safe for Vultures che dall’ottobre 2024 ha rilanciato le ambizioni della colonia sarda, potrà tornare a volare. Era già noto, grazie a un gps che ne monitora con discrezione e rispetto i movimenti lungo quella Sardegna aspra e bellissima che gli ha regalato la libertà.Il suo viaggio da Villasalto al territorio fra Bosa e Alghero, passando per le terre di Pozzomaggiore, Chilivani, Olmedo e Seneghe, è il viaggio di una Sardegna che vuole resistere, che sceglie di proteggere e di credere ancora nel valore della natura. Perdas, ieri, ci ha ricordato che nulla è perduto finché c’è qualcuno disposto a fermarsi, soccorrere, curare, amare.Un piccolo miracolo, certo. Ma in tempi come questi, anche i piccoli miracoli possono diventare grandi speranze.






10.11.17

lo sport non è solo il calcio La sfida tra lo svedese dalle poche parole e l’americano “star sregolata” ha cambiato il tennis per sempre

LMcEnroe
Li ricordiamo, e li celebriamo ancora oggi, semplicemente perché sono stati unici nel loro genere. McEnroe più di Borg forse, ma non è questo il punto. Entrambi hanno alzato l’asticella, il livello del gioco. Lo svedese, per dire, probabilmente ha modificato il tennis molto di più dell’americano. Il suo modo di giocare è stato poi imitato, se vogliamo migliorato, da chi è venuto dopo di lui. Ma Nadal non avrebbe giocato così, non fosse nato un Borg in precedenza. Certi movimenti, certi gesti tecnici non esistevano, non erano immaginati prima del suo apparire in scena.
McEnroe, poi. Non parliamone nemmeno: i suoi colpi non erano conformi alle regole scolastiche. Introdusse una modalità di esecuzione del servizio rivoluzionaria, spalle alla rete: e perfezionò un’arma letale. Dicevano i maestri, in quegli anni: “Prova a servire come McEnroe e ti verrà la cervicale in due giorni”. Bene, pensate che quel servizio fu, per almeno 6-7 anni, il migliore al mondo. Ma non faceva solo quello: “Prova a eseguire il rovescio saltando sulla palla e colpendola in anticipo e tirerai oltre gli spalti del campo” concludevano i tecnici degli anni Settanta/Ottanta. 
Quindi cosa faceva mai questo diavolo di un mancino americano? Eseguiva un tennis senza schema, imprevedibile, letteralmente “inventato” colpo dopo colpo e, particolare non secondario, senza avere mai avuto un preparatore atletico. Tocchettava, smistava, accelerava d’improvviso e piombava a rete per volleare impugnando la racchetta come un cucchiaino.
americano parlava tanto. Troppo per i puristi. Lo svedese non parlava mai. Troppo poco per il resto del mondo. Erano perfetti, nella loro rivalità. Si completavano meravigliosamente. Il silenzio di Borg era quasi più assordante delle sceneggiate dell’altro. Tutto questo sul piano del gioco. Ma la vera rivoluzione, quella di McEnroe, venne dal suo comportamento, dalla sua attitudine a stupire. L’onda lunga dei suoi gestacci atterrì i benpensanti, ma affascinò pubblico e riviste scandalistiche. Attraverso McEnroe esplose una nouvelle vague tennistica che attendeva solo di essere scoperta. Per la prima volta l’immagine del tennista non fu più quella di un candido, etereo attore, ma una rock star. Il tennis si spostò verso un pubblico nuovo, bramoso non solo di diritti e rovesci ma anche di pettegolezzi, risse, musica a palla, occhi neri e spintoni ai fotografi. Di questo Mac ne era pienamente consapevole. E quello show faceva comodo anche all’altro, a Borg. La testa china, il corpo ingobbito su quel rovescio a due mani per il quale oggi dovrebbe chiedere i diritti di copyright, quelle sue rotazioni impresse alle ultime palline bianche che si spelacchiavano a ogni colpo, prima di uscire dal mercato. Solo Panatta, imprevedibile guascone come McEnroe, lo faceva impazzire. Gli altri dovettero mettersi tutti in riga, subire le sue lezioni di regolarità, la geometria pura di Björn. Rotazioni impensabili in precedenza: colpiva la palla nella parte superiore, allargò virtualmente il campo da tennis. L’avversario era costretto a retrocedere di quattro metri buoni per recuperare un rimbalzo mai visto prima. Sembra che stiamo descrivendo un colpo di Rafa Nadal, vero? Eppure il tutto avveniva alla fine degli anni Settanta.E allora, vi chiederete giustamente, perché ricordiamo maggiormente McEnroe? Non potrebbe essere altrimenti: Borg alla fine dei giochi anestetizzava gli spettatori, Mac - oltre alla grande creatività – regalava siparietti con epiteti passati alla storia (“You cannot be serious!”, “Pack it up!”, “You’re pits of the world”) contro gli arbitri e il pubblico stesso.


