Visualizzazione post con etichetta pressioni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta pressioni. Mostra tutti i post

14.1.24

diario di bordo n 29 anno II . pseudo garantismo che protegge i colpevoli il caso di martina rossi ., cairo si candida o minaccia la destra ? ., quando la perfezione è ostentazione ., le fiabe sono sessiste ed altre riflessioni



 Martina  rossi
  morta  a  Maiorca   per  sfuggire  ad  uno  stupro   .  I legali dei due   agressori  condannati : <<     fu  anche  colpa  sua  >>  .  IL  garantismo   all'italiana  che  tutela  i  copevoli 


------



Cairo minaccia di candidarsi sindaco di Milano e chiede al governo di aiutare il calcio e di non toccare i tetti pubblicitari in tv . candidatura o pizzino alle destre ?







-----


essere sempre perfetti è un inganno, la vera autenticità si trova nelle imperfezioni  Bisogna mostrarsi per quello che si è, solo l'iperfezione ci rende veri😊

  ------


dopo    il mio precedente   post     (  Certo il patriarcato esiste ma la cortellesi esagera nel vederlo dove non c'è e mette in mezzo i cartoni della Disney per l’ennesima polemica sterile su patriarcato e sessismo)    Riprendiamo     il  discorso   sull'intervento della  cortellesi e  sulle  fiabe    . con   due   interessanti  articoli    in merito .
 il primo è  quelo    di   Giulia Blasi ( @Giulia_B) per  https://www.valigiablu.it/  del   13\1\2024


