cuore e mente ? il caso della fotografa Maria Carmela Folchetti, nuorese, fotografa figlia d’arte L’eredità di un padre che lavorava col cuore e con la mente

da  la  nuova  sardegna  del  7\10\2013
Uno scatto studiatoe nella fotografiavedi il sentimento  In Sardegna c’è un’elevata manualità, in ogni officina c’è un artista: un valore aggiunto che dovremmo saper trasformare in ricchezza economica
NUORO La foto che scatterebbe più volentieri? «Il tramonto di Nùoro. Ma ho quasi paura di dirlo perché, di primo acchitto, la gente penserebbe al declino non solo economico della città. No. Vedo i fasci intensi di luce trans montes, al caleidoscopio di colori dello spettacolare cielo 

nuorese verso Corrasi, col sole che prima brucia poi colora di rosso e di rosa la dolomia del resegone bianco di Oliena. Sotto, la valle di Badde Manna che quasi si assopisce lambita dai raggi vespertini. Sullo sfondo il blu cobalto di San Giovanni di Orgosolo, da una parte le alture grigio-argentee di Orune spesso velate da nuvole tizianesesche nei giorni di ventu malu. È vero che tutto il mondo è bello. Ma ogni sera, sotto l'Ortobene, ho la fortuna di ammirare un capolavoro quotidiano della natura. Ogni sera un'opera d'arte tanto diversa quanto emozionante. E me la godo tutta. Mi impasto, mi nutro dei colori che soprattutto al tramonto inondano case e campagne. Ecco: vorrei riuscire a trasmettere tutte queste emozioni in una immagine. O in un catalogo. Per regalarli al tempo. Per offrirli alla città dove sono nata 45 anni fa». Figlia d’arte. Anche questo spontaneo parlare poetico di Maria Carmela Folchetti la conferma figlia d'arte. Il padre, Carmelo, nuorese di nascita (1929-1985), famiglia sassarese di origini lombarde, è stato "il fotografo di Nuoro" per eccellenza. Basterebbe sfogliare le 135 pagine del volume fatto stampare due anni fa dalla moglie Orsola Fais (tempiese) per rileggere storia e personaggi del capoluogo della Barbagia con la cifra stilistica di chi faceva gli scatti: il caravaggesco Peppe Coa operaio forestale, monsignor Ottorino Alberti, le donne in costume di Dorgali e Ollolai, uomini in "gambales e billubu", piazza Satta e uno scorcio di Lula, le case mussoliniane e il vecchio Comune raso al suolo nel Corso, per finire (1959) col sindaco Pietro Mastino nel giorno della traslazione dal Verano di Roma alla Solitudine della salma di Grazia Deledda. Essere me stessa. Raccogliere questo testimone non è stato facile. «Volevo essere sempre la figlia di..., ma volevo anche essere me stessa, libera di sbagliare, diventare autonoma. Sempre con la fotografia nel cuore e nella testa, come faceva mio padre». C'è riuscita. Non solo perché è titolare di uno studio affermato. Ma perché ci ha messo il plusvalore della conoscenza. Ha pubblicato un catalogo in quadricromia dove documenta il lavoro dei suoi colleghi artigiani sardi (Maria Carmela Folchetti è anche presidente della Confartigianato nuorese) con una cura monacale dei particolari. Sfogliamo insieme: le ceramiche con i graffiti rupestri di Giampaolo Mameli a San Sperate, il Giardino delle rose Paola di Sabrina Stara di Assemini, i Sinzos della nuorese Laura Puggioni, le ciotole griffate Sa terra pintada di Bitti, per andare all'Officina d'arte di Antonio Maria Scanu a Benetutti, le trachiti e i basalti di Fernando Mussoni a Illorai. Per non dire dello scrupolo nell'individuare e immortalare i dettagli dei lavori in legno di Giuseppe Canudu a Oliena o di Pierpaolo Mandis a Mogoro, i tessuti di Franca Carta e Mario Garau di Samugheo o i geniali arazzi di Vilda Scano sempre a Mogoro, le riproduzioni sacro-etniche di Marcella Sogos a Uri o i raffinati corredi di Giovanna Maria Aresi di Busachi. Catturare i sentimenti. Sono foto parlanti. Perché filtra la capacità di catturare i sentimenti. L'obiettivo della fotografa coglie e propone sfumature, ma con particolari capaci di raccontare il tutto. È come se un lettore si nutrisse di un libro leggendone una sola pagina. La Folchetti è capace di intercettare la pagina giusta. Comunica col dettaglio, afferra il carpe diem del lavoro, restituisce significato all'artigiano, all'artigiana e alle loro manifestazioni, è sociologa e antropologa dei luoghi e degli oggetti che deve immortalare. La teoria e tecnica della ricerca sociale con lei è teoria e tecnica dell'obiettivo, del grandangolo, della calibratura dei colori. Dà valore sacrale al movimento delle mani