Borg - McEnroe in campo a Wimbledon nella finale del 1980



Come possono quindi, i tennisti di oggi così politicamente corretti, reggere il confronto con quelle sfide crudeli, estenuanti, gli odi viscerali, esagerati, folli. Come possono regalare quelle scariche di adrenalina? Oggi noi veneriamo Federer, amiamo Nadal, rispettiamo Djokovic. Ma con un tipo come McEnroe le emozioni salivano a un livello superiore. “Quando raggiungi la vetta da giovanissimo poi una parte di te cerca costantemente di rivivere quelle emozioni travolgenti. Questo è il motivo per cui molti atleti finiscono male. Non riescono più a trovare quell’euforia assoluta ed avvertono un terribile vuoto. La mia vita al contrario, è piena di cose positive, lo è sempre di più, ma per quanto sia fantastica, a volte è difficile dimenticare quelle vittorie esaltanti. In quei momenti devo ricordare a me stesso che non avevo nessuno con cui condividerle. E ripenso a quanto fredda e solitaria fosse la vetta della montagna. Non è stato solo il talento, è stata anche la mia determinazione a portarmi dove ero arrivato. Poi quella ferocia è svanita”. Ecco, McEnroe ha saputo dare delle parole al fuoco interiore.Borg no. È entrato nel tennis in punta di piedi, ne è uscito improvvisamente dalla porta posteriore. Solo attraverso la sua vita privata abbiamo poi appreso che non era l’Iceman che il campo ci mostrava. Nascondeva tumulti interni, fragilità psicologiche inimmaginabili. I suoi amori, Loredana Bertè, persino le fallimentari iniziative imprenditoriali ci hanno detto che non lo avevamo capito. Oggi Borg è un signore di bell’aspetto, affascinante. Lo sguardo addolcito, finalmente in pace con se stesso. Ma il suo addio prematuro al tennis, a soli 26 anni, è assolutamente colpa di John McEnroe.
 Non c’è bisogno di conferme, lo ha certificato Mac. “Quando vinsi il tie-break per 18-16 sentivo di aver vinto il match. Pensai che Borg si sarebbe demotivato. Ma la forza che lo animava era al di là della mia immaginazione”. Stiamo parlando della finale di Wimbledon 1980: vinse Borg, come il mondo sa. Quello che sfugge è la puntata successiva, gli US Open, con i due rivali di nuovo in finale: vinse John. “Quando a fine match ci stringemmo la mano vidi che era distrutto. Era come se per la prima volta si fosse veramente sentito sopraffatto da me”.
Quella sconfitta incrinò, irrimediabilmente, l’interno perfetto del meccanismo. In Bjorn Borg avvenne un cedimento. Lento, letale. Un’agonia che si concluse nell’unico luogo deputato che potesse offrire una nuova consacrazione: Wimbledon. Era il 1981.


Una  sfida    ricca  ed  emozionante    come si può notare   , sempre  tratto   da repubblica  ,  del resoconto  dei loro  confronti   e dele loro  carriere  


TUTTI I LORO CONFRONTI

14 scontri diretti, 7 vittorie ciascuno












Si comincia con una vittoria di McEnroe a casa Borg, Stoccolma 1978 e si chiude con una vittoria di McEnroe a casa di Mac, 1981 


 



In tre anni non si sono mai incrociati sulla terra rossa; a Wimbledon, sull'erba, è pareggio: 1-1 (1980 Borg, 1981 McEnroe) sulle superfici dure, all'aperto, meglio McEnroe: 2-1 e l'americano ha avuto anche la meglio al chiuso non su cemento: 3-1 ma Borg pareggia i contri stravincendo i confronti al chiuso, su superfici dure: 4-1 



 



Nelle sfide Slam vince McEnroe però: due volte agli US Open (1980 e 81) una volta a Wimbledon (1981) Borg ha vinto il match dell'80

Borg

Nome: Björn Rune Borg

Nato: Stoccolma, 6 giugno 1956
Nazionalità: Svezia
Altezza: 180 cm
Peso: 72 kg




Ha vinto 11 titoli del Grande Slam:
sei al Roland Garros e cinque consecutivi a Wimbledon.



È stato numero uno del mondo nella classifica ATP per
109 settimane dal 23 agosto 1977 al 2 agosto 1981



In percentuale ha vinto l’82.74% degli incontri disputati, e il 70% delle sfide contro i primi dieci della classifica



Si è ritirato a 26 anni
McNroe

Nome: John Patrick McEnroe, Jr.

