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31.3.13

viaggio nella frontiera puntata VIII la gara

 puntata  precedente


Dopo  esserci allenati duramente  , visto  che alla  gara  avrebbero partecipato  gli arcieri  più bravi arcieri della nazione indiana , arrivò il giorno  tanto atteso della gara  .
Jack riusci a tenere  testa  ai  migliori partecipanti  delle  varie tribù , tirando   fuori il meglio di se in particolare  nella prova  della  quadrupla  infilata  . Sbaragliava  avversari su avversari e  s'avvicinava sempre più alla  vittoria  arrivando ala frase  finale  .
Quando  nell'ultima  tornata   ,  un arciere ( non ricordo  la  tribù d'appartenenza  )  nella prova  del tiro  singolo lo raggiunse . S'arrivò   ad un risultato di parità  .
Ecco  che i due  concorrenti rimasti  in gara  si  contesero il premio  all'ultimo tiro . L'avversario di jack  stava  per  estrarre la freccia dalla sua  faretra  

quando   jack  s'accorse   che  uno scorpione    stava  per  mordere la   mano  del suo avverssario 

   estrasse    dal fodero  e  lancio'  rapidamente il  suo  coltello e   colpi'  , con un colpo magistrale degno di  un gugliermo tell , in pieno centro lo scorpione . Dopo lo  stupore  del pubblico  e  dei concorrenti , dovuto  alla rapidità e prontezza  di riflessi di jack  , alcuni appartenenti alla  tribù  del  suo aversario  , convinti ( forse non avevano  visto  lo scopione )  che  ciò  fosse  un
tentativo di voler  eliminare  o quanto  meno  far perdere il loro atleta  e  s'apprestavano  a linciare  jack . Se se non fosse intervenuto ,  con un fischio talmente  potente  che  fu  udito anche oltre  la  radura  della gara  , l'eremità* vento che fischia  stimato   come uomo  saggio e  di pace da  tutte le tribù presenti  alla  gara   , ci sarebbero  riusciti  .Tutti  rimasero  a bocca aperta ,  visto  il carattere   silenzio  e  poco loquace  di vento  che  fischia.   La  tribù di Cheyenne  , se  non ricordo   male  il nome  dell'avversartio di jack  , si fermo (  come tutto il pubblico  )  ad  ascoltare  , un rarissimo discorso    di vento che  fischia  che  nel  frattempo  dopo  aver  attirato l'attenzione  con il suo  fischio  stava per  prendere  la  parola  .  Si raschio  la  gola  ed  iniziò  quello che  fu , da quel  che  ricordo , l'ultimo  discorso  . Uno ( secondo  chi  aveva  avuto l'occasione  di averlo sentito parlare  ale altre rare  volte  )  dei più belli  . << La  partecipazione  e  l'accettazione  delle nostre regole  ,  ma  soprattutto  il suo gesto  lealtà  verso  un avversario in pericolo di vita  >> sollevando    in aria  po, perchè tutti\e  lo vedessero  , lo scorpione  trafitto    e  rivolgendo  per  un secondo  lo  sguardo  verso la  mano  salvata   dell'arciere   continuò  con voce  tuonante  <<   dimostra  come  i   visi pallidi   non solamente ostili e dalla lingua  biforcuta .






Il suo gesto   è segno  che uomo  bianco  ,  sia  una persona degna  , perchè in lui  ce'è la  volonmta  di   rispettare  il nostro   modello sociale e di vita quotidiana .  avesse in sé il senso della libertà, della gioia, del piacere di vivere la vita in tutti i suoi molteplici aspetti, rimanendo costantemente legato all’importantissimo equilibrio ed all’armonia esistente in tutto il creato. Valori  che >>   rivolto ad  alcuni membri  , ancora  dubbiosi  e  carichi  d'odio    verso  jack , e continuò <<   ormai stanno scomparendo o modificandosi anche  troppo >> Ora non ricordo il resto del discorso  purtroppo . Ma  ricordo è  una delle cose  più belle  , che ricordo del ultimo viaggio  nella  frontiera  ,benisimo cosa sucesse poi  .Ricordo  come  se fosse ora  , che  ci fu un applauso  generale ,  al  quale  s'unirono anche la  tribù in questione . Il  giudice  stava per  far  riprendere  la gara, quando il capo della  tribù
dell'arciere, lo zitti  si fece  avanti  e disse  di rinunciare  assegnando  cosi il  premio a Jack .Lo segui , andando  verso  jack, porgendoli il suo arco e la  sua faretra  ed  abbracciandolo .la  conclusione   di quella  giornata  mi riporto ala mente  queste Parole del Capo Indiano Noah Sealth*

 Sono un Pellerossa e non comprendo nulla 
Noi preferiamo il soave sussurro del vento sull'acqua 
rinfrescato dalla pioggia di mezzogiorno 
o profumato dall'aroma di pino 
Gli uomini bianchi comprano le nostre terre 
come si può comprare o vendere il firmamento? 
o il calore della terra?  
Se non siamo padroni della freschezza dell'aria, 
nè del rumore dell'acqua, 
voi come farete a comprarli? 
Ogni zolla di questo terreno è sacra alla mie genti 
L'acqua limpida che scorre nei fiumi e nei ruscelli  
è anche il sangue dei nostri antenati 
Se vi vendiamo le nostre terre, 
dovete ricordare che sono sacre, 
e che ogni riflesso, 
ogni gorgoglio dell'acqua del lago e dei ruscelli 
racconta la vita della nostra gente 
La voce dell'acqua è la voce del padre di mio padre 


Dopo di che   ci fu una  grande festa   nela quale la nostra  tibù d'adozione  e la  sua  fumarono  il calumet  della pace e divennero amiche



       N.B 
i  siti  con asterisco affianco  sono quelli  da cui  ho rielaborato   direttamente . Gli altri  mi sono servi per  trarre  news  o  foto  . Se il\i proprietario\propietari  si dovessero lamentare  per  violazione di copy  right   e  simili   me  lo facciano sapere  e  la  foto o  altro materiale sarà rimosso  








19.7.09

Fra i nastrini di un cantiere

Io non vedo un cimitero in quell'aria di mare.

 

 

Sebbene tutti si ostinino a dare per scontato che puzzi di morte:

 

 

Cellule morte evaporate da pizze tagliate a fettine precise, come solo un boia sa fare.

Treni senza più binari e con il tempo ormai perso; recuperabile nemmeno investendo capitali di minuti strappati ai sogni mattutini.

Strade colme di cappelli gialli, nastrini a strisce rosse e bianche, come bandierine, ma mancano le stelle, manca sempre qualcosa da queste parti.

Borsette schizzofreniche si ribellano al proprietario per avere una sorte, per avere un dannato ruolo negli archivi della polizia.

Oggetti, ancora col prezzo annesso, guardano il trafficare di banconote mensili non registrate, passare da mani a mani occupate da pistole.

