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3.4.22

UN CALCIO AI TALEBANI A Firenze, le calciatrici afghane., pagani non ripete raddoppia i gemellini del violino

 

UN CALCIO AI TALEBANI A Firenze, le calciatrici afghane

«Per noi giocare è come respirare». Ma a loro era proibito. Qui raccontano che cosa ha significato lasciare il Paese, i trofei vinti e soprattutto i parenti. E perché due scarpette o una bici sono oro

Alle 7 di sera di un martedì di marzo, Maryam, Susan e Fatima − nello spogliatoio femminile del circolo sportivo Impruneta-Tavarnuzze − indossano le loro preziose scarpe da calcio. Preziose, esatto. È grazie a quelle che sono arrivate in Italia da Herat, Afghanistan. Era il 27 agosto 2021. E ora nello spogliatorio ridono con grazia, si svestono velocemente di pantaloni e maglie e indossano la tuta del loro club Lebowski, mostrando gambe forti. Prima di scappare dai ta

lebani e da un’altra guerra giocavano a livello agonistico.

Chiedono se sia possibile parlare in dari, la loro lingua, per spiegare che cosa hanno dentro. Certo non può servire l’italiano, stentato. L’inglese va meglio, d’altra parte sia Maryam che Susan erano iscritte a Letteratura inglese. Maryam e Susan non portano il velo. Fatima, che porta un cappellino che la fa apparire una rapper, invece lo indossa per questioni religiose, mentre quando fa sport usa lo «sport hijab». «Sotto, ho i capelli lunghi e ricci», racconta. Fatima era considerata l’astro nascente del calcio e si vede da ogni suo movimento che è una ragazza che sogna in grande. È attaccante. Maryam gioca in difesa, Susan è centrocampista.

Al Paese facevano parte del Bastan Football Club.

Il loro racconto del passato è praticamente identico. Maryam: «I miei genitori mi hanno sempre supportato, invece i parenti scuotevano la testa: “Una brava ragazza non fa sport”. Poi sono arrivati i talebani e mio cognato ha deciso di passare con loro, ci ha additato: “Guardate che queste ragazze giocano a calcio”. È diventato tutto pericoloso». Susan: «Ho iniziato a 15 anni, non c’erano problemi. Quando sono diventata grande mi hanno detto “smettila”, soprattutto mio fratello. Mio padre non l’ha ascoltato, mi ha sempre fiancheggiato, è un eroe». L’eroe, chemostra orgogliosa sul cellulare, è un signore dall’aria pacifica, con giacchina trapuntata e bicicletta. Susan, quando il padre andava a insegnare, prendeva la sua bici e la provava in cortile, lì dove quasi tutto era proibito. Tant’è che l’avere qui, in Italia, una bici, è per lei una grande gioia. Fatima ricorda invece il caldo: «Giocavamo a mezzogiorno, quando potevamo». E poi l’addio all’Afghanistan: «Ho portato solo i vestiti, nessun trofeo», dice lei che ha vinto 3 golden Boots, 2 coppe come miglior giocatrice, 10 medaglie d’oro, 4 d’argento e 2 di bronzo. «Sarebbe stato troppo pericoloso se avessero aperto i bagagli». Per tutte e tre il calcio è la vita, l’aria che respirano.

La presa di Kabul è del 15 agosto e da lì si parte. Il racconto di Anna Meli della onlus Cospe sulla loro fuga è dettagliato: «Il 13 le ragazze avevano già contattato il giornalista Stefano Liberti per un aiuto. Dal 24 al 26 agosto

La famiglia ci ha sempre supportato, erano gli altri a storcere il naso; poi sono arrivati loro ed è diventano tutto molto pericoloso

abbiamo cercato di far partire 60 persone, 42 ce l’hanno fatta, le guidavamo via WhatsApp dall’Italia. Per rendersi riconoscibili ai militari italiani tutti avevano un fazzoletto bianco al polso e nelle vicinanze dell’Abbey Gate, la via d’ingresso all’aeroporto, dovevano gridare “Tuscania”, il nome del contingente di stanza lì». Tra quelle 42 persone c’erano Maryam, Susan, Fatima e l’allenatore Najibullah Nawrozi. E ora l’allenatore, fisico compatto simile a un masso che resiste alle intemperie, se ne sta a bordo campo a guardare le sue ragazze, con quegli occhi chiari afghani così ben raccontati dal fotografo Steve McCurry.

Della loro terra Susan dice in inglese: « I miss my family» , mi manca la mia famiglia, e poi «le nipoti, l’università », mentre Maryam, che offre samosé e che ha imparato a cucinare in Toscana, non in Afghanistan eh, sospira: «Ho nostalgia di tutto: la casa, le nuvole, l’università».

