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11.1.25

Dopo 31 anni a subire violenza, la fuga dalla città per rinascere ed altre storie sarde

 fonti  la nuova  sardegna  , cronache nuoresi ,  sassari notizie  

Nuoro
«Cosa è stato toccare il fondo? Non riuscire a pensare al domani. Non avere una speranza, essere

talmente abituata a quello schema di violenza subìta, che la deviazione, anche per uscirne, non era contemplata. E in più, la paura di diventare come lui. Mi dava uno schiaffo? Lo restituivo. Prendeva il coltello in mano? Lo prendevo anche io. Stavo diventando una bestia come lui».
Cinzia Seddone ha 62 anni e 31 di questi li ha passati in balìa di un fidanzato violento. Dentro meccanismi avvolgenti e subdoli in cui la demolizione dell’autostima è passata attraverso violenze psicologiche: non sai niente, non sai fare niente, non vali niente. Quindi: «Te le meriti, le botte». E se in un perverso immaginario che i violenti utilizzano per giustificare l’ingiustificabile, queste botte erano inserite in un contesto preciso «Mi colpiva soprattutto quando era ubriaco: pugni, calci, schiaffi, minacce. Mi ha rotto il naso», alla fine si arriva alla svolta: «Botte anche quando non beveva». Dentro Cinzia scatta qualcosa: «Un giorno mi sono svegliata e ho pensato: se mi picchia, prendo il volo»

Le botte sono arrivate, puntuali. Le ultime: lei è scappata, letteralmente. In un giorno, sostenuta dalla sua famiglia, ha fatto i bagagli e ha lasciato Nuoro. Aveva 47 anni, è stato 15 anni fa. È approdata in Abruzzo, dove lavora. Dove soprattutto ha abbandonato la contabilità del terrore e vive una vita serena.
Cinzia Seddone la sua storia l’ha raccontate nel libro “Come una fenice”, editore Masciulli. Lo presenterà oggi, alle 18, alla Biblioteca Satta. Con lei ci saranno Marina Piano, responsabile dell’area di servizio sociale dell’Ufficio esecuzione penale esterna, in un convegno organizzato dal comitato Pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Nuoro, dall’Unione avvocati della Sardegna e dal Consorzio per la pubblica lettura Sebastiano Satta. I lavori saranno introdotti dal presidente Unas, Priamo Siotto. Il dibattito sarà moderato da Maria Concetta Sirca, presidente del comitato Pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Nuoro.
«Ho portato avanti questa storia di violenza senza far uscire nulla. Per paura di lui, ma anche per vergogna. Per me, per la mia famiglia», racconta Cinzia. Una famiglia lontanissima dagli stereotipi del disagio, a riprova che certe situazioni non siano il frutto di ambienti disastrati: «Non c’è nulla di più trasversale della violenza», ammette. E così il silenzio e la vergogna lavorano a favore del violento. «A casa non si accorgevano. Sono stata bravissima a evitare che potessero spaventarsi. Un pugno in faccia, con i segni e i lividi? Avevo spiegato che ero caduta e avevo sbattuto alla ringhiera».
Intanto il meccanismo di allontanamento dagli affetti familiari che i violenti mettono in atto, funzionava, in questo caso, quasi in automatico. «Ero io che mi isolavo dai miei familiari. C’era un compleanno di un nipotino da festeggiare? Accampavo una scusa e non ci andavo. Mi sembrava fosse più importanti proteggere loro, quasi più che proteggere me stessa», racconta Cinzia.
Violenze fisiche e psicologiche. Addirittura a Cinzia Seddone viene diagnosticato un principio di Alzheimer. «Pazzesco, avevo 40 anni. Dimenticavo tutto». Anche a questa diagnosi Cinzia mette un argine. «Quando sono scappata e sono arrivata in Abruzzo, ho ripreso a fare la cosa che mi riusciva meglio: mi sono rimessa a studiare. Biologia. C on i primi due esami, due 30, sono andata dalla neurologa: “Le sembrano i risultati di una con l’Alzheimer?”».


