- http://www.ladonnasarda.it/home.html ( lo trovi su fb o su twitter )
eccone alcuni esempi .
N.b le storie integrali e complete le trovate nel volume "Sardegna al femminile" disponibile nello store online del quotidiani lunione sarda a questo link
Edina Altara, la Coco Chanel dell'Isola
Mercoledì 12 Aprile alle 16:44 - ultimo aggiornamento alle 18:06
Edina Altara
Edina Altara, illustratrice, decoratrice, pittrice e creatrice, rientra fra quelle donne poco conosciute ma del tutto speciali, capaci di segnare con il proprio ingegno e la propria femminilità il loro tempo, e di conseguenza il nostro. Fu artista appassionata e apprezzata, collaborò con le più prestigiose riviste di moda contribuendo a creare nell'opinione pubblica l'immagine di una donna indipendente ed emancipata.
L'INFANZIA - Edina Altara nasce a Sassari il 9 luglio del 1898, in una famiglia colta e raffinata. Sin da piccina porta con sè quelle scintille di furore creativo che solo l’arte è capace di far emergere. Gioca con la carta, i nastri e la stoffa, e si diverte a fare collage. Non vuole che i genitori le comprino bambole, preferisce crearle da sé. "Sentivo proprio il bisogno di far nascere qualcosa dalle mie mani", rivelerà poi in suo scritto.
I giocattoli di carta
LE PRIME MOSTRE - Autodidatta, preferisce alla scuola il silenzio della sua camera, ambiente per lei ideale e magico laboratorio dove poter creare. Nel 1916, a soli diciotto anni, espone per la prima volta i suoi lavori alla Mostra della Mobilitazione civile a Sassari, ed è subito un grande successo. Il re Vittorio Emanuele III compra la sua opera "Nella terra degli intrepidi", ancora oggi conservata nelle sale del Quirinale.
IL PLAUSO DEI CRITICI - Il suo nome valica i confini dell’Isola e le sue opere vengono recensite dai più qualificati critici d’arte dell’epoca come Vittorio Pica e Margherita Sarfatti. In un periodo storico in cui l’artista donna viene considerata primitiva, infantile e priva di raziocinio, le sue opere vengono giudicate ragionate e studiate, prova di creativo ingegno.
LA TECNICA - Per creare i suoi quadri Edina non usa né pennello né colori, ma dipinge e disegna ritagliando, con la tecnica del collage. A questa produzione affianca quella dei giocattoli di carta colorata, piccoli personaggi tridimensionali vestiti in costume, come la ragazza con la capretta o quella che lava i panni in un catino, esposti alla Mostra del giocattolo di Milano del 1916.
Una delle celebri illustrazioni dell'artista sarda
GLI ANNI A CASALE - Nel 1918 Edina lascia la Sardegna per trasferirsi a Casale Monferrato. Si concentra sull’illustrazione che le consente di sostenersi economicamente e di inserirsi, quale autrice di celebri copertine per riviste di moda, nel panorama nazionale. Nel 1922 sposa Vittorio Accornero de Testa, illustratore, pittore e scenografo e creatore dell’iconico foulard Flora di Gucci: con lui avvierà un lavoro di simbiosi stilistica totale, che la porterà a a realizzare pubblicità per note case cosmetiche e per Borsalino. Le donne che disegna Edina sono indipendenti e anticonformiste, vestite solo per piacere a se stesse. Nel 1935 vive una traumatica separazione dal marito, da cui si riprende tuttavia rapidamente: dopo pochi mesi apre un atelier di moda e nel 1936 espone le sue tovaglie dipinte alla Triennale di Milano.
COLLABORAZIONI IMPORTANTI - Dal 1942 collabora con Vogue e Harper Bazar, conosce l’architetto e designer Giò Ponti, diventando per lui la pittrice cantastorie che rielabora la mitologia greca.
L'artista posa con le sue opere
GLI ULTIMI ANNI - Si spegne nel 1983 dopo molti anni dedicati a lavori più e meno gratificanti, ma sempre nella realistica consapevolezza di quanto i tempi non fossero ancora maturi per la creatività pura di stampo femminile. "Non mi illudo – avrebbe raccontato in un’intervista a L’Unione Sarda – il mio successo è stato determinato dalla curiosità; noi donne siamo così fatte che l’arte vera non la possiamo raggiungere tanto facilmente".