Gessetti scrivono per troppi pochi occhi distratti da vele e polvere. Vele e polvere. Vele e polvere.

 

Io non vedo oggetti. Io vedo menti, cuori, fegato e polmoni.

Vedo immensa poesia. Immensa umiltà.

Trovo l'identità nei vicoli del Mater Dei, Via Roma e stazione Garibaldi.

Più la vivo, più il mondo si trasforma in quello che è: un locale rustico.

Rustico, ma con musica house: quella che fa allontanare, che fa rimanere soli.

 

Tutte le storie sono concentrate in quel locale; solo che lei è fuori.

E' fuori perchè non ne poteva più. Lei è bellissima, il problema è che non lo sa.

In quel dannato locale se la contendevano manager milanesi, signorotti ben vestiti con miliardi di catene e palle di piombo ai piedi; ma colorate.

Lì dentro l'aria era appesantita da alcol e denaro.

E' uscita delusa, sedotta e ingannata.

Anche solo per prendere una boccata d'aria e rientrare. Tanto non puo sottrarsi, tanto è debole, nessun si batterà per lei, tutti la sfrutteranno, continueranno a sfruttarla.

Esce fuori, respira aria d'infanzia e di salsedine.

Sembra aver già dimenticato il tipo che le regalava gioielli in cambio di libertà.

Sente di essere a casa qui fuori, finalmente.

Ma a casa non sempre si è al sicuro.

Passa un tizio con un automobile targata "NA", lei lo fissa sperando di trovare complicità, lui la fissa, si ferma e chiede "quant'è?"

 

 

 

 

 

 

Io non vedo aria di morte, ma dignità negli occhi di ciascuno.

Napoli non regna.

Napoli è una grande merda.

Napoli è il rischio di morire in qualsiasi momento.

Napoli è negli universitari, nei pendolari, nella volontà di cambiare neanche poi così evidente, neanche poi così forte.

Napoli è quella donna bellissima; che cerca pace ma non la trova, l'ha cercata negli altri ma non può. L'ha cercata tra la sua gente, e non la trova.

 

 

 

 

Napoli, forse, la pace non la troverà mai.

Ma vedo tanta arte in tutta questa ricerca.

 

 

Napoli, musa di te stessa.

Schiava di tutti, soprattutto di te stessa.

 

27.4.09

il gabbiano










Si erano conosciuti , una sera d’estate  durante una festa sulla spiaggia.


Lei era sola , il marito l’aveva lasciata per un’altra  e nonostante fosse


ancora scossa da quell’evento aveva deciso di reagire  e prendersi una boccata di vita,


perché la vita non finiva lì  davanti alla banchina del porto mentre una nave prendeva il largo


portandosi via una parte di lei  , la vita continuava e lei era ancora troppo bella e giovane per rinunciarci.


Lui era rimasto colpito dal suo sguardo dolce e malinconico  , era un turista come tanti in quella calda estate e non conosceva nessuno che potesse presentargliela, così rimase per un po’ a guardarla mentre era seduta al tavolo del baretto sulla spiaggia  a  sorseggiare  un long drink  circondata dal fumo di una sigaretta.


Lei si era accorta di quegli occhi che la scrutavano erano occhi chiari , luminosi e molto fascinosi e abbozzo un mezzo sorriso senza guardarlo, poi prese il bicchiere , si alzò e scese i tre gradini di legno che la separavano dalla spiaggia , si tolse i saldali e si incamminò fino alla riva.


Per Lui fu come un invito e con discrezione  poco dopo le si avvicinò portandosi a un passo da lei


Sentiva il suo respiro sulle spalle nude , il cuore le batteva a mille, quello sconosciuto stava per infrangere i suoi silenzi , la sua solitudine , una luce nuova le illuminava il viso sotto il riflesso di una  luna complice, finchè lui non le parlò avvicinandosi al suo orecchio , le parole che udì , non le diedero la forza di muoversi e girarsi di scatto come sarebbe stato normale , restò lì ,immobile ad ascoltare  la sua voce.


 


 Dentro una conchiglia
cerco la tua voce
portata da un’onda del mare
La sento come una carezza
sulla pelle salata
a ridarle freschezza
come un bacio
su labbra assetate
da questa arsura

Si apre la conchiglia
e mi mostra il tuo cuore
batte in fretta
nell’attesa del sogno
e alzo gli occhi verso l’orizzonte
involando i pensieri
mentre il sole dipinge il cielo
col mio sangue
e la luna già alta
mi sbianca il viso

In ginocchio sulla sabbia
stringo la conchiglia al cuore
e chiudo gli occhi
inalando salsedine
che brucia l’anima
e stordisce i sensi
ubriacandomi di te.


 


Era sveglia, non stava sognando , per la prima volta in vita sua , un uomo le aveva sussurrato irresistibili parole d’amore che mai nessuno aveva pronunciato per lei .


Mille pensieri in un nanosecondo passarono per la sua mente ,un elenco interminabile di cose che non aveva mai avuto , che mai aveva provato e adesso aveva poco tempo per decidere se rinunciare ancora o tuffarsi in quel mare calmo che dolcemente l’abbracciava .


Ma non fece in tempo a finire i suoi pensieri che le sue labbra si ritrovarono sulla bocca di quello sconosciuto in un bacio pieno di passione .


L’alba li ritrovò  abbracciati sulla spiaggia  come due perle nella stessa conchiglia che un sole indiscreto cominciava a schiudere.


 


continua



22.4.09

Riflessi

 

Le abbiamo vissute, o soltanto attraversate. E già le rimpiangiamo. Le lunghe, liquide marine delle primavere mediterranee ci accarezzano spavalde e assonnate, percorrenti come rivoli, sfumate come orizzonti. E i lidi assorbono una mestizia d'attesa, solcati da sbiaditi giochi infantili. Qua e là s'arresta un pino, assorto per un sentiero diruto, contro muri non ancora roventi.

****

L'avvocato è astigiano. Verosimilmente, compose Una giornata al mare appoggiato ai parapetti della riviera ligure, ma le atmosfere da lui descritte mi evocano piuttosto pallori adriatici. O, ancora, le sagome dolcemente sgraziate di zerbinotti romani. Un sole scucito nella rena, fuliggine e speranza, caracollanti felicità d'un'Italia speranzosa e negletta.


Poi, come in un passo di danza, tutto si perde nel cielo lontano.


