7.3.21

donne coraggio





Lei è una di quelle che resta. Lo fa per amore della sua terra. Per amore della sua gente. Per amore di chi si trova a vivere sulla sua stessa terra, ma senza avere diritti. Lo fa perché ama la Calabria, la piana di Gioia Tauro con tutte
le sue contraddizioni. Lo fa contro le ingiustizie. Celeste Logiacco, sindacalista di strada e Segretario Generale della Cgil della Piana, lo fa perché è cresciuta così e non può essere diversa da se stessa. 
Perché restare?
«Scegliere di restare in Calabria vuol dire non rinunciare a costruire il tuo futuro nella terra in cui sei nata e cresciuta, vuol dire senza alcun dubbio preferire una sfida, con te stessa e con l’ambiente che ti circonda. Una sfida al presente, che diventa una speranza per il futuro. La speranza che questa terra, nella quale è più difficile restare che andar via, cambi, affinché i giovani non siano più costretti a cercare altrove prospettive e lavoro. Una terra, ricca di cultura, arte, storia e di bellezze naturali, che ha in sé le potenzialità necessarie per risollevarsi, migliorare, cambiare. Ma anche la speranza di “servire” a qualcosa, di contribuire a far andar meglio le cose, rifiutandone la semplice accettazione, la rassegnazione, o peggio ancora l’incapacità di cambiare. Sono i calabresi a dover cambiare la Calabria. Perché ci sono cresciuti, perché la conoscono, perché come me la amano in modo viscerale. So perfettamente che il cambiamento non avviene dall’oggi al domani, che niente migliora da sé, ma ciascuno di noi, decidendo da che parte stare, ha una sua, seppur piccola, ma indispensabile, parte nella storia della nostra regione, del nostro Paese. Sta a noi prenderci cura della Calabria e fare in modo che questa speranza non si trasformi in rassegnazione».







Quando hai preso la decisione di seguire le orme di tuo padre? 
«In Cgil dal 2006, dopo un anno di Servizio Civile e l’avvio dello sportello immigrazione, a febbraio del 2014 vengo eletta Segretario Generale della Flai Cgil della Piana di Gioia Tauro, a luglio del 2017 Segretario Generale della CGIL della Piana di Gioia Tauro, riconfermata il 20 ottobre 2018. Prima donna segretaria sia della Flai che della Cgil territoriale della Piana. Sono cresciuta in una famiglia di lavoratori, per me “luogo” assoluto di confronto e ricarica, in cui si respira la cultura del lavoro, la fatica insieme alla rivendicazione di migliori condizioni, la difesa dei diritti collettivi prima ancora di quelli personali. Il mio percorso di studi era ben lontano dal sindacato, ho studiato arte, prima al Liceo Artistico e poi all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, ma fin da piccola i miei genitori e in particolare mio padre, ferroviere iscritto Cgil da oltre quarant'anni, mi hanno fatto crescere secondo i valori della legalità e della giustizia; mi hanno fatto capire quanto è importante esserci e lottare per l'affermazione dei diritti di tutti; quanto sia necessario spendersi, ognuno per le proprie competenze, per provare a cambiare ciò che non va».


Donna in trincea in Calabria: più difficoltà in una scelta sola. Quanti ostacoli hai trovato? 
«Lavorare per la Cgil e nella Cgil non è un mestiere come un altro, ma è, e per me è diventata, una ragione di vita. Nel 1957, nel suo ultimo discorso alla Camera del lavoro di Lecco, Giuseppe Di Vittorio affermava: “La nostra causa è veramente giusta, serve gli interessi di tutti, gli interessi dell’intera società. Quando la causa è così alta, merita di essere servita, anche a costo di enormi sacrifici”. Per questo quando si ha la piena consapevolezza di servire una grande causa, una causa giusta, le difficoltà passano in secondo piano. È la causa che ti dà la forza e ti spinge a continuare, l’amore viscerale per questa terra, l’orgoglio di essere una donna calabrese, una donna del Sud, così come la convinzione, la visione e la certezza di poter ricostruire a piccoli passi un percorso collettivo di consapevolezza, di rivendicazione e dignità del lavoro; i risultati si ottengono con fatica e determinazione, è questo che importa, malgrado in tanti e in molte occasioni mi abbiano chiesto “ma chi te lo fa fare?”. Ovviamente sono consapevole dei rischi ai quali posso andare incontro, ma la determinazione e la voglia di lottare per riaffermare il diritto ad un lavoro ed ad una vita dignitosa di tutti, anche di tutti coloro che al di là del colore della pelle e dalla provenienza vivono nella Piana di Gioia Tauro mi porta a continuare. Non smetterò di sostenere, insieme alla CGIL, le ragioni del lavoro, della dignità sociale e della legalità, convinta che legalità significhi lavoro e di conseguenza normali condizioni di vita e inclusione».

