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27.11.13

ma basta polemiche sulla storia passata e guardiamo avanti

canzone in sottofondo  destra-sinistra  Giorgio Gaber 

ma basta  con queste polemiche assurde   sulla  storia passata  . Solo   cosi  lasciandosi alle spalle ( ovviamente senza  dimenticare quello  che  è stato )     ci può  essere una memoria  condivisa   come in francia su la sua storia  in particolare  sulla rivoluzione francese 1789  e   quella  del 1830  . Solo cosi iniziieremo a fare  i conti  con il passato  ed  eviteremo simili   cose


come   questa   ( da  http://www.gadlerner.it/2013/11/27/gli-sdoganatori  una  delle pochissime  volte il  cui il lobby lotta continua   mi trova  d'accordo  )

Si vergogni chi al Senato richiama la memoria di Matteotti e Aventino per .difendere Berlusconi. Proprio loro, gli sdoganatori del fascismo 





Mostra sul beato Rivi, ucciso dai partigiani. Scuola nega visita: “Infanga Resistenza”

L'esposizione è stato organizzata da don Carlo Castellini per la memoria del martire. Ma agli studenti è stato vietato di partecipare dopo le polemiche dei genitori

La mostra sul “beato” Rolando Rivi i(  foto sopra  ) infanga la memoria della Resistenza. E’ stata netta la presa di posizione della scuola elementare Anna Frank di Rio Saliceto (Reggio Emilia) a seguito delle rimostranze di alcuni genitori che hanno letto, in un paio di pannelli sul giovanissimo prete ucciso da alcuni partigiani il 13 aprile 1945 a Monchio, informazioni storiche “inadatte” per i propri figli. Così la gita per visitare l’esposizione nella parrocchia vicina è stata sospesa. Un atto che ha fatto discutere e che non ha però bloccato l’iniziativa che continua ad essere visitabile fino al 2 dicembre prossimo. E che, nonostante le polemiche, ha intenzione di proseguire anche in altri locali di Provincia e Regione.
L’esposizione storica voluta da don Carlo Castellini della parrocchia di San Giorgio Martire, per celebrare la beatificazione avvenuta nell’ottobre 2012 di Rivi, vede in sequenza un paio di pannelli in cui vengono ricostruiti i momenti della barbara uccisione del quattordicenne seminarista reggiano: in uno si vede la sagoma di due loschi figuri barbuti che – uno con il fazzoletto rosso al collo e la stella rossa sul berretto, l’altro con in mano una cinghia e una pistola nella cintola – stanno per malmenare il ragazzino; nell’altra si legge la frase, realmente pronunciata dai partigiani che ammazzarono Rivi e passata di bocca in bocca in quegli anni nella bassa reggiana, “Domani un prete di meno”.
Pannelli e parole che hanno fatto andare su tutte le furie alcuni genitori che portano i loro bimbi alle scuole Anna Frank, tanto da chiedere l’annullamento della visita durante le ore di religione delle scolaresche poi approvata dalla preside. “Volevo fare avvicinare i bambini a questa figura di santo bambino”, spiega al fattoquotidiano.it Don Castellini, “la sua uccisione è un fatto reale, purtroppo. E nella mostra – prosegue – non viene messo in discussione il valore della Resistenza, ma ciò che accadeva all’interno di essa con sanguinari regolamenti di conti: per alcuni estremisti dell’epoca la lotta di Liberazione dal nazifascismo doveva sfociare in una società bolscevica e togliere di torno personalità forti come quella del giovane Rivi, una figura propositiva tra i ragazzi. Un atto violento che confermava quel disprezzo anticlericale che toccò vette ancor più atroci in quegli anni”.
Alla base della polemica “storico-culturale” di Rio Saliceto sta il cosiddetto Triangolo della Morte, quell’area della bassa padana, tra Reggio, Modena e Ferrara, dove tra il settembre del 1943 e il 1949 si registrarono migliaia di uccisioni a sfondo politico, attribuite ad ex partigiani e a militanti di formazioni di matrice comunista. Tra questi il caso Rivi che ebbe comunque tre colpevoli condannati dopo tre gradi di giudizio a 22 e 16 anni, anche se ne scontarono solo 6 grazie all’amnistia di Togliatti: “Loro non avevano diritto all’amnistia – continua il parroco – commisero un delitto comune, non riferibile a fatti di guerra”.
Così se nella polemica si è accodato anche Luigi Negri, vescovo di Ferrara (“Addolora vedere che persone investite di compiti educativi, cioè del compito di introdurre i giovani alla realtà, abbiano paura della verità”) ecco che a gettare acqua sul fuoco è lo stesso Castellani: “Fu lo stesso Togliatti a venire a Reggio Emilia per chiedere di mettere la parola fine a questi omicidi per vendetta. Fu lui a dire che doveva nascere un Paese democratico e che nell’assemblea costituente aveva lavorato per una nuova Italia con i cattolici La Pira, Dossetti e Lazzati. Per questo non mi aspettavo una reazione così alla mostra, rigurgiti di un’idea di Resistenza sacrale che molta sinistra moderata non credo veda di buon occhio”.
L’esposizione su Rivi, organizzata dall’Associazione culturale cattolica Frassati, non è stata censurata e nemmeno sospesa, ma ha bensì esaurito la sua regolare permanenza nella parrocchia di Rio Saliceto per tornare ad essere visitabile, con i pannelli incriminati, da chiunque lo voglia da martedì 26 novembre a martedì 2 dicembre a Correggio grazie anche al patrocinio del Comune. Il sindaco Iotti, che sta per essere sfiduciato da metà della sua maggioranza per via del caso En.Cor., non rilascia dichiarazioni sul tema. L’Anpi di Correggio, come spiega il segretario locale, “preferisce prima vedere la mostra e poi giudicare”, anche se fu proprio il presidente Anpi di Reggio Emilia, Giacomo Notari, durante le concitate ore della beatificazione di Rivi nell’ottobre 2013 a dichiarare: “A quei tempi c’erano già i tribunali partigiani e le cose sarebbero dovute andare diversamente: la situazione sfuggì di mano e la morte di quel ragazzino si doveva evitare”.