Daniela Tuscano



18.1.09

La crisi di Giulio

Le cose cominciarono ad andar male. All'inizio Giulio pensava che andassero male per tutti. Ne parlavano in giro, la "crisi" dicevano. E in effetti la crisi c'era, la sentivi nell'aria, lo vedevi al supermercato quando col tuo stipendio non riuscivi che a comprare l'indispensabile, lo capivi dalle pubblicità, quelle che ti facevano sembrare il prestito la scelta più giusta da fare quando invece sapevi benissimo che era solo ua stronzata, lo capivi dagli sguardi di solidarietà della gente, quella in fila alla posta, quella che attraversava a piedi la strada, quella che gremiva le chiese. C'era crisi ma si sopportava, era un male condiviso e stranamente se sono in tanti a soffrire della stessa pena uno si abitua a pensare che in fondo non sta così male. Invece a Giulio andò che un giorno, oltre a dover convivere con la crisi (come tutti), beh, un giorno Giulio diede di matto. In realtà non è che impazzì davvero ma a tutti sembrò così, e si sa se tutti pensano una cosa meno che uno, anche se quell'unica persona dice il vero non c'è ragionevole dubbio che tenga, i "tutti" avranno la meglio e nella storia, noi posteri, diremo: un giorno Giulio diede di matto.
C'era la crisi e la crisi piano piano crea silenzio, tanto silenzio. A volte Giulio scendeva in strada a passeggiare un po' e si rendeva conto che nessuno aveva più voglia di stare in giro. Risparmiavano, anche sui passi. Giulio però non ci stava, non voleva arrendersi alla crisi. Giulio arrotolò con le mani la carta del fornaio, quella stessa carta in cui erano state avvolte le sue due ciabattine di semola, la arrotolò a mo' di megafono. Uscì per strada e, parlando nel megafono, attento a non strozzarsi con qualche briciola sopravvissuta alla sua fame, invitò i suoi compaesani ad uscire dalle case, li invitò a partecipare a una specie di festa in strada. Da principio non ricevette risposta poi qualcuno si degnò di mettere dei passi fino alla finestra e, chi in malo modo chi più gentilmente ma con aria scostante, declinarono tutti l'invito. Sconsolato Giulio torno a casa. Mentre avanzava nell'ingresso udì il trillo fastidioso e insistente del telefono. Andò a rispondere con l'espressione stanca. Si sentiva tradito dal paese, dalla gente con cui fino a quel giorno aveva condiviso sorrisi, giornate, cene e banchetti. L'avevano preso a persiane in faccia.
"Pronto?"
Dall'altra parte del telefono Giulio distinse chiaramente un singulto.
"Giu..Giuu..Giuulioo, scusami se ti disturbo a quest'ora..."
"..."
Giulio non aveva ancora ben chiaro con chi stava parlando, aveva solo capito che era il preambolo ad una cattiva notizia.
"Giulio, sono la zia... ascolta, non esiste un modo migliore per dirlo... zio è morto. "
SDENG. Giulio percepì nella testa il suono metallico equivalente a quello di una badilata e si sedette tramortito in terra. Aveva ancora l'orecchio attaccato al ricevitore del telefono quando si rese conto che la zia continuava a parlare.
"Zia, zia, scusa... mi dispiace, ma come... stai?" Per un attimo si stava lasciando sfuggire un 'Come è successo?' ma mentre lo pronunciava si sentì un verme, uno di quelli cresciuti con Porta a Porta e la fastidiosa voce di Vespa che nelle orecchie ripeteva: "Sì, ma quanti morti? Quanti feriti? Cosa è accaduto?". Decisamente indelicato. La zia naturalmente riprese a parlare, sembrava un fiume, sembrava che nessuno glel'avesse chiesto prima di suo nipote. Le parole galoppavano, l'una dietro all'altra, veloci, precise, ordinate, sembrava che stesse leggendo invece si sfogava. E Giulio reggeva l'urto della sofferenza altrui, pazientemente, quasi fosse la sua vocazione, ascoltava. Avrebbe voluto fare di più ma in gola sentiva crescere un groppo che gli impediva di deglutire senza provare una fitta allo stomaco. Sentiva il magone allargarsi a tutta la pancia, crescergli dentro e poi salire su fino a condensarsi in pesanti lacrime. Gli restarono sull'uscio degli occhi, non vennero giù, almeno quel giorno, se ne restarono lì a rammentargli che le cose non andavano bene. Quando chiuse quella strana telefonata senza saper cosa dire, senza aver il coraggio di riattaccare per primo, si accasciò. Perse tutte le forze.

Mi girava la testa, con gli occhi lucidi continuavo a cercare di mettere a fuoco le mani che si tormentavano cercando una risposta. La risposta al perché tutto mi andasse così male, la risposta al perché proprio a me, la risposta alla tristezza, al senso di colpa che provavo nell'esatto istante in cui pensavo alla mia tristezza e non a quella della zia, la risposta ai miei stentati tentativi di dialogo al telefono. La testa si faceva sempre più pesante e avevo bisogno di respirare a pieni polmoni. Così uscii in strada e una volta in strada sentii chiara la necessità di correre e mentre correvo mi fu immediato chiudere gli occhi, allargare le braccia e lasciare che dalla mia bocca uscisse un suono rauco e persistente. Continuai a urlare con la stessa intensità per tutta la mia corsa, anche quando incespicavo, anche quando andai a sbattere contro il lampione, anche allora, non mi fermai che un attimo per accorgermi che piangevo e ripresi a fuggire dalle responsabilità, dalla crisi, dalle crisi.

