Vincenzo Ligios il documentarista che racconta l’isola della lentezza

canzone  consigliata 

Enzo Del Re - Primo Maggio 2010 - Lavorare con lentezza


ne  avevo  già parlato in precedenza  sui queste pagine ( cercate nell'archivio )  , ma  ne  riparlo perchè non i piace  l'oblio  . infatti riporto   dalla nuova  sardegna    d'oggi   14\10\2013


Vincenzo Ligios e i tempi blandi dei piccoli paesi sardi «Le interviste ai sindaci rispecchiano questa realtà» 
La linfa vitale nuova prende i piedi e va via E non ci si può aspettare che una persona abituata ad altre tecniche di produzione si reinventi a sessant’anni
VILLANOVA MONTELEONE Vincenzo Ligios, figlio d'arte. La vera notizia è lui, esordiente ventisettenne accanto – ma non troppo – al padre Salvatore, in un lavoro parallelo ripartito su un doppio percorso – la fotografia e il documentario – poi sintetizzato in volume, «Gli atlanti,
tracce di identità». Salvatore si occupa delle foto, Vincenzo del documentario. I soggetti sono 50 sindaci (45 uomini e solo 5 donne) di altrettanti paesi scelti fra i meno popolati. È un lavoro di ricerca sull'identità, tema che da qualche lustro intriga Tore Ligios. Non ci sono pregiudizi né ipotesi di lavoro preconcette: gli artisti debbono ritrarre la regina Ichnusa, oggi. Com'è, in base alle testimonianze in immagini e parole. Non come la sognerebbero loro. La parola al figlio esordiente. Partiamo dalla fine. Dopo la presentazione ti aspettavi tutti questi consensi? «Sinceramente no. Ma pensavo che da parte della stampa e di chi usufruiva delle interviste mi si ponessero più domande. Forse non si è avuto ancora il tempo di metabolizzare». Però il lavoro è piaciuto. Avevi dubbi su questo? Hai mai pensato che potesse essere difficile da capire? «Sì, il problema me lo ponevo. In fondo il prodotto non è commercialmente moderno come un'intervista in televisione». Cos'è, invece? «Una cosa molto più blanda, ha dei tempi più lenti, ma questo volevo ci fosse per combinarsi anche con la realtà di questi piccoli paesi quasi totalmente desolati». Sarebbe? «Nella vita quotidiana comanda la lentezza. Volevo che le interviste rispecchiassero questa realtà. Avrei potuto utilizzare un'altra tecnica adatta a renderle più accattivanti e veloci. Ma ho scelto di non farlo per mantenere lo specchio del reale». Come hai proceduto? «Ho fatto domande che permettessero a tutti, bene o male, di rispondere. Poi con alcuni sindaci, mentre si chiacchierava, sono emersi interrogativi non previsti. Allora abbiamo un po' improvvisato». Per esempio? «Io pensavo che lo spopolamento potesse essere controbattuto da un'immissione di immigrati, non necessariamente extraeuropei.





Ligios padre: «Ma io non vedo malinconia»
 Il padre, invece, la pensa diversamente: dal figlio che qui e là vede della desolazione e da Pietrino Soddu che nell'introduzione parla di «dominante malinconia». Salvatore Ligios non condivide: «Dalla mia indagine in questi luoghi diversi l'uno dall'altro ho tratto una convinzione chiara: in Sardegna esistono energie fresche e genuine da liberare. Uno dei nostri mali antichi si riassume in un modo di dire: per noi l'erba del vicino è sempre più verde. Qui può sembrare, forse, ma non è così». Per il padre è stato difficile lavorare con il figlio? «Sì,
senza dubbio», risponde subito il genitore. Perché? «Le nuove generazioni appartengono a un altro mondo, rispetto a noi hanno un approccio diverso alla realtà». Sul versante delle interviste, riservate al figlio, «il problema iniziale del lavoro era fondamentalmente quello di impostare domande utili a me per raccontare e ai sindaci per avere spazi autonomi. Il problema tecnico del documentario è che generalmente si incontra prima l'intervistato e si vede se ha un modo di comunicare funzionale allo scopo. Ma in questo caso io non ho incontrato nessuno prima, sono andato a scatola chiusa». Tanto da aver poi trovato solo un sindaco – Silvio Manca di Bidonì – ad usare il sardo come lingua veicolare del colloquio. Rivela Vincenzo: «Ho cercato di invogliare tutti a parlare in limba però dopo le prime interviste ho visto che c'era una sorta di rifiuto. Forse avevano paura di fare brutta figura però mi sono accorto che c'era anche una lacuna di codice – mancanza di abitudine – e non ho forzato la mano». Piccolo è bello? La squadra dei cinquanta micro villaggi e relativi sindaci è presto elencata: Aidomaggiore (Adele Virdis), Albagiara (Maurizio Malloci), Àllai (Enzo Tonino Saba), Armungia (Antonio Quartu), Assolo (Antonello Carrucciu), Asuni (Gionata Petza), Baràdili (Lino Zedda), Bessude (Antonio Giuseppe Sechi), Bidonì (Silvio Manca), Bìrori (Francesco Sulas), Boroneddu (Fabrizio Miscali), Borutta (Silvano Arru), Bulzi (Stefano Vacca), Curcuris (Giorgio Pilloni), Elini (Stefano Stochino), Esporlatu (Pietro Francesco Pintore), Flussio (Alessandro Carta), Genuri (Mario Contu), Goni (Armando Delussu), Gonnoscodina (Luciano Frau), Ittireddu (Rosolino Petretto), Las Plassas (Paolo Melis), Lei (Marcella Chirra), Lóculi (Vincenzo Secci), Lodine (Antonio Congiu), Martis (Tiziano Lasia), Mòdolo (Omar Hassan), Monteleone Rocca Doria (Antonello Masala), Nughedu Santa Vittoria (Francesco Mura), Onanì (Clara Michelangeli), Osidda (Giovanni Mossa), Pau (Franceschino Serra), Pompu (Marco Atzei), Sàgama (Giovanniantonio Cuccui), Seméstene (Stefano Sotgiu), Senis (Salvatore Soi), Sennarìolo (Francesco Paolo Angioi), Setzu (Annarita Cotza), Sìmala (Giorgio Scano), Sini (Biagino Atzori), Siris (Marco Floris), Soddì (Francesco Medde), Tadasuni (Livio Deligia), Tìana (Bruno Curreli), Tinnura (Maria Grazia Carta), Ula Tirso (Antonello Piras), Ussaramanna (Tiziano Schirru), Villa Sant'Antonio (Antonello Passiu), Villaverde (Roberto Scema), Villanova Truschedu (Claudio Palmas). Sullo spopolamento la frase più piena di speranza l'ha detta un sindaco, Enzo Tonino Saba: «Sarebbe bello se tra due o trecento anni si potesse parlare ancora di Àllai».

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