Con il suo libro “Come una fenice”, la scrittrice nuorese ha di rompere il silenzio e denunciare una realtà troppo spesso nascosta: la violenza domestica. La sua storia, apparentemente ordinaria, si trasforma in un drammatico racconto di sopraffazione e paura. Un amore che si rivela essere un incubo, un crescendo di maltrattamenti psicologici e fisici che ha segnato profondamente la vita dell’autrice del libro – denuncia.UNA DONNA COME TUTTE – Cinzia è una donna che sin dall’adolescenza si innamora di un uomo all’apparenza meraviglioso, ma che ad un certo punto inizia a mostrare il suo vero volto. Prima gli insulti, poi il primo schiaffo che in breve diventa un pugno, calci e umiliazioni, secondo una sequenza ben nota. E inizialmente, come tutte le vittime, anche Cinzia tende a giustificare il gesto, a sottovalutare il comportamento, fenomeno che invece non deve mai essere ridimensionato. Da quel momento inizia la spirale di violenza che diviene una costante del rapporto. Un incubo nel quale la donna rimane intrappolata per lunghi 30 anni. Quella appena descritta non è la trama di un romanzo noir ma una storia vera e la protagonista è una donna nuorese che 15 anni fa è letteralmente scappata dalla città per sottrarsi a una vita fatta di violenze e minacce.
Quando il nemico è in casa, tra le mura domestiche, lo si intuisce dai primi segnali ma si fa fatica a crederlo e poi ad accettarlo. Quello che ha vissuto sulla sua pelle non è amore, si può definire in un modo solo: violenza.
Una brutalità assurda, inspiegabile e gratuita, ancor più se a porla in essere è il partner, il compagno di vita che dovrebbe distinguersi per altri nobili sentimenti.
La storia di Cinzia è all’apparenza una storia come tante, ma a differenza di altre c’è il coraggio a dosi abbondanti e la consapevolezza che episodi come quelli da lei vissuti non devo più accadere, né a lei né tantomeno a nessun’ altra.
Un’escalation di maltrattamenti, drammatica e al tempo stesso tristemente frequente nella vita reale in una casistica che rimbalza da nord a sud con le stesse assurde dinamiche.
Cinzia è una donna che sin dall’adolescenza si innamora di un uomo all’apparenza meraviglioso, ma che ad un certo punto inizia a mostrare il suo vero volto.
Prima gli insulti, poi il primo schiaffo che in breve diventa un pugno, calci e umiliazioni, secondo una sequenza ben nota.
E inizialmente, come tutte le vittime, anche Cinzia tende a giustificare il gesto, a sottovalutare il comportamento, fenomeno che invece non deve mai essere ridimensionato.
Da quel momento inizia la spirale di violenza che diviene una costante del rapporto. Un incubo nel quale la donna rimane intrappolata per lunghi 30 anni.
Quella appena descritta non è la trama di un romanzo noir ma una storia vera e la protagonista è una donna nuorese che 15 anni fa è letteralmente scappata dalla città per sottrarsi a una vita fatta di violenze e minacce.
Quando si entra in quella bolla infernale ribellarsi non è semplice e lo è ancora meno in un contesto culturale e sociale della piccola provincia.
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L’intervista



Raoul Chiesa, l’ex hacker più famoso d’Italia ha scelto di vivere in Sardegna

di Paolo Ardovino


Poco più che ventenne era entrato nel sistema della Banca nazionale. Ora vive in Gallura, difende governi e imprese da frodi e attacchi informatici