29.12.08

Fools in love

E poi nessuno risponde.
No, forse non si può cominciare così. Partiamo dal principio.
Sei stravaccato sul tuo divano. Sì, hai capito bene, stravaccato. Non sistemato elegantemente come un lord o come potrebbe stare Queen Elizabeth nei suoi palazzi in Inghilterra quando decide di farsi una siesta, no. Sei messo tutto storto, hai addosso ancora le scarpe, per non parlare del resto del vestiario che ormai ha ben poco di presentabile tutto stropicciato com'è ora. Sì, insomma sei rimasto folgorato da quell'ultimo stralcio di quell'inutile telefilm romantico alla tv e non hai saputo resistere, neanche il tempo di metterti in pantofole, di mettere su le robe per la casa, ti sei trovato buttato sul divano adagiato come deve sentirsi una busta nel bidone della spazzatura. Ma il divano è la tua culla per quando le cose vanno male e il tuo trampolino per quando invece vanno così bene da aver una pazza voglia di saltar giù dai palazzi. La realtà è che sei solo in casa, sei single come si dice ora, come dicono tutti neanche ti stessero facendo un complimento. Che poi mentre lo dicono sorridono e non si capisce perché dovrebbero. Cosa vi sorridete? Pigliate per il culo? "Ah sei single? Beato te!" Beato me? Ma cosa ci perdi allora a lasciare il tuo tipo e andartene a stare da sola? Mah... valli a capire, maledetti ipocriti. Gente troppo abituata a lamentarsi di tutto, persino del sapore dell'aria che respira, per accorgersi di tutto quello che hanno, di quello che rubano agli altri quando gli passano accanto, quando solo fanno un diniego, quando soltanto accennano un gesto che tradisca insoddisfazione. Sei solo e allora? Non c'è mica bisogno che ci siano tipi che stiano necessariamente lì a ricordartelo. A quello ci pensi già da solo per metà della giornata. Insomma sei lì sul tuo maledetto divano, simbolo di tutto quello che manca nella tua vita, qualcuno con cui esultare, piangere, incazzarti, litigare e poi far pace, qualcuno addirittura da amare. E invece te la prendi con lui che poverino è, per definizione, inanimato e invece gli tocca stare lì ad ascoltare tutte le tue paturnie, i tuoi problemi, veri o presunti. Quindi sul divano. Senza una coperta, solo cuscini, l'arredamento prevede così. Gettato con nelle pupille il riflesso delle immagini della tv. Fotogrammi di un amore vero solo sulla pellicola, solo sullo schermo eppure così simile a quelli che vedi per strada, a quelli delle vite degli altri, quelli che non sono single. Nei tuoi occhi al buio si vedono rimbalzare tutte le inquadrature e nelle orecchie ti risuonano le parole, ne assapori il suono, ne senti il gusto, quasi sogni a "orecchie aperte". Se solo accadesse a te, per una volta, a te. È un attimo. Afferri in mano il telefono. Tanto lo sai a memoria, l'unica cosa che non ti è servito far sforzi per ricordare. Misteri della mente. Componi il suo numero ripetendo ogni numero come se facesse parte di una particolare litania. Un rito che bisogna compiere mentre sei in ginocchio sul divano con un cuscino infilato tra una coscia e la chiappa, che se cominci a pensare come ci è finito ti vengono i brividi. Hai in mano il telefono e meccanicamente lo hai portato all'orecchio e sincronizzi il tuo ritmico respirare al tu tu del segnale del telefono. È libero. E poi. E poi nessuno risponde.

11.12.08

Allo specchio


Come un reporter d’assalto mi lancio nella mia ultima inchiesta.

Se è vero che certi popoli hanno tendenze “naturali” o “culturali” particolari quali tendenze ha il popolo italiano? Per farlo ho pensato fosse utile indagare fra chi a suo tempo ci ha “accolti” come immigrati e si è potuto fare un’idea di “noi” come noi ce la stiamo “facendo” di chi arriva nel nostro paese. Ovviamente non potendo andare indietro nel tempo e non potendo andare neanche negli Stati Uniti mi sono accontentato di infiltrarmi in una enclave di studenti americani a Firenze per ascoltare cosa dice il loro “buon senso” a proposito.

Pensavo di essere seduto ad un bancone di un pub invece mi sembrava di stare davanti ad uno specchio, uno di quelli che ti deformano fino a renderti irriconoscibile. John dopo un paio di birre perde ogni freno inibitore e comincia a raccontarmi un aneddoto.

-          Un avvocato americano aveva appena finito il suo intervento come ospite al corso che sta frequentando qui in Italia quando un avvocato italiano gli si è avvicinato chiedendogli se era vero che negli USA quando una persona cade inciampando su un marciapiede può far causa al proprietario chiedendogli un mucchio di soldi.

           Quando gli fu detto che era vero, questo si girò per parlare rapidamente con il collega italiano. Quando ebbero finito l’avvocato americano chiese loro se stessero pensando di andare negli States per praticare legge.

           “No, no” rispose uno dei due. “Vogliamo andare in America e cadere su un marciapiede”.

Devo riconoscerlo. John è spiritoso e le barzellette le sa raccontare proprio bene. Quando gli dico che anche a me sarebbe sempre piaciuto andare negli States magari anche per restarci mi chiede stupito se mi chiamo Tony.

-          Che c’entra?

-          Come non lo sai? Non sai perché tutti gli italo-americani si chiamano Tony?

-          No.

-          Perché quando salivano sulla nave per l’America gli stampavo To N.Y. sulla fronte!

John si sta facendo delle grasse risate. Rido con lui anche se questa non l’ho trovata molto divertente. Che si crede, che me ne andrei a New York su di una nave con la valigia legata con lo spago?!

Non migliora di molto la situazione quando poco dopo cerca di rimediare dicendomi che secondo lui non avrei avuto bisogno di emigrare.

-          Non sei un criminologo?

-          Si, cioè quasi.

-          Allora avrai sicuramente più lavoro qua in Italia.

-          Perché?

-          Non sei molto aggiornato eh? In Germania ha fatto scalpore il nuovo brevetto di una macchina speciale, che permette di acciuffare ladri in soli 5 minuti. Installata negli USA, ha fatto prendere 1000 ladri in 5 minuti. Installata in Giappone, ha fatto prendere 6000 ladri in 5 minuti. Installata in Italia, e' stata rubata in 5 minuti.

-          Buona questa John! Ma occhio al portafoglio che il posto è affollato e io sono un criminologo non un poliziotto.

-          Non ti preoccupare, ho preso le mie precauzioni, so che non tradiresti mai un tuo connazionale.

-          Che vuoi dire?

-          Non te la prendere, non è una cosa personale, ma lo sai cosa si dice degli italiani no?

-          No John non lo so, ma se è un’altra delle tue barzellette non lo voglio sapere.

-          Non è una barzelletta, è la verità.

-          Cosa?

-          Il motivo per cui gli italiani odiano i Testimoni di Geova…

-          Sarebbe?

-          Li odiano perché odiano TUTTI i testimoni.

Ho come l’impressione che mi stia dando del ladro o del mafioso. Poi penso solo che abbia bevuto un po’ troppo. E poi se me la fossi presa sarei passato per un permaloso e la mia missione sarebbe andata a farsi benedire. Cosi ho cercato di cambiare discorso. Gli ho chiesto cosa pensasse del prossimo G8 che si sarebbe tenuto in Sardegna. Mi ha espresso i suoi dubbi su un G8 organizzato da Berlusconi ricordandomi che il precedente non giocava certo a suo favore. Dice di non capire perché abbiano organizzato un nuovo G8 in Italia dopo che a Genova erano state confermate le previsioni di ogni persona di buon senso.

-          Vuoi dire che sapevi già che sarebbe stato quell’inferno.

-          Ovvio.

-          Come facevi scusa?

-          Lo sanno tutti. Nel paradiso europeo i poliziotti sono inglesi, i meccanici tedeschi, i cuochi francesi, gli amanti italiani e tutto è organizzato dagli svizzeri. Nell’Inferno europeo invece i poliziotti sono tedeschi, i meccanici francesi, i cuochi inglesi, gli amanti svizzeri e tutto è organizzato dagli italiani.

-          Ah ah. Non è che tu abbia dei timori per la vita di Obama?

-          Perché avete intenzione di uccidere anche lui?

-          Come ANCHE lui? Chi avremmo ucciso?

-          Non sai chi ha ucciso Kennedy?

