Da sinistra, Goffredo Coppola, Pio Filippani Ronconi, Turi Vasile e Giovanni Gentile
molti dicono che la sinistra è solo repressione della cultura . leggetvi cosa dice www.pqanorama.it ( da giornale di sinistra libertaria ad a cassa di risonanza di Berlusconi ) .
di Pietrangelo Buttafuoco 4/11/2005
Da Gentile a Coppola, da Terragni a Tucci, Balbo, Micheli: si allunga l'elenco della fine dell'oblio per gli intellettuali rimossi. Merito del battesimo progressista. Alcune storie.Che la sinistra sdogani la destra non è un paradosso, è una salvata: è l'unico modo per uscirsene dalla guerra civile. E se Giampaolo Pansa con i suoi libri (l'ultimo è Sconosciuto 1945, edizioni Sperling & Kupfer), da intellettuale di sinistra, restituisce l'elementare diritto alla dignità degli sconfitti, sul piano culturale, quando non ci sono i liberali, pavidi killer per conto del politicamente corretto cui s'abbeverano loffiamente, bisogna aspettare un gigante dell'antichistica come Luciano Canfora, un genio comunista che non teme di contaminare l'esegesi dell'età dorica con l'Armata rossa di Stalin, per recuperare dall'oblio i grandi dimenticati dell'Italia degli intellettuali.
Dell'insigne grecista, docente all'Università di Bari, uscito in libreria, edito da Adelphi, Il papiro di Dongo, è la ricostruzione della scoperta fatta in Egitto nel 1934 da un gruppo di studiosi italiani, scoperta di un papiro attribuito a Cratippo, grazie al quale essi riuscirono a contendere il primato degli scavi e delle interpretazioni filologiche ai colleghi inglesi. Come in tutte le avventure della filologia, c'è il dettaglio rocambolesco: i reperti furono trafugati dai tombaroli e consegnati a Maurice Nahman, ma la maledizione del papiro è il racconto emblematico proprio dell'istinto di guerra civile. Così come ha già scritto Dino Messina sul Corriere della sera, il papiro si salda alla «storia degli intellettuali italiani durante il fascismo». Sul gruppo di studiosi guidati da Evaristo Breccia infatti calerà la ghigliottina della dimenticanza e uno di questi, Goffredo Coppola, rettore dell'Università di Bologna, troverà la morte a Dongo, fucilato e impiccato in piazzale Loreto.
«La vicenda di una damnatio memoriae» scrive Canfora «dell'oblio nel quale l'accademia italiana del dopoguerra ha ritenuto di lasciare la figura di Goffredo Coppola, che io ritengo, e con me molti studiosi stranieri, uno dei maggiori grecisti del Novecento». Non ci sono manuali nei licei che ricordino l'opera di Coppola, un solo libro della Mursia, scritto da Andrea Jelardi, ricorda questo «intellettuale del fascismo»; e Gennaro Malgieri, conterraneo del grecista, collezionando una fatica di decenni al chiuso dell'Archivio di Stato, ha scritto una biografia di Coppola che ancora attende un editore.
Ma è la sinistra che detta i tempi dello sdoganamento: il giorno 14 Malgieri sarà a Corridonia (l'antica Pausula, in provincia di Macerata) invitato da Valerio Calzolaio, deputato dei Ds, per commemorare Filippo Corridoni, il sindacalista rivoluzionario che, accanto ad Alfredo Oriani, fu un profeta del mussolinismo operaio. È la sinistra che può vantare antiche contaminazioni. I liberali si trincerano dietro spalmate d'indifferenza e rimozione: se il ritratto di Coppola rischia di essere tolto dall'anticamera della sala dei rettori a Bologna, la foto di Curzio Malaparte non ha mai avuto dignità d'esposizione nella galleria dei direttori alla Stampa, reietto malgrado la felice stagione di vendite, non perdonato nonostante l'ultima stagione da maoista.
Solo a sinistra c'è spazio per la destra. Il più grande direttore d'orchestra del Novecento non è quello della vulgata, Arturo Toscanini, ma Gino Marinuzzi, frullato nell'estate del '45 tra le vendette. Fu l'ultimo sovrintendente della Scala, il 24 aprile diresse il Don Giovanni al Lirico per le truppe germaniche. Fu un supersignore che parlava solo tre lingue: il palermitano, il tedesco e il latino. Alla soglia dei 40 aveva già diretto per 120 volte il Tristano, il Colon di Buenos Aires per la prima mondiale del Parsifal, finalmente svincolato dai vincoli del Bayreuth, non chiamò né Furtwängler, Toscanini, né appunto Marinuzzi.