Qual è stata la vittoria più bella?
«Da quando ho l’onore, oltre che l’onere, di dedicarmi alla difesa dei lavoratori, di chi spesso non ha voce, degli ultimi del territorio che rappresento, tante sono state le difficoltà incontrate, ma ancor più numerose le vittorie ottenute: dare piena applicazione al valore dell’uguaglianza, del rispetto delle regole e della legalità significa far prevalere le ragioni del lavoro e dei bisogni reali delle persone. Unire il mondo del lavoro, organizzare i disorganizzati vuol dire rendere visibili gli invisibili, soprattutto in un territorio difficile come la Piana di Gioia Tauro. Per questo la nostra attività si avvale del sindacato di strada, uno strumento d'azione sul campo essenziale per l'affermazione dei diritti e delle libertà, una pratica allo stesso tempo innovativa quanto antica. Una modalità e una sperimentazione fortemente voluta dalla FLAI CGIL e dalla CGIL per entrare sempre più a contatto con i lavoratori, in particolare con quelli che si muovono ai margini del sistema economico, affinché possano conoscere i propri diritti, le tutele di cui possono beneficiare e godere di più servizi. Tra le finalità prioritarie della nostra azione l'impegno costante per la riaffermazione della legalità nel mondo del lavoro quale presupposto per il riconoscimento dei diritti essenziali di cittadinanza. Per queste motivazioni, uscendo dalle sedi tradizionali del sindacato, numerose sono state nel corso degli anni le attività sul territorio, tra queste quella dello sportello informativo itinerante, punto d’ascolto e tutela su servizi, occupazione e famiglia rivolto alle donne migranti con la volontà di promuovere le politiche di genere e la realizzazione del principio di parità e non discriminazione. L'obiettivo è quello di prevenire e contrastare i fenomeni di emarginazione sociale, discriminazione e violenza sulle donne, potenziando l’attività CGIL con i servizi territoriali e le istituzioni al fine di garantire un sistema integrato di intervento. Partendo dalla Camera del Lavoro, tutto questo nasce anche dalla volontà di aprire nuovi spazi di socialità e di partecipazione per le donne: spazi reali dove potersi incontrare, “prendere parola”, restituire valore ai propri vissuti diventando parte attiva della vita del territorio in quanto cittadine pienamente titolari di diritti».

Qual è il tuo sogno? 
«Stiamo perdendo la capacità di sognare eppure l’Italia è costellata di straordinarie esperienze di cambiamento. Vorrei che dalla Piana di Gioia Tauro, dalla Calabria, arrivasse un messaggio diverso, di fiducia e speranza, di una regione bellissima, ma dalle mille contraddizioni, che cerca riscatto. Una terra fatta anche di esperienze concrete di chi è riuscito a ritornare, di giovani che, come me, hanno deciso di rimanere, di non lasciare la propria terra».

Di cosa c'è bisogno ora nella tua terra?
«Siamo la punta dello stivale, in cui la stratificazione delle disuguaglianze, aggravate ora ancor di più dalla pandemia, rappresenta il consolidamento di situazioni di estrema marginalità e povertà. Ciò che prevale è la percezione dell’abbandono e del disimpegno della politica da troppo tempo distratta e lontana dai reali problemi che caratterizzano questo territorio. Una terra dove l’agricoltura e il porto, snodo chiave nel cuore del Mediterraneo e del Mezzogiorno, rappresentano due realtà di primaria importanza all’interno del tessuto economico, sociale e lavorativo. Qui, dove giorno dopo giorno si perde qualcosa, dove il diritto all’istruzione, alla mobilità, alla salute e alle cure non è garantito in modo uniforme ed equo, i giovani, fuori dal processo produttivo e senza alcuna prospettiva, sono costretti ad andare via. Questa “emorragia sociale” causa il crescente spopolamento dell’intera Piana e ne impoverisce ancor di più le aree interne. Adesso per evitare che la crisi sanitaria, ora crisi sociale ed economica, non accresca ulteriormente le disuguaglianze, bisogna agire con responsabilità e determinazione, rimettendo al centro le persone e i loro bisogni. Ora più che mai abbiamo bisogno di una visione comune, di prospettive, di esperienze positive, dell’impegno di tutti e per far sì che questo avvenga è necessario che la rete delle realtà sane del territorio diventi sempre più stretta e ricca. Le forme di resilienza e creatività messe in campo negli anni sono la prova delle enormi potenzialità del nostro territorio.  Lo sviluppo e il riscatto della Piana di Gioia Tauro si concretizza, infatti, anche attraverso il sostegno agli imprenditori sani,  quali ad esempio Nino De Masi e Gaetano Saffioti, di giornalisti come Michele Albanese, di preti coraggiosi come Don Pino Demasi e tanti altri, figli di questa terra, compagni di viaggio, simboli di legalità della società che resiste e che testardamente ha deciso di dire no alla ‘ndrangheta e alla criminalità organizzata. Abbiamo bisogno di lavoro che si crea costruendo una cultura alternativa a quella mafiosa, non cancellando tutele e negando diritti. Solo con il contributo di tutti, ognuno per le proprie responsabilità, capaci di non rassegnarci, ma promotori di un’idea di Piana e città metropolitana che guardi al Mediterraneo, questa parte estrema del Sud potrà essere protagonista del cambiamento e del rinnovamento del Mezzogiorno e del Paese. Citando le parole del Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, sono convinta che quella contro la ’ndrangheta è una battaglia che è possibile vincere, nella speranza di trovare una forte convergenza sociale e politica su una battaglia di civiltà contro mafie e corruzione, due mali endemici che costituiscono una gravissima minaccia per il presente e il futuro di questa terra e del nostro Paese».                                                              