-          Lee Oswald?

-          No. Duecento tiratori di “precisione” italiani.

Disorganizzati e imprecisi dunque. Quando ha visto la mia espressione di disappunto cerca però di rimediare dicendomi che sa che non siamo tutti uguali, sa che io non sono il tipico ragazzo italiano.

-          Da cosa lo deduci?

-          Dalla tua capigliatura.

-          Che fai sfotti? Io non ho una capigliatura!

-          Appunto. Lo sai cosa dice un barbiere a un italiano?

-          No, cosa dice?

-          Vuoi un taglio di capelli o devo solo cambiarti l’olio?

-          Ah ah. Parli te che fino a ieri avevi un presidente che sembrava una scimmia.

-          A proposito.  Se Tarzan e Jane fossero italiani cosa sarebbe Cita?

-         

-          La meno pelosa dei tre!

A questo punto decido che ne ho abbastanza. Sia della birra, sia di John, sia delle barzellette sugli italiani. Di materiale ne ho già raccolto abbastanza. C’aveva proprio ragione il Benigni. Bisognava fermarlo Colombo.

 

 

5.8.08

Furti gastrici

Gianni è sempre stato un tipo strano, una personalità altalenante. Questo però l'ho scoperto dopo aver abitato per un po' con lui. Alcuni giorni Gianni è in palla, ti saluta e pare che abbia rubato il sorriso più bello alla persona più felice della terra. Un furto, ma ne sono contenta.

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16.6.08

Parco giochi della mia infanzia

Parco giochi della mia infanzia, quando hai perso le stagioni? Quando i tuoi prati, oasi alate d'un circoscritto paradiso, hanno smesso di risuonare di voci tinnanti? Dove l'erba ha assorbito muta il cilestrino colore di garruli giochi? Eravamo uno sciame, allora, figli svettanti d'un futuro assolato. La bicicletta e gli schettini, il rapido vortice di pantaloni scampanati, beatamente implumi e frondosi, tra boom e austerity. La certezza d'una vacanza al mare, e tuttinpiedi davanti alla maestra. Qualcuno già nutriva un pensiero nascosto, un sottile e inquieto rigo musicale tra i risvolti delle casacche a quadri. Il saggio di danza, e ragazzine sparute più che aggraziate. Le lezioni di judo per i maschi, poi qua e là, circondati da un'ebollizione di generi, scompigliati fra barbe lunghe, camicioni colorati, e già qualche tocco di trucco su guance ruvide, si assaporava il fermento d'una porta arcana, d'una primavera sovvertita. Ma nessuno ci cancellava il sorriso. Niente poteva turbare il nostro coraggio fresco e lacustre.


Parco giochi della mia infanzia, perché ora giaci abbandonato? Inutile come un cerino umido, lasci vagolare, distrattamente, una desolata famigliola. Si riapproprino del cielo, riafferrino le tue stinte altalene. S'illudano ancora, questi figli del Duemila, ignoti bambini, obsolete novità. Riprendano il loro giorno, godano delle tue albe germinali, tornino a riempire, con cirri luminosi, il nostro cielo di città.


                     Daniela Tuscano

8.6.08

Ballare sul mondo(Dedicato all'ultimo giorno di scuola)


Sospesa. L'aria sembra un po' più fina l'ultimo giorno, quando tutto si conclude, e afferri la vita. E, se ci fai caso, il tempo non è mai inclemente. Forse non lo è nel tuo paesaggio del cuore, perché finalmente scavalchi quella finestra e l'aula, d'improvviso, pare sgombra anche quando risuona ancora di voci, anzi di strida, e profuma di dolci e spuma di bevande. L'avverti estranea e la respingi, forzata e triste, e inadeguata, e il suo grigiore ti mette un po' d'imprevista nostalgia. E si vorrebbe frugare pensosi quel sottile dolore, impigliato qua e là, come a caso, fra le maglie gaudenti dei compagni e l'inarcatura delle spalle dell'amica, che finalmente si scopre bella e libera.

Vorresti cacciare e insieme lasciarti sedurre da quel suono arcano e vibrante, come un'eco perenne. In un angolo, dopo aver condiviso la festa, ti apparterai ascosamente. Non ti hanno nominato il più bello della scuola, né la più attraente delle compagne, eppure sai di esserlo, e resta in te un ardore inespresso, un interrogativo trepidante. Ti attira e ti stordisce quell'uscio a metà. Il solco del mondo fuori. Quando non ti sarà più permessa l'indulgenza verso gli altri, e ti renderanno spietato verso il tuo corpo e la tua mente.
Ne sei, in fondo, consapevole. Ma non ci pensi già più.I tuoi anni sono  rapidi e infiniti. Corri nel sole. T'immergi nella sua vaga carezza.

 

 Daniela Tuscano



 


2.6.08

Mondo a due ruote

C'erano i ragazzi, assiepati in modo sparpagliato lungo il nastro grigio che tagliava la città. C'era don Bruno, la cui grossa figura di bambino navigava un po' stordita nella severità ottocentesca del clergyman nero; c'era il rosa, quel "Rosa Gazzetta" sciorinato dalle vestigia dei palazzi metropolitani, a guardia e concordia delle raccolte intimità familiari, una macchia rustica di panno steso; allegria modesta d'un accarezzato benessere, qualcosa di residuale, semplice e schietto. E le magliette campeggiavano dai balconi elevati, recando la scritta "91° Giro d'Italia". La Storia attraversava le strade provinciali di anonimi agglomerati. Ieri è toccato proprio a noi, a Bresso.

C'erano, poi, loro: gli eroi della pista. Gli eroi di mio padre adolescente, che ancora tiene incorniciata la fotografia firmata "Coppi Fausto, sportivamente"; e che ancora rivede nelle biciclette le fatiche sane degli sfollati, la speranza inerme d'un futuro meno agro, la scuola nelle cartelle e negli astucci colorati.Oggi gli atleti percorrono l'asfalto con la grazia d'una perfetta ogiva: aerodinamici, leggeri, belli, radiosi, snocciolati l'uno dopo l'altro, gazzelle del suolo, sagome sfreccianti. Corrono, o forse volano, salutano, e scompaiono nella loro scia dorata. Eppure è restato in loro qualche traccia della ruvida sobrietà valligiana; nei dialetti sonanti, e nordici; in questo sport ancora popolare, slabbrato di povertà, nella struggente dolcezza d'una dolina.

Daniela Tuscano

28.1.08

UNA DOMANDA MOLTO IMPORTANTE-APPELLO

Una domanda importante...