Ho imparato a leggere su I Quindici, enciclopedia per l’infanzia in quindici volumi tematici, quando ero molto piccola. Il volume 2, Racconti e fiabe, è uno di quelli che ho letto di più. Da bambina possedevo un’antologia di Hans Christian Andersen che ho quasi imparato a memoria, come anche – più tardi – i due volumi delle Fiabe italiane raccolte da Italo Calvino e
un bellissimo libro illustrato con miti e leggende di tutto il mondo. Come tutti i nati negli anni ’70, inoltre, ho ascoltato e riascoltato i proto-audiolibri delle Fiabe sonore dei Fratelli Fabbri, la cui sigla è capace di sciogliere in lacrime il più grezzo dei cinquantenni (fatela partire a tradimento durante una discussione per vedere zii e nonni struggersi di nostalgia e deporre all’istante le armi). Non credo, quindi, di poter essere tacciata di revisionismo, se dico che Paola Cortellesi, nel suo discorso di apertura dell’anno accademico alla Luiss Guido Carli, non aveva tutti i torti.
Le fiabe sono sessiste? Se prese alla lettera e trasposte nella modernità, certo che sì. Biancaneve sta a casa a fare la domestica per i nani che vanno in miniera: una divisione dei ruoli molto tradizionale. Cenerentola accetta remissiva la schiavitù della matrigna e viene salvata dalla fata madrina (che le dona abiti e scarpette e la porta al ballo), per poi essere scelta dal principe che la sposerà. La bella che si addormenta all’inizio della fiaba rimane fuori combattimento per buona parte della vicenda narrativa, che è – di fatto – uno scontro fra maghe con un principe che potrebbe quasi non esserci ed è poco più di uno strumento utile a spezzare un incantesimo. Potrei continuare, ma il punto mi sembra chiaro: nella versione delle fiabe a cui siamo più avvezzi, quella Disney, le ragazze sono belle, miti, dolci, modeste e remissive. L’emblema della virtù, presentato alle bambine fino dalla più tenera età come modello di femminilità degna di ricompensa e d’amore, contrapposte alle donne anziane e malvage e a sorellastre brutte e stupide. Sii bella, sii docile, fatti scegliere.
Del discorso di Cortellesi ci sono due cose da dire: la prima è che si trattava del monologo di un’attrice. E i monologhi, prima di ogni cosa, hanno il dovere di essere divertenti. Di esagerare, provocare, far ridere, ribaltare una realtà che crediamo immutabile fornendone una lettura opposta a quella a cui siamo abituati. Da Biancaneve che fa la colf ai nani al principe che riconosce Cenerentola dai piedi e non dalla faccia, tutto sembra pensato per essere buffo, oltre che paradossale. Cortellesi usa le fiabe per mostrare come ogni elemento culturale possa essere messo in discussione e non debba necessariamente essere preso a valore facciale. La seconda cosa è che un discorso del genere viene pronunciato nella consapevolezza – no: nella certezza assoluta – che i conservatori abboccheranno all’istante, facendo partire una polemica che non farà che aumentare la circolazione del messaggio.
Non sono però solo i conservatori a essere partiti a spada tratta per difendere l’onorabilità delle fiabe. Altrettanto, ma con tutt’altri strumenti, hanno fatto gli intellettuali: sul suo profilo Facebook Simona Vinci (autrice di Mai più sola nel bosco. Dentro le fiabe dei fratelli Grimm) sostiene che “Biancaneve, per esempio, non è quella che fa ‘da serva’ ai nani, ma è quella che ha il coraggio di scappare da sola nell'ignoto del bosco per sfuggire a un destino di morte. Cenerentola […] è quella che sfida le regole per partecipare, come tutte le altre ragazze, a una festa da ballo. E ci sono pure quelle che sfidano i padri padroni e scendono nell'oltremondo per andare ogni notte a consumare le scarpe ballando”. Una lettura che può essere discutibile, ma che se non altro è più strutturata delle urla scomposte ai rischi del “politicamente corretto” e della “cancel culture”, qualunque cosa significhi, e di riflesso anche di certe messe in discussione pedestri di un testo originale che non si sa bene nemmeno quale sia.
In un suo articolo uscito su Repubblica nel 2021, Nadia Terranova ricorda, infatti, che le fiabe che conosciamo sono solo una versione – spesso edulcorata, tagliata, privata degli aspetti horror o di un finale tragico – di una storia che viene da stratificazioni di altre storie. Torniamo, per esempio, alla storia di Cenerentola. L’abbiamo conosciuta, come dicevamo prima, come biondina graziosa e inerme, quasi priva di iniziativa personale e rassegnata al suo destino di sguattera per una donna prevaricante e le sue figlie insulse e malevole. Nella versione dei fratelli Grimm, le sorellastre sono belle, ma “nere di cuore” e Cenerentola, pur essendo ridotta a far loro da ancella, è una strega potentissima che si procura da sola il necessario per andare al ballo. Il finale della fiaba è un bagno di sangue, fra piedi amputati per entrare nelle scarpette e colombine al servizio di Cenerentola che accecano le sorellastre per punirle del loro cattivo comportamento. Nella versione di Charles Perrault (pubblicata nel 1697), le sorellastre, ricche e vestite a festa, risultano più brutte di Cenerentola nei suoi stracci: è questa versione ad aver costituito la base per la versione animata del 1950, ma qui non è il principe a non riconoscerla, sono le stesse sorelle che la vedono al ballo vestita a festa e non hanno idea di chi sia quella bella signora che balla con il figlio del re tutta la notte.
