Mancava solo un anno per la pensione. Una vita di sacrifaci che si sarebbe dovuta concludere con il meritato riposo (e l'assegno) di chi, dall'età di 16 anni, aveva lavorato sempre. E invece per Andrea Baudissone quel momento non è arrivato. Lui, che per 20 anni, aveva caricato e scaricato i compressori della Embraco, nel 2018 si è ritrovato esodato. E oggi dorme per strada a Torino, in Galleria San Federico.
Baudissone è uno dei 537 esodati della fabbrica che produceva compressori per elettrodomestici, un ex «stabilimento d’avanguardia», chiuso a causa della crisi dopo mesi di lotte sindacali e manifestazioni. Aveva iniziato nello stabilimento a Riva di Chieri nel 1991, dopo due anni passati in un'altra azienda. «Guadagnavo due milioni di lire al mese. Lavoravo anche di notte. Era un periodo felice», racconta a La Stampa. «Mi occupavo di caricare e scaricare i compressori. L’ho fatto per quasi vent’anni. E guardi ora come sono ridotto».
Dorme per strada, raccimola qualche moneta dai passanto che gli fanno l'elemosina, mangia alla mensa dei poveri. «Ma spesso ci sono code lunghissime - precisa - e rischi di restare a pancia vuota. Nei fine settimana mangio se riesco: le mense sono chiuse». Qualche associazione di volontariato lo aiuta, ma non basta.
Quando la crisi della Embraco si fece acuta lo stipendio iniziò a diminuire, ma i politici passavano e facevano promesse: «Ricordo quello con l’allora sindaca Chiara Appendino. Venne da noi anche Alessandro Di Battista. Tutti ci hanno fatto grandi promesse. E tutte sono cadute nel vuoto».Il fallimento è arrivato e a Baudissone sonos tatai dati 30mila euro di Tfr,usati per saldare i debiti accumulati durante la crisi dell'azienda. «Per ripianarli sono rimasto quasi senza soldi. Ho perso anche la casa». E alla fine, rimasto solo e senza più un familiare in grado di aiutarlo, ha dovuto vivere per strada. Cerca ancora lavoro, per poter raggiungere quei contributi che gli mancano er la pensione. «Ma alla mia età chi volete che mi offra un impiego?».
video collegato
-----
Ispettore salva un bimbo da una casa-famiglia lager: 20 anni dopo, lui lo ricontatta per tenere a battesimo la figlia
L’ispettore Mario Giannotta, che 20 anni fa liberò un gruppo di bambini da una comunità-lager nell’Ennese, è stato ricontattato da uno di loro per un gesto speciale: battezzare la sua bambina.
Una storia di speranza e riscatto
Era un’operazione delicata quella condotta dall’ispettore Mario Giannotta vent’anni fa. All’epoca responsabile della Prima sezione della Squadra Mobile di Enna, specializzata nei reati contro i minori,
Giannotta guidò l’intervento che salvò un gruppo di bambini da una casa-famiglia dove subivano maltrattamenti, umiliazioni e venivano nutriti con prodotti scaduti.
Tra quei bambini c’era anche un giovane che, anni dopo, non ha mai dimenticato l’uomo che lo ha aiutato a cambiare vita. Ora padre, lo ha ricontattato per chiedergli di battezzare la sua bambina.
“Ho provato un’emozione unica e tanto orgoglio per quello che la Polizia ha fatto,” ha raccontato Giannotta, oggi dirigente della Polizia Stradale.
Il battesimo: un momento di riconoscenza
Il battesimo si è svolto in un piccolo paese della provincia di Enna, alla presenza di amici e parenti. “Ricordo quei bambini, i loro occhi quando ci hanno visto,” ha dichiarato l’ispettore. Il momento è stato un’occasione per riflettere sull’impatto che il lavoro della Polizia ha avuto sulla vita di quelle giovani vittime.
“Voglio dire grazie a questo ragazzo, oggi uomo, che mi ha restituito il mio impegno. È stato bello vedere che ce l’ha fatta, che ha costruito una vita per sé e per la sua famiglia.”