Sassari Era poco più che un adolescente che passava i pomeriggi in camera davanti al computer quando, nel 1995, Raoul Chiesa ha «bucato» il sito della Banca d’Italia. Senza nemmeno troppi sforzi, riesce a entrare nel sistema economico più importante del Paese. «Ma non presi un euro, non era quello il mio interesse. Volevo solo provarci e mostrare quanto fosse facile». Viene arrestato, sconta tre mesi chiuso in casa senza apparecchi elettronici. «Ricordo ancora le parole del procuratore: “Ti rendi conto che avresti potuto abbassare o alzare i tassi di sconto della lira sui tassi mondiali?”».
Ne è passata di acqua sotto i ponti, o flussi di dati nella rete, e Chiesa, torinese, classe 1973, da diversi anni è passato dall’essere il più famoso pirata informatico italiano al fornire servizi di cybersicurezza. Recuperare dati rubati, navigare nella parte oscura del web per sventare azioni illegali, difendere i database da attacchi esterni.
La sua Sardegna 
L’informatico ha sempre lo zaino in spalla, il suo lo definisce un modo di lavorare atipico: i clienti sono «Governi, enti, forze dell’ordine, multinazionali o singoli privati». Capita che voli a Sydney, Stoccolma o Singapore ma senza nemmeno il piacere di godersi del tempo libero. Il relax lo trova in Sardegna. Che è diventata il suo rifugio. «La mia storia con l’isola inizia nel 2020, un amico mi invitò a passare settembre in Gallura, ed ero ben felice di scappare dal caos di Roma, dove vivevo al tempo». Ora vive di fronte al mare, in una località vicino a Olbia. «Adoro il cibo, il vino, l’accento delle persone, l’apparente leggerezza, i panorami mozzafiato, le passeggiate con il mio cane, Lupo, e le letture in spiaggia». Ecco, appunto, e Raoul Chiesa fa un grande sorriso quando parla di Piergiorgio Pulixi. «Uno scrittore che adoro. L’ho scoperto attraverso Massimo Carlotto», e di Pulixi attende impaziente l’uscita di ogni libro. Ma è anche un’ispirazione: «Mi piacerebbe prendermi un anno sabbatico, vorrei scrivere un romanzo, una sorta di cyber-thriller».
La vita in uno smartphone Sole, mare e libri. Tregue da una vita che lo porta a passare gran parte delle giornate davanti allo schermo. «I casi di cui mi occupo più spesso? Incidenti informatici, violenze, truffe, frodi, furti di dati e informazioni personali». Raoul Chiesa, che ormai è un hacker etico, cioè che agisce per la sicurezza, parla di «formazione». Lo ripete spesso, ed è per lui il più grande anti-virus possibile. «Mi preoccupano molto i giovani che non capiscono un concetto che sta alla base di tutto: e cioè che internet non dimentica. Le foto osé o da ubriachi, scattate senza pensarci troppo durante una festa di compleanno o l’uscita al sabato sera con gli amici, saranno ancora presenti tra vent'anni. E potrebbero andare a rovinare un colloquio di lavoro, dato che oggi i responsabili delle Risorse umane verificano, ancor prima che il curriculum della persona, i suoi social». Lo smartphone che abbiamo in tasca «è la cosa più intima che indossiamo – spiega Chiesa –. Si tratta dell’entità che ci conosce meglio, che sa di noi più dei nostri genitori e della nostra fidanzata. Perché a Google chiediamo di tutto: le nostre curiosità più intime e personali».
Nemico pubblico Gli hacker di oggi, in qualche modo, sono figli suoi. Nel senso che la sua storia negli anni Novanta è divenuta celebre. «Ma lo stereotipo dell'hacker 15enne, con la felpa ed il cappuccio, chiuso in una cameretta buia, è ormai superato». Ora sono professionisti che lo fanno di mestiere.
Nel ’95 Chiesa è riuscito a entrare nel sito della Banca d’Italia ma con interessi puramente informatici. Non sposta una virgola dai conti. Viene arrestato. «Il Pubblico ministero, Pietro Saviotti, qualche giorno dopo mi richiamò a Roma per dirmi che dagli Stati Uniti era stata richiesta la mia estradizione: avevo violato At&T, la più grande azienda di telecomunicazioni al mondo, ma anche Gte, Mci, Sprint. A poco più di vent’anni avevo il mondo in mano, osservavo cose, dati, analizzavo informazioni, passando da una base brasiliana di lancio dei satelliti a centrali nucleari o sistemi militari internazionali per il lancio di missili», lo ricorda divertito. «Mi condannarono a tre mesi e mezzo di arresti domiciliari, senza computer, telefoni e modem, per me fu una tragedia».
La decisione In quel momento si redime, come Lodovico che diventa Fra Cristoforo, l’hacker nemico pubblico diventa hacker etico. Maurizio Costanzo lo chiama al suo famoso show però poi lui nel 1996, ancora molto giovane, decide di aprire la prima azienda sulla cybersicurezza. Ora si occupa di contrastare le attività del deep e del dark web, «dati e informazioni rubati che vengono messi in vendita in una sorta di suk digitale del crimine organizzato, all’insaputa di aziende e persone». Poi il digital forensics, «cioè raccogliere e analizzare tracce informatiche da e-mail, siti web, server e computer portatili, hard disk, cellulari, dispositivi. Dopodiché anche la sicurezza preventiva, la scienza da cui ho iniziato alla fine degli anni ’90: attuo delle simulazioni di attacchi hacker». E questa assistenza può salvare intere carriere. «Ho visto aziende chiudere per un ransomware, quando cioè tutti i computer e i dati sono bloccati e non recuperabili, viene chiesto un riscatto per sbloccarli, oppure viene tutto pubblicizzato sulla rete», spiega l’hacker buono.
Uso consapevole «Adesso è il periodo in cui va di moda l’Intelligenza artificiale, i big data e le criptovalute, tutti i convegni nell’ultimo periodo trattano questi temi, spesso a sproposito». Dal canto suo, Raoul punta sulla formazione, «per insegnare i comportamenti corretti e l’approccio al web». Che piaccia o no, l’informatica in senso ampio oggi gestisce la routine quotidiana, «il bancomat è un computer, l’automobile è una smart-car e tutto questo ha un prezzo». Gli Stati sono sempre più impegnati nella creazione di leggi che ridefiniscano i perimetri giuridici sull’uso del digitale. Chiesa era nel team di esperti che si è occupato del caso di Tiziana Cantone, la ragazza che nel 2016 si tolse la vita dopo che un suo video intimo era stato diffuso online. Da lì il revenge porn è entrato nel codice penale.Sul nostro uso del web ogni giorno c’è molto da rivedere: «Se smettessimo di cliccare ovunque, di credere alle fortune cadute dal cielo, ai post ossessivi-compulsivi, di pubblicare sui social qualunque cosa facciamo e dovunque andiamo, utilizzare password banali, potremmo allora evitare di esporci a determinati rischi».

