Sarà per questo che la vegetazione è così rigogliosa e l’aria così carica di umidità. A volte ci si dimentica di vivere in su un’ isola, sembra più di vivere in una foresta tropicale senza uscita.
A Singapore c’è sempre gente di passaggio con valige che stanno per essere fatte o disfatte.
Singapore è simile al bellissimo fiore di una pianta carnivora, alla quale è sempre meglio non avvicinarsi troppo.
Singapore è per anime erranti, senza nazionalità.
C’è gente che proviene da ogni angolo del mondo che lavora nell’albergo che dirigo. Un guazzabuglio, di diletti, cadenze, tradizioni, colori. Ogni anno mi dico che è l’ultimo poi sempre li al mio posto a controllare allo specchio se sono in ordine.
Il mio albergo non è tra i migliori ma è dignitoso. Ammetto ce ne sono di meglio e se io fossi un turista in vacanza non lo sceglierei ma infondo lo amo e un giorno mi mancherà.
La pioggia cadeva lenta e io cercavo un angolo tranquillo per riposarmi un po’.
Nuovi ospiti arrivavano e nuovi ospiti partivano.
Sembrava una serata tranquilla. I baristi scherzavano tra di loro e questo non succedeva mai quando c’era folla. L’albergo non era un granchè ma i nostri barman erano i migliori dell’isola e molti si infiltravano da noi anche senza essere ospiti. Io lasciavo fare, lasciavo sempre fare quando mi costava troppa fatica intervenire.
E poi perché? Era un segno che le cose andavano bene.
Mi sedetti e tamburellai le dita, non ero nervoso ne avevo niente da fare oltre a far passare il tempo. Alle mie spalle al piano c’era qualcuno che suonava.
“Cosa le preparo?” mi chiese uno dei barman. Non mi ricordavo il suo nome. Era uno dei nuovi. L’aveva assunto il mio vice, e anche in queste cose non mi intromettevo spesso. Molti non duravano che una stagione e poi finivano negli alberghi più ricercati.
Avrei tanto voluto una birra.
“Un Singapore”.
Vidi in azione lo shaker e continuai a tamburellare tenendo il tempo della musica in sottofondo. Il barman versò in un bicchiere pieno di ghiaccio e aggiunse la soda. Gli feci cenno di non decorarlo.
“Conosci il barman Ngiam Tong Boon?” chiesi e il ragazzo scosse la testa. E già come poteva conoscerlo il vecchio Boon. Faceva furore nel 1910.
Sorrisi e sorseggiai il mio “Singapore” come se fosse stato il primo della mia vita.
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