Dice Ernesto che il pullman della gita scolastica lo vede come un grosso toro. La facciata è il muso, gli specchi retrovisori le corna. E lui lo cavalca come nelle antiche avventure, adesso che s'immerge negli ori di Ravenna, in tutto quel blu. A Ernesto il blu piace molto: lo affascina forse più del toro al quale, a sua volta, preferisce il bisonte, più selvatico e meno "toccato" dall'uomo. Al verbo "toccare", Ernesto si rattrappisce nel suo piccolo immenso corpo indifeso.
E appunto la sua storia preferita è quella del bisonte blu. Storia, non leggenda, storia vera, indiana. Si chiama bisonte blu perché visibile solo al buio e ha il colore del cielo notturno. Chi lo cavalca vede tutto l'universo e non ha bisogno di mangiare né bere.
Ernesto si tuffa nei mosaici ravennati con una naturalezza stupefatta. E' il suo mondo, lì ritrova tutte le sue lune. L'hanno diagnosticato sapiente autistico. Lui è solo lui. Al tempo stesso innocenza ed espansione.
Dice Ernesto che preferisce l'inverno per la neve bianca e celeste come il latte. Ernesto è spirituale e fisico, sa di acqua e frumento. Fiorisce nel sole.
Dice Ernesto che un'uscita didattica come questa non la dimenticherà mai. Tiene a mente tutto, rivive negli splendori bizantini, plana sulle vaporosità padane, la mobile fissità orientale. Ed è puro. Di animo, di pensieri, di amicizie. E' selettivo. Oh, toccare. Gli piacerebbe tanto ma non tutto insieme e non indiscriminatamente. Il corpo non è spreco. Per questo il verbo lo spaventa, con l'istintività d'un animale selvatico destato dal suo sogno primordiale. Un sogno senza civiltà né possesso.
Ernesto è messaggero d'un Eden che oggi rivive solo nelle metafore del linguaggio astrale, negli occhi silenti, nella contorsione bianca delle mani. E' un primordio cresciuto fuori tempo. Senza lancette. Aurora in attesa d'un nuovo mattino.
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