Sardegna al femminile: Elisa Nivola, sa tessidora de paghe
Mercoledì 19 Aprile alle 11:22 - ultimo aggiornamento Giovedì 27 Aprile alle 09:35
Elisa Nivola con alcuni alunni
Elisa Nivola è stata la “tessitrice” di un nuovo modello educativo, inclusivo e di grande attenzione ai giovani e alla Sardegna, che la fanno meritoriamente inserire fra le figure femminili più autentiche e rappresentative del patrimonio culturale dell’Isola. Allieva del grande filosofo Aldo Capitini, vivrà la pedagogia come valorizzazione del fantastico e dell’invenzione, stimolo incessante all’agire creativo, atto d’amore per la sua terra, strumento senza pari per apprendere insieme ai propri alunni, crescendo e interrogandosi insieme.
Fili di parole, trama di ascolto, ordito di pratica e confronto. La vita di Elisa Nivola, teorica della non violenza e da molti considerata una delle più grandi pensatrici italiane del ‘900, scorre sul telaio del pensiero e dell’educazione culturale della sua terra, la Sardegna.
I PRIMI STUDI - Nata a Orani nel 1926, dedica l’intera vita all’insegnamento. Dapprima come maestra elementare a Sassari e a Cagliari, dove comincia a mettere in pratica quella passione per l’educazione e per il mettersi a disposizione degli altri che la seguirà per l’intera vita.
Negli anni ’50 la sua istruzione si arricchisce di un’esperienza fondamentale: frequenta un corso di formazione educativa e assistenziale al Bureau de l’Éducation Nationale di Ginevra, confrontandosi con teorici e studiosi di tutto il mondo.
Tornata in Sardegna, decide di iscriversi alla facoltà del magistero di Cagliari: Cecilia Motzo D’Accadi, prima donna in Italia a insegnare filosofia, sarà per lei oltre che docente un autentico esempio di consapevolezza, modello di vita dedicata al pensiero.
Il filosofo Aldo Capitini
L'INCONTRO CON IL FILOSOFO - Nel 1958 “l’incontro indimenticabile” con Aldo Capitini, pensatore ascetico e quasi mistico soprannominato il Gandhi italiano. Elisa prepara con lui la tesi di laurea sulla Riforma Gentile, diventando poi sua assistente e professoressa associata, nonché discepola ed erede culturale. Fino al 2001 insegnerà Storia della Pedagogia a Cagliari, al Magistero. All’Università sarà promotrice di un Seminario di Educazione Permanente aperto a tutti gli studenti di ogni Facoltà, che durerà dieci anni e formerà moltissimi giovani. Ma il suo impegno maggiore sarà nella promozione di progetti con le scuole del territorio per contrastare la dispersione scolastica, promuovere le biblioteche, mettere a fattor comune la conoscenza, diffondere il bilinguismo. Convinta dell’importanza della diffusione e valorizzazione della lingua sarda, sarà attiva a Cagliari in quartieri difficili, ad esempio nella scuola di via Podgora, dove porterà la sua idea di scuola oltre la scuola, inclusiva e partecipativa, dipingendo ad esempio insieme agli alunni porte e pareti in un processo educativo che valica il rigido insegnamento.
GRANDE VISIONARIA - La pedagogia diviene così volontà di donare, stimolo incessante all’agire creativo, a conoscere se stessi attraverso gli altri. È importante per lei tornare alla valorizzazione del fantastico e dell’invenzione, a liberare la creatività dei ragazzi, ad assecondarli nelle passioni e aspirazioni in percorsi di comunicazione vera, autentica: una sorta di nuova umanizzazione. Ottimista, consapevole dei problemi della sua terra, non perderà mai la speranza di un futuro migliore. "È stata una grande visionaria – racconterà la sua allieva Wanda Piras – cinquant’anni fa già predicava la lotta, oggi attualissima, alle servitù militari. Dove passava seminava bontà ed equilibrio, sollecitando sempre il confronto e la collaborazione".
