donne che resistono in questo mondo di squali

 le  due  storie  riportate  sotto   confermano  quanto ho scritto ,  sempre   sulla  tematica   del 8 marzo ,   in  : << perchè    da  uomo festeggio  l'8 marzo  . esso non è  solo mimose  ma    anche  donne  che  hanno svecchiato l'italia  e  i suoi  costumi     come  Rosita Lanza di Scalea >>

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L'imprenditrice Ivana Ciabatti: "Nessuno ci credeva, ora tratto a tu per tu con chi estrae l'oro"
                                         di Maria Cristina Carratù

"Non bisogna mai pensare di non essere all'altezza. Dobbiamo credere in noi stesse e fare ciò che sappiamo fare, solo così si può emergere in un mondo di uomini"
"Mai pensare di non essere all’altezza di una sfida. Le donne devono credere nelle proprie competenze, e nei propri sogni, senza aver paura di fallire. Così, tutto diventa possibile".
Può sembrare un po’ troppo ottimista Ivana Ciabatti, 64enne signora aretina che ha messo insieme dal nulla la Italpreziosi di Arezzo (oggi azienda leader nella lavorazione, nel commercio e nel trading di metalli preziosi e punto di riferimento per il polo orafo italiano e internazionale, con fatturato di 6 miliardi e mezzo nel 2020), sfidando fuochi di sbarramento maschili, in patria e non. Ma lei ne è convinta: no, non è questione ottimismo astratto, dice, "solo di fiducia in se stesse". Proprio quello, purtroppo, che tanto spesso alle donne manca. La prova sta nella sua stessa biografia, che parte da un paesino di contadini nel casentino, dove la piccola Ivana "sogna, guardando il cielo, di andare sulla luna", per poi, più grande, usare i depliant delle agenzie di viaggio "per le prime trasvolate immaginarie". Finché arriva il primo viaggio vero, in autostop, e poi tutti gli altri, con mete sempre più lontane. E oggi che di mondo ne ha visitato «almeno due terzi», la signora può dire che il sogno dell’infanzia, intanto, è diventato realtà.
Ma c’è poi il resto. Sì, perché Ivana Ciabatti è una "imprenditrice autonoma", come tiene a dire, nel senso che ha fatto "tutto da sola". Ovvero, "facendomi aiutare, certo, quando è stato necessario, ma sempre mettendoci la faccia in prima persona, giocandomela con i miei mezzi". Il tutto, sia chiaro, senza affatto rinunciare alla famiglia, a un marito, e a due figlie educate anche loro, ovviamente, "a credere in se stesse", il miglior viatico per le giovani generazioni femminili. E così eccola, nel 1984, a 27 anni, trasformarsi da impiegata in un’azienda orafa in piccola imprenditrice in proprio, dopo aver contagiato con il suo entusiasmo "un socio finanziatore, che ha investito nel mio progetto", mentre lei, memore della parsimonia familiare, faceva benzina "a 10 mila lire a volta, per non spendere troppo".
E dopo poco, decidere il secondo salto: comprare la materia prima grezza da cui ricavare l’oro puro (in lingotti destinati agli orafi, agli investitori privati, ai caveau delle banche) direttamente dalle miniere. "Fu una rivoluzione, in Italia, allora, non lo faceva nessuno". Ivana fa le valigie, e, manco a dirlo, si mette in viaggio. L’impresa è ardua, il settore, ad ogni latitudine, dal Medio Oriente, all’Africa, all’America del nord e del Sud, all’Africa, all’Oceania, è dominato dai maschi e, dice lei, "credo di essere tuttora l’unica donna al mondo a trattare a tu per tu con gli estrattori, a chiedere di visitare le miniere". Follia? "Sì, ma in certi casi necessaria". Una volta, in Ghana, il re locale proprietario di una miniera le propone di diventare “regina madre’’, con tanto di rito di iniziazione: "Ho avuto una gran paura, ma lui voleva solo dirmi che mi dava fiducia".
In Arabia Saudita un suo interlocutore, dando per scontato di aver preso appuntamento con un uomo, si è rifiutato di riceverla, "ma io ho resistito, mi sono presentata per tre giorni di seguito, il terzo mi ha aperto la porta". Da allora, racconta la signora, "sono accolta ovunque con tutti gli onori, e la ragione è semplice: mi sono guadagnata la stima del settore", cioè dei maschi che lo presidiano, che pure hanno tentato di scoraggiarla con ogni mezzo (compreso il più usurato, il corteggiamento), senza però smuoverla di un millimetro.
E alle donne, da donna, Ivana vuole dirlo chiaro: "Lasciate perdere le quote rosa, che vuol dire non credere nelle proprie capacità, puntate su quel che sapete fare, che avete voglia di fare. E fatelo. Solo così si può avere ragione di un mondo maschile che frappone continui ostacoli, ma alla fine è costretto riconoscere il nostro valore". Banalmente: perché serve anche a loro.


