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10.11.17

lo sport non è solo il calcio La sfida tra lo svedese dalle poche parole e l’americano “star sregolata” ha cambiato il tennis per sempre

LMcEnroe
Li ricordiamo, e li celebriamo ancora oggi, semplicemente perché sono stati unici nel loro genere. McEnroe più di Borg forse, ma non è questo il punto. Entrambi hanno alzato l’asticella, il livello del gioco. Lo svedese, per dire, probabilmente ha modificato il tennis molto di più dell’americano. Il suo modo di giocare è stato poi imitato, se vogliamo migliorato, da chi è venuto dopo di lui. Ma Nadal non avrebbe giocato così, non fosse nato un Borg in precedenza. Certi movimenti, certi gesti tecnici non esistevano, non erano immaginati prima del suo apparire in scena.
McEnroe, poi. Non parliamone nemmeno: i suoi colpi non erano conformi alle regole scolastiche. Introdusse una modalità di esecuzione del servizio rivoluzionaria, spalle alla rete: e perfezionò un’arma letale. Dicevano i maestri, in quegli anni: “Prova a servire come McEnroe e ti verrà la cervicale in due giorni”. Bene, pensate che quel servizio fu, per almeno 6-7 anni, il migliore al mondo. Ma non faceva solo quello: “Prova a eseguire il rovescio saltando sulla palla e colpendola in anticipo e tirerai oltre gli spalti del campo” concludevano i tecnici degli anni Settanta/Ottanta. 
Quindi cosa faceva mai questo diavolo di un mancino americano? Eseguiva un tennis senza schema, imprevedibile, letteralmente “inventato” colpo dopo colpo e, particolare non secondario, senza avere mai avuto un preparatore atletico. Tocchettava, smistava, accelerava d’improvviso e piombava a rete per volleare impugnando la racchetta come un cucchiaino.
americano parlava tanto. Troppo per i puristi. Lo svedese non parlava mai. Troppo poco per il resto del mondo. Erano perfetti, nella loro rivalità. Si completavano meravigliosamente. Il silenzio di Borg era quasi più assordante delle sceneggiate dell’altro. Tutto questo sul piano del gioco. Ma la vera rivoluzione, quella di McEnroe, venne dal suo comportamento, dalla sua attitudine a stupire. L’onda lunga dei suoi gestacci atterrì i benpensanti, ma affascinò pubblico e riviste scandalistiche. Attraverso McEnroe esplose una nouvelle vague tennistica che attendeva solo di essere scoperta. Per la prima volta l’immagine del tennista non fu più quella di un candido, etereo attore, ma una rock star. Il tennis si spostò verso un pubblico nuovo, bramoso non solo di diritti e rovesci ma anche di pettegolezzi, risse, musica a palla, occhi neri e spintoni ai fotografi. Di questo Mac ne era pienamente consapevole. E quello show faceva comodo anche all’altro, a Borg. La testa china, il corpo ingobbito su quel rovescio a due mani per il quale oggi dovrebbe chiedere i diritti di copyright, quelle sue rotazioni impresse alle ultime palline bianche che si spelacchiavano a ogni colpo, prima di uscire dal mercato. Solo Panatta, imprevedibile guascone come McEnroe, lo faceva impazzire. Gli altri dovettero mettersi tutti in riga, subire le sue lezioni di regolarità, la geometria pura di Björn. Rotazioni impensabili in precedenza: colpiva la palla nella parte superiore, allargò virtualmente il campo da tennis. L’avversario era costretto a retrocedere di quattro metri buoni per recuperare un rimbalzo mai visto prima. Sembra che stiamo descrivendo un colpo di Rafa Nadal, vero? Eppure il tutto avveniva alla fine degli anni Settanta.E allora, vi chiederete giustamente, perché ricordiamo maggiormente McEnroe? Non potrebbe essere altrimenti: Borg alla fine dei giochi anestetizzava gli spettatori, Mac - oltre alla grande creatività – regalava siparietti con epiteti passati alla storia (“You cannot be serious!”, “Pack it up!”, “You’re pits of the world”) contro gli arbitri e il pubblico stesso.


