oltre la mafia della speculazione edilizia Olbia2 (carboni , calvi , banda magliana ) e lo scandalo di Is arenas, ci sarebbero anche altre mafie che stanno penetrando sempre più nell'Isola . Esse sono le ecomafie ( denunciata , in fatti è stato sentito alla commissione antimafia , in un romanzo dallo scrittore massimo carlotto ) ., quelle sulle energie pulite confermato per quella dell'eloico dall'indagine e processi sulla P3 e P4, sia quella del solare da 1) questo dossier sul rischio delle infiltrazioni delle mafie nell'energie rinnovabili ), 2) dalle proteste , come stava avvenendo nonostante le risate poi zittite dalle inchieste per l'eolico , di pastori e contadini ma anche cittadini comun per la vendita ( in alcuni casio anche sospetta e viziata ) di grandi estensioni di terreni fertili che potrebbero essere usati per l'agricoltura e la pastorizia . E poi ci sarebbe il pizzo ed il racket che sembrerebbe trovare conferma sia dall'aumento ( si era interessato anche la Dia nazionale ) dei reati d'usura , estorsione , turbativa d'aste giudiziarie , sia da numerosi attentati ad auto e a locali ad Olbia in particolare e voci sempre più insistenti ma non confermate giudiziariamente di estorsioni \ racket nel settore dei vigilantes verso gli Alberghi della costa Smeralda . Ed l'assalto delle mafie all'oro rosso come riporta questo articolo
Le mafie italiane all’assalto del corallo
Inviato da Andrea Canfora il 08/09/2011 - 16:0
Alessandro De Pascale
INCHIESTA. Camorra e criminalità sarda pescano illegalmente il prezioso animale in Algeria e Tunisia. Un business da centinaia di milioni di euro l’anno, su cui indaga la procura di Cagliari.
La criminalità organizzata all’assalto del corallo sulle coste di Tunisia e Algeria. Un traffico illegale che vale centinaia di milioni di euro l’anno, su cui ora indagano sia la Procura di Cagliari che le autorità locali nordafricane. I pubblici ministeri sardi ipotizzano che una quota importante del corallo rosso lavorato e trasformato in gioielli e oggetti d’arte nei laboratori della Sardegna e della Campania, poi venduti a peso d’oro ai turisti, provenga in realtà da partite che arrivano illegalmente in Italia dalle coste nordafricane. Già nei decenni scorsi, imbarcazioni campane avevano depredato i fondali della Tunisia. Ora si sono trasferiti in Algeria. Dove i trafficanti operano principalmente nella zona di El Kala e Annaba, da dove partono anche i migranti. Queste due località, sono di fronte alle coste della Sardegna meridionale. A circa 160 chilometri di mare da Cagliari. La decisione delle autorità algerine di vietarne la pesca, non ha fermato i trafficanti.
Tanto che la procura dell’isola ha scoperto almeno due rotte. La prima è gestita da sardi che avrebbero stabilito la propria base logistica nell’isoletta algerina di La Galitte, nei pressi di un’area molto ricca di corallo. Piccole imbarcazioni, lo pescano con un metodo artigianale devastante per l’ecosistema, utilizzato anche in Italia fino alle fine degli anni Sessanta: la “croce di Sant’Andrea”. Si tratta di due tavole di legno incrociate appese a un cavo lungo 200 metri che strappano il corallo, arando i fondali. Consente di raccogliere meno del 30 per cento dei rametti spezzati, visto che gli altri restano sul fondale e muoiono. In Algeria vale 2.000 euro al chilo, ma una volta caricato sui motoscafi e sbarcato a Cagliari già schizza a 60mila euro. Per poi moltiplicarsi per dieci nei laboratori della Gallura e nei negozi di Alghero, nel nord dell’isola. Un ottimo affare per la criminalità organizzata sarda. Fiutato anche dalla camorra.
Tanto che la seconda rotta, quella per Torre del Greco (Na), è gestita dai clan campani, il cui referente sarebbe un certo Antonio che le autorità algerine cercano di arrestare in tutti i modi. Gli italiani catturati negli ultimi anni sono una dozzina, altrettanti i sequestri. Tra cui una partita di corallo grezzo di una trentina di tonnellate, del valore iniziale di almeno 18 milioni di euro. Anche il Dipartimento algerino per la pesca di Annaba, parla ormai apertamente di «mafia del corallo con basi in Italia» che conduce in Sardegna e a Torre del Greco. Alcuni arrestati avrebbero già iniziato a collaborare con le autorità locali, raccondando che tra i compratori ci sono anche francesi e spagnoli. Del resto nei decenni scorsi, soltanto nel Mediterraneo, si pescavano almeno 60 tonnellate di corallo l’anno. Ora sono meno della metà. Perché il Corallium, che cresce in media di 3-4 centimetri ogni 15 anni, è quasi del tutto scomparso delle coste italiane, francesi e spagnole, causa sovra sfruttamento.
«Prima questo animale si trovava anche sulle nostre spiagge a 2-3 metri di profondità, ora dagli 80 metri in giù e quasi solo in Sardegna», denuncia il biologo marino Luca Marini. Che poi conferma: «Abbiamo avuto notizie di grandi partite di corallo stoccate e rivendute dalla criminalità organizzata». Molti governi, come quello algerino, ne hanno vietata la pesca. Altri, come l’Italia, limitata a determinati periodi e solo per i corallari subacquei che devono operare con una licenza rinnovata annualmentedalla Regione di pertinenza. Inoltre non possono spingersi oltre i 100 metri di profondità e possono restarci per qualche decina di minuti. «Il corallo lavorato a Torre del Greco proviene da tutto il Mediterraneo e il mare algerino è il più ricco in assoluto, tuttavia sono le condizioni socioeconomiche locali a favorire la pesca illegale e le infiltrazioni della criminalità a monte», conferma Ciro Condito, presidente di Assocoral, l’associazione di categoria che riunisce le 300 aziende campane del settore.
«La soluzione va trovata in loco». Del tutto assenti anche le certificazioni sulla filiera. «È impossibile ricostruire la provenienza del corallo - ammette Condito - perché se un laboratorio lo acquista dalla Sardegna la fattura proverrà da quell’isola. Al mercato interessa solo che sia rosso e del Mediterraneo». Già in un’indagine condotta dall’Antimafia di Napoli nel 2004 era emerso che il clan Falanga di Torre del Greco sarebbe riuscito a monopolizzare l’approvvigionamento del corallo in città. E non contento, al pari delle altre attività commerciali e imprenditoriali dell’area, chiedeva ai laboratori anche il pizzo. Emblematica la vicenda del polo del corallo di Marcianise (Ce) del consorzio Oromare (150 aziende). Nel 2005 il clan Belforte pretende una tangente di 10 milioni di euro malmendando il costruttore Fabrizio Giustino e minacciando il presidente del consorzio, Gino Di Luca.