Le mode passano, i dimenticati tornano. Si deve al rigore estetico di Marco Minniti se un altro mito dell'Italia fascista come Italo Balbo trova legittima cittadinanza tra i grandi del pantheon nazionale. Ancora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, l'esponente diessino si faceva vanto di poter abitare la Sala delle Ali al ministero dell'Aeronautica e con Balbo, anche lui, amava ripetere il motto: «Chi vola vale. Chi non vola non vale. Chi vale e non vola è un vile». A Palazzo Chigi, invece, si premurò di farsi mettere in ufficio la scrivania di Benito Mussolini. A chi gli chiedeva ragioni, Minniti mostrava orgoglioso il proprio cranio: doverosamente rasato.
Leggenda vuole che anche lo stesso Massimo D'Alema taumaturgicamente vi si accomodasse di tanto in tanto e non meraviglia che la sinistra più ortodossa abbia con la memoria un rapporto pragmatico. L'amministrazione di Predappio non ha tabù riguardo alla casa natale del Duce, anzi, ci fosse una giunta di centrodestra verrebbero collocate lapidi riparatorie, magari con omaggi a Luigi Einaudi, invece nell'officina del fabbro c'è giustamente conservata la bandiera storica del Psi, sezione di Dovia, quella dove erano iscritti tutti i Mussolini.
La storia dello sdoganamento si gioca tra gli opposti. Tutto cominciò con Giovanni Gentile, massimo tra i filosofi, ucciso dai partigiani e poi occultato dall'egemone cultura dei marxisti non senza il volonteroso apporto dei lacchè liberali. Fu Salvatore Natoli, storico della filosofia non certamente di destra, il primo ad affrontare il fondatore della scuola filosofica del Novecento con Giovanni Gentile, filosofo europeo. Un libro edito dalla Bollati cui farà seguito, in una celebre intervista con Panorama, Massimo Cacciari che di lui disse: «È il più grande filosofo del Novecento».
Tra pensiero negativo e riscoperta del niccianesimo si guadagna spazio il ribollire di una sinistra sempre attenta alle ragioni del torto. Si deve a Giampiero Mughini (nel solco di Leonardo Sciascia) la riscoperta del demonizzato per eccellenza, Telesio Interlandi; e si deve a una coppia di straordinari esploratori di colori e avanguardie, Claudia Salaris e Pablo Echaurren, se in Italia è ancora possibile studiare Filippo Tommaso Marinetti, il fondatore del Futurismo.
Se la malattia della storia intellettuale nazionale è stata l'egemonia culturale della sinistra è anche vero che solo nelle due potenti fornaci di questa dittatura letteraria, i cataloghi Bollati Boringhieri ed Einaudi, hanno potuto doverosamente trovare spazio Giuseppe Tucci, e il pioniere dell'orientalistica e il suo primo allievo, Pio Filippani Ronconi, pochi anni fa brutalmente licenziato dal Corriere per avere combattuto nella Seconda guerra mondiale con la divisa delle Waffen.
Nicola Bono, sottosegretario per i Beni culturali, s'è speso per rispolverare dall'oblio un'intera stagione del teatro d'avanguardia degli anni Quaranta, ci sono perle firmate da Turi Vasile (Un uomo sta per morire), e la parola definitiva sulla fertile attività dei Guf, i gruppi universitari fascisti, l'ha coraggiosamente data Andrea Camilleri: «Essi, con largo d'anticipo, suggeriscono temi e tesi che verranno sviluppati dal teatro dell'Assurdo molti anni dopo, ma rilessero criticamente e riproposero al pubblico messinscene dei classici e tentarono inoltre un primo approccio con culture lontane e diverse, i No giapponesi per esempio».
È la sinistra che si nutre di destra. Nella storia dell'architettura, il capitolo più visitato è quello di Giuseppe Terragni. La sua Casa del Fascio di Como è meta di pellegrinaggio e non certo di nostalgici, bensì di ricercatori e architetti.
La sua parabola venne studiata dall'azionista e radicale Bruno Zevi, mentre si deve a Francesco Dal Co e a Manfredo Tafuri il recupero di Luigi Moretti, condannato per ricostituzione del Pnf, sbattuto in galera, quello stesso che fece da architetto il Foro Italico, autore dunque dell'Accademia della scherma, altro capolavoro della tettonica, ormai studiata perfino in un gioco d'alibi intellettuale perché «intrinsecamente antifascista».