14.2.12

Corriere della Sera 14.2.12 Matteotti, il delitto e la beffa A rischio le carte del legale che denunciò il processo farsa di Paolo Fallai

Corriere della Sera 14.2.12
Matteotti, il delitto e la beffa
A rischio le carte del legale che denunciò il processo farsa
di Paolo Fallai

PESCARA — Questa storia ne contiene due. Comincia da una calligrafia dolorosa: le lettere sono alte e strette come a precipitare il più presto possibile verso la fine. È il 29 marzo 1926. Velia Matteotti è la vedova del deputato socialista assassinato dai fascisti il 10 giugno 1924. Si è appena concluso a Chieti, dove è stato spostato per allontanarlo da Roma, il processo farsa ad alcuni degli assassini. Un processo a cui Velia non ha voluto partecipare, ritirando la costituzione di parte civile. Scrive «ora che il procedimento è chiuso» per chiedere la restituzione di «tutto ciò che appartiene al suo defunto marito». E in particolare di «una falangetta» che «il rispetto mai negato alla pietà famigliare impone di consegnare alla famiglia del defunto e a questa sola». Ma il triste elenco prosegue: la tessera ferroviaria, una ciocca di capelli, giacca e pantaloni «compresa la manica strappata». «E se nulla lo vieta — prosegue la vedova Matteotti — si chiede che sia consegnata alla sottoscritta anche la lima rinvenuta nella fossa della Quartarella».
È una semplice lima da cantiere, trovata il 16 agosto 1924 accanto al cadavere malamente sepolto nelle campagne vicino a Roma e ritenuta, almeno in quel momento, l'arma del delitto. Ma Velia Matteotti queste richieste non sa a chi rivolgerle. La lettera è infatti inviata all'avvocato Pasquale Galliano Magno di Chieti, che l'ha assistita dopo il trasferimento del processo, con la preghiera di inoltrarla a chi può decidere. Il legale lo farà, ma nessuna delle richieste di Velia sarà accolta. Dispersa la «falangetta», piccola testimonianza muta di un corpo smembrato da un assassinio feroce; scomparsa la ciocca di capelli, tagliata il giorno del ritrovamento proprio per farla avere alla vedova. La lima sarà addirittura battuta all'asta e comprata per «due lire» da uno squadrista, Francesco Grifi, quale trofeo per aver comandato la milizia che aveva prestato servizio durante il processo di Chieti.
La lettera di Velia Matteotti era nota. Non si sapeva che l'originale si trovava in una piccola cartelletta consunta, con l'intestazione «Processo Matteotti», nello studio pescarese dell'avvocato Magno. Il legale è scomparso nel 1974. Ma quella cartella è riemersa pochi mesi fa, quando il figlio Carlo e la nuora dell'avvocato Magno, Marina Campana, hanno dovuto trasferire lo studio, l'archivio e una bella biblioteca di oltre cinquemila volumi, molti dei quali preziosi.
E qui comincia la seconda storia, quella di un avvocato antifascista che, tra la fine del 1925 e l'inizio del 1926, accetta di patrocinare Velia Matteotti e di subirne tutte le conseguenze. Abitava a palazzo Tella, a Chieti, l'avvocato Galliano Magno e non aveva mai nascosto la sua opposizione alla brutalità del fascismo. Quando l'avvocato Emanuele Modigliani, compagno di partito di Matteotti, gli chiese di assistere Velia nel processo a Chieti, non ebbe esitazioni. E nel ritiro della parte civile non si nascose dietro le parole: «Questo è un processo burla» disse alla Corte che avrebbe inflitto pene ridicole solo ad Amerigo Dumini, Albino Volpi e Amleto Poveromo, scarcerandoli subito dopo. D'altronde gli imputati di quel processo era stati osannati al loro arrivo a Chieti come «eroi del fascismo» e i giurati erano stati scelti con cura tra i fascisti più affidabili.