Di Firenze che non sapevano così famosa, Susan ama le pescaie sull’Arno, Maryam paragona la strada di San Domenico, verso Fiesole dove abita, alla Bam di Herat, una strada in mezzo al nulla che mostra in un video sul cellulare e le si illuminano gli occhi. Dell’Italia sapevano poco, sapevano di più dell’Arsenal e di Messi, e qualcosa pure di Sara Gama, la nostra calciatrice della Nazionale vista su Instagram. Susan indossa una maglietta con su scritto «I buoni vanno in paradiso io sono cattivo vado dappertutto», e quando scopre che significa scoppia a ridere. Lei è fortunata perché è qui con gran parte della famiglia, compreso il padre eroe. La famiglia di Maryam sta a Kabul, vive nascosta perché «la figlia giocava a calcio e ha lasciato l’Afghanistan con gli occidentali». Quando si sentono, uno degli argomenti principali è la visa, il visto di ingresso (visa e ancora visa, fa capire Maryam) per il Pakistan. Città di destinazione Quetta, vicina al confine. Sperano di raggiungere la figlia in Italia.

Maryam, Susan e Fatima sono solo ragazze. E così nello stadio a un certo punto si guardano e ridono ascoltando «Con le mani, con le mani, ciao ciao». Il ritornello è casuale, ma è impossibile non pensare ai talebani.



I GEMELLI DEL VIOLINO Da grandi vogliamo solo farvi felici

Suonando Viva la vida in un video, Mirko e Valerio hanno conquistato l’America, prima grazie a Chris Martin e poi a Ellen DeGeneres. «Non ci montiamo la testa: per noi il massimo sono lamusica e una pizza con gli amici»

Questa è la favola di due gemelli violinisti di 14 anni di Agrigento che, dopo aver girato un video nella loro cameretta, hanno

conquistato gli Stati Uniti e sono stati invitati nel famoso talk show di EllenDeGeneres. Ora hanno pubblicato il loro primo album, The violin twins. Mirko e Valerio Lucia sono identici, vestono pure allo stesso modo. Ci hanno fatto entrare in casa, li abbiamo fotografati là dove tutto è iniziato, e nel loro posto del cuore: la Scala dei Turchi. «E pensare che papà quel video non lo voleva neanche fare, è stata mamma che si è intestardita», dicono.

Il video è quello in cui suonavate Viva la vida dei Coldplay, nel marzo del 2020, con milioni di visualizzazioni sui social.

«Tutto è nato per gioco, per dare speranza alle persone in unmomento difficile. Mai ci saremmo aspettati che potesse fare il giro del mondo».

Poi, la svolta.

«Unmattino ci ha svegliato un’amica di famiglia per dirci che il video era stato condiviso nella pagina di ChrisMartin. Saltavamo come canguri per l’emozione. Subito dopo è arrivata unamail, Chris Martin voleva conoscerci».

Com’è andata?

«Ci siamo incontrati su Zoom. Lui ha capito che eravamo tesi e ha iniziato a farci domande semplici, del tipo come va la scuola, che sport fate. E poi come se nulla fosse ci ha chiesto di suonare Viva la vida con lui in un live sui social».

Poi vi ha cercato Ellen DeGeneres.

«Ci ha chiamato subito, ma non potevamo spostarci per via della pandemia. Appena hanno aperto le frontiere, ci siamo fiondati a Los Angeles, con mamma e papà».

Primo impatto?

«Ci è venuto a prendere John, il driver personale. In quel van aveva portato Brad Pitt, Penelope Cruz, Jennifer Lopez e... Mirko e Valerio!».

E dopo?

«Arriviamo ai Warner Studios, una città piena di studi televisivi. Abbiamo abbracciato Ellen, ci siamo seduti e ci siamo tranquillizzati. Ci ha regalato due violini meravigliosi».

Quando avete iniziato a suonare?

«Siamo cresciuti con lamusica grazie a papà che suona di tutto. Nel suo studio c’era un violino attaccato al muro. A 8 anni abbiamo iniziato a suonarlo, un colpo di fulmine».

Com’è la vostra giornata tipo?

«Ci dividiamo tra la scuola, l’istituto tecnico turistico, e il conservatorio. Suoniamo il violino tre ore al giorno. Egiochiamo a calcio. Il sabato sera usciamo con gli amici».

C’è il rischio che vi montiate la testa?

«I nostri genitori ci tengono con i piedi a terra».

Avete successo con le ragazze?

«Abbiamo tante amiche, ma nessuna fidanzata».

Il lato oscuro di essere artisti già noti?

«Stiamo meno con gli amici. Nella vita devi prendere una decisione: o segui la tua passione o pensi solo a uscire, ma poi non costruisci nulla».

Siete dipendenti dai social?

«Preferiamo uscire in bici. Tanti nostri coetanei passano 10 ore davanti al telefono. A noi basta un’ora, poi ci stufiamo».

A 14 anni avete conosciuto una pandemia e ora la guerra.

«Stare chiusi in casa ci è costato, ci ha salvato la musica. Questa guerra è ingiusta, il popolo non la vuole, né i russi né gli ucraini. Ma non abbiamo perso l’ottimismo e la gioia di vivere».

Cosa volete fare da grandi? «Suonare nei più grandi teatri del mondo e rendere felici le persone».