Se esistono più versioni della stessa fiaba è perché nessuna fiaba è davvero originale, e tutte derivano da più versioni della stessa storia o leggenda e affondano le loro radici in narrazioni antichissime. Tra le versioni dei Grimm e quella di Perrault c’è anche La Gatta Cenerentola contenuta in Lu cunto de li cunti di Giambattista Basile, in cui Cenerentola ha il nome di Zezolla e ha l’unica ambizione di uscire da sola ogni tanto senza essere vista.
Che dire della Sirenetta protagonista della fiaba di Andersen? La versione proposta dalla Disney nel 1989 ha un lieto fine: Ariel sconfigge la strega Ursula, si rivela al principe, si riprende la sua voce e ci guadagna pure un paio di gambe funzionanti. Anche nella versione di Andersen la Sirenetta rinuncia alla sua voce per potersi avvicinare al principe, ma camminare le provoca dolori lancinanti, e il suo mutismo è un ostacolo che impedisce la creazione di un vero legame d’amore con l’uomo che ama, che finisce per sposare un’altra. La Sirenetta, che sta per disciogliersi nella spuma del mare, viene salvata dalle figlie dell’aria. Se proprio dovessimo trovare una morale per le bambine, la versione originale sarebbe più educativa di quella Disney: rinunciare alla propria voce e individualità per un uomo è un pessimo investimento che non può che finire in tragedia.
Ogni fiaba ha più letture: quella oscura e psicanalitica, che scompone tutto in simboli riconducibili agli abissi dell’inconscio, quella tradizionale di riscatto di una protagonista troppo buona e gentile perché le sue virtù non siano ricompensate, quella femminista che a volte ne chiede il rovesciamento. Ne Il silenzio dell’acqua, Louise O’Neill (apprezzata autrice irlandese di romanzi young adult di grande impatto come Solo per sempre tua e Te la sei cercata, oltre che di titoli per adulti non ancora tradotti in Italia) rispetta il testo originale di Andersen ma ne cambia il finale, restituendo alla protagonista una forma di controllo e autodeterminazione anche nella trasformazione. In Fiabe d’altro genere (pubblicato in Italia da Rizzoli nel 2021), Karrie Fransman e Jonathan Plackett prendono tutte le fiabe tradizionali e invertono i generi dei personaggi: l’effetto è paradossale e risulta a tratti quasi grottesco, ma è utile per capire quanto sia radicata in noi la percezione di quello che è possibile e appropriato per maschi e femmine. 
Nell’antologia di Andersen che leggevo da bambina c’erano due fiabe che sopra tutte mi porto nel cuore, per motivi diversi. La prima è Le scarpette rosse, la storia di Karen (Carola nella mia traduzione), ragazzina povera il cui sogno è quello di possedere e indossare un paio di scarpette rosse che la sua comunità considera troppo impudiche per essere portate in chiesa. Karen lo fa lo stesso, e per questo piccolo peccato di vanità viene punita fino alla morte. È una fiaba macabra, in cui la protagonista è costretta a danzare suo malgrado finché non le vengono amputati i piedi, e anche così le scarpette continuano a perseguitarla fino al pentimento e alla morte. Anche da piccola non potevo che provare compassione per Karen, che non aveva fatto altro che desiderare qualcosa di bello per sé: se dovessi darne una lettura psicanalitica, alla luce di quello che sappiamo di Andersen e della sua omosessualità repressa, quelle scarpe di pelle rossa luccicante possono rappresentare il desiderio proibito per gli uomini oppure la maturazione sessuale delle fanciulle. Per me, piccola, erano una storia avvincente e terrificante con un finale triste. L’altra fiaba che ricordo con affetto è molto meno nota, e si intitola I cigni selvatici. Come molte altre, anche questa fiaba ha un precedente nell’opera dei fratelli Grimm, una fiaba popolare tedesca intitolata I sei cigni. La protagonista, la giovane e bellissima Elisa, è l’unica femmina di dodici figli di un re che – come da tradizione – si risposa con una donna malvagia. La matrigna getta un sortilegio sugli undici maschi, tramutandoli in cigni, e fa cacciare Elisa, camuffandone la bellezza fino a renderla irriconoscibile al suo stesso padre. Anche Elisa, come la Sirenetta, baratta la sua voce con una possibilità: quella di restituire ai fratelli le sembianze umane. Per anni, muta, pesta ortiche con i piedi nudi per ricavarne le fibre e tessere undici tuniche. La missione di salvataggio è la sua priorità, nient’altro conta: anche l’intervento di un re, che la preleva dal bosco in cui vive, è per lei fonte di angoscia. La storia di Elisa, insomma, cos’è? Una storia di oppressione femminile, o una storia di sacrificio e perseveranza? Entrambe le letture sono possibili, ma prima di tutto I cigni selvatici è una grande storia, onirica e surreale. Ed è forse alle storie, prima che alla loro lettura, che possiamo tornare.