C’era una volta un paese fantasma...

Un borgo fantasma rinasce grazie all’audacia di un gruppo di donne legate alla propria terra

Gio 26 Nov 2020 | di Marzia Pomponio | sezione  Bella Italia




Un borgo medievale di circa duecentocinquanta anime, in gran parte anziani, con esercizi commerciali chiusi da oltre dieci anni, neanche un bar dove accogliere i turisti per un caffè, le abitazioni abbandonate da chi ha pensato di cercare fortuna altrove. Montelaterone, frazione di Arcidosso in provincia di Grosseto, alle pendici del Monte Amiata, in Toscana, sembrava ormai un paese fantasma a causa dello spopolamento iniziato tra gli Anni ’60 e ’70, destinato
a fare scomparire le radici della prima infanzia e giovinezza dei suoi abitanti, che lì da generazioni sono nati e cresciuti. Tra questi Stefania Cassani, 61 anni, tecnico radiologo presso l’ospedale di Grosseto, mamma di due ragazzi, che con otto donne di età e formazione diverse, ma unite dallo stesso legame alla propria terra, per contrastare lo spopolamento ha dato vita nel 2019 alla cooperativa di comunità “Il Borgo”, di cui è presidente. 



Una realtà imprenditoriale nata grazie ai fondi della Regione Toscana e l’Unione Europea, progettata dagli abitanti che sono produttori e fruitori di beni e servizi pensati per la promozione economica e sociale del territorio, insieme ad aziende e produttori locali. La cooperativa, che opera in collaborazione con il comune di Arcidosso, ha sede in un
immobile concesso dalla Curia, dove è stato aperto un ostello con 21 posti letto. Il cuore pulsante è il circolino “La Brizza”, un bar, l’unico nel paese, che è anche uno spaccio alimentare in cui trovare i prodotti tipici del posto, come olio e castagne, e un luogo dove gli anziani possono trascorre il tempo in compagnia, le mamme lasciare i propri bambini per brevi periodi, ognuno può accedere ai servizi internet grazie a una postazione digitale o svolgere attività culturali come presentazione di libri e mostre. 
«Montelaterone  era diventato un paese fantasma, ma avevo promesso agli anziani che ora non ci sono più che avremmo fatto qualcosa per salvarlo. Siamo partiti da piccole cose: lo spaccio alimentare, il pagamento delle bollette, sostituendoci a quei servizi che nel tempo sono scomparsi, come le Poste», ha dichiarato la presidente e promotrice del progetto, Stefania Cassani. La cooperativa in poco più di un anno di vita sta crescendo e al progetto dell’ostello si sono affiancate altre piccole realtà imprenditoriali, come l’Albergo diffuso, case messe a disposizione dai proprietari per l’affitto turistico, 






e la Bottega della Salute, per rispondere alle esigenze sanitarie, soprattutto dei più anziani, con servizi quali il ritiro dei referti medici, la prenotazione al cup di visite specialistiche, l’acquisto di farmaci, la convalida della tessera sanitaria, il pagamento del ticket, servizi che si sono intensificati in tempi di Covid con la distribuzione delle mascherine e la consegna degli ordini dei medicinali e della spesa alimentare . 
« Dopo tanti anni di vuoto è stata una grande scommessa, in cui però credevamo. Spesso chi veniva da fuori ci diceva che eravamo un po’ pazze. Effettivamente per scegliere un percorso del genere ci vuole un po’ di follia», dichiara la presidente, alla quale si deve la rinascita del piccolo borgo dove è tornata l’occupazione e soprattutto i turisti, attratti dai caratteristici vicoli stretti, i castagneti, l’offerta di un turismo escursionistico, archeologico, sportivo, attento alla sostenibilità e alla tutela ambientale. Montelaterone racconta la storia di una comunità che ha saputo fare squadra per sopravvivere ed è diventata ormai un unico nucleo familiare.          





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