Denunciò il fratello dell’Is, si ritrova solo
«L’ho fatto rimpatriare io
in Marocco. Lo aiuto ancora in tutti i modi. Ma la comunità islamica mi
ha isolato e ora rischio di perdere anche la casa»
di Nicola Stievano
MONSELICE. Ha trovato il
coraggio di denunciare il fratello, simpatizzante dei progetti
sanguinari dell’Is, ma è emarginato dai suoi connazionali e in serie
difficoltà economiche. Come se non bastasse, rischia di perdere anche il
misero alloggio in cui vive. Intorno a sé ha il vuoto, è un invisibile.
La comunità magrebina lo ha isolato e lo ignora, nessuno gli rivolge la
parola da mesi, a partire dal fratello che in seguito alla sua
testimonianza è stato espulso dall’Italia per terrorismo.
La solitudine di Fouad Bamaarouf, marocchino di 42 anni, operaio in una cooperativa in zona industriale, 16 anni di duro lavoro in Italia, è iniziata quel giorno di fine dicembre quando i carabinieri hanno prelevato il fratello minore Adil, subito accompagnato in aeroporto con un biglietto di sola andata per il Marocco. È stato accusato di terrorismo per aver minacciato di far esplodere Roma: passava tutto il giorno incollato allo smartphone in contatto con chissacchì, aveva riferito spaventato Fuad ai carabinieri, non faceva mistero di condividere le parole d’ordine dell’Is. «Mio fratello era arrabbiato con tutti perché aveva perso il lavoro» racconta, «perché non aveva i soldi nemmeno per mangiare. L’ho preso in casa con me, gli ho detto di stare tranquillo, l’avrei aiutato a trovarsi un nuovo lavoro. Però nessuno della comunità marocchina l’ha aiutato allora. Così ha preso una brutta strada e da tempo era sotto controllo. L’ho fatto per il suo bene».
Fouad ha continuato a occuparsi del fratello anche dopo l’espulsione, sobbarcandosi le spese dell’avvocato che l’ha tirato fuori dalla prigione dopo due settimane di detenzione in Marocco. Però da allora Adil non gli rivolge la parola. «Non ha più voluto parlarmi» aggiunge, «eppure io continuo ad aiutarlo. Sto pagando poco alla volta il debito di 700 euro che aveva accumulato con il proprietario del suo appartamento e mi sto prendendo cura di tutta la famiglia in Marocco. Sei persone in tutto: Adil, mia madre ammalata, mia sorella e tre figli piccoli dell’altro mio fratello rimasto senza lavoro». Ogni mese manda a casa almeno 300 euro, senza contare gli extra. Poi paga ben 400 euro di affitto per un minuscolo alloggio umido e malsano, poco più di uno scantinato sulla sponda del Bisatto. Difficile chiamarla “casa”, eppure Fouad ora rischia di perdere anche questo tetto, perché a novembre scade il contratto e il proprietario ha tutta l’intenzione di non rinnovarlo. In questa situazione l’operaio marocchino non può contare nemmeno sulla solidarietà dei suoi connazionali, che da mesi non gli rivolgono più la parola. «Dall’arresto di mio fratello si è fatto il vuoto intorno a me. Solo alcuni italiani sono venuti a dirmi che avevo fatto bene, ma dai marocchini e dagli altri immigrati di fede islamica non ho più avuto una parola. È come se non esistessi, mi ignorano completamente, mi evitano. Eppure penso di non aver fatto nulla di male. Questa storia mi ha rovinato e ora dopo tanti anni rischio di trovarmi a terra. Fra sei mesi sarò anche senza casa e nessuna agenzia si fida ad affittare agli extracomunitari». Un aiuto per trovare un alloggio potrebbe venire proprio dalla rete di conoscenze e di solidarietà della comunità magrebina, nella quale però per Fouad non pare esserci alcun spazio. «Sono anni che non frequento la moschea perché non condivido la gestione di questi momenti di ritrovo. La gente ci va per farsi gli affari propri, per chiedere e ricevere favori come un posto di lavoro o una casa. Più che un momento di preghiera è l’occasione per sparlare degli altri. Preferisco starmene a casa. Questa gente dove era quando mio fratello era in difficoltà e aveva bisogno? Perché non aiutano veramente chi non ha da mangiare e non ha un lavoro?». Ora nessuno degna Fouad di uno sguardo. «Non ho fatto nulla di male. Da quanto sono in Italia ho sempre lavorato. Prima in Piemonte, in proprio, e dal 2007 qui a Monselice. Sulla mia strada ho trovato gente che se ne è approfittata. Come quell’algerino che mi ha fatto lavorare e poi non mi ha pagato i mille
euro che mi doveva». Fouad non intende arrendersi, lui vuole restare in Italia, il suo sogno è ottenere la cittadinanza. «Andrò dal sindaco di Monselice nei prossimi giorni per chiedere un aiuto nel cercare una nuova casa. Spero che almeno lui mi voglia ascoltare».