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Il fotografo dei re e degli emiri è il sardo Antonio Saba

di Salvatore Santoni

Partito da Cagliari, adesso vive a Dubai e lavora per la famiglia reale. Scatta per grandi marchi e la sua ultima antologia è stata curata da Sgarbi


Sassari C’è un fotografo sardo – che in realtà ai suoi livelli bisognerebbe definire artista – che viaggia da un capo all’altro del mondo e ha piantato la bandiera dei Quattro Mori negli ambienti più altolocati del globo. Si chiama Antonio Saba, è nato a Cagliari ed è tra i
professionisti più apprezzati soprattutto in Arabia. Vive a Dubai ma è difficile che dorma nello stesso letto per troppo tempo. La sua vita è dappertutto, tra famiglie reali, marchi globali della ristorazione e della ricettività extra lusso, personaggi di caratura internazionale, campagne pubblicitarie e progetti artistici ai massimi livelli.

Maestro, parliamo subito dei suoi clienti più illustri: le famiglie reali. Ci può dire chi sono e che tipo di lavori le hanno commissionato?

«Ho un rapporto di amicizia e collaborazione da diversi anni con una delle persone più importanti della famiglia reale di Dubai. Sono persone straordinarie e di grande cultura. Le mie collaborazioni con loro sono riservate e non posso raccontarle nel dettaglio, posso comunque dire che si tratta di progetti artistici e fotografici ai massimi livelli».

Ci racconti un po’ il suo percorso artistico e professionale.

«Ho preso la mia prima reflex in mani a 15 anni, sottraendola a mio padre. Ho coltivato la passione come tanti altri stampando in casa in b/n etc… Ho poi avuto la fortuna che lo Ied aprisse a Cagliari proprio nell’anno del mio diploma. Questo mi ha permesso di studiare Fotografia Pubblicitaria a livello universitario e acquisire la forma mentis di un professionista della fotografia, e quindi iniziare a esserlo dai 21 anni in poi».

Quanti anni aveva quando ha cominciato a girare il mondo?

«Ho iniziato a viaggiare in maniera seria intorno ai 24 anni, andando spesso negli Stati Uniti. Nel 1995 ho lasciato la mia società in Sardegna per un’esperienza a Los Angeles, dal quel punto in poi ho iniziato a viaggiare in tutto il mondo per riviste di viaggio, di food e di interni. Queste esperienze mi hanno formato per approdare definitivamente al mercato del lusso, settore in cui svolgo ancora oggi la maggior parte della mia fotografia commerciale».

Annovera fra i suoi clienti alcune delle più importanti catene alberghiere a livello internazionale. Ci può parlare di qualche suo lavoro?

«Sono uno specialista raccomandato da Waldorf Astoria, Peninsula, Hilton e ho lavorato per tutte le più importanti catene incluso Marriot, Shangri-la, Intercontinental, tra le altre. Faccio in particolare tanti servizi per le aperture dei nuovi hotel, progetti in cui realizzo tutte le immagini pubblicitarie che vengono poi utilizzate dalle strutture per la promozione. Ho realizzato davvero tanti di questi servizi».