Per l'avvocato Magno fu l'inizio di un calvario durato quindici anni. Innumerevoli le perquisizioni nel suo studio, i sequestri degli atti, tanto che nella cartelletta compaiono numerosi fogli scritti in cifra. Non sono stati decodificati, ma appare credibile che si tratti di appunti presi con un codice per tenerli riservati. Non basta: per l'avvocato cominciano una serie di agguati, percosse, cure «all'olio di ricino» e umiliazioni che lo costringeranno a svendere il palazzo di Chieti e a trasferirsi a Pescara, dove continuerà a lavorare in uno studio dove altri avvocati firmano gli atti che lui cura. Le ferite sono tali che fino alla fine della sua vita avrà problemi di vista e di deambulazione a causa delle percosse. Non accettò denaro e Velia Matteotti gli regalò la stilografica di suo marito, che il figlio custodisce ancora oggi con devozione. E parole di grande affetto: «Colgo l'occasione di ringraziarla per ciò che ella ha fatto in questo doloroso frangente, convinta che le venga resa tanta stima e considerazione da tutti coloro che ancora hanno e possono apprezzare la bontà d'animo e la dirittura della coscienza». La persecuzione nei confronti di Pasquale Galliano Magno non sarà mai interrotta. Presidente del Comitato di liberazione nazionale, viceprefetto politico per volontà degli Alleati, scoprirà un dossier a suo nome della polizia fascista, che aveva continuato a spiarlo fino a guerra inoltrata, con alcune annotazione al limite del ridicolo: «Impossibile verificare l'ascolto di Radio Londra perché gli alti strilli del figlio lo impedivano».
Incaricato delle epurazioni, non ne eseguì neanche una. Tanto che l'ex ministro fascista Giacomo Acerbo lo nominò tutore dei suoi beni. «Tutto questo — dice oggi la nuora Marina Campana — dovrebbe interessare una comunità che non voglia disperdere la memoria di uomini che non si sono piegati, neanche di fronte alla violenza». «I documenti del processo Matteotti — aggiunge Claudio Modena, storico, autore di un volume su Matteotti, riformismo e antifascismo (Ediesse) — hanno sicuramente un interesse storico e la loro sede naturale sarebbe la Casa Museo di Fratta Polesine, paese natale di Matteotti. L'auspicio è che il fascicolo e la penna donata da Velia fossero donati alla Casa magari richiamando con una targa l'azione legale e politica dell'avvocato Magno».
Ma Marina Campana è delusa e vuole vendere documenti e libri «a chi sappia averne cura»: «La mia famiglia ha donato una collezione di conchiglie del valore di 300 mila euro alla Fondazione Aurum di Pescara e ora sono chiuse in una cassa in fondo a un magazzino. Se questi documenti e questi libri finiscono una cantina andranno a marcire. Il ministero per i Beni culturali mi ha indirizzato a un ufficio che non esiste. A Pescara nessuno si è mosso. Il mio interesse è che i sacrifici di questi uomini non siano dimenticati. Ma le cose donate a chi non ha cultura sono senza valore».

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...