La solitudine di Fouad Bamaarouf, marocchino di 42 anni, operaio in una cooperativa in zona industriale, 16 anni di duro lavoro in Italia, è iniziata quel giorno di fine dicembre quando i carabinieri hanno prelevato il fratello minore Adil, subito accompagnato in aeroporto con un biglietto di sola andata per il Marocco. È stato accusato di terrorismo per aver minacciato di far esplodere Roma: passava tutto il giorno incollato allo smartphone in contatto con chissacchì, aveva riferito spaventato Fuad ai carabinieri, non faceva mistero di condividere le parole d’ordine dell’Is. «Mio fratello era arrabbiato con tutti perché aveva perso il lavoro» racconta, «perché non aveva i soldi nemmeno per mangiare. L’ho preso in casa con me, gli ho detto di stare tranquillo, l’avrei aiutato a trovarsi un nuovo lavoro. Però nessuno della comunità marocchina l’ha aiutato allora. Così ha preso una brutta strada e da tempo era sotto controllo. L’ho fatto per il suo bene».
Fouad ha continuato a occuparsi del fratello anche dopo l’espulsione, sobbarcandosi le spese dell’avvocato che l’ha tirato fuori dalla prigione dopo due settimane di detenzione in Marocco. Però da allora Adil non gli rivolge la parola. «Non ha più voluto parlarmi» aggiunge, «eppure io continuo ad aiutarlo. Sto pagando poco alla volta il debito di 700 euro che aveva accumulato con il proprietario del suo appartamento e mi sto prendendo cura di tutta la famiglia in Marocco. Sei persone in tutto: Adil, mia madre ammalata, mia sorella e tre figli piccoli dell’altro mio fratello rimasto senza lavoro». Ogni mese manda a casa almeno 300 euro, senza contare gli extra. Poi paga ben 400 euro di affitto per un minuscolo alloggio umido e malsano, poco più di uno scantinato sulla sponda del Bisatto. Difficile chiamarla “casa”, eppure Fouad ora rischia di perdere anche questo tetto, perché a novembre scade il contratto e il proprietario ha tutta l’intenzione di non rinnovarlo. In questa situazione l’operaio marocchino non può contare nemmeno sulla solidarietà dei suoi connazionali, che da mesi non gli rivolgono più la parola. «Dall’arresto di mio fratello si è fatto il vuoto intorno a me. Solo alcuni italiani sono venuti a dirmi che avevo fatto bene, ma dai marocchini e dagli altri immigrati di fede islamica non ho più avuto una parola. È come se non esistessi, mi ignorano completamente, mi evitano. Eppure penso di non aver fatto nulla di male. Questa storia mi ha rovinato e ora dopo tanti anni rischio di trovarmi a terra. Fra sei mesi sarò anche senza casa e nessuna agenzia si fida ad affittare agli extracomunitari». Un aiuto per trovare un alloggio potrebbe venire proprio dalla rete di conoscenze e di solidarietà della comunità magrebina, nella quale però per Fouad non pare esserci alcun spazio. «Sono anni che non frequento la moschea perché non condivido la gestione di questi momenti di ritrovo. La gente ci va per farsi gli affari propri, per chiedere e ricevere favori come un posto di lavoro o una casa. Più che un momento di preghiera è l’occasione per sparlare degli altri. Preferisco starmene a casa. Questa gente dove era quando mio fratello era in difficoltà e aveva bisogno? Perché non aiutano veramente chi non ha da mangiare e non ha un lavoro?». Ora nessuno degna Fouad di uno sguardo. «Non ho fatto nulla di male. Da quanto sono in Italia ho sempre lavorato. Prima in Piemonte, in proprio, e dal 2007 qui a Monselice. Sulla mia strada ho trovato gente che se ne è approfittata. Come quell’algerino che mi ha fatto lavorare e poi non mi ha pagato i mille
euro che mi doveva». Fouad non intende arrendersi, lui vuole restare in Italia, il suo sogno è ottenere la cittadinanza. «Andrò dal sindaco di Monselice nei prossimi giorni per chiedere un aiuto nel cercare una nuova casa. Spero che almeno lui mi voglia ascoltare».