21.1.14

IL VIOLINO DI LUIGI - Modena City Ramblers

Sempre  a proposito di violini ,  mentre finivo di scrivere il mio precedente post ,  mi  è  ritornata  alla mente  questa  storia  (   riguardante  un violino   )  messa   in musica (  trovate  sotto il video  con il testo   ) dai Modena City Ramblers  .







LUZZARA. Dalla casa da abbattere spunta il violino dimenticato di un martire partigiano. E' davvero incredibile la storia emersa giorni fa a Casoni, dove nella soffitta di un immobile da abbattere è stato trovato lo strumento musicale che Luigi Freddi   (   foto  a sinistra  e   qui       una sua biografia  lasciò in pegno alla famiglia Vezzani prima di essere ucciso dai fascisti il 23 marzo del 1945, a soli 19 anni.
da  http://www.comune.luzzara.re.it/
.La notte precedente, infatti, aveva tentato insieme ad altri compagni di far saltare un deposito di munizioni lasciato dai tedeschi in zona Pedrocca a Casoni: il sopraggiungere dei fascisti bloccò l'operazione. E Freddi, in fuga, riparò dalla famiglia Vezzani in nome di un’antica amicizia: a loro chiese una giacca ed un paio di pantaloni per potersi cambiare d'abito, essendo ricercato dai fascisti ed in pegno lasciò loro il suo violino, che tanto amava suonare. «Questa storia, raccontatami dalla voce di chi l’ha vissuta realmente, ha sempre avuto un po’ il sapore della leggenda, poiché di questo violino si erano completamente perse le tracce – racconta oggi Gianluca Vezzani – Probabilmente è stato custodito alla Corte Breda, dove ho vissuto per anni con la mia famiglia, ed è arrivato nella soffitta dell’abitazione di via Valbrina in cui vivo tutt’ora. Ho scoperto la sua esistenza quando ho dovuto demolire la porzione più vecchia dell’edificio, seriamente lesionato dal sisma del 29 Maggio 2012: stava nel solaio, sotto delle vecchie cassette di legno per la vendemmia».La famiglia Vezzani ha pensato immediatamente di donare il violino alla sezione locale dell'Anpi e ieri mattina c’è stata la consegna ufficiale nelle mani del presidente 

Simone Lasagna: «Ho capito che questo oggetto,«Ho capito che questo oggetto, così importante perché rappresenta un pezzo di storia della nostra comunità, non poteva rimanere di mia proprietà – chiude Vezzani – e ho ritenuto corretto donarlo all’Anpi dove si tiene vivo il ricordo di coloro che hanno cercato di dare un futuro migliore al nostro Paese con una convinzione tale da rinunciare alla propria vita»



dove si tiene vivo il ricordo di coloro che hanno cercato di dare un futuro migliore al nostro Paese con una convinzione tale da rinunciare alla propria vita». La sera del 23 marzo 1945, infatti, Vezzani si recò con un altro partigiano, Selvino Lanzoni, nel deposito di munizioni che avrebbero dovuto far esplodere la sera precedente, ma vennero sorpresi dalla Brigata Nera: furono arrestati e trasportati in piazza a Palidano, dove furono mostrati alla popolazione come dei ladri. Solo a tarda notte furono trasportati su un carro da buoi, in piazza a Casoni dove furono impiccati e mostrati come monito. «Quello della famiglia Vezzani è un gesto nobile, avremo cura di questo cimelio come degli altri che in questi mesi ci hanno donato: stiamo pensando ad una mostra dedicata», ha detto Lasagna». Presente alla consegna anche il sindaco Andrea Costa: «Non è la prima volta che la famiglia Vezzani, impegnata nel volontariato, si distingue per l’attenzione alla comunità e per il mantenimento dei valori della solidarietà e della coesione: dall’esperienza tragica del terremoto è emerso almeno un risvolto positivo che è la riscoperta di un cimelio appartenuto ad uno dei giovani che la nostra terra ha pianto».



Fratello di ombre, fuoco, candele,
fratello di note e di sere gelate,
oggi è tornato di nuovo quel suono,
oggi la luce dopo il tuono.

L'odore dell'uva e questo solaio
dove riposo da un tempo lontano,
ora sento le voci, storie, leggende,
parlan di te, fratello scomparso.

Suona ben, suona mal,
suona 'l viulein per la gente c'la ariva,
per quella che va e per chi ci sarà,
per quelli che sono partiti e che mai torneranno.

Musica, la nostra, e la paura svaniva,
Selvino al tuo fianco rideva e cantava,
a Casoni il deposito di munizioni,
ma domani è domani, ora un'altra canzone.

Suona ben, suona mal,
suona 'l viulein per la gente c'la ariva,
per quella che va e per chi ci sarà,
per quelli che sono partiti e che mai torneranno.

Le mie corde invecchiate, strappate dal tempo,
le mie corde, la corda che ti tolse il respiro,
oggi è tornato di nuovo quel tuono,
oggi ricordo la tua voce ed il suono.

Suona ben, suona mal,
suona 'l viulein per la gente c'la ariva,
per quella che va e per chi ci sarà,
per quelli che sono partiti e che mai torneranno.
I passi di danza, le mani ed il fuoco,
noi l'orchestra delle notti di Resistenza.



Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...