Il suo curriculum è sconfinato, ma se dovesse scegliere uno dei lavori della sua lunga carriera, qual è quello che ricorda con più emozione?

«Ci sono due lavori straordinari. Uno è del 2004, anno in cui sono stato un mese e mezzo in Costa Rica per realizzare le 10 fotografie per la campagna pubblicitaria mondiale del loro Paese. Da allora vado in Costa Rica quasi tutti gli anni, è senz’altro uno dei posti che chiamo casa. La seconda, invece, è l’ultimo lavoro realizzato quest’anno per una nuova apertura del Waldorf Astoria Platte Island, una remota isola selvaggia delle Seychelles, lavoro che ha preso quasi due mesi di lavoro con una crew di 12 persone».

Come funziona il suo lavoro: come sceglie i soggetti, come matura un’idea?

«Riguardo la fotografia commerciale ricevo un briefing dal cliente, si individuano i punti di forza e i selling points del prodotto, mi viene quindi chiesto di elaborare un progetto che visualizzi queste caratteristiche col tono di voce adatto alla tipologia di offerta. Segue un sopralluogo, definizione di luce e inquadrature per le foto di architettura. Invece nel lifestyle la preparazione è più complessa, con casting dei modelli, moodboard per i vestiti e il make up. Per le mie produzioni fine art invece in genere vengo ispirato dai luoghi che incontro in giro per il mondo, dove immagino possa accadere qualcosa di straniante. Il processo creativo dura qualche mese o qualche anno, sino alla definizione dell’idea e alla realizzazione vera e propria. Sono dei veri e propri film dal singolo fotogramma».

Qual è la richiesta più bizzarra che ha ricevuto per un lavoro fotografico?

«Qualsiasi richiesta di fotoritocco esagerato, a cui dico sempre di no». A cosa sta lavorando ultimamente? «Al momento sto completando la postproduzione del mio lavoro per Hilton Seychelles, inclusa una immagine hero che verrà utilizzata in pubblicità sui billboards. In questo caso ho realizzato un’immagine onirica e il cliente se ne è innamorato eleggendola come immagine simbolo della presenza Hilton in Seychelles. Sto anche curando un libro fotografico non mio per un importantissimo publisher di New York e come photoshoot ho avuto un’estate pienissima con lavori in Europa e a Dubai».

Anche lei ha pubblicato dei libri.

«In carriera ho pubblicato diversi libri monografici. L’ultimo in ordine di tempo è uscito qualche anno fa, è un’antologia personale degli ultimi 15 anni, curato da Vittorio Sgarbi e Cristina Mazzantini. Si intitola Chasing Beauty, distribuito da Mondadori. Il libro svolge un percorso: dalle immagini della memoria, agli anni dei viaggi sino alle produzioni oniriche degli ultimi anni che ho esposto con la mia mostra personale “Oneirism” a Bangkok, a Dubai e, spero l’anno prossimo, anche a Milano in versione complete».

Lei parla di “fotografia dei sogni” ci può spiegare cosa intende?

«Come dicevo prima il mio progetto Oneirism è composto da immagini stampate in grande formato che hanno come soggetto dei frammenti di sogno, o comunque di coscienza alterata, dalla Dea del fiume che nel suo patio fa il bagno in una vasca col suo amante pescegatto, alle Naiadi nel lago sotterraneo di Grotta Giusti, ai miei astronauti viaggiatori del tempo, sino ad un’immagine ispirata da Sergio Atzeni e ambientata in una grotta di Oliena 5000 anni fa. Invito tutti a dare uno sguardo a queste immagini nella sezione conceptual del mio sito www.antoniosaba.com»

Cosa ne pensa dei selfie, e dell’epoca della condivisione massiva di immagini sul web?

«Lo trovo un fenomeno divertente, tante persone hanno trovato il gusto di fotografare e fotografarsi perché il telefonino ha azzerato le difficoltà tecniche, tanti si esprimono concentrandosi solo su composizione e qualcuno fa anche delle immagini gradevoli. Ovviamente nei selfie Narciso la fa da padrone, ma non la trovo una cosa negativa, anzi…».


Lucio Nardi, l'ex giudice che dirige l'orchestra di avvocati e cancellieri (fondata da lui): via la toga, star al dal Verme

Per oltre quarant’anni ha indossato la toga, servendo la giustizia come magistrato. Oggi, Lucio Nardi, 74 anni, da novembre 2020 in pensione...