Domani notte arrivano i doni, e io vorrei scrivere una letterina per chiederne uno non a Babbo Natale, ma al sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi – che ricordo come mio intelligente rettore, alla gloriosa Federico II. Quello che è probabilmente il più importante street artist italiano, Blu, ha realizzato negli scorsi giorni un magnifico murale ai Quartieri Spagnoli, in via Croci Santa Lucia al Monte. Racconta la storia di Ugo Russo, il ragazzo di quindici anni ucciso da un colpo di pistola sparato da un carabiniere non in servizio, al quale stava rubando l’orologio minacciandolo con una pistola giocattolo.
SARÀ il processo a dire la verità giudiziaria su questo fatto terribile. Il murale di Blu, invece, dice già –
con la lingua inarrivabile, struggente e straziante dell’arte – l’immutabile verità esistenziale, morale, sociale della Napoli popolare, del suo rapporto col potere, delle sue vite a perdere. Blu ci mostra Ugo Russo: un ragazzo inseguito da enormi proiettili (non solo nell’ultimo giorno della sua vita, ma da quando era nato). Un ragazzo per cui chiedere «verità e giustizia». Un ragazzo: che rappresenta tutti i ragazzi come lui, anche quelli che per fortuna non hanno fatto la fine di Ugo.
Cometutti quelli che dipingono sui muri, Blu ha visto tante volte le sue opere cancellate. A volte le ha cancellate lui, per proteggerle dal mercato e dall’appropriazione. E almeno una volta è finito a processo, per un’opera che rappresentava la rapace speculazione del Tav, e che aveva dipinto su un pilone in Val di Susa. In quel processo, Blu fu assolto.
L’opera
LA SENTENZA
dice che «considerando il pregio estetico dell’opera e la fama del suo artefice in rapporto con la banalità del supporto su cui è dipinta, un anonimo muro di cemento che sorregge un cavalcavia ferroviario, questo giudice ritiene che il dipinto non costituisca ‘imbrattamento o deturpamento’ ai sensi dell’art. 639 c.p. il cui evento tipico consiste nell'alterazione in senso peggiorativo dell’aspetto esteriore o della nettezza della cosa altrui mentre nel caso di specie siamo di fronte ad un’opera di pregio firmata dalla mano di un artista di fama che va piuttosto a recare ornamento, visibilità e valore ad un opera pubblica grigia e anonima. L’autore pertanto va assolto dal reato contestato». Mi permetto di ricordare che partecipai a quel processo, come teste della difesa. La sentenza, nel passaggio subito prima di quello citato, lo registra, ricordando come il sottoscritto avesse spiegato al giudice che «l’autore è conosciuto a livello internazionale come ‘Blu’: uno degli esponenti più significativi della street art in Italia nonché uno dei più importanti d’europa. Le sue opere, di contenuto sociale, sono molto apprezzate e aggiungono valore alle strutture dove sono realizzate».
EBBENE, lo vorrei ripetere oggi al sindaco Manfredi: anche questo murale di Blu è un capolavoro, e cancellarlo sarebbe imperdonabile. Con tutta la retorica profusa sulla cura e sulla bellezza delle città, e con i pochi soldi che ci sono perché quella retorica si avveri, che senso ha andare a distruggere un’opera così bella, importante, gratuita? Ma c’è qualcosa di più profondo, e di ancora più importante. L’ugo che sfreccia in bicicletta nel murale di Blu è in fuga dal mondo degli adulti: un mondo remoto e irriducibilmente altro. Un mondo che gli ha preso tutto: alla fine, anche la vita. Un muro ci divide da questi ragazzi: la loro lingua, le loro aspirazioni, il loro universo simbolico sono lontani dai nostri. E i rari adulti che, con parole o opere, riescono ad attraversare questo muro, ad essere accettati, vanno incoraggiati, premiati, sostenuti: non puniti, o ‘cancellati’.
NESSUNA opera memoriale commissionata dal Comune o dallo Stato potrebbe essere accettata, anzi amata, come questa di Blu è amata dalla gente del quartiere, dalla famiglia e soprattutto dai coetanei di Ugo. Una pittura che costruisce nessi ed empatia come scuola e istituzioni non riescono nemmeno ad immaginare. La storia di Ugo, le infinite storie come la sua, sono ferite sanguinanti che provocano altre ferite. Se c’è una cura, un balsamo, un lenimento, perché gettarlo via? In questi tempi di guerra, si ha la sensazione che non si riesca ad uscire dalla logica della rappresaglia anche in altri ambiti della vita collettiva. Va bene, il murale non era autorizzato: ma è una cosa grande. Un dono. Una benedizione. Come si fa a pensare che da un’altra, da un altro rifiuto, da un’altra ‘prevaricazione’ agita da una istituzione, dagli adulti negazione (non importa se in nome della legge: anzi, peggio), possa venire fuori qualcosa di buono? Quel che ovunque sembra impossibile, a volte a Napoli invece si avvera. Chissà che, in questo Natale, il regalo collettivo del sindaco Manfredi ai suoi concittadini più cari, perché più fragili e irraggiungibili, sia la grazia per questo pezzo di muro dipinto. Che rappresenta uno dei pochi casi in cui un muro può renderci tutti più umani.
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