27.11.24

In piazza Duomo a Firenze la bottega dei colori che resiste al mangificio., Il negozio di vinili che dice no al Black Friday: «Clienti da tutta la Toscana, il nostro segreto è la roba popolare»

 Corriere della Sera
In piazza Duomo la bottega dei colori che resiste al mangificio


In questi anni hanno visto la città intorno cambiare, gli artigiani chiudere, le botteghe trasformarsi in locali e store internazionali, ma loro sono rimasti fedeli a se stessi: la bottega di Belle Arti Zecchi. Dopo qualche mese di trasferimento in un magazzino a pochi metri di distanza, per consentire i lavori di restauro dell’antico palazzo, di proprietà dell’Opera del Duomo, la bottega è tornata nei locali storici di via dello Studio 19 rosso. 
Oggi come un tempo qui si possono trovare colori, pigmenti, strumenti usati da pittori, artisti, decoratori, artigiani. «Sopravviviamo perché abbiamo prodotti particolari, molto di nicchia, e un marchio nostro che spediamo in tutto il mondo», spiega Sandro Zecchi, che insieme al fratello Massimo porta avanti l’attività di famiglia. «Abbiamo creato un punto di incontro tra tecniche antiche, medievali e rinascimentali e quelle dei nostri giorni».
Nell’edifico aveva sede nel Trecento lo Studio Fiorentino, la prima università di Firenze. 
Era già presente fin da tempi antichi una bottega dei colori, centro di riferimento per artisti e professionisti, dai pittori famosi agli artigiani fiorentini fino ai giovani studenti dell’Accademia di Belle Arti. La presenza di un negozio di colori chiamato «Colorificio Toscano» in questa via risale alla seconda metà dell’800.
Nel 1920 il fiorentino Ugo Ercoli rilevò la bottega d’arte trasformandola in un punto vendita di colori. Adolfo Zecchi, padre degli attuali proprietari, entrò a lavorare nella mesticheria durante la Seconda Guerra Mondiale e dopo pochi anni rilevò l’attività. Negli anni 70 i figli Sandro e Massimo incrementarono la rivendita di colori e materiali per le Belle Arti recuperando le antiche tecniche pittoriche ed artigianali della tradizione fiorentina, guidati dal trattato trecentesco di Cennino Cennini «Il Libro d’Arte». 
Nel corso degli anni Zecchi ha fornito materiali all’Opera House di Sidney, al Paul Getty Museum di Los Angeles, per accademie in Giappone, Stati Uniti, Brasile, Cipro, Israele, per la cappella Brancacci, per la basilica di Assisi ed il Duomo di Firenze. Qui si possono ancora trovare la tempera all’uovo «Cennini» o il preziosissimo Blu Oltremarino di Lapislazzuli, ma anche colori a olio, gli acrilici e le tempere, tele a metraggio e tavolette a gesso, gomme e resine naturali, materiali per doratura, carte a mano e pergamene, cere solide e paste adesive. 
«Da bambini dopo la scuola venivamo qui a curiosare,
 siamo cresciuti in bottega», racconta Sandro. Ricorda la Firenze di allora e vede quella di oggi. «È stata stravolta. Prima nel centro storico c’erano magazzini e grossisti, era un centro distributivo. E c’erano tanti artigiani, che erano la spina dorsale della città. Ora gli artigiani non ci sono più, e i giovani non hanno interesse a continuare i mestieri, che pure potrebbero rendere». Sandro e Massimo per fortuna hanno i due figli a cui poter lasciare l’attività. «Sono in bottega con noi. Poi ci sono i dipendenti: siamo una buona squadra». 

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  non ricordo  la fonte



Il negozio di vinili che dice no al Black Friday: «Clienti da tutta la Toscana, il nostro segreto è la roba popolare»



CECINA. «Nel mio negozio non si fa il Black Friday, sono fuori da queste dinamiche». È contro tendenza Alessio Cruschelli, titolare di Slow Record Shop di Cecina, negozio che vende i vinili e tutto ciò che è collegato a questi oggetti, tornati in voga da una decina d’anni.

Cruschelli, da Slow Record Shop non si trovano le offerte targate Black Friday. Come mai?

«Ho un’area in negozio dedicata al materiale sottocosto, che ha un costo minore rispetto agli altri pezzi per varie ragioni. A livello commerciale capisco il senso del Black Friday, ma lo vedo utile soprattutto online».

Voi vendete anche online i vostri prodotti?

«Abbiamo il sito e i profili Instagram e Facebook, ci si deve muovere con più canali. Ma per noi l’online è solo una parte del negozio, ma non è decisiva».

Gli affari vanno meglio nel negozio fisico quindi.

«Chi entra non trova solo il vinile, ma tutto ciò che riguarda il mondo di questi dischi: giradischi, amplificatori, casse. Il negozio va bene. Abbiamo aperto nel 2013, fino a sette anni fa eravamo in 38 metri quadri, ora siamo in uno spazio che di metri quadri ne ha 235, con un grande open space».

Perché scegliere di venire in negozio e non comprare online?

«In negozio ti puoi interfacciare con una persona, e se hai qualche problema la persona è pronta a risolvertelo. Con i grossi competitor online, questo è impossibile. Chi viene da me e ha un problema con il giradischi, io sono in grado di trovare una soluzione. Però nei negozi fisici c’è un gap al rialzo nei confronti del web, ci sono dei passaggi in più del materiale che si vende. Quindi chi viene qui deve essere disposto a spendere di più che sui siti»

I vostri clienti sono solo cecinesi?

«Con il nuovo negozio vengono da tutta la provincia di Livorno, e anzi, da tutta la Toscana. Non dico da tutta Italia, ma quasi».

Vi siete fatti pubblicità online?

«Online abbiamo sempre fatto poca pubblicità. Si è sempre contato sulla bontà del passaparola. Per me i dischi sono un’opera d’arte, ne ho una visione un po’ naif. E invece in questo mondo (nel mercato, ndr) devi essere uno squalo. Infatti io metto il prezzo dietro la copertina, e in una piccola etichetta, per non sciupare la bellezza del disco. Ma un po’ mi sono dovuto adeguare, ora tengo anche Claudio Villa».

Vendete tutti i tipi di vinili...

«Vendo sia la stampa originale, del periodo di uscita del vinile, che le altre versioni. I grandi classici servono a catalizzare l’attenzione: i Beatles, i Rolling Stones, i Led Zeppelin. Ma vanno tanto anche i più contemporanei: Nirvana, Pearl Jam, Artic Monkeys».

E tra gli italiani?

«Va il cantautorato: Dalla, Battisti, De André, De Gregori, Paolo Conte. La musica super contemporanea invece va meno. Per arrivare fin qui, sono partito da roba popolare e prezzi accessibili».

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