fintamente apro sul giornale leggo una bella notizia
da l'unione sarda del 13\10\2013
Sul volto il sorriso che solo una mamma può avere. Gli occhi azzurri sono due lampioni accesi puntati su un bimbo «voluto a tutti costi». Le mani accarezzano quel batuffolo di appena sette mesi, che di star fermo non ne vuol proprio sapere. I capelli corti hanno un taglio naturale, una crescita scolpita dalla chemioterapia. Rosanna Zedda ( foto sotto ) è felice. «Sono una miracolata, il mio Tommaso è un miracolo». Ammalarsi di leucemia quando si aspetta un bimbo è una doppia botta difficile da affrontare. È diffidente, l'angoscia ha lasciato il segno. La tempesta di sentimenti che l'hanno accompagnata nella gravidanza non sono stati ancora assimilati. Rosanna, 38 anni
racconta la sua storia concentrata in pochi mesi. IL CROLLO DEL MONDO Due gravidanze andate storte. Il terzo tentativo, il più importante, deve cancellare il passato. Rosanna smette di fumare, segue alla lettera le disposizioni dei ginecologi del San Giovanni di Dio. Fa le analisi, le ecografie, rispetta la dieta. Vuol essere una brava madre. Per non correre rischi decide anche di non aiutare più il marito Stefano Ortu nella sua attività di agente di commercio. Non basta. Un giorno arrivano la febbre e i dolori. «Mi hanno ricoverata all'Ospedale Civile per alcune analisi. Il mondo mi è crollato addosso quando mio marito si è presentato nella mia stanza. Hai un problema al sangue , mi aveva detto, senza pronunciare quella parola maledetta: leucemia. Quando l'ho sentita mi sono sentita scoppiare. Paura, rabbia. Perché proprio a me, mi sono chiesta mille volte. Cosa ho fatto di male». Per curare il cancro del sangue i medici del San Giovanni e del Binaghi prospettano un'interruzione della gravidanza. «Di aborto non ne ho neanche voluto sentir parlare. Con la morte del mio bambino sarei morta anch'io. Avevo solo un obiettivo: farlo nascere. A tutti i costi, anche sacrificando la mia vita».
LA SFIDA E LA MISSIONE Rosanna non ha mai avuto dubbi. «Dovevo portare a termine la gravidanza». Quali sono stati i momenti più duri? «Devo confessare che quando mi hanno ricoverato al Binaghi ho attraversato un periodo disastroso. Passavo le giornate guardando gli uccellini che volavano tra gli alberi del parco dell'ospedale. Pregavo, mi affidavo alla fede. La chemioterapia era una bomba, e il futuro pieno di incognite. Per guarire devo aspettare il trapianto del midollo che mi donerà mio fratello». I pensieri vengono sopraffatti dagli eventi e dalle cure amorevoli di medici e infermieri. Rosanna fa due cicli di chemioterapia. La terapia dà i suoi frutti e finalmente arriva in sala operatoria per il parto cesareo. «Quando ho sentito Tommaso piangere per la prima volta è stato il momento più bello della mia vita. Ero felice, avevo portato a termine la mia missione». I momenti bui non erano finiti. «Sono stata con lui per dieci giorni, poi un nuovo colpo. Dopo il trapianto di midollo ho passato un mese chiusa in una camera sterile. Potevo vederlo solo attraverso un vetro. Ora voglio solo godermi mio figlio e mio marito. Tutto è finito grazie anche ai medici del San Giovanni e del Binaghi che ogni sera continuano a mandarci messaggi di buonanotte».
Il gioco vale candela nonostante i disagi , infatti , sempre seconda l'unione ,Dopo il parto ha visto il suo bimbo da un vetro
Il gioco vale candela nonostante i disagi , infatti , sempre seconda l'unione ,Dopo il parto ha visto il suo bimbo da un vetro
Lo studio di Gian Benedetto Melis, al primo piano del vecchio Ospedale Civile è in pieno caos da trasloco. Non lo ammetterà mai, ma la vicenda del bimbo nato sano da una madre malata di leucemia e sottoposta a cure chemioterapiche durante la gravidanza è una vicenda che va oltre la professione di direttore della clinica di Ostetricia e ginecologia. Un rapporto forte. Tanto che medici e infermieri del Binaghi e del San Giovanni di Dio sono diventati buoni amici della coppia di genitori. «Alla 32ª settimana scatta l'ora X. La donna era pronta per il trapianto e il piccolo era abbastanza maturo da evitare complicazioni polmonari», spiega Gian Benedetto Melis. «La signora viene condotta in sala parto. Difficilmente avrebbe sopportato un travaglio naturale, per questo decidiamo di sottoporla a un taglio cesareo. Il bimbo prematuro viene ricoverato in Terapia intensiva neonatale della Clinica Macciotta». Qui inizia uno dei periodi più difficili per la neo mamma. «Stare col piccolo per la donna è davvero pericoloso: il rischio infezioni è altissimo». I medici le concedono dieci giorni per assaporare il gusto di quel piccolo voluto con tutte le forze e poi la ricoverano nuovamente al Binaghi, dove poteva vedere il bene più importante della sua vita solo attraverso un vetro. «È stato un momento psicologicamente infernale per la signora, assalita da mille spettri sul futuro suo e del bambino».Un mese di calvario, ma alla fine la doppia sfida ha i suoi due vincitori. Mamma e figlio sono diventati il simbolo della volontà e della voglia di vivere.
Andrea Artizzu
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