antonio bassu poeta simbolo della giustizia negata
la nuova del 28\9\2013
di Paolo Pillonca
la nuova del 28\9\2013
di Paolo Pillonca
ORGOSOLO L'uomo-simbolo della giustizia negata non c'è più: Antonio Bassu è morto ieri a 91 anni nell'ospedale San Francesco di Nuoro dov'era ricoverato da qualche giorno per l'improvviso aggravarsi delle sue condizioni di salute. In questi ultimi mesi Bassu lavorava alla limatura delle sue memorie in versi. In quel poema doloroso non ci sono soltanto le sue vicende giudiziarie al limite dell'incredibile ma anche una serie di fantastici quadri del pianeta Orgosolo, dalla sua infanzia di servo pastore orfano di padre, il carcere, la libertà, fino al tempo scanzonato dei murales di Francesco Del Casino e Pasquale Buesca, per giungere a questi ultimi anni nostri, "la stagione della decadenza" (definizione sua). Nel maggio scorso, in un'intervista per La Nuova, gli chiesi: in che cosa consiste il degrado? Mi rispose con voce forte e sicura: "Nell'attenuarsi progressivo della solidarietà e nella comparsa di una malattia dello spirito: l'egoismo". Un tempo non era così, in quel di Orgosolo. Sa vidda, il paese natale, l'aveva saputo dal primo momento: Antonio Bassu era innocente e fin da allora la solidarietà comunitaria non gli mancò mai, rinnovellata in ogni occasione idonea. Il 28 agosto del 1950, giorno della strage di Monte Maore (quattro carabinieri uccisi in una rapina alla camionetta dell'Erlas che trasportava le paghe degli operai), lui era a Nuoro, monte Ortobene. Su consiglio del suo avvocato – il senatore democristiano orgolese Antonio Monni – Bassu nel frattempo si era costituito, sicuro di poter dimostrare la propria innocenza di fronte alla gravissima accusa. Una lunga schiera di testimoni più che affidabili –17 professionisti nuoresi – lo disse ai giudici della Corte d'Assise nel processo del 1953. Non furono creduti ma contro di loro non scattò, come sarebbe dovuto essere ovvio, l'accusa di falsa testimonianza. La scena si ripeté nel processo d'appello (il pm era sempre lo stesso: Francesco Coco, poi ucciso dalle Brigate Rosse l'8 giugno del 1976 a Genova) e su Antonio Bassu calò la mannaia del "fine pena mai": ergastolo. Un quarto di secolo della sua vita – 25 anni meno 25 giorni – gli venne rubato senza motivo, né prove né indizi. Ma Antonio Bassu veniva dal cuore della "zona delinquente" e già questo, allora, costituiva una prova. Il pellegrinaggio attraverso vari penitenziari della penisola è raccontato nel poema inedito. Il culmine dell'emozione finale è in un'ottava dedicata al momento della liberazione: "E pro s'ùrtima vorta torro in cella/ cun sa divisa de su galeoto./ In presse mi preparo su fagoto,/ mi retiro sa cosa pius bella:/ dae su muru ch'ispico una foto/ chi fut lughente comente e istella,/ sa chi m'at fatu semper cumpanzia,/ sa figura fut sa de mama mia" (Per l'ultima volta rientro in cella/ con la divisa del galeotto./ Mi preparo in fretta il fagotto,/ ritirando la cosa più bella:/ da una parete stacco una foto/ luminosa come una stella/ che mi aveva sempre fatto compagnia:/ il ritratto di mia madre). Il ritorno in paese fu un trionfo e l'isola intera venne coinvolta nel clima di festa. La mamma dell'ergastolano graziato commentò: "Adesso che sei tornato tu, in casa è ricomparsa l'allegria: quando morirò andrò via contenta". L'antica fidanzata Grazia Ungredda, che gli aveva dato una figlia, Mara, potè finalmente sposarlo. Da ieri pomeriggio Antonio riposa nel cimitero del paese natale. Il suo sarà un sepolcro speciale, di profondo rimando simbolico. Meglio una terra senza pane che una terra senza giustizia.
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