Mesi fa lessi su Tuttosport,di una tourneè o comunque di un viaggio in Sud America di una Nazionale italiana anni 60/70 e di un calciatore sconosciuto e  forse senza squadra che in una partita di allenamento (forse e dico forse,in Venezuela..) con gli Azzurri aveva umiliato la mitica difesa,segnando più di un gol e rivelandosi da solo imprendibile per i nostri e vincendo tutti i dribbling.Alla fine del primo tempo il fantomatico giocatore non scese più in campo e ciò fece molto felici i nostri.Questa "storia" vera è stata riportata da un giornalista italiano che incontrò,molti anni dopo,questo "campione celato" su di un aereo.Il giornalista a tutta prima non credette a quest'uomo,pensando ad una sparata,ma tempo dopo incontrò l'ormai-già-in-pensione-capitano (di cui non ricordo il nome!) e quest'ultimo gli disse che era tutto vero e che per lungo tempo la Nazionale e la Federazione tacquero a proposito di questo umiliante segreto : la mitica difesa italiana incapace di fermare,anche solo per poche volte,uno sconosciuto calciatore.


Allora volevo chiedere al mondo il nome di questo calciatore (il racconto è stato pubblicato da Tuttospor appunto)e di quale Nazionale si tratta!Se non  sapete rispondermi indicatemidove andare e come fare per ottenere queste informazioni.


Per favore,documentatevi e rispondete numerosi perchè per me questa informazione è importante!


Grazie!


Brian Mercury

27.11.07

Senza titolo 2324

camera 28

William Shakespeare

Romeo e Giulietta

Trasfigurazione

moderna

4 mani di:

Bhaky and Kurtz.

 

Nota introduttiva.

Intervento di Mercutio:

E’ vero, io parlo di sogni,

che sono i figliuoli di un cervello ozioso,

generati da null’altro se non da un

vano fantasticare, e d’una sostanza

imponderabile quanto l’aria , e più incostante del vento

che pur ora corteggia il gelido seno del settentrione, e

che, indi, crucciato, muove

rivolto il viso al mezzogiorno

stillante di rugiada.

Romeo:-

Temo che sia sempre troppo presto: L’animo mio

Presagisce una qualche terribile conseguenza che

Tuttora si tien sospesa in alto alle mie stelle, e che avrà un doloroso

Inizio del suo corso terribile con la festa di questa notte, e

metterà fine ad una vita spregiata, come quella che il mio petto rinserra,

mediante una qualche infame condanna a una morte prematura…

Benvolio a Romeo: Ami forse?

Romeo:Non sono…

Benvolio: Non ami, dunque?

Romeo. Non sono nelle grazie là dove io amo.

Benvolio: ah, che l’amore, pur essendo così dolce alla vista,

debba dimostrarsi alla prova un tiranno così crudele!

Romeo: Ahimè, ciò accade perchè l’amore è sempre bendato, e

che a riconoscer senza gli occhi i sentieri che menano al compimento dei suoi desideri!

 

 Camera 28

 

“Sono curiosa…” disse Giulietta al telefonino; è in linea con Romeo, suo giovane amico, e prosegue: «Ho fatto la doccia e mi appresto a leggere i testi che ho scelto per realizzare il libro

“Versi e Prose” di cui ti avevo accennato ieri.

Però, vorrei avere la tua guida. Che ne dici di vederci? Potremo incontrarci alla stazione ferroviaria , tra circa tre quarti d’ora.»

Romeo le risponde: «La chiami poesia quella roba? Comunque ho piacere di sentirti dire che vuoi un nostro incontro.

Sarò felice di venire alla stazione a prenderti. Parleremo delle tue perplessità e finalmente potrò darti un bacio sulla guancia!».

Giulietta ribadisce a Romeo: « Appunto di questo voglio parlarti: è il mio lavoro! Prendo il testo, lo taglio, lo smonto e lo rimonto, fin che non trovo la giusta assonanza. Tu non sai ancora, come io possa elaborare le stesure, perché non sai bene che lavoro svolgo; mi farà bene parlartene. Non è mai semplice dover deludere qualche autore presuntuoso, anzi, è la cosa più difficile, sai? »

 “ Si” le risponde Romeo e le rimanda l’eco di una riflessione: « ah, ah! meno male che ci siete ..voi donne!»

Ridono di gusto, mentre si fanno un frettoloso saluto e decidono di trascorrere insieme la giornata.

Si incontrano come deciso e lui .le offre dei fiori recisi, presi al volo da un davanzale.

Si baciano sulle guance e sorridono, quando lei, allegra gli domanda: « La sai l’ultima?»

Lui: «Vuoi entrare in questo bar, o preferisci camminare?»

«.. e tu cosa dici?» « va bene, camminiamo, fa bene alle gambe!»

Lui:« ok, va bene.»

Giulietta:« Mi piace il vento sulle guance, e la nebbia che va salendo!»

Lui: « Permettimi di guardarti, e dimmi, non si offendono gli autori, se cambi, anche di poco il testo?»

Giulietta:« Anzi, sono contenti e rispondono in molti con ringraziamenti. Avrei voglia di farti vedere, entriamo in questo internet point? Vorrei la tua opinione!

Prima però, “entro” in redazione per vedere se qualcuno ha notato la mia assenza! Ti piace l’idea?»

Lui:« Perché no? Allora , in seguito passiamo dal mio sito e ti mostro una cosa. Vuoi?»

Giulietta: «Certo, perché no! » e lei attirò a sé la sua attenzione.»

Lui:« Controllo il post di Forever!»

Romeo la guarda inorgoglito e lei stupita gli risponde:«-

Non ne dubitavo! E segue la procedura» Poi; lui vede che Giulietta scrive altri commenti nel sito e lui le domanda:«Non hai altro da fare?»

Giulietta:« Si, vorrei fare bella poesia e cercare immagini che possano consolare qualche cuore che soffre! Perché sorridi?

Ci sono forse, riuscita con una chiusa speciale “per te” ?

Romeo: «Esatto!- Lei, oggi mi ha lasciato!»

Quindi, Giulietta gli dona un bacio sulla guancia!

Giulietta: «Lo sai che penso?» - (Non lo dovrei dire, perché lei è amica mia!)

Quindi gli da quel bacio innocente e « .. è che penso.. una cosa…»

Romeo:« Cosa pensi? Lo sai che è la mia donna ad avermi ridotto così?»

Giulietta:« che m’importa! » e lo prende per il braccio, appoggiandosi a lui, dicendo: -

«I tacchi mi hanno fato stancare!»

Romeo, involontariamente le osserva il seno, ed è sovrappensiero. Lei ne approfitta e dice:-

«Non possiamo essere tutte uguali, no? Anche io sono amica tua!»

Romeo: « Certo, non siete tutte uguali e proprio questo che ho notato dalla scollatura, scusa- non volevo! .. e meno male! » poi ride, quasi consolato.

Giulietta:« Mi piace sentirti ridere! Lo sai?

Romeo: «Si, Ovvio che rida!, stare con te, non è male!

Giulietta: «Sai, anche la tua compagnia è sempre piacevole. Ma perché, al telefono mi hai detto che in genere, ti porgi male con le persone! Ti porgi come sei, normale..»

