ALT: ORA CHIEDIAMO… DI RENATO! - Nuovo libro e nuovo disco

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Comprendere lo Zero di oggi alla luce delle sue radici: questo sembra essere l’intento di Daniela Tuscano e Cristian A. Porcino Ferrara che col nuovo libro "Chiedi di lui 2.0" [si acquista online su Lulu e Amazon ndr] non si limitano a ripercorrere – con una puntualità finora sconosciuta e sorprendente – le tappe della carriera artistica e umana del cantautore romano, ma a narrare come lo hanno vissuto e cosa ha rappresentato per la storia e l’immaginario italiano. I nostri autori partono dalle radici e arrivano fino ai giorni nostri colmando un vuoto. Infatti la maggior parte del pubblico tende a cogliere solo alcune parti della sua personalità sfaccettata mentre certe sue scelte, nel bene e nel male, si capiscono solo conoscendo tutto il suo cammino.

- Con un libro come il vostro non occorrerebbe sviscerare "Alt" canzone per canzone. Ma proviamoci lo stesso. Si ha come l’impressione che tutto sia stato detto e oggi si cerchino punti fermi, serenità….

Cristian: «"Alt" è un album di qualità, in grado di stimolare una riflessione sul mondo circostante. Sicuramente non un capolavoro ma ugualmente interessante. A mio avviso è un disco profondamente cattolico. La terminologia usata da Zero appartiene alla tradizione culturale giudaico-cattolica. Cito solo alcuni esempi: per ben due volte si chiamano in causa le schiere angeliche e non solamente nel brano che s’intitola, per l’appunto, "Il cielo è degli angeli" ma anche in "Gesù" (ognuno ha le sue credenze riguardo l’esistenza delle creature celesti, ma consiglierei la lettura illuminante del libro apposito del teologo Helmut Fischer). Si parla di assoluzione in "Vi assolverete mai" e di farisei,
mentre ne "Il tuo sorriso" si fa riferimento ai trenta denari, cifra pagata a Giuda per il suo tradimento. Poi dopo "Padre nostro" (1981), "Ave Maria" (1993), "La pace sia con te" (1998), "Non si fa giorno mai" (2003), "Immi Ruah" (2005), "La vita è un dono" (2005), "Il sole che non vedi" (2009) era, forse, l’ora di "Gesù". Sette brani, molto ma molto diversi fra loro, che potrebbero formare una messa laica già annunciata diversi anni fa dal re dei sorcini. In "Gesù" ci sono tutti gli elementi del cattolicesimo: i già citati angeli, l’Arca (di Noè o dell’Allenza?), il verso “La natura hai i suoi limiti!” piacerà molto alla CEI e poi il perdono. Infine il brano "Vi assolverete mai" ha un finale quasi liturgico. In "Chiedi" Renato augura di trovare un “Dio nel quale credi” e si citano i “dieci comandamenti”. Dall’ascolto di "Alt" si evince il legame di Zero con la fede di appartenenza».

Daniela: «Concordo con Cristian, sia io sia lui abbiamo dedicato molto spazio al cattolicesimo nelle canzoni di Renato. A questo proposito mi vengono in mente certe amare considerazioni di Ron, altro autore dichiaratamente (ma, a mio parere, più discretamente e intimamente) cattolico: in Usa o in Inghilterra nessuno si scandalizza se qualcuno termina un suo concerto invocando la benedizione di Dio sul suo pubblico; qui succederebbe un disastro. D’altro lato è vero che i Paesi anglosassoni, di tradizione protestante, hanno un background profondamente secolarizzato. Nella nostra storia c’è invece l’influenza del Papato che molti avvertono come zavorra. Per questo comporre brani esplicitamente “religiosi” è un rischio che in pochi hanno voluto correre. A questo aggiungiamo la perdita delle nostre radici, di quello che Testori chiamava “il nostro latino”, per cui oggi aver fama d’intelligente significa necessariamente essere antireligiosi e più segnatamente anticattolici. Tutto quanto non ci ha del resto resi più tolleranti e aperti intellettualmente, ma solo più cinici e insensibili: basti pensare alla scarsa sensibilità verso il dramma dei profughi e dei cristiani del Medio Oriente.
Zero in questo senso è andato controcorrente, almeno nella prima parte della carriera. E ha fatto bene a “rivendicarlo”. In seguito ha accentuato, in positivo e in negativo, il carattere italiano e, direi, romano della sua religiosità. Certo, il tono declamatorio non manca, benché meno accentuato che nel recente passato, però…».


- Concordate con chi considera "Alt" il disco più impegnato di Zero?
Cristian/Daniela: «Diremmo che occorre uscire dall’equivoco di fondo a cui Renato, suo malgrado, ha preso parte durante la presentazione del disco. La stampa nazionale dipinge "Alt" come l’album più impegnato di Zero, quando da 50 anni i suoi dischi raccontano la vita in tutte le sue sfaccettature. Chi sostiene questo non conosce bene il percorso artistico di Zero e lo invitiamo a leggere il nostro libro per rendersene conto!».

- Quali sono i pezzi più riusciti secondo voi?

Cristian: «Le canzoni che secondo me rappresentano meglio l’album sono: "In questo misero show", "La voce che ti do" e "Rivoluzione". Il testo della seconda traccia dell’album è un bel ritratto sulla condizione dell’Arte in un paese che non valorizza le sue eccellenze. "La voce che ti do" è un piccolo capolavoro di testo e musica. Mentre "Rivoluzione" è più incisiva di "Chiedi". È con "Rivoluzione" che Zero stimola i suoi ascoltatori a scendere in piazza a protestare. Nel singolo di lancio scelto, invece, manca il referente principale a cui l’individuo deve chiedere qualcosa e sembra, più che altro, una sequela di luoghi comuni».


Daniela: «Come è accaduto in varie occasioni i singoli di lancio non si sono rivelati i migliori dell’album (a mo’ di esempio ricordo "A braccia aperte", che non si poteva certo considerare il brano più incisivo d’un disco potente