Accanto agli architetti sono stati recuperati gli artisti, Mario Sironi e Alberto Burri innanzitutto, ma ci vuole sempre un assessore di sinistra per completare lo sdoganamento. Grazie a Gianni Borgna, il creativo della giunta Veltroni, ha ritrovato luce Giuseppe Micheli, l'autore di Faccetta nera. Le mode passano, i ritornelli tornano.Che la sinistra sdogani la destra non è un paradosso, è una salvata: è l'unico modo per uscirsene dalla guerra civile. E se Giampaolo Pansa con i suoi libri (l'ultimo è Sconosciuto 1945, edizioni Sperling & Kupfer), da intellettuale di sinistra, restituisce l'elementare diritto alla dignità degli sconfitti, sul piano culturale, quando non ci sono i liberali, pavidi killer per conto del politicamente corretto cui s'abbeverano loffiamente, bisogna aspettare un gigante dell'antichistica come Luciano Canfora, un genio comunista che non teme di contaminare l'esegesi dell'età dorica con l'Armata rossa di Stalin, per recuperare dall'oblio i grandi dimenticati dell'Italia degli intellettuali.
Dell'insigne grecista, docente all'Università di Bari, uscito in libreria, edito da Adelphi, Il papiro di Dongo, è la ricostruzione della scoperta fatta in Egitto nel 1934 da un gruppo di studiosi italiani, scoperta di un papiro attribuito a Cratippo, grazie al quale essi riuscirono a contendere il primato degli scavi e delle interpretazioni filologiche ai colleghi inglesi. Come in tutte le avventure della filologia, c'è il dettaglio rocambolesco: i reperti furono trafugati dai tombaroli e consegnati a Maurice Nahman, ma la maledizione del papiro è il racconto emblematico proprio dell'istinto di guerra civile. Così come ha già scritto Dino Messina sul Corriere della sera, il papiro si salda alla «storia degli intellettuali italiani durante il fascismo». Sul gruppo di studiosi guidati da Evaristo Breccia infatti calerà la ghigliottina della dimenticanza e uno di questi, Goffredo Coppola, rettore dell'Università di Bologna, troverà la morte a Dongo, fucilato e impiccato in piazzale Loreto.
«La vicenda di una damnatio memoriae» scrive Canfora «dell'oblio nel quale l'accademia italiana del dopoguerra ha ritenuto di lasciare la figura di Goffredo Coppola, che io ritengo, e con me molti studiosi stranieri, uno dei maggiori grecisti del Novecento». Non ci sono manuali nei licei che ricordino l'opera di Coppola, un solo libro della Mursia, scritto da Andrea Jelardi, ricorda questo «intellettuale del fascismo»; e Gennaro Malgieri, conterraneo del grecista, collezionando una fatica di decenni al chiuso dell'Archivio di Stato, ha scritto una biografia di Coppola che ancora attende un editore.
Ma è la sinistra che detta i tempi dello sdoganamento: il giorno 14 Malgieri sarà a Corridonia (l'antica Pausula, in provincia di Macerata) invitato da Valerio Calzolaio, deputato dei Ds, per commemorare Filippo Corridoni, il sindacalista rivoluzionario che, accanto ad Alfredo Oriani, fu un profeta del mussolinismo operaio. È la sinistra che può vantare antiche contaminazioni.
I liberali si trincerano dietro spalmate d'indifferenza e rimozione: se il ritratto di Coppola rischia di essere tolto dall'anticamera della sala dei rettori a Bologna, la foto di Curzio Malaparte non ha mai avuto dignità d'esposizione nella galleria dei direttori alla Stampa, reietto malgrado la felice stagione di vendite, non perdonato nonostante l'ultima stagione da maoista.
Solo a sinistra c'è spazio per la destra. Il più grande direttore d'orchestra del Novecento non è quello della vulgata, Arturo Toscanini, ma Gino Marinuzzi, frullato nell'estate del '45 tra le vendette. Fu l'ultimo sovrintendente della Scala, il 24 aprile diresse il Don Giovanni al Lirico per le truppe germaniche. Fu un supersignore che parlava solo tre lingue: il palermitano, il tedesco e il latino. Alla soglia dei 40 aveva già diretto per 120 volte il Tristano, il Colon di Buenos Aires per la prima mondiale del Parsifal, finalmente svincolato dai vincoli del Bayreuth, non chiamò né Furtwängler, Toscanini, né appunto Marinuzzi.
