ecco come fare ad arginare la nostra bellicosità
da repubblica
di Gabriella Cantafio
L'ideatrice di She works for Peace supporta l'attività artigianale di lavoratrici che prima ricoprivano incarichi pubblici e ora si trovano costrette a lavorare in casa. "Ora dall'Afghanistan vogliamo arrivare anche in Iraq e Ucraina"
Le popolazioni che vivono in zone di conflitto, oltre che con aiuti umanitari, si possono sostenere offrendo occasioni di lavoro. Ad attestarlo è l'iniziativa She works for Peace ideata da Selene Biffi, imprenditrice sociale italiana nonché fondatrice della scuola per cantastorie a Kabul, in prima linea sul fronte dei diritti delle donne afghane, e non solo.
Com'è nata quest'idea?
"È il proseguimento naturale delle iniziative portate avanti, in maniera informale, dopo gli eventi dello scorso agosto. In Afghanistan, dove sono stata fino a qualche giorno fa, ho sentito la necessità di dare il mio supporto a donne che prima, con incarichi pubblici, contribuivano all'economia locale e familiare, ma, dopo la caduta di Kabul, sono costrette a lavorare da casa".
Con She works for Peace come aiuta queste donne?
"Supportiamo il lavoro artigianale di parecchie donne in varie regioni afghane, offrendo un piccolo contributo economico, formazione e materiali per aiutarle a ricostruire il tessuto socio-economico locale, aldilà delle limitazioni in atto, attraverso le loro microimprese di produzione tessile e alimentare. Il lavoro, così, rappresenta una timida rinascita avviata con la rete di supporto informale costituita con persone, associazioni e imprese locali. La data di lancio, infatti, non è casuale: il 22 marzo, giorno successivo al Nawruz, capodanno persiano che sancisce un nuovo inizio".
Chi sono, prevalentemente, le donne che stanno "rinascendo" insieme a voi?
"Finora abbiamo coinvolto circa 300 donne, spesso vedove o con disabili in famiglia, tra cui alcune che avevano già un laboratorio. Come Mariam che, ad agosto, ha visto andare in pezzi il suo, ma continua a lavorare le perline di lapislazzulo da casa riuscendo a mantenere la sua famiglia di oltre 20 persone. Ci sono anche ragazze che ci hanno chiesto aiuto, come Fatima che vuole riattivare la sua fattoria delle api e valicare i confini afghani con il suo miele per sostenere economicamente i suoi cari e offrire occasioni di formazione ad altre giovani donne".
Gli oggetti che producono come diventano fonte di guadagno in un Paese al di sotto della soglia di povertà?
"Riprendendo la tradizione artigianale, realizzano a mano sciarpe, ciotole di lapislazzuli, orecchini, borse, tovaglie ricamate e altri oggetti acquistati da tanti italiani che fanno parte della nostra comunità di sostegno ampliatasi grazie al passaparola. Ammetto che non ci aspettavamo questo successo, ma stiamo provvedendo a strutturarci meglio e ad accogliere le richieste che ci arrivano anche da altri Paesi".
Ciò significa che l'eco di She works for Peace si è propagata anche in altre zone di conflitto?
"Ebbene sì, grazie al potere dei social e della rete costituita con giornalisti e operatori umanitari, sono stata contattata da persone e associazioni femminili che operano in Iraq e Ucraina. Stiamo definendo i dettagli delle attività che partiranno nelle prossime settimane per consentire anche a queste donne di ricostruire, per quanto possibile, la propria dignità economica e sociale. Saranno coinvolte anche donne ucraine che hanno perso tutto sotto i bombardamenti e ora sono ospitate da comunità con cui siamo in contatto".
Cosa speri possa rappresentare quest'iniziativa in continua espansione?
"In contesti di guerra, spesso, le donne sono viste come vittime degli avvenimenti costrette a subire, con poca attenzione alla resilienza che invece dimostrano. Con She works for Peace vogliamo ridare centralità alla figura femminile dimostrando il contributo notevole che può offrire alla famiglia e alla comunità. La mia speranza è di poter raggiungere sempre più donne e ampliare i settori d'intervento, senza mai arrendersi".