Borg - McEnroe in campo a Wimbledon nella finale del 1980



Come possono quindi, i tennisti di oggi così politicamente corretti, reggere il confronto con quelle sfide crudeli, estenuanti, gli odi viscerali, esagerati, folli. Come possono regalare quelle scariche di adrenalina? Oggi noi veneriamo Federer, amiamo Nadal, rispettiamo Djokovic. Ma con un tipo come McEnroe le emozioni salivano a un livello superiore. “Quando raggiungi la vetta da giovanissimo poi una parte di te cerca costantemente di rivivere quelle emozioni travolgenti. Questo è il motivo per cui molti atleti finiscono male. Non riescono più a trovare quell’euforia assoluta ed avvertono un terribile vuoto. La mia vita al contrario, è piena di cose positive, lo è sempre di più, ma per quanto sia fantastica, a volte è difficile dimenticare quelle vittorie esaltanti. In quei momenti devo ricordare a me stesso che non avevo nessuno con cui condividerle. E ripenso a quanto fredda e solitaria fosse la vetta della montagna. Non è stato solo il talento, è stata anche la mia determinazione a portarmi dove ero arrivato. Poi quella ferocia è svanita”. Ecco, McEnroe ha saputo dare delle parole al fuoco interiore.Borg no. È entrato nel tennis in punta di piedi, ne è uscito improvvisamente dalla porta posteriore. Solo attraverso la sua vita privata abbiamo poi appreso che non era l’Iceman che il campo ci mostrava. Nascondeva tumulti interni, fragilità psicologiche inimmaginabili. I suoi amori, Loredana Bertè, persino le fallimentari iniziative imprenditoriali ci hanno detto che non lo avevamo capito. Oggi Borg è un signore di bell’aspetto, affascinante. Lo sguardo addolcito, finalmente in pace con se stesso. Ma il suo addio prematuro al tennis, a soli 26 anni, è assolutamente colpa di John McEnroe.
 Non c’è bisogno di conferme, lo ha certificato Mac. “Quando vinsi il tie-break per 18-16 sentivo di aver vinto il match. Pensai che Borg si sarebbe demotivato. Ma la forza che lo animava era al di là della mia immaginazione”. Stiamo parlando della finale di Wimbledon 1980: vinse Borg, come il mondo sa. Quello che sfugge è la puntata successiva, gli US Open, con i due rivali di nuovo in finale: vinse John. “Quando a fine match ci stringemmo la mano vidi che era distrutto. Era come se per la prima volta si fosse veramente sentito sopraffatto da me”.
Quella sconfitta incrinò, irrimediabilmente, l’interno perfetto del meccanismo. In Bjorn Borg avvenne un cedimento. Lento, letale. Un’agonia che si concluse nell’unico luogo deputato che potesse offrire una nuova consacrazione: Wimbledon. Era il 1981.


Una  sfida    ricca  ed  emozionante    come si può notare   , sempre  tratto   da repubblica  ,  del resoconto  dei loro  confronti   e dele loro  carriere  


TUTTI I LORO CONFRONTI

14 scontri diretti, 7 vittorie ciascuno












Si comincia con una vittoria di McEnroe a casa Borg, Stoccolma 1978 e si chiude con una vittoria di McEnroe a casa di Mac, 1981 


 



In tre anni non si sono mai incrociati sulla terra rossa; a Wimbledon, sull'erba, è pareggio: 1-1 (1980 Borg, 1981 McEnroe) sulle superfici dure, all'aperto, meglio McEnroe: 2-1 e l'americano ha avuto anche la meglio al chiuso non su cemento: 3-1 ma Borg pareggia i contri stravincendo i confronti al chiuso, su superfici dure: 4-1 



 



Nelle sfide Slam vince McEnroe però: due volte agli US Open (1980 e 81) una volta a Wimbledon (1981) Borg ha vinto il match dell'80

Borg

Nome: Björn Rune Borg

Nato: Stoccolma, 6 giugno 1956
Nazionalità: Svezia
Altezza: 180 cm
Peso: 72 kg




Ha vinto 11 titoli del Grande Slam:
sei al Roland Garros e cinque consecutivi a Wimbledon.



È stato numero uno del mondo nella classifica ATP per
109 settimane dal 23 agosto 1977 al 2 agosto 1981



In percentuale ha vinto l’82.74% degli incontri disputati, e il 70% delle sfide contro i primi dieci della classifica



Si è ritirato a 26 anni
McNroe

Nome: John Patrick McEnroe, Jr.

Nato: Wiesbaden, 16 febbraio 1959
Nazionalità: Stati Uniti
Altezza: 180 cm
Peso: 75 kg




7 titoli del Grande Slam in singolare:
4 US Open e 3 Wimbledon,
9 in doppio e 1 in doppio misto.