Trento, porta la firma di Elisa Gretter il nuovo prodotto di Moleskine che permette di scrivere su un taccuino appunti digitali
di Matteo Ciangherotti
di Matteo Ciangherotti
TRENTO. La carta non muore mai. Il fascino e la poesia
di scrivere o disegnare su un foglio bianco non ha eguali. Eppure
prendere appunti sul proprio smartphone o tablet accellera il processo
comunicativo e professionale. Così, negli ultimi anni, sul mercato sono
comparsi numerosi dispositivi e applicazioni che permettono una
conversione immediata tra analogico e digitale. Scrivo o disegno su un
taccuino e immediatamente, in “real time”, ciò che scrivo o disegno mi
compare sul mio telefono cellulare.
È così che dietro all'ultima “invenzione” della Moleskine, famosa marca di taccuini, agende, guide da viaggio e quaderni, si “nasconde” una giovane ragazza trentina. 34 anni di Povo, laureata in economia e management all'università di Trento, Elisa Gretter ha costruito il suo futuro proprio sulla conversione analogico-digitale. Il nuovo Smart Writing Set, lanciato una settimana fa dalla casa madre milanese della Moleskine, porta la sua firma. Presentato a New York, ha subito raccolto i favori di pubblico e mercato.
Lo Smart Writing Set è un sistema ibrido, tra analogico e digitale, composto da uno speciale tablet di carta, una penna intelligente e un'app che lavorano insieme per digitalizzare gli appunti presi su carta. Il set completo costa 229 euro e una volta esaurito il primo taccuino, acquistarne uno nuovo costerà 29 euro. “Abbiamo fin da subito ricevuto numerosi ordini – racconta Elisa, responsabile del progetto insieme ai colleghi danesi -; scrivere sulla carta suscita emozioni uniche e aiuta a fissare meglio i ricordi. La carta continua a essere uno strumento fondamentale anche nelle fasi dell'apprendimento scolastico dove proprio una comunione tra analogico e digitale rappresenta la scelta più efficace”. È così che se vi trovate su un autobus diretto alla vostra prossima riunione di lavoro con in testa la migliore delle idee che avete mai avuto, la potrete fissare, scrivere o disegnare sulla carta e con la stessa immediatezza trasferire e salvare su un file digitale grazie all'applicazione del vostro smartphone. Il taccuino ha una forma nuova rispetto al passato e ricorda quella di un tablet; l'applicazione registra ciò che viene scritto o disegnato e lo trasferisce sullo smartphone. Qui gli appunti possono essere convertiti in vari formati digitali (pdf, img etc.) e si possono scegliere, per esempio, i colori da dare ai propri schizzi.