Le mode passano, i dimenticati tornano. Si deve al rigore estetico di Marco Minniti se un altro mito dell'Italia fascista come Italo Balbo trova legittima cittadinanza tra i grandi del pantheon nazionale. Ancora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, l'esponente diessino si faceva vanto di poter abitare la Sala delle Ali al ministero dell'Aeronautica e con Balbo, anche lui, amava ripetere il motto: «Chi vola vale. Chi non vola non vale. Chi vale e non vola è un vile». A Palazzo Chigi, invece, si premurò di farsi mettere in ufficio la scrivania di Benito Mussolini. A chi gli chiedeva ragioni, Minniti mostrava orgoglioso il proprio cranio: doverosamente rasato.
Leggenda vuole che anche lo stesso Massimo D'Alema taumaturgicamente vi si accomodasse di tanto in tanto e non meraviglia che la sinistra più ortodossa abbia con la memoria un rapporto pragmatico. L'amministrazione di Predappio non ha tabù riguardo alla casa natale del Duce, anzi, ci fosse una giunta di centrodestra verrebbero collocate lapidi riparatorie, magari con omaggi a Luigi Einaudi, invece nell'officina del fabbro c'è giustamente conservata la bandiera storica del Psi, sezione di Dovia, quella dove erano iscritti tutti i Mussolini.
La storia dello sdoganamento si gioca tra gli opposti. Tutto cominciò con Giovanni Gentile, massimo tra i filosofi, ucciso dai partigiani e poi occultato dall'egemone cultura dei marxisti non senza il volonteroso apporto dei lacchè liberali. Fu Salvatore Natoli, storico della filosofia non certamente di destra, il primo ad affrontare il fondatore della scuola filosofica del Novecento con Giovanni Gentile, filosofo europeo. Un libro edito dalla Bollati cui farà seguito, in una celebre intervista con Panorama, Massimo Cacciari che di lui disse: «È il più grande filosofo del Novecento».
Tra pensiero negativo e riscoperta del niccianesimo si guadagna spazio il ribollire di una sinistra sempre attenta alle ragioni del torto. Si deve a Giampiero Mughini (nel solco di Leonardo Sciascia) la riscoperta del demonizzato per eccellenza, Telesio Interlandi; e si deve a una coppia di straordinari esploratori di colori e avanguardie, Claudia Salaris e Pablo Echaurren, se in Italia è ancora possibile studiare Filippo Tommaso Marinetti, il fondatore del Futurismo.
Se la malattia della storia intellettuale nazionale è stata l'egemonia culturale della sinistra è anche vero che solo nelle due potenti fornaci di questa dittatura letteraria, i cataloghi Bollati Boringhieri ed Einaudi, hanno potuto doverosamente trovare spazio Giuseppe Tucci, e il pioniere dell'orientalistica e il suo primo allievo, Pio Filippani Ronconi, pochi anni fa brutalmente licenziato dal Corriere per avere combattuto nella Seconda guerra mondiale con la divisa delle Waffen.
Nicola Bono, sottosegretario per i Beni culturali, s'è speso per rispolverare dall'oblio un'intera stagione del teatro d'avanguardia degli anni Quaranta, ci sono perle firmate da Turi Vasile (Un uomo sta per morire), e la parola definitiva sulla fertile attività dei Guf, i gruppi universitari fascisti, l'ha coraggiosamente data Andrea Camilleri: «Essi, con largo d'anticipo, suggeriscono temi e tesi che verranno sviluppati dal teatro dell'Assurdo molti anni dopo, ma rilessero criticamente e riproposero al pubblico messinscene dei classici e tentarono inoltre un primo approccio con culture lontane e diverse, i No giapponesi per esempio».
È la sinistra che si nutre di destra. Nella storia dell'architettura, il capitolo più visitato è quello di Giuseppe Terragni. La sua Casa del Fascio di Como è meta di pellegrinaggio e non certo di nostalgici, bensì di ricercatori e architetti.
La sua parabola venne studiata dall'azionista e radicale Bruno Zevi, mentre si deve a Francesco Dal Co e a Manfredo Tafuri il recupero di Luigi Moretti, condannato per ricostituzione del Pnf, sbattuto in galera, quello stesso che fece da architetto il Foro Italico, autore dunque dell'Accademia della scherma, altro capolavoro della tettonica, ormai studiata perfino in un gioco d'alibi intellettuale perché «intrinsecamente antifascista».
Accanto agli architetti sono stati recuperati gli artisti, Mario Sironi e Alberto Burri innanzitutto, ma ci vuole sempre un assessore di sinistra per completare lo sdoganamento. Grazie a Gianni Borgna, il creativo della giunta Veltroni, ha ritrovato luce Giuseppe Micheli, l'autore di Faccetta nera. Le mode passano, i ritornelli tornano.
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