il   secondo  del  
La Cantastorie 16 h

FIABE E SESSISMO

Alcuni fraintendimenti circolano intorno al mondo delle fiabe, creando a volte dei veri e propri pasticci.
1) Le fiabe sono SCRITTE.
In realtà sono TRAscritte. Le fiabe sono storie raccontate a voce, sono nate dall'oralità, dall'analfabetismo, dalla spontaneità, e per questo contengono la saggezza popolare. In varie epoche, studiosi e studiose di ogni nazione le hanno infine trascritte.
Sono state diffuse di più le raccolte realizzate da uomini che quelle redatte da donne. Questo è un dato di fatto.
2) Le fiabe sono VECCHIE.
Tramandandosi oralmente, le fiabe vengono continuamente aggiornate secondo la sensibilità dell'epoca in cui vive chi le racconta.
Per loro definizione, per fiabe sono sempre attuali.
Non è un problema aggiornarle: è stato fatto per secoli.
Censurarle è un altro discorso.
3) Le fiabe sono SESSISTE.
La maggior parte delle fiabe più diffuse oggi è conosciuta grazie agli adattamenti cinematografici, pieni della cultura dell'epoca, ma anche straordinariamente progressisti in alcuni aspetti (la Disney ha iniziato a introdurre figure femminili forti molto prima che si parlasse di girl power).
Le fiabe popolari, invece, quelle stampate nelle raccolte citate sopra, possono contenere rimandi storici che saltano subito all'occhio. Ad esempio, sono gli uomini ad andare in guerra, non le donne. Si parla di ragazze "in età da marito". Eccetera.
Sono dettagli: nulla vieta aggiornarli, come si fa da sempre quando si raccontano le fiabe.
Invece è proprio sbagliato credere che le figure femminili siano tutte passive mentre quelle maschili attive.Quindi ecco un elenco di figure femminili attive, positive, volitive, protagoniste assolute, nelle fiabe popolari. Sono solo le prime che mi vengono in mente, ce ne sono tante altre.
- FANTAGHIRO', nell'omonima fiaba toscana.
- Lucetta, la figlia minore della lavandaia in NASO D'ARGENTO, fiaba piemontese.
- PREZZEMOLINA, nell'omonima fiaba italiana.
- La protagonista di SIGNOR SIMIGDALI, fiaba greca (e nella variante dell'Italia meridionale SIGNOR SEMOLINO.)
- La protagonista di A ORIENTE DEL SOLE, A OCCIDENTE DELLA LUNA, fiaba norvegese.
- La protagonista de IL PRINCIPE PERDUTO, fiaba islandese (tra l'altro, divertentissima)
- Vasilisa, in VASILISA LA BELLA, fiaba russa.
- Masha in MASHA E L'ORSO, fiaba russa.
- Kate in KATE SCHIACCIANOCI, fiaba scozzese.
- Janet nella ballata celtica di TAMLIN (qui entriamo in un mondo limitrofo alla fiaba)
Ci sono anche fiabe completamente femminili, di tipo iniziatico, come Il pranzo dei gatti, fiaba italiana con tutta una serie di varianti.Qualche giorno fa ho scritto un post a caldo in reazione agli articoli che parlavano del discorso di Paola Cortellesi alla Luiss. Paola Cortellesi avrebbe fatto ironia sulle fiabe popolari portandole come esempio di contenuto sessista da superare nella narrazione quotidiana.L'ho scritto perché sono un'educatrice teatrale specializzata in narrazione per l'infanzia e lavoro quotidianamente con le fiabe, e porto avanti da molti anni il progetto per il quale è nata questa pagina, La Cantastorie, ovvero performance di narrazione proprio sulla fiaba popolare. Ho anche pubblicato di recente un libro, l'Almanacco delle Stagioni, dove, per trascrivere dodici fiabe, ne ho cercate e studiate un'infinità.L'argomento mi sta un tantino a cuore, per così dire.Dopo il mio commento ne è uscito un altro, molto bello, di Alberto Pellai, dal suo punto di vista di psicoterapeuta.
Non mi metto al suo stesso livello, perché anche solo per questioni anagrafiche Pellai ha più esperienza, più lucidità di me.
Però, guarda a caso, sotto al mio post sono stata apostrofata come "saccente" e con altri giri di parole simili, mi è stato detto di essere più "umile" e di essere solo a caccia di like.
A Pellai, uomo maturo, il cui succo del discorso non è poi così differente, nessuno si è permesso di dire niente del genere. Si parlava di sessismo, giusto?Fantaghirò ha dovuto indossare l'armatura del padre per guidare il suo esercito: una fiaba antica come la sua, purtroppo ancora non superata.
che confermano quando afferma



 -------

  concludo con   una mia   riflessione    sulla  libertà   :  solo chi  è  capace di vicere   il momento....  ha  compreso  i  vero senso  della libertà  . 