“Recentemente la stessa Microsoft ha annunciato che circa il 70% delle persone continua a prendere appunti su carta – continua Elisa – e noi come azienda non abbiamo fatto registrare alcun calo nelle vendite di taccuini e agende cartacee, anzi. Questo speciale Set è soltanto l'ultima delle creazioni che abbiamo messo in campo nell'ambito dell'interazione e integrazione tra analogico e digitale. Sono stati presentati diversi prodotti che consentono la scrittura direttamente sul vetro di uno smartphone o di un tablet, ma scrivere sulla carta continua a rappresentare un'attrazione importante. Con il trasferimento in digitale si velocizza e si semplifica il processo”.
Elisa dopo la laurea si è spostata a Milano dove ha frequentato la scuola di marketing della L'Oréal e dopo un'esperienza professionale in Samsung, dove ha assistito al lancio del primo Galaxy e del Samsung Store italiano, è approdata alla casa madre milanese della Moleskine. Lo Smart Writing Set verrà esposto al Salone del Mobile di Milano dove fino a domenica i visitatori potranno provarlo gratuitamente.
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È così che dietro all'ultima “invenzione” della Moleskine, famosa marca di taccuini, agende, guide da viaggio e quaderni, si “nasconde” una giovane ragazza trentina. 34 anni di Povo, laureata in economia e management all'università di Trento, Elisa Gretter ha costruito il suo futuro proprio sulla conversione analogico-digitale. Il nuovo Smart Writing Set, lanciato una settimana fa dalla casa madre milanese della Moleskine, porta la sua firma. Presentato a New York, ha subito raccolto i favori di pubblico e mercato.
Lo Smart Writing Set è un sistema ibrido, tra analogico e digitale, composto da uno speciale tablet di carta, una penna intelligente e un'app che lavorano insieme per digitalizzare gli appunti presi su carta. Il set completo costa 229 euro e una volta esaurito il primo taccuino, acquistarne uno nuovo costerà 29 euro. “Abbiamo fin da subito ricevuto numerosi ordini – racconta Elisa, responsabile del progetto insieme ai colleghi danesi -; scrivere sulla carta suscita emozioni uniche e aiuta a fissare meglio i ricordi. La carta continua a essere uno strumento fondamentale anche nelle fasi dell'apprendimento scolastico dove proprio una comunione tra analogico e digitale rappresenta la scelta più efficace”. È così che se vi trovate su un autobus diretto alla vostra prossima riunione di lavoro con in testa la migliore delle idee che avete mai avuto, la potrete fissare, scrivere o disegnare sulla carta e con la stessa immediatezza trasferire e salvare su un file digitale grazie all'applicazione del vostro smartphone. Il taccuino ha una forma nuova rispetto al passato e ricorda quella di un tablet; l'applicazione registra ciò che viene scritto o disegnato e lo trasferisce sullo smartphone. Qui gli appunti possono essere convertiti in vari formati digitali (pdf, img etc.) e si possono scegliere, per esempio, i colori da dare ai propri schizzi.
“Recentemente la stessa Microsoft ha annunciato che circa il 70% delle persone continua a prendere appunti su carta – continua Elisa – e noi come azienda non abbiamo fatto registrare alcun calo nelle vendite di taccuini e agende cartacee, anzi. Questo speciale Set è soltanto l'ultima delle creazioni che abbiamo messo in campo nell'ambito dell'interazione e integrazione tra analogico e digitale. Sono stati presentati diversi prodotti che consentono la scrittura direttamente sul vetro di uno smartphone o di un tablet, ma scrivere sulla carta continua a rappresentare un'attrazione importante. Con il trasferimento in digitale si velocizza e si semplifica il processo”.
Elisa dopo la laurea si è spostata a Milano dove ha frequentato la scuola di marketing della L'Oréal e dopo un'esperienza professionale in Samsung, dove ha assistito al lancio del primo Galaxy e del Samsung Store italiano, è approdata alla casa madre milanese della Moleskine. Lo Smart Writing Set verrà esposto al Salone del Mobile di Milano dove fino a domenica i visitatori potranno provarlo gratuitamente.
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