che fanno. Se guardate le lane, gli scialli, i gioielli in seta di Veronica Usula di Villacidro capite - ammirando matasse, trame e ricami - che Veronica ha studiato Scienze biologiche a Firenze, che ha rappresentato l'Italia al congresso mondiale dei maestri tintori in India col patrocinio Unesco. Ed emerge così una sapienza, una raffinatezza artigiana che dovrebbe far ricca la Sardegna che invece - e siamo davvero al paradosso - importa il 92 per cento dei prodotti artigianali messi in vendita nelle botteghe e nelle bancarelle di casa nostra. «C'è in tutta la Sardegna una manualità elevatissima, in ogni officina c'è un artista, ogni studio è un museo. Questo è un valore aggiunto che dovremmo saper trasformare in ricchezza economica». Dice le stesse cose per le foto che raccontano Autunno in Barbagia, Cortes Apertas . O i lavori su Costantino Nivola per la Ilisso e il Cis. I laboratori didattici con gli scolari. Che, stando con lei in camera oscura, imparano e interpretano. «Così come era successo a me, guardando mio padre in silenzio davanti al bromografo o all'ingranditore». Scuola e docenti. Pratica e teoria. Tanta. E metodo. Diplomata alle magistrali, Maria Carmela vuol varcare il mare e partecipa a due concorsi per la scuola di fotografia a Milano. Punta al top, Scuola del libro e Museo sociale dell'Umanitaria Riccardo Bauer, economista della Bocconi e amico di Ernesto Rossi e Ferruccio Parri. Scuola severa, durata triennale, laboratori e stage, lezioni frontali e lavori sul campo. «Perché la fotografia è chimica e fisica, ottica e fotonica, geometria e geografia. È studio dell'uomo. Ho la fortuna di avere come docenti il ritrattista Enzo Nocera, il fotografo di arredamento Giorgio Majno, professore di stampa Gianfranco Mazzocchi. Mi aveva detto: devi documentare la cultura barbaricina con le immagini, ma per tagliare questo traguardo devi fare l'anamnesi alla Barbagia. A Nuoro, morto babbo, lavoro con la sapienza di mia madre e mio fratello Francesco. Lo studio al civico 3 di piazza Mazzini. Si faceva di tutto. Anche i matrimoni: che vanno interpretati, resi con dignità, ognuno è diverso dall'altro, si usa la falange dell'indice ma è più importante l'occhio vigile, conoscere la storia della coppia, parlarci a lungo prima di fare gli scatti». La svolta nel 1998. «Apro il mio studio, via Sebastiano Satta, 26. Era il 22 maggio, giorno di Santa Rita. Già dal 1996 avevo fatto un lavoro per conto mio, ordinato dalla Fondazione Nivola di Orani. Ero stata a Pietrasanta di Lucca, mica è facile fotografare i marmi bagnati, devi aspettare la luce giusta. E lì avevo conosciuto la moglie di Costantino, Ruth Guggenheim, con la quale ho avuto una fitta corrispondenza. Tra i marmi, dovevo mettere in pratica le cose apprese a Milano. Sono stati insegnamenti fondamentali. Ho capito che ogni forma di artigianato ha bisogno di conoscenze scientifiche. Anche la fotografia. Frequento altri nomi sacri dell'immagine: Viliano Tarabella, fra gli altri. E poi vado a Firenze, altre esperienze e alte professionalità. Al rientro mi tuffo nelle tradizioni popolari. Feste laiche e religiose, donne che pregano, pastori che mungono, perle e bracciali. E poi gli artisti a cominciare da Antonio Corriga nella sua Atzara dove era se stesso più che altrove». Nozze napoletane. Nel 1999 sposa un docente di Italiano e Filosofia, Amedeo Spagnuolo, coreografia nuziale piazza Garibaldi di Napoli. È mamma di un bambino di sei anni, Domenico Carmelo. Viene rapita anche da Mergellina: i colori, la gente, i rioni, i pescatori, il mercato del pesce, il Vesuvio. Tutto il mondo è paese. Tutti i paesi hanno bisogno di un interprete-fotografo. A Nuoro Maria Carmela è nome che conta. Passando dalle foto con una Comet 126 a quelle della Canon 5D Mark 3. Foto digitali, quelle Comet e Voitglander sembrano preistoria. «Si scatta in continuazione, si rischia di allontanarsi dalla osservazione, dallo studio, dallo sguardo indagatorio. Credo che oggi manchi l'educazione all'immagine, il bombardamento dei media crea disorientamento. I messaggi li lanci se hai qualcosa in te, se il crogiolo è anche dentro l'animo. Diversamente non puoi cogliere l'arte di Gino Frogheri che mi ha insegnato il senso fantastico dell'inquadratura». Alle pareti tante immagini. E sotto i nuraghi? Il fotografo di Nuoro. Carmelo Folchetti ieri. Maria Carmela oggi.

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