La rinascita di un giovane salvato
Il giovane padre, uno dei minori liberati dalla comunità-lager, ha raccontato di come, insieme ai suoi fratelli, sia riuscito a ricostruire la sua vita grazie all’intervento delle Forze dell’Ordine. Il legame con Giannotta è rimasto indelebile, tanto da volerlo coinvolgere in un evento così significativo come il battesimo della sua bambina.
Un esempio di dedizione e umanità
La vicenda non è solo una testimonianza dell’impegno delle forze dell’ordine, ma anche un esempio di come il coraggio e l’umanità possano cambiare il corso della vita di chi ha bisogno di aiuto.
“Il nostro lavoro spesso rimane nell’ombra,” ha sottolineato Giannotta, “ma momenti come questi ci ricordano perché facciamo ciò che facciamo.”
....
Lascia tutti i suoi averi a «cani e gatti bisognosi», e il Tribunale di Firenze convalida le sue disposizioni testamentarie rigettando il ricorso di un parente che ne chiedeva l'annullamento. Con una sentenza storica, nei giorni scorsi, i giudici hanno spiegato le motivazioni della decisione presa, e il percorso giuridico seguito per arrivare a dirimere il singolare contenzioso giudiziario.
Una signora fiorentina nel 2020 aveva redatto un testamento olografo e lo aveva depositato da un notaio: non avendo marito e figli stabilisce che tutti i suoi beni, mobili e immobili, debbano essere devoluti «a cani e gatti bisognosi». Nel 2023 muore e quindi il notaio invia il testamento al Tribunale fiorentino, dove si apre ufficialmente la successione nel mese di giugno dello stesso anno. Ad aprile scorso, però, viene fuori un parente, legittimato ad agire, che impugna il testamento chiedendone la nullità.
Le sue argomentazioni sono molto forti perché a suo dire «i soggetti a cui era stato devoluto il patrimonio della donna sono privi di capacità giuridica a succedere», e inoltre il testamento era decisamente generico e non indicava precisamente a chi lasciare il suo patrimonio.
Ma i giudici fiorentini, dopo aver analizzato il ricorso, sono arrivati a conclusioni differenti rispetto alle aspettative del parente. Per il Tribunale fiorentino, infatti, l’aspetto più importante dell’intera vicenda, pur ammettendo la genericità del testamento e le legittime contestazioni del parente, era rappresentato dal fatto di riuscire comunque a rispettare le volontà dell’anziana signora, che nel testamento erano molto chiare e poco interpretabili. Bisognava aiutare cani e gatti randagi con i suoi soldi e con i suoi beni, su questo le sue indicazioni erano state inequivocabili e perentorie.
Il giudice Massimiliano Sturiale, della quarta sezione civile del Tribunale di Firenze, nella sentenza pubblicata nei giorni scorsi, dopo aver preso in esame tutta la documentazione processuale, leggi, sentenze, trattati e convenzioni, è arrivato alla conclusione che l’unico modo per dare seguito alle volontà testamentarie della donna fosse quello di affidare il suo patrimonio al Comune dove era residente, Firenze, che quando ne entrerà in possesso dovrà utilizzarlo per i canili comunali e per la tutela delle colonie feline.
Anche perché la donna aveva nominato pure un esecutore testamentario, proprio al fine di vigilare sull’esecuzione del suo lascito. Insomma non aveva lasciato nulla al caso. «Se, come avvenuto in questo caso, non viene indicato l’ente specifico a cui si intende devolvere il proprio patrimonio, allora esso deve essere devoluto agli enti comunali di assistenza, e la devoluzione deve intendersi fatta a vantaggio del Comune in cui la donna aveva domicilio o residenza al momento del decesso». Questo perché, per legge, sono proprio i Comuni che si devono occupare di randagismo.
Il tribunale fiorentino, dunque, non ha ovviamente attribuito diritti soggettivi agli animali, che non sono titolari di capacità giuridica, ma li ha riconosciuti invece in capo all’ente comunale «al fine di realizzare lo scopo previsto nel testamento dalla signora». In tal senso, quindi, per i giudici il testamento della signora fiorentina è assolutamente valido e legittimo, e il ricorso del parente è stato rigettato.
Se non sarà appellata, la sentenza del Tribunale di Firenze nelle prossime settimane diventerà definitiva, e l’esecutore testamentario poi farà il resto come da verdetto.
Nessun commento:
Posta un commento