 

  

16.9.18

quando lo stato non c'è ci pensa un film .Il caso del film sula ia pelle . film sulla vicenda di stefano cucchi

IL film racconta la storia gli ultimi sei giorni di Stefano Cucchi. E' un film in cui la sceneggiatura così come è stata scritta che è il frutto di un' analisi dieci mila pagine di verbali ,delle testimonianze delle centoquaranta persone che hanno incontrato Stefano in quei sei giorni non preende naturalmente come è giusto nessuna posizione raccontano i fatti così come sono .un ragazzo che muove mentre custodia dello Stato non è una vicenda privataè qualcosa che riguarda tutti noi perché poi lo Stato dovrebbe rappresentarci tutti. Infatti esso è un film che fa rabbia, tanta rabbia. E che : << non scade nella banale retorica di cui spesso sono vittime pellicole di questo tipo. Assolutamente da vedere >> ( dall'unione sarda quotidiano sardo di centro destra ).  Questo articolo di  Marco cocco sull'unione  sarda   del 16 settembre  



   spiega  il perchè  , nonostante  un fortissimo mal di  denti ,  l'ho  visto   su netflix  .un film talmente fatto bene che   : non  letto  fin ora  , se  non  i siti  del famoso sidacato di polizia   . nessuna  stroncatura  o minimazzione da parte  di social  , sitti , ecc    filo forze  dell'ordine .  Un film che nonostante  il boicotaggio  :   gli rimuovono   gli annunci  negli eventi  di  facebook  con la scusa che  violerebnbe il  copyright  , Mandano come  è  sucesso nei  giorni scorsi a Rimini  la polizia   a  presediare  la  sala  di dove  venicva proiettato

Scusate   se  concludo   , ma  ho ancora  mal  di denti forte   , e  non riescxo a  scrivere  molto  a lungo    con questo  ottimo articolo   dell'unione  sarda  del  15\9\2018