Romeo:« Gli amici mi dicono che sbaglio e mi rendo odioso, e tu sai a chi mi riferisco!.. quei maledetti, sai, i parenti di lei. gli odiosi Capuleti!

Dunque, stando a quel che dicono, io sarei “ fatto male”! ma io so che non con tutti,  mi porgo male! Tu lo sai , perché sei mia amica.

Giulietta:« Devo dire, in confidenza, che anche a me dicono così: « Perché sei sempre triste?»

Romeo :« .. e perché non rispondi.. :-e che te frega?-»

Giulietta: « appunto.. già, cosa ne vogliono sapere?»

Romeo: « Vuoi che ti faccia una foto?»

Giulietta: « Si, certo, però ti avviso, non sono fotogenica. –Sembra che agli altri, in generale, importi molto il mio stile di vita!»

Romeo: « Fotogenica; lo dicono tutte quelle che conosco! Mai fatte foto nuda? A me piace farne, lo sai! Lascia decidere a me, se sei fotogenica o no, lascia che sia io a dirlo. Bisogna anche saper fare le foto nel modo giusto, non credi? Devi ignorare quello che dicono gli altri e dai, lasciati fotografare, ecco così! 

Clik! Clik—clik-

Giulietta: « ma vedi che faccio sempre le smorfie!»

Romeo: «Forse hanno ragione ma, a me piace fotografarti lo stesso; così avrò un ricordo quando te ne andrai a casa e resterò da solo a rimirarti! Che tipa che sei!»

Giulietta: «Ah, ah, un’estroversa, ribelle! I capelli color platino, usano tanto… calzoni a zampa d’elefante!.. anni ’70- sempre in fuga…e lo spirito libero nel cuore.

Romeo: « Immagino!»

Giulietta: « Adesso mi piacerebbe trovare un posto al caldo, mi sto congelando.

Romeo: « Ok, andiamo in quel bar?»

Giulietta: « No, ti prego! Al bar non si può parlare, c’è tutto quel frastuono.»

Romeo : «Dove vuoi andare? Dove vuoi che ti porti?»

Giulietta: « Vedrei volentieri la tua collezione di farfalle…non rider, ti prego, sono incuriosita dalle belle foto che mi hai mandato con il telefonino. Poi, vorrei vedere i tuoi quadri.»

Romeo: « Va bene! Era mia intenzione mostrarti i miei ultimi lavori. Così ti presto la mia cucina e mi prepari un the.»

Giulietta: «Siamo arrivati?, Ah bene, non ce la facevo più. »

Romeo:« Questa è la cucina, mettiti comoda, io vado di la, ad accendere il pc., è in camera da letto.

Giulietta: «Credo di orientarmi, va bene, metto l’acqua nella teiera ed accendo il fornello. Sbarazzo un po’ il tavolo; poi cerco due tazze ed un limone fresco. Guardo nel frigo?»

Romeo: « Si, molto limone a me piace. Prendo una sedia per metterla accanto al pc, vicino a me.

Giulietta:« Vero, anche a me piace tanto il limone profumato, quindi, mettiamo due cucchiaini nei bicchieri, lo verso e mi siedo vicino a te; per vedere il lavoro sullo schermo del tuo pc.

Ah! Bello, questo! Mi ricorda una poesia postata tempo fa!»

Romeo: « Si, vero, piace anche a me, drammatica, come foto! Le mie, in genere sono così»

Giulietta: « mi ha colpito in modo particolare, e mi fa pensare che essendo tu l’autore, hai un animo profondo. »

Romeo: «Si, questo è vero. Cruda, come foto! Il suo titolo è . "invito al suicidio".

Romeo si accorge che Giulietta ha avuto i brividi e intanto si avvicina a lui. Lui le cerca la mano e la stringe con un gesto di tenerezza, la guarda cercando di capire.

 Lei gli dice: «Ti prometto che un giorno.. capirai; magari conoscendomi meglio.»

Romeo: «Si. Ma forse ho capito.» Lei si volta, gli da le spalle e versa il the nei bicchieri, dicendo: -«Mi canti una canzone degli anni passati? Una serenata. » Romeo, la guarda confuso e non capisce cosa vuole di preciso, lei lo osserva e mormora “Celentano” e lui conferma “si- piace tanto anche a me, aspetta, cerco il file. Scopre così, che lei non cerca nulla di particolare, non è la solita avventura.

La guarda e vede che lei è rassicurata.

Lui pensa, potrebbe essere un’amicizia, o forse qualcos’altro, nessuno lo sa.

Romeo, un poco preoccupato dice: « spero che il pc. non cada proprio adesso!» E lei gli dice: « Ce l’hai “ Una donna per amico?”

Lui, laconico: « Lo sai che ci credo poco in questo titolo!>>

Ma lei ribatte: « Lo so » e bevono il the, spensieratamente, ridendo dei pantaloni “ a zampa d’elefante".

Sembrava chiuso l’argomento ma, con molta dolcezza… lei dice: «Qualche volta è stato possibile, però.»

Romeo: « poche volte, almeno con le donne entrate in camera mia. Se vuoi, puoi sederti sul letto.

Giulietta: « Non lo farei mai! Rispetto le.. “altre cose” vissute in questa stanza; anche se effettivamente sono molto stanca.»

Romeo: « Ti ho solo detto di sederti, dai… meglio della sedia, no?»

Giulietta: « Va bene, giro la sedia e mi metto qui ma non sul letto! Così mi metti in posa e mi puoi fotografare, ok? Va bene se mi metto questo foulard sulle spalle? Ti piace?»

Romeo: « mettiti come ti senti meglio! Si, così va bene, anzi, benissimo.>>

Adesso lui nota bene la scollatura della ragazza e chiede: «Si sente il riscaldamento? Hai caldo?»

Giulietta: «Qui, si. La prova è dura. Strano, di solito sono freddolosa, oppure sarà che mi sono riscaldata con il the.»

Romeo: « Lo spengo? Di che prova parli? Sei imbarazzata? Forse ti sei emozionata!, o forse.. non so…ma dai, tranquilla! Sono un amico, no?»

Giulietta: « In queste circostanze, nessun uomo è un amico ma solo “un uomo”.»

Romeo: « e allora?» si avvicina a lei e le chiede:« ti vergogni?» - “ Si”- e lui: « Si vede.» nell’incerto di un desiderio che non è ancora nato, e all’improvviso a Giulietta cadono le lacrime.

Romeo: «Perché piangi, ora?»

Giulietta: « Un flash back! Non è nulla, è acqua passata»

Romeo: «Mi siedo accanto a te… dimmi.»

Giulietta: «Tu mi dici sempre che nel “tuo fiume” passa l’acqua, eppure il dolore non passa mai…»

Romeo: «E’ vero, il dolore resta, si. E non ci abbandona. Lei è in me.»

