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27.12.24

"Io, ebreo, dirigo Wagner perché la cultura è verità" il gesto coraggioso del il direttore d'orchestra Omer Meir Wellber, 43 anni, ebreo-israeliano,

 


  da  msn.it 

Se non avesse coraggio, dovrebbe darselo dati i tempi. Ma non difetta certo per ardore e temperamento il direttore d'orchestra Omer Meir Wellber, 43 anni, ebreo-israeliano, agli sgoccioli del suo mandato al Massimo di Palermo, e in partenza per Amburgo dove ha già pianificato le tre prossime stagioni da direttore musicale della Staatsoper e della Philharmonisches Staatsorchester. Bisogna avere del fegato ad aprire la stagione, come

ha fatto lui a Palermo, con Le Grand Macabre di György Ligeti, non lo conoscete? non preoccupatevi, siete tra i tanti; in compenso sarà a misura d'uomo il concerto di Capodanno con Mendelssohn. Non è finita qui per Wellber, di Gerusalemme da sette generazioni ma nato a cresciuto a Beer Sheva poiché il padre vi si era trasferito su richiesta di David Ben Gurion (fondatore di Israele) per dare dinamismo a questo luogo nel deserto.
Lei esegue spesso Wagner, bandito in Israele essendo il più antisemita dei musicisti. « Invece è importante eseguirlo perché cultura vuol dire verità. Che si corrompe quando entra in campo il politicamente corretto. L'artista dovrebbe identificarsi con ciò che è scomodo e di cui non si parla. Gli artisti sono il termometro della società, ma per poter misurare la febbre bisogna prendere le distanze dalla società, coltivare il dubbio».

Come è cambiata la sua vita professionale dal 7 ottobre 2023?

«Non è stato cancellato un solo concerto. Mi sento però cambiato a livello psicologico. Giorni fa, a Tolosa, prima di salire sul podio mi ha assalito il timore che qualcuno mi urlasse qualcosa. È risaputo che sono contro Netanyahu, ma oggi non conta cosa uno pensa ma da dove viene».

Lo si è visto con la cantante Anna Netrebko «buata» alla Scala perché russa.   «Assurdo. È come se un siciliano venisse buuato a Tel Aviv perché ritenuto mafioso. E poi non mi piacciono i movimenti che chiedono agli artisti di esprimere giudizi sulla propria nazione».

In Israele lei è considerato uno di sinistra.
«Sì, ma in Europa come uomo di sinistra mi trovo in grande difficoltà, tanto che non mi stupisce che in Germania la comunità ebraica voti a destra. Paradossale? No, perché la sinistra ha perso il rapporto con la gente, si è innamorata delle proprie idee. Come è possibile che siano stati levati i crocefissi dalle scuole per esempio? In questi anni non è stata difesa a sufficienza la vostra identità».

Cosa dice delle manifestazioni Pro Pal?
«La Palestina ha il diritto di esistere ma non ha il diritto di tagliare le teste. Mia mamma è andata al funerale di due amici di 80 anni seppelliti senza teste perché non le hanno trovate».

«Nessuno vuole che la propria città si trasformi in un suk, ma tutti si vergognano ad esprimere questa posizione», ha detto.

«Aggiungo che non potersi esprimere liberamente crea rabbia e frustrazione, che vengono espresse attraverso il voto anziché a parole».

Le sale e teatri di musica d'Occidente nel mondo arabo, dal Qatar all'Arabia Saudita, stanno creando ponti o sono vetrine?

«Poiché israeliano, non ci posso andare. Nell'immediato dopoguerra, i militari inglesi in Italia erano invitati ad andare a teatro, alcuni conobbero lì la lirica. L'idea che un Paese consideri i propri teatri come un biglietto da visita è bellissima. Ben vengano in teatri nel mondo arabo quindi».

Il che vale anche per l'Italia contemporanea.

«Un teatro deve avere il respiro internazionale, ma anche essere emanazione delle realtà locali, vivere del proprio territorio e così offrire un prodotto artistico unico. Che senso ha vedere uno spettacolo a Palermo o a Milano che potresti trovare su qualsiasi altro palcoscenico al mondo?».

Come imposterà il suo lavoro ad Amburgo?

«È una città intrigante, ha avuto una vita musicale dinamica, all'avanguardia ma negli ultimi anni più tranquilla».

Quindi spariglierà le carte, corretto? Qualche esempio di programmazione.

«Mi piacerebbe che gli ascoltatori, nel momento del concerto, abbandonassero i soliti meccanismi di difesa. Inizio dalla forma, sostituendo il termine Concerto con Spazio per giochi. Ho commissionato a dieci compositori, tra cui l'italiana Daniela Terranova, nuovi pezzi che vengono inseriti in sinfonie o pezzi storici. Per esempio, una sinfonia di Beethoven avrà al suo interno un movimento di nuova creazione, scritto rispettando ferrei parametri: deve durare come quello di Beethoven, iniziare e chiudere con lo stesso accordo e via discorrendo».

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