riprendendo quanto ho già detto nel post precedentenella prima parte credo che la miglior risposta siano le storie stesse
GENTE
Massimo Cannoletta
Mary Ann Evans-George Eliot
AVEVA UNA MENTE STRAORDINARIA. MA ERA ADDITATA ED EVITATA PER L’ASPETTO FISICO E PERCHÉ VIVEVA CON UN INTELLETTUALE SPOSATO. COSÌ, PER DIVENTARE SCRITTRICE DI SUCCESSO, MARY ANN EVANS SI CREÒ UN’ALTRA IDENTITÀ: GEORGE ELIOT
La storia è piena di carriere stroncate dalle maldicenze e dai pettegolezzi. Mary Ann Evans, o Marian come preferiva firmarsi, lo sapeva molto bene. E lottò per tutta la vita affinché non accadesse anche a lei. Arrivando a cambiare nome, addirittura assumendone uno maschile, George Eliot, pseudonimo con cui divenne una delle più importanti scrittrici dell’età vittoriana. Ma da quali pregiudizi e cattiverie cercava di difendersi ?
I primi anni della sua vita furono molto umili. Era una ragazza curiosa, intelligente e sveglia, figlia di un fattore in glese. Quando, alla morte del padre, si trasferì a Londra per lavorare come redattrice del Westminster Review, le prime maldicenze che dovette affrontare riguardavano il suo aspetto fisico: Marian, della quale sono rimaste pochissimi scatti perché detestava farsi fotografare, non era bella.
Aveva un viso lungo un po’ smunto e dominato da un naso grosso e a becco e i denti storti. Le battutine erano all’ordine del giorno e non solo bisbigliate, se pensiamo che uno dei primi rifiuti che subì, da parte di un collega del quale si era invaghita, aveva come motivazione il suo aspetto fisico: era troppo brutta per essere amata.
Anche il filosofo positivista Herbert Spencer fu oggetto di un intenso innamoramento di Marian e anche in quel caso l’amore non era corrisposto. Spencer la stimava moltissimo, la definì “la donna intellettualmente più notevole che io abbia mai conosciuto”, ma non la amava e glielo disse subito. Lei continuò a scrivergli frasi appassionate finché incontrò l’uomo che le avrebbe cambiato la vita e che al contrario degli altri avrebbe corrisposto il suo amore: George Lewes. Romanziere, filosofo, saggista e giornalista, aveva una mente vivace e piena di interessi e un carattere brillante, proprio come Marian.
Ed esattamente come Marian non era per nulla un Adone. Sciupato, segnato dal vaiolo, con le labbra sempre umide, era soprannominato “Lewes il peloso”. Eppure a Marian l’aspetto fisico non importava: l’attrazione si accese istantanea, l’affinità dei due spiriti si rivelò immediatamente e più si conoscevano più si rendevano conto di avere interessi e punti di vista in comune. Marian si avvicinò grazie a George al mondo della letteratura e del teatro che prima aveva visto solo dall’esterno. Lui la considerava una geniale promessa, riconosceva il suo talento e non sopportava che questo enorme potenziale fosse indebolito dalla fragilissima autostima della ragazza. Ben presto i due crearono un connubio ideale di energia, che dava forza a entrambi e stimolava la creatività di ognuno.
Ma anche qui le malelingue non stettero a tacere, perché George era sposato. La moglie si chiamava Agnes e gli aveva dato dei figli, ma ne aveva avuti anche da un altro uomo. Per un equivoco mai chiarito e sul quale ancora oggi non si è fatta luce a fondo, George li aveva riconosciuti come suoi, quindi per la legislazione sul divorzio dell’epoca non c’erano le basi per la conclusione del matrimonio. George e Marian erano quindi una coppia di fatto, ma lui era ancora marito di Agnes e in una puritanissima Inghilterra vittoriana questo fu lo stigma definitivo, la condanna sociale senza possibilità di appello. Se nel resto d’Europa i due venivano accolti da reali e intellettuali, in Inghilterra il veleno iniziò a scorrere a fiumi. Marian era vista come una concubina, una donna moralmente marcia che aveva corrotto il povero George. Il frenologo Combe, che prima che iniziasse la relazione incriminata aveva definito il cervello di Marian «semplicemente straordinario», iniziò a sostenere che la donna soffrisse di una tara familiare e ad esortare gli amici comuni ad evitare la scandalosa coppia. Le malelingue
concentrarono il proprio astio sulla donna corruttrice, quindi tacitamente si instaurò la regola sociale che fosse preferibile stare lontani da entrambi e se non c’era modo di evitare di frequentarli, solo gli uomini potevano andare a casa di George e Marian, perché le donne avrebbero rischiato seriamente di rimanere contaminate e perdersi a loro volta. Allo stesso modo George veniva invitato agli eventi da solo e declinava spesso l’invito. Quando proprio non poteva rifiutare, Marian restava a cenare da sola a casa. La società vittoriana era il trionfo dell’ipocrisia, perché le donne che vivevano relazioni clandestine (non alla luce del sole come Marian) come osservò lei stessa «ottengono ciò che desiderano e continuano a essere invitate alle cene».
Sola e disprezzata da tutti, anche da suo fratello, aveva dalla sua parte soltanto George ad appoggiarla in ogni nuova impresa professionale. Marian decise di scrivere un romanzo, il primo di una lunga serie. Della sua nuova carriera Marian scrisse in una lettera a un’amica svizzera: “Per effetto dell’intensa felicità che ho conosciuto nel mio matrimonio, dove ho goduto di una profonda intesa morale e intellettuale, ho finalmente trovato la mia autentica vocazione”. Al grande amore della sua vita andava il merito di aver fatto nascere l’autrice di narrativa che era in lei e Marian, non potendo sposarlo e prendere il suo cognome, prese almeno il suo nome: i suoi romanzi vennero firmati George Eliot. Oggi George e Marian riposano nel cimitero di Highgate e l’area di Nuneaton e Bedworth Borough è nota come la George Eliot Country. Nell’incantevole paesaggio della campagna inglese si visitano i luoghi della scrittrice (la fattoria dove nacque, la chiesa dove fu battezzata e tutti i luoghi della sua infanzia), gli scorci e i paesaggi che hanno ispirato i suoi romanzi. Sono i luoghi dove la piccola Marian fu spensierata e sognante, prima di scoprire crescendo che la cattiveria umana è sconfinata e che le convenzioni sociali possono essere spietate. Tanto da dover cambiare identità per poter dimostrare al mondo il suo valore.