Giulietta: « Vorrei rompere il muro, qui.» e Giulietta tocca il dorso di Romeo e lui stesso si tocca nello stesso punto e dice: « Ci ho provato, sai, ma fa male.»

Giulietta: «Io, provo a regalarti un sogno, adesso tocca a te lasciarlo entrare.»

Romeo: «Ci sono barriere dure da superare, ma può essere un altro sogno che entra nel primo» Lei gli si avvicina , abbottonandogli bene la camicia e dice:«Adesso devo andare.»

Romeo dice: « A che ora hai il treno?» Ma lei non gli risponde e le porge il cappotto che però cade in terra. Le sfiora le spalle, le scioglie i capelli; le dice: « Puoi restare, se ti và.»

Giulietta: «Non è volontà, è solo emozione.»

Romeo: «Tranquilla, un posto te lo trovo. Ti lascio il mio letto, io vado sul divano.»

Giulietta: «No, non è il sonno “ che bussa alla porta: è un’altra realtà”»

Romeo: «Cosa vuoi?»

Giulietta: «…Sapendo che tu dormirai solo ed io, tornerò sola sul treno…»

Romeo: « Va bene. Metti il cappotto, che ti accompagno, se non vuoi stare da me…»

Giulietta: « Si, alla stazione possiamo aspettare l’orario del treno..»

Così, Giulietta e Romeo passano delle ore a parlare alla stazione e si baciano ancora e ancora.

Quasi fosse una sfida. Si, una sfida.. a chi cede per primo. Scherzano e si prendono un pò in giro.

Si, per ridere di un destino avverso che non ci abbandona; smettere, ognuno di soffrire, da solo.

Romeo: « mi sa che il tuo treno sta arrivando…mi dispiace vederti andare via.»

Giulietta: «e tu...lo prendi insieme a me?»

Romeo: «Si, salgo sul treno con te e ti accompagno fino alla prossima fermata, almeno ti tengo compagnia.»

Giulietta: « hai paura di lasciarmi sola? Sai, anche io, a quest’ora, ho un po’ paura.»

Romeo: « No, sono io che non voglio restare solo.»

Giulietta: «Adesso, il rischio più grosso lo stiamo correndo noi due. Il rischio è di restare appesi ad una storia che prelude l’abbandono in un intreccio di braccia e baci, alla stazione. Così, casualmente.»

Romeo: « Così, si, e dammi un altro bacio- Involontariamente, sulle note di quel… sferrare di treno»

Giulietta: « Aspettando che altri sentimenti possano fiorire, sii... Avere la certezza di sentirmi protetta tra le tue braccia.»

Romeo: « lo so, lo sento.»

Giulietta: « Noi.. Siamo gli attori!»

Romeo: « Noi siamo la storia. E’ giunta la fermata.» la guarda e dice a malincuore: «è ora che io scenda!»

Giulietta: «Ma io non mi sento di lasciarti! Ti vengo dietro…»

Romeo: « Torna indietro con me.»

Giulietta: « Mi hai conquistata con il tuo fare.»

Romeo. «Scendiamo, cambiamo treno e torniamo da me.»

Giulietta: «No, non ora; preferisco cercare un Motel. Non amo i fantasmi…e voglio liberarmi di queste calze che mi fasciano»

Romeo: « Ho visto un Motel, non distante. Io ci vivo coi fantasmi nel cuore!»

Camera 28.

Giulietta: « 28?»

Romeo: «Si, sta scritto sulla porta»

Giulietta: «Ok! 28»

Romeo: «è scritto sulla chiave che tieni in mano»

Giulietta: « Domani cercheremo di afferrare la storia dal buco di questa serratura. Già, chissà quante coppie sono state nella "camera 28”.

Si lasciano alle spalle il custode ed entrano nel mondo dell’amore clandestino.

Giulietta dice a Romeo: « Può darsi che sia scritto qui il nostro destino!>>

 E Romeo dice: « il nostro copione! >>

Giulietta: « Ah se non mi fossi uccisa! forse avremo potuto vivere felici ….sai che mi è piaciuto?»

 

 

 

 

Tulad and Kurtz

 

 

19.10.07

Singapore

                        A Singapore la stagione delle piogge dura tutto l’anno.

Sarà per questo che la vegetazione è così rigogliosa e l’aria così carica di umidità. A volte ci si dimentica di vivere in su un’ isola, sembra più di vivere in una foresta tropicale senza uscita.


A Singapore c’è sempre gente di passaggio con valige che stanno per essere fatte o disfatte.


Singapore è simile al bellissimo fiore di una pianta carnivora, alla quale è sempre meglio non avvicinarsi troppo.


Singapore è per anime erranti, senza nazionalità.


C’è gente che proviene da ogni angolo del mondo che lavora nell’albergo che dirigo. Un guazzabuglio, di diletti, cadenze, tradizioni, colori. Ogni anno mi dico che è l’ultimo poi sempre li al mio posto a controllare allo specchio se sono in ordine.


Il mio albergo non è tra i migliori ma è dignitoso. Ammetto ce ne sono di meglio e se io fossi un turista in vacanza non lo sceglierei ma infondo lo amo e un giorno mi mancherà.


La pioggia cadeva lenta e io cercavo un angolo tranquillo per riposarmi un po’.


Nuovi ospiti arrivavano e nuovi ospiti partivano.


Sembrava una serata tranquilla. I baristi scherzavano tra di loro e questo non succedeva mai quando c’era folla. L’albergo non era un granchè ma i nostri barman erano i migliori dell’isola e molti si infiltravano da noi anche senza essere ospiti. Io lasciavo fare, lasciavo sempre fare quando mi costava troppa fatica intervenire.


E poi perché? Era un segno che le cose andavano bene.


Mi sedetti e  tamburellai le dita, non ero nervoso ne avevo niente da fare oltre a far passare il tempo. Alle mie spalle al piano c’era qualcuno che suonava.


“Cosa le preparo?” mi chiese uno dei barman. Non mi ricordavo il suo nome. Era uno dei nuovi. L’aveva assunto il mio vice, e anche in queste cose non mi intromettevo spesso. Molti non duravano che una stagione e poi finivano negli alberghi più ricercati.


Avrei tanto voluto una birra.


“Un Singapore”.


Vidi in azione lo shaker e continuai a tamburellare tenendo il tempo della musica in sottofondo. Il barman versò in un bicchiere pieno di ghiaccio e aggiunse la soda. Gli feci cenno di non decorarlo.


“Conosci il barman Ngiam Tong Boon?” chiesi e il ragazzo scosse la testa. E già come poteva conoscerlo il vecchio Boon. Faceva furore nel 1910.


Sorrisi e sorseggiai il mio “Singapore” come se fosse stato il primo della mia vita.


«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...