La pilota Lara Rosai: "Le avances del mio capo quando lavoravo in falegnameria, l'ho denunciato e cambiato vita"

                                   di Ilaria Ciuti

A dicembre ha preso il brevetto di pilota di droni, li guida per una società che lavora per il Nuovo Pignone. Lara Rosai vive sola, con 800 libri, due gatti, le lunghe passeggiate, lo stipendio che basta per vivere tranquilla, il compagno che vive lontano, "gli voglio bene ma sono indipendente e non ho timore di stare da sola, sono serena, mi piace il mio lavoro".

"Adesso vivo felice con i miei droni"


Le piaceva meno ed era meno serena, quando dal 2006 al 2010, ha lavorato nell’ufficio di una falegnameria, tra segreteria e piccola amministrazione, sola con il suo capo perché lo stabilimento era fuori, qualche metro più in là. Il capo, prima tranquillo, un amico credeva Lara, poi sempre più arrogante: portami l’acqua, occupati del cane, prendimi le sigarette, se ti dà noia il fumo vattene fuori io non smetto, finché passa a chiederle incessantemente rapporti sessuali con espressioni volgarissime, mimiche oscene e prepotenti tentativi di "mani con le unghie gialle di nicotina" pesantemente addosso, nonostante i rifiuti di lei: "Se dico no, è no". Ma lui neanche prendeva nota. Fino a sbatterla contro il muro e rapinarle con la forza un bacio.
Per un po’ di tempo lei resta bloccata mentre sprofonda nel disgusto. A bloccarla il fatto che "allora ero piena di dubbi, ora ho imparato a fidarmi di me stessa", "il timore di non essere creduta, le donne tacciono per timore di non venir credute" e, soprattutto, il mutuo: "Avevo appena comprato casa, avevo fatto anni di lavori interinali, era il mio primo lavoro a tempo indeterminato, volevo pagarmici la vita".
Lara sprofonda, non dorme la notte, piange al suono della sveglia, ha la colite. Poi la misura è colma, "io non sono nata per servire, la mamma era una femminista e il babbo un sindacalista". Si ammala, nella psiche e nel corpo. Ma un bacio violento e la frase «o mi ubbidisci o ti sbatto fuori a calci» fanno scattare la molla. Al diavolo il mutuo, basta: "Sono scoppiata e meno male. Non volevo guardarmi allo specchio e non trovare più la Lara che ero". Va alla Cgil che le trova un’avvocata, l’avvocata capisce che dietro all’esclusivo racconto della prepotenza padronale c’erano anche le molestie sessuali, "quelle di cui allora non si parlava e io non sapevo che anche le parole sono molestie che si possono denunciare. Anche ora, spesso non si sa. Invece sapere aiuta a vincere".
Lara stava male, sindacato e avvocata la mandano a Pisa a medicina del lavoro, al centro per il disagio lavorativo. Due giorni di esami e test medici e psicologici. Esce fuori tutto, anche le molestie. A Lara viene riconosciuta la malattia professionale, lei denuncia, parte il processo penale per mobbing e molestie sessuali, l’azienda la licenzia in tronco e parte anche il processo civile per licenziamento senza giusta causa, lei vince l’uno e l’altro. "Sono procedure lunghe, estenuanti. Ma io ero forte perché mi credevano, bisogna credergli alle donne. Ho ripreso fiducia in me, in tribunale l’ho guardato spavalda ma lui ha abbassato gli occhi. No, non lo odio, l’odio consuma chi lo prova. Mi basta avercela fatta, non sentirmi codarda e lui impunito. Ancora oggi ti insegnano ad avere paura, che se sei donna sei debole, ma se non alzi la testa e stai zitta ti senti complice".
Poi. "Poi non trovavo lavoro. Se spiegavo cosa era successo, mi sbattevano fuori. Il mutuo, i soldi che non c’erano. Ma non avevo più paura. Ero uscita dall’inferno vittoriosa e rinforzata, ho iniziato a spargere curriculum come volantini". Ed ecco il lavoro e "il piacere del lavoro". Prima all’aeroporto "e mi sono vista sfilare davanti il mondo". E adesso in una società che lavora per il Nuovo Pignone, a occuparsi di una flotta di droni. "Sono una delle prime donne a pilotarli, devi sapere dove puoi o non puoi andare a quale altezza, come funzionano i droni in condizioni climatiche diverse, a che velocità li puoi spingere. È affascinante perché è qualcosa che inizia ed è in divenire".
Lara esce dal lavoro, per la passeggiata prima di tornare a casa, "ho fatto tutto da sola e sono soddisfatta. Comincio a non ricordare il passato".

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