7.11.05

Senza titolo 956

un racconto bellissimo di un anonimo trovatom nel pc  della  biblioteca  del mio paese  , che    rapressenta la situazione  in cui mi trovo in questo periodo


 


ì"SIGNORA REALTA' "


Sì, è vero: sono un codardo. Il mio mondo non mi piace e ne invento altri di carta. Intanto la mia vita va in pezzi senza che io la veda crollare.io, mamma, ti ho sentito. Lasciami finire questo paragrafo, almeno. Mangia pure, non mi importa se si fredda. Ha ragione, sono un cafone, un ingrato. Sempre tra i libri mentre lei lava i miei vestiti e mi prepara da mangiare. Non le dico mai niente di me. Ma in fondo so che la mia storia la conosce già: me la racconta ogni mattina mentre faccio colazione.Sono un idiota, ha ragione Giulio. Dovrei buttare via le mie cartacce e andare a ballare con lui. Là fuori. Sotto una luna che mi osserva in silenzio e non mi tende una mano. Sto lì a guardarla per ore, guardo le nuvole quando non c'è. Ci sarà una notte stellata nel mio nuovo racconto. E un raggio di sole mi camminerà accanto.Sfoglio il giornale: in bianco e nero come le storie che ci sono dentro. Lo chiudo. Ho voglia di colori, oggi. Sono un sognatore, lo so. Cammino ad un metro da terra, troppo in alto, troppo lontano. Ma la vita è un'altra cosa, quando lo capirò? non lo so, Giada, forse non mi va di capirlo. Dimmelo tu, cos'è la vita. Quella che mi sto lasciando scorrere addosso mentre il mio naso rimane per aria. Certo. Quale aria, Giada? nel tuo mondo grigio non c'è ossigeno. Non capisce, corre via. Torno a volare nel vento.Giada. Mi manca, a volte.Devo andare in cucina. Lascio la penna sul tavolo e mi chiudo la porta alle spalle. I miei pensieri si staccano dalla carta e mi vengono dietro.Mando giù l'ultimo boccone: quasi gomma. Mia madre aveva ragione, è completamente freddo. Appoggio la forchetta sul piatto, mi scappa da ridere. Mia madre solleva un sopracciglio, so che vorrebbe dirmi: "te lo avevo detto", ma si trattiene. Rido ancora; è così ogni volta che i nostri pensieri quasi si sfiorano. Succede di rado, peccato. Di solito viaggiamo su due treni diversi. Il mio è quasi vuoto, nel suo stanno sedute tutte le persone che conosco. Le saluto dal finestrino sporco, ma non rispondono al mio gersto: fissano distrattamente le loro facce deformate sul vetro. Poi un piatto di pasta immangiabile e scendiamo alla stessa fermata, oppure ci scambiamo un sorriso dai finestrini aperti. Ogni volta quasi un miracolo.Mi guardo nelle mani che tremano un po'. Sono sporche di inchiostro, come sempre. Sorrido e decido che non sono un idiota e nemmeno un codardo. Qualsiasi cosa voglia dire, sono semplicemente me stesso.

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