Alessandro Borghi nei panni di Stefano Cucchi

Un pugno nello stomaco di inaudita violenza. Di quelli che ti lasciano piegato in due, senza fiato.Anche per questo non è facile scrivere di un film come "Sulla mia pelle", dedicato alla terribile vicenda di cronaca di Stefano Cucchi, il 31enne romano morto nell'area detenuti dell'ospedale Pertini di Roma dopo una settimana di custodia cautelare, mentre era nelle mani dello Stato.Duro, violento - ma senza bisogno di mostrarla, quella violenza - e mai banale.Alessio Cremonini, il regista, non ha bisogno di usare la retorica che spesso trasuda da pellicole che raccontano storie di questo tipo. Non ha bisogno di ricorrere a colonne sonore strappalacrime, di prendere le parti dell'uno o dell'altro o di aizzare gli spettatori contro l'Arma.Così come non ha bisogno di mostrare il brutale pestaggio a cui viene sottoposto Stefano. Quando la porta della caserma si chiude, subito dopo l'ingresso del giovane con i tre carabinieri, la telecamera resta fuori. Discreta. E neanche si sente alcun tonfo, alcun rumore, o qualsiasi altra cosa che possa lasciar immaginare cosa stia accadendo lì dentro.
Da sinistra, il regista Alessio Cremonini e gli attori: Max Tortora, Jasmine Trinca, Alessandro Borghi e Milvia Marigliano (foto Ansa)
Da sinistra, il regista Alessio Cremonini e gli attori: Max Tortora, Jasmine Trinca, Alessandro Borghi e Milvia Marigliano (foto Ansa)
Perché quanto successo in quelle quattro mura emerge nei restanti 80 minuti di film. In quel progressivo deterioramento fisico e psicologico che porterà Stefano Cucchi a morire nel giro di neanche sette giorni, e che la regia di Cremonini mostra con una durezza quasi spietata.
Il tutto grazie ad una strepitosa interpretazione di Alessandro Borghi, che raggiunge con Stefano una somiglianza fisica spaventosa. Anche la voce - si evince da un documento audio autentico che si può ascoltare al termine del film - è praticamente identica. Un Borghi straordinario, prima nell'interpretare quel ragazzo di borgata discreto ma anche un po' sfrontato (almeno quando lo fermano i Carabinieri), poi nel mostrarne il rapido declino e la lunga agonia nei giorni successivi al pestaggio.
Alessandro Borghi e Stefano Cucchi (foto Ansa)
Alessandro Borghi e Stefano Cucchi (foto Ansa)
Il personaggio di Stefano non viene mitizzato o messo su un piedistallo, ed è un altro grande merito del film. Che non scade, come spesso avviene, nella retorica del ragazzo senza macchia vittima degli uomini in divisa.Stefano Cucchi di macchie ne ha, e il film le mostra tutte: è un ex eroinomane, con tutta probabilità uno spacciatore (prima di uscire di casa si vede Stefano tagliare alcune dosi di hashish da un grosso pezzo, dopo la sua morte i genitori ritrovano in un appartemento di loro proprietà in uso al ragazzo, e consegnano alle forze dell'ordine, 925 grammi di hashish e 133 di cocaina). Un ragazzo della periferia romana, con la voce e l'accento tipici del ragazzo di borgata, con tutti i suoi difetti e le sue fragilità. Un ragazzo che non doveva morire. Non così. Non quel giorno. Non mentre era nelle mani di quello Stato che ci dovrebbe proteggere.
Un film che fa rabbia, "Sulla mia pelle".
In cui tutto fa rabbia. Fa rabbia quel brutale pestaggio, che non vediamo e di cui non sentiamo neanche il rumore, che possiamo solo immaginare. Quel pestaggio ingiustificato, nei confronti di un ragazzo già fragile (162 centimetri d'altezza per 43 chili di peso), per nulla pericoloso e in stato di fermo.Fa rabbia anche Stefano, che non fa nulla per salvarsi o per farsi salvare. Copre - per paura o per sfiducia nelle istituzioni - davanti al giudice e a tanti altri le colpe dei suoi aguzzini. Solo in alcuni scatti d'ira arriva a urlare di essere stato "menato dai carabinieri", ma quando si tratta di confermare le sue dichiarazioni in maniera ufficiale, o perlomeno di riferirle a un'assistente sociale, si rifiuta sempre. E poi rifiuta le cure, non collabora con i medici. Si lascia andare, quasi si lascia morire. Come se quelle botte subite il 15 ottobre 2009 lo avessero non solo colpito fisicamente, ma annullato come persona. Un rapido e inesorabile degrado fisico e psicologico, quello a cui assistiamo per oltre tre quarti del film. Un degrado a cui Stefano non vuole o non riesce ad opporsi.
Stefano rannicchiato e dolorante nella sua cella
Stefano rannicchiato e dolorante nella sua cella
Fanno rabbia anche i suoi familiari. Il papà (Max Tortora), unico a vederlo - nel corso dell'udienza in cui viene convalidato l'arresto - dopo il pestaggio, che al momento non fa nulla per pretendere di capire cosa siano quei lividi, cosa sia successo al figlio in quella notte passata in caserma. E tutti gli altri, compresa la mamma (Milvia Marigliano) e la sorella Ilaria (Jasmine Trinca), quando si fanno allontanare ogni giorno con una scusa diversa dal Pertini, che nega loro la possibilità di vedere Stefano e persino di capire il motivo per cui il ragazzo dal carcere sia stato trasferito lì.
La mamma, il papà e la sorella Ilaria
La mamma, il papà e la sorella Ilaria
E fa rabbia tutto l'apparato burocratico che lentamente ucciderà Stefano Cucchi. I secondini, che vanno chiamati "assistenti" e non "guardie", altrimenti puoi anche strisciare per terra morente ma non ti rispondono. Il giudice, che neanche ci prova ad approfondire il motivo degli spaventosi lividi sul volto del 31enne. I tanti altri uomini delle forze dell'ordine venuti a contatto con lui. Qualcuno gli mostra anche umanità ed empatia, ma per tutti l'unica preoccupazione sembra essere quella di salvaguardare sé stessi. Emblematico il militare che lo porta a Regina Coeli e dice al collega: "In caso di complicazioni questo è il numero del maresciallo. Questo arresto non l'ho fatto io", come a volersene lavare le mani. Tutte le persone dell'apparato in questa vicenda sembrano intente a lavarsi le mani, senza posarle neanche un attimo sulla coscienza. E l'infermiera a cui Stefano rivela di essere stato pestato dai carabinieri, gli chiede subito di riferire tutto all'assistente sociale. Al "no" di Cucchi, anche lei fa come tutti gli altri. Resetta tutto e ricomincia come se nulla le fosse stato detto.Ed è così che ti ritrovi dopo cento minuti di dolore autentico. Piegato in due. Senza neanche la forza di cercare risposte a tutti i tuoi perché. Perché, Stefano, non dici al giudice che "le guardie" ti hanno pestato? Perché non accetti le cure? Perché tutti voi che lo avete visto in quelle condizioni non avete alzato un dito prima che fosse troppo tardi? Perché, voialtri, lo avete picchiato senza motivo? Perché Stefano Cucchi è morto mentre era nelle mani dello Stato italiano? Chi è Stato?













emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...