Nato: Wiesbaden, 16 febbraio 1959
Nazionalità: Stati Uniti
Altezza: 180 cm
Peso: 75 kg




7 titoli del Grande Slam in singolare:
4 US Open e 3 Wimbledon,
9 in doppio e 1 in doppio misto.



È stato numero 1 del mondo
per quattro anni di seguito dal 1981 al 1984.



Ha terminato la carriera con
77 vittorie nei tornei di singolare e 72 in quelli di doppio



McEnroe ha vinto per
cinque volte la Coppa Davis (nel 1978, 1979, 1981, 1982 e 1992)



Non ha mai giocato la finale degli Australian Open













28.6.12

La rabbia


Ma sì, ci sta: troppi simboli, e noi, in fondo, viviamo di metafora. Trasliamo, interpretiamo. Forse per debolezza, forse per eccesso di sensibilità. Così umani. Ma come rimanere insensibili, vorrei dire inerti, di fronte a quella micidiale doppietta di Balotelli? Il simbolo è lui e se lo merita tutto. Non perché in campo fosse solo, tutt'altro. C'eravamo tutti, invece, accorpati, massicci, soprattutto rabbiosi. Ma Mario è un'occasione troppo ghiotta, e forse facile, per lasciarsela sfuggire. E' l'italiano nuovo, l'italiano nero, o negro, ed ebreo, contro la Germania. Si può resistere? No che non si può.

In campo, io non tifosa, e proprio perché non tifosa, ho visto finalmente l'Italia. Balotelli è un riassunto di quest'Italia. Non completo, si spera, ma vivo. E' il ragazzaccio intemperante, che spoglia il bel corpo annichilendolo però in una smorfia caricaturale degna di Big Jim. (Ma ammonirlo? Scherziamo!) E' il tenace che reagisce d'istinto: s'aggrappa al suo paese, spesso con lui ingrato, con tutte le forze della spontaneità irrequieta. Ineducato, diretto, passionale, dionisiaco tanto quanto Pirlo è apollineo e neoclassico. Se c'era un tedesco stasera, l'ho visto in Andrea e in quel volto mezzo sfingeo mezzo contadino di Buffon, uno che non ride mai, che forse esiste solo sul campo, ma le cui parate valgono tre gol.
Ho scritto "c'eravamo", perché mi sono immedesimata anch'io in quegli assist, l'ho vissuta anch'io quella sofferenza. So bene che è solo una partita, che i problemi si riproporranno domani, ma che dico, adesso, prima di coricarmi. Ma non cedo al moralismo d'accatto. Il cuore necessita di passione per ripartire. E di momenti completamente spaziati, lineari, fisici. Di prorompenza ed effluvio.
I ragazzi tedeschi, più giovani, più riposati e più in forma dei nostri, sono ovviamente incolpevoli delle scelte del loro governo. Ma alla logica dei simboli non possono sottrarsi nemmeno loro. E, in quella squadra meno composita della nostra, io non riuscivo a non vedere l'Europa vincente. Forse, l'unica Europa. L'unica che conti, che venga considerata realmente tale. Non potevo sopportarlo: come europea, come democratica, come italiana.
Mario Balotelli è stato la risposta visiva a quest'Europa asettica, prepotente, unidirezionale, rigida dominatrice dell'unica razza del mercato. Esagero, probabilmente: concedetemelo, stasera gira così.
Rabbia, dunque, perché rabbia ci voleva, ci vuole, una rabbia entusiasta e perseverante. I ragazzi del gol hanno fatto la loro parte. Tocca a noi concretizzare, materializzare quella rabbia e quell'entusiasmo nella lotta quotidiana dell'esistenza di cui l'incontro di calcio è - ci risiamo - l'ovvia metafora. Un riposo alla tensione, ogni tanto, è necessario. E' come il sorriso per strada d'un affascinante sconosciuto. Ritempra il nostro cuore. Adesso, però, voltiamo pagina, e proseguiamo.

27.6.12

italia - germania una grande sfida fra ricordi indiretti e diretti


il primo è la semifinale  del mondiale  del messico   1970  ricordato indirettamente sono del 1976 attraverso i miei genitori e io mediocre film omonimo sotto una sintesi e qui la versione integrale del primo grande scontro mondiale . Esso come i successivi è tratto da La Grande Storia della Nazionale Italiana di Calcio" Storiadelcalcio2012




il secondo la  finale , con la  quale  l'italia conquisto il  suo III  titolo mondiale  , di Spagna  1982 ,  da  entrambi  avevo  6  anni 




la  terza semi  finale   mondiale 2006  vissuto direttamente  


Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   dopo a  morte    di  Maurizio Fercioni ( foto   sotto  a  centro ) , fondatore del Teatro Parenti a Milano e primo tatuatore d’Italia Gia...