È stato numero 1 del mondo
per quattro anni di seguito dal 1981 al 1984.



Ha terminato la carriera con
77 vittorie nei tornei di singolare e 72 in quelli di doppio



McEnroe ha vinto per
cinque volte la Coppa Davis (nel 1978, 1979, 1981, 1982 e 1992)



Non ha mai giocato la finale degli Australian Open













28.6.12

La rabbia


Ma sì, ci sta: troppi simboli, e noi, in fondo, viviamo di metafora. Trasliamo, interpretiamo. Forse per debolezza, forse per eccesso di sensibilità. Così umani. Ma come rimanere insensibili, vorrei dire inerti, di fronte a quella micidiale doppietta di Balotelli? Il simbolo è lui e se lo merita tutto. Non perché in campo fosse solo, tutt'altro. C'eravamo tutti, invece, accorpati, massicci, soprattutto rabbiosi. Ma Mario è un'occasione troppo ghiotta, e forse facile, per lasciarsela sfuggire. E' l'italiano nuovo, l'italiano nero, o negro, ed ebreo, contro la Germania. Si può resistere? No che non si può.

In campo, io non tifosa, e proprio perché non tifosa, ho visto finalmente l'Italia. Balotelli è un riassunto di quest'Italia. Non completo, si spera, ma vivo. E' il ragazzaccio intemperante, che spoglia il bel corpo annichilendolo però in una smorfia caricaturale degna di Big Jim. (Ma ammonirlo? Scherziamo!) E' il tenace che reagisce d'istinto: s'aggrappa al suo paese, spesso con lui ingrato, con tutte le forze della spontaneità irrequieta. Ineducato, diretto, passionale, dionisiaco tanto quanto Pirlo è apollineo e neoclassico. Se c'era un tedesco stasera, l'ho visto in Andrea e in quel volto mezzo sfingeo mezzo contadino di Buffon, uno che non ride mai, che forse esiste solo sul campo, ma le cui parate valgono tre gol.
Ho scritto "c'eravamo", perché mi sono immedesimata anch'io in quegli assist, l'ho vissuta anch'io quella sofferenza. So bene che è solo una partita, che i problemi si riproporranno domani, ma che dico, adesso, prima di coricarmi. Ma non cedo al moralismo d'accatto. Il cuore necessita di passione per ripartire. E di momenti completamente spaziati, lineari, fisici. Di prorompenza ed effluvio.
I ragazzi tedeschi, più giovani, più riposati e più in forma dei nostri, sono ovviamente incolpevoli delle scelte del loro governo. Ma alla logica dei simboli non possono sottrarsi nemmeno loro. E, in quella squadra meno composita della nostra, io non riuscivo a non vedere l'Europa vincente. Forse, l'unica Europa. L'unica che conti, che venga considerata realmente tale. Non potevo sopportarlo: come europea, come democratica, come italiana.
Mario Balotelli è stato la risposta visiva a quest'Europa asettica, prepotente, unidirezionale, rigida dominatrice dell'unica razza del mercato. Esagero, probabilmente: concedetemelo, stasera gira così.
Rabbia, dunque, perché rabbia ci voleva, ci vuole, una rabbia entusiasta e perseverante. I ragazzi del gol hanno fatto la loro parte. Tocca a noi concretizzare, materializzare quella rabbia e quell'entusiasmo nella lotta quotidiana dell'esistenza di cui l'incontro di calcio è - ci risiamo - l'ovvia metafora. Un riposo alla tensione, ogni tanto, è necessario. E' come il sorriso per strada d'un affascinante sconosciuto. Ritempra il nostro cuore. Adesso, però, voltiamo pagina, e proseguiamo.

27.6.12

italia - germania una grande sfida fra ricordi indiretti e diretti


il primo è la semifinale  del mondiale  del messico   1970  ricordato indirettamente sono del 1976 attraverso i miei genitori e io mediocre film omonimo sotto una sintesi e qui la versione integrale del primo grande scontro mondiale . Esso come i successivi è tratto da La Grande Storia della Nazionale Italiana di Calcio" Storiadelcalcio2012




il secondo la  finale , con la  quale  l'italia conquisto il  suo III  titolo mondiale  , di Spagna  1982 ,  da  entrambi  avevo  6  anni 




la  terza semi  finale   mondiale 2006  vissuto direttamente  


Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...