Elisa Nivola in un'immagine recente
UNA LEZIONE DA NON DIMENTICARE - Elisa Nivola è stata portatrice di pace e di non violenza, intesa come capacità di mediare i conflitti che non necessariamente sono negativi, ma insegnano a crescere e andare avanti. Ha lottato per le sue idee, educando però anzitutto se stessa al rispetto e all’ascolto senza pregiudizi. Per lei il pensiero è stato anzitutto bisogno, ma poi impegno, passione, atto d’amore per la sua terra, umiltà estrema nell’apprendere insieme ai suoi alunni, crescendo e interrogandosi insieme.Una lezione preziosa, da non dimenticare.
Questa è l'imporessione che mi fece , conoscendola indirettamente in quanto mia zia che fece la laurea don aldo capitini ( allora insegnava all'università di Cagliari ) dovette averla avuta come docent e in quanto assistente di capitini stesso . Ee poi direttamente due \tre anni prima della morte durante una conferenza organizzata dala bottega del commercio equo e solidale \ associazione nbord sud di tempio pausania
Ines Berlinguer, protagonista della Resistenza
Lunedì 06 Marzo alle 08:10 - ultimo aggiornamento Mercoledì 12 Aprile alle 17:37
Un ritratto di Ines Berlinguer
Nata a Sassari in una famiglia colta e di origini nobiliari, Ines Berlinguer spese gli anni della giovinezza e dell’età adulta in un impegno civico e politico senza pari. Fu madre putativa del prediletto nipote Enrico, che incoraggiato dalla zia nelle idee e nelle scelte ideologiche e politiche diventò lo storico segretario del partito comunista italiano.
IL RITRATTO - Ines Berlinguer fu dentro la storia, e la scrisse. Partigiana antifascista e zia di Enrico Berlinguer, Ines fu presenza determinante nella vita del segretario del PCI che, rimasto ancora giovane orfano di mamma, proprio con lei nella casa di Grottaferrata, partorì molte delle idee più lungimiranti. Legata dall’amore di una vita al marito Stefano Siglienti, l’adorato “Fanuccio”, fu con lui motore di azioni di resistenza portate avanti con grande intelligenza e coraggio.
Ironica, colta e appassionata, Ines nasce a Sassari il 13 maggio 1899 da una delle famiglie più in vista della città. Cresciuta a pane e politica, come gli altri sette figli, ha in famiglia un esempio femminile molto forte di impegno civico e politico a cui ispirarsi: la zia paterna Edoarda, unica seguace al femminile del partito repubblicano sardo e fondatrice del periodico “La Donna Mazziniana”.
A 16 anni Ines rifiuta di iscriversi alla sezione femminile del partito socialista, perché “profondamente repubblicana”, come scriverà in una lettera indirizzata al futuro marito Fanuccio. Nel 1914 scoppia la Prima guerra mondiale. Il 22 novembre il padre muore stroncato da un cuore ormai stanco e, appena qualche anno più tardi, il fratello Sergio si toglie la vita gettando la famiglia nella disperazione. Ines, studentessa magistrale alla Normale di Sassari, è crocerossina e presidente della Giovane Italia, associazione studentesca creata per aiutare le famiglie che hanno i loro cari dispersi. Fanuccio è, invece, al fronte e Ines la notte prega inginocchiata ai piedi del letto perché torni sano e salvo.
Ines in compagnia del marito Stefano Siglienti
CONTRO IL REGIME - Dopo la guerra arriva il fascismo e nessuno dei Berlinguer si iscrive al partito. Iniziano i pedinamenti e le persecuzioni continue, ma non c’è paura. «Sul davanzale delle finestre teniamo rifornimenti di ciottoli e pietre: spesso dei ragazzacci cercano di rompere i vetri, ma noi diamo battaglia», scrive Ines nel suo diario dove annota ogni cosa come un’instancabile cronista.
Il 4 settembre del 1923 Ines e Fanuccio, rientrato a casa sano e salvo, si sposano. Il nipotino Enrico è lo speciale paggetto. Nel 1926 la coppia lascia la Sardegna per Roma: Siglienti, che lavora in banca, è stato infatti trasferito nella Capitale. Ines aspetta il primo figlio e sa già di essere schedata: il marito non ha infatti mai nascosto le sue idee, fa parte di Giustizia e Libertà e diventerà presto uno degli elementi di spicco del Partito d’Azione. Nonostante l’alacre attività antifascista i due vivono sereni. Ines accompagna ovunque il marito e spesso è la promotrice di azioni di resistenza.
Nel 1931 un folto gruppo di Giustizia e Libertà viene arrestato. Fanuccio è miracolato forse per il suo ruolo nel direttivo del Credito Fondiario Sardo. La casa dei coniugi Siglienti in via Poma 2 continua a essere baluardo contro il regime e diventa luogo di scuola politica per il giovane Enrico. Ines si rifiuta di dare la fede alla patria e mai alza il braccio per eseguire il saluto fascista, anche quando per caso si trova nel bel mezzo di una manifestazione.
LA CLANDESTINITÀ - Con la firma dell’armistizio l’8 settembre la situazione si aggrava ulteriormente. Il 19 novembre 1943 Fanuccio viene arrestato nel suo ufficio, denunciato da un ex sottoposto da lui licenziato. Ines è sconvolta, ma non si perde d’animo: sfida i gendarmi tedeschi e continua a tessere una trama preziosa di relazioni anche se il marito è in carcere, aiutandolo poi a fuggire all’indomani della strage delle Fosse Ardeatine, dove trovano la morte 54 militanti del Partito d’Azione.
Inizia così la vera e propria clandestinità. Scriverà Ines nel suo diario: «Si viveva senza fissa dimora cambiando casa ogni volta che ci sentivamo scoperti. Carte false, vestiti strani, baffi o no per gli uomini, insomma si cercava di cambiare la nostra figura che alle volte ne veniva fuori così buffa che, incontrandoci, era impossibile frenare la nostra ilarità, rumorosa e pericolosa!».
La carta d'identità falsa che Ines usa durante il periodo di clandestinità
LA FINE DELLA GUERRA - Il 4 giugno Roma viene liberata dagli americani. La guerra è finita e Fanuccio diventa ministro delle Finanze nel primo governo Bonomi. Ines viene nominata, insieme a Joyce Lussu, ispettrice per l’assistenza bellica della Sardegna, incarico che lascerà qualche mese dopo per ricongiungersi alla famiglia.
A Roma è impegnata a soccorrere le famiglie dei fucilati delle Fosse Ardeatine e la sua casa è sempre aperta per il nipote prediletto Enrico, che tanto ama perché «ha tante responsabilità, e non è compreso».
Protagonista della resistenza italiana e della ricostruzione, Ines Berlinguer ha scritto la storia con la sua straordinaria irriducibilità nel grande teatro della guerra di liberazione dell’Italia che sognava la democrazia e, con essa, la Repubblica.
La famiglia Siglienti in trasferta a Roma, 1934
Carmen Melis, l’usignolo della lirica amica di Puccini
Domenica 05 Marzo alle 08:10 - ultimo aggiornamento Mercoledì 12 Aprile alle 17:36
La giovane Carmen Melis
Nata a Cagliari in una famiglia di melomani, Carmen Melis porterà la voce e l’anima della Sardegna nei teatri di tutto il mondo. Bella e talentuosa, amica di Giacomo Puccini, stregò anche l’inventore Thomas Edison.
IL RITRATTO - Carmen Melis nasce il 16 agosto 1885 a Cagliari in una famiglia di melomani. Il suo nome originava proprio dalla passione di famiglia per le colorate arie del capolavoro francese di Bizet, che stregavano allora i palchi di tutta Europa.
Nella casa borghese di via Argentari, oggi via Mazzini, risuonavano ogni giorno le note delle opere più famose, intonate dal padre baritono e dalla mamma soprano. A spiccare era però la voce acerba e celestiale della piccola Carmen. «Io sono nata cantante – racconterà - incominciando giovanissima e senza una grande esperienza, ma supportata da infinita passione e fermezza di spirito». A Milano, dove il padre era stato trasferito per motivi di lavoro, Carmen incomincia a muovere i primi passi nel mondo della lirica guidata da Teresina Singer, celebre soprano viennese, e da Carlo Carignani, compositore, direttore d’orchestra, maestro di canto e – soprattutto – amico fraterno di Giacomo Puccini.
Un ritratto della bella e talentuosa cantante lirica
IL DEBUTTO - La voce di Carmen viene paragonata a quella di un usignolo: leggiadra e intensa insieme, così cristallina che rapisce l’anima a chi l’ascolta. L’impresario Luigi Cesari ne rimane incantato e la scrittura subito per l’Iris di Mascagni a Novara, opera che inaugura la stagione 1905-1906 al Teatro Coccia. Carmen ha talento, incoscienza, coraggio e un’avvenenza dannunziana che non passa inosservata. «La prima donna è una stupenda ragazza sarda con una gran voce», la descrive il maestro Gino Marinuzzi che la dirige. Per la fascinosa fanciulla è solo l’inizio.
A soli tredici mesi dall’esordio, l’occasione propizia. Viene chiamata a sostituire la star della lirica del vecchio Continente, il soprano francese Charlotte Wyns. Carmen accetta imparando la parte di Thais di Massenet in otto giorni. È il successo, con repliche su e giù per l’Italia, da Venezia a Palermo. In poco tempo la giovane Melis calca le scene in Egitto, Russia, Canada, Perù e Cile. Viene scritturata alla Manahattan Opera House di New York dove esordisce in Tosca. Un’autentica consacrazione. Attrice e cantante impareggiabile, è così bella che spesso distrae anche l’orchestra, prontamente redarguita dal direttore di turno.
Inizia a cantare da bambina: "Sono nata cantante", dirà
L'AMICIZIA CON PUCCINI - Durante il soggiorno newyorkese la Melis conosce anche l’inventore Thomas Edison, che si innamora della sua voce e la fa incidere nei cilindri a cera del primo fonografo.
Il 10 dicembre 1910 è la prima mondiale de La Fanciulla del West di Giacomo Puccini al Metropolitan di New York, opera che il grande maestro e amico cuce addosso a Carmen. Il ruolo di Minnie, la padrona del saloon che si innamora del fuorilegge e vince con spregiudicatezza la partita a poker con la vita, interpretato 123 volte, è perfetto per Carmen, anche lei nata “laggiù nel soledad” non della California, ma dell’Isola baciata dal sole, la Sardegna, che terrà sempre stretta nel suo cuore di eterna gitana.
Nel 1913 la soprano approderà in un altro tempio mondiale della lirica: il Covent Garden di Londra che inaugura con I Pagliacci di Mascagni insieme a Caruso.
L'AMORE PER L'ISOLA - Dopo viaggi e soggiorni in tutto il mondo il richiamo della Sardegna si fa così forte che nella primavera del 1915 la Melis decide di costituire un’impresa con Ricciardi per rappresentare La Fanciulla del West prima a Cagliari e poi a Sassari. «Sono stata sempre orgogliosa e fiera di essere sarda e quello che oggi avviene non è che il compimento di un voto, d’un desiderio fino a oggi reso impossibile da esaudire», dice in un’intervista. Undici serate in un’apoteosi travolgente. Travolta dai fiori che piovevano dai palchi si procura una piccola cicatrice sul braccio, che conserverà orgogliosamente come indelebile ricordo dell’affetto che i suoi corregionali le avevano reso con un degno omaggio. Durante la commemorazione di Puccini, nel 1925 al Regio di Torino, Carmen impersona Manon Lescaut. Tra gli spettatori anche Re Umberto di Savoia, che la invita a corte dove si esibirà in romanze e brani di opere liriche da camera.
Sono in tanti a riconoscerla e a chiederle un autografo
IL RITIRO DALLE SCENE - Nel 1933 e dopo 28 anni di attività sceglie di abbandonare le scene, ma non il canto lirico e la musica, che continuerà a insegnare al Conservatorio di Pesaro. Dal suo ultimo ritiro comasco le parole che chiudono la carriera di una grande stella, che scelse con coraggio e intelligenza di evitare il precipizio a tratti penoso a cui si affidano a volte gli artisti: «Desidero andarmene in silenzio, alla sarda, portando con me gelosamente il ricordo delle cose belle vissute e delle persone che hanno dimostrato bontà. Questa è la mia biografia: breve ma che dice tante cose».
Maria Piera Mossa, femminista non convenzionale
Martedì 07 Marzo alle 08:35 - ultimo aggiornamento Mercoledì 12 Aprile alle 17:38
Maria Piera Mossa
Maria Piera Mossa sarà la prima donna a raccontare, attraverso le immagini, la storia, le tradizioni e le bellezze così come le difficoltà della Sardegna. Sposa e mamma a soli 18 anni, fu portatrice di un nuovo ed emancipato concetto di femminismo.
IL RITRATTO - Maria Piera Mossa, cagliaritana, è l’artefice di un autentico miracolo culturale: è riuscita, con ottima risposta di pubblico, a narrare la Sardegna attraverso le immagini, prima donna regista dell’Isola.
Nata nel 1950, mostra sin dai primi anni dell’infanzia una singolare precocità: «A un anno e mezzo – racconterà il marito Peppetto - parlava fluentemente e, in tutto, mostrava i segni di una vivacità di intelletto fin troppo matura per la sua età, tanto da destare l’apprensione della nonna di Laerru che la portò da un esorcista perché la bimba le pareva fuori dal comune».
Dopo aver frequentato lo storico liceo Dettori di Cagliari, Maria Piera si laurea in Filosofia discutendo una tesi su “Il concetto di vita in Hegel”.
Il celebre illuminista Giovanni Solinas, relatore del lavoro, le chiede espressamente di riflettere su un percorso di carriera accademica, ma Maria Piera, pur amando nel profondo la Filosofia, compie una scelta di concretezza economica per il futuro, attendendo il concorso che le consentirà l’ingresso alla Rai.
IL DOCUMENTARIO SU BITTI - Nonostante le inquietudini di una mente filosofica e la relativa esigenza di dare un nome preciso a ogni realtà, Maria Piera nei suoi lavori di regista non si esporrà mai alla tentazione di un giudizio morale sugli accadimenti del popolo sardo: il potere politico-sociale dell’immagine sarà sempre impiegato con purezza di prospettiva e svincolato da qualsiasi segno partitico, senza per questo sminuirne il valore civico, come nel capolavoro Una fabbrica inventata su un paese reale, Bitti, documentario girato negli anni ’70. A Bitti numerose operaie tessili avevano infatti perso il proprio posto di lavoro a seguito alla chiusura della fabbrica tessile Bétatex: il documentario ebbe il merito di rendere nota la vicenda e, non potendo essere visto in tv dalla comunità bittese dove non arrivava ancora la diffusione di Rai 3, venne proiettato e discusso nel salone parrocchiale in videoregistrazione.
Il cinema di Maria Piera Mossa
IL LAVORO IN RAI - Stesso nitore di sguardo conserverà nei lavori successivi, come Visti da fuori, 18 puntate trasmesse in Rai nel 1986, in cui mette a fuoco alcuni temi della cultura che si raccolgono intorno alla “sardità”, dai sequestri allo sport, e Grazia quasi Cosima, serie televisiva di sei puntate dedicata a Grazia Deledda, con ricostruzioni, interviste, testimonianze e giudizi critico-letterari sulla vita, la personalità, le opere della scrittrice. Imponente l’opera di intento didattico e divulgativo, realizzata con il medievalista Francesco Cesare Casula, La Sardegna nella Storia. E indimenticabile il film documentario Il 43 con Sant’Efisio, vero e proprio “capolavoro etnografico”, come lo descrisse la critica dell’epoca: Maria Piera, agnostica, restituisce l’angoscia di quell’incubo kafkiano di chi svegliandosi scopre che Cagliari non esiste più, divorata dal fuoco delle bombe anglo-americane. «Volevo raccontare la storia minuta, non ufficiale – spiegherà in un’intervista – fatta di ricordi che possono anche essere sbagliati, di emozioni, di sentimenti. Non è stato semplice entrare nella vita di queste persone nel modo giusto, farle emergere come sono ora, tirare fuori tutto in poche battute. Tutte queste persone parlano perché c’è un’intensità di rapporto, una fiducia, una consuetudine che sono riuscita a costruire».
IL RUOLO DELLA DONNA - Maria Piera Mossa non è stata una femminista nel senso classico del termine, sebbene seguisse i gruppi femministi in cineteca, condividendone le rivendicazioni ma senza sposarne gli stilemi della lotta estrema. Fu portatrice di un moderno e coraggioso femminismo fin dalla più tenera età, e dalle scelte di vita che la condussero a soli 18 anni fuori di casa come lavoratrice, sposa e giovane mamma. Colpita da un male incurabile, se n’è andata prematuramente nel 2002. Il suo ricordo rimarrà tuttavia imperituro nel popolo sardo, che a Cagliari, nel 2013, le ha intitolato in omaggio anche una via.
La regista in compagnia della figlia Martina
Myriam Riccio, la pioniera del giornalismo sardo durante il Regime fascista
Venerdì 31 Marzo alle 13:40 - ultimo aggiornamento Mercoledì 12 Aprile alle 17:50
Myriam Riccio
Myriam Riccio ambiziosa, elegante e snella emanava fascino e femminilità. Così la descrivono, tra tutti anche il poeta pioniere del movimento futurista, Filippo Marinetti.
***
IL RITRATTO - Tra le prime giornaliste in Sardegna, la Riccio scombina i cliché sulle donne letterate che come lei scrivono. Amica di donne intraprendenti come Ines e Iole, figlie di Enrico Berlinguer.
È anche crocerossina durante la prima guerra mondiale. Viaggia tantissimo, guida e fuma. Curiosa, ha un’opinione su tutto e va oltre le apparenze.
Myriam Riccio crocerossina
È una donna di grande personalità. Infatti, come racconta il pronipote, "nel 1942 all’epoca del Regime Fascista, Benito Mussolini va a Sassari, invita la Riccio a ballare ma lei rifiuta sdegnata".
UNA VITA DI CARTA E INCHIOSTRO - Nata a Sassari da una delle famiglie più in vista. La mamma è la nobile Evelina Satta, una figura fredda e distaccata che Myram è solita chiamare "la mia genitrice". Ma la sua passione per il giornalismo la eredita dal padre, uomo brillante di cultura, Medardo Riccio, primo direttore de "La Nuova Sardegna" e autore dell’opera "Il valore dei sardi in guerra", che racconta le vicende eroiche dei soldati isolani.
E così, tra le aule della "Gazzetta di Via Giardini", (La Nuova Sardegna), Myria coltiva la sua passione e vive tra carta e inchiostro.
Unica donna in redazione, spalleggiata dal padre ma biasimata dalla sua "genitrice" che non approva la sua scelta.
All’epoca le donne che scrivono non sono ben viste. Ma la Riccio non si cura dei pregiudizi e va avanti per la sua strada. Riesce ad emergere e spiccare grazie alla sua tenacia.
Presenti sulla scena solo alcune scrittrici. E Myriam si distingue da esse grazie al suo talento da cronista.
LA SVOLTA E IL DEBUTTO CON L’UNIONE SARDA - Il18 gennaio 1923 muore il padre. Per Myriam è un grande dolore e lei cerca di soffocarlo attraverso il lavoro.
È in quello stesso anno che L’Unione Sarda pubblica il suo articolo "Nuovo Paese". Dove la Riccio ripercorre i ricordi di infanzia.
Diventa anche corrispondente per "La Tribuna di Roma".Scrive per l’"Isola del 1926" quando "La Nuova" viene censurata dal Fascismo, e anche per "Il Secolo illustrato" e "Illustrazione italiana".
È l'unica giornalista sarda presente nel libro "Donne e giornali nel fascismo", una sorta di "Ordine dei Giornalisti".
IL MATRIMONIO E LA FINE - Myriam si sposa nel 1938 con Giuseppe Oggiano e dopo le nozze smette di scrivere. Sceglie di occuparsi della famiglia e diventa casalinga. Non ha mai avuto figli ma si prende cura dei nipoti.
Nel 1964 un cancro ai polmoni la uccide. La notizia della sua morte paralizza il mondo del giornalismo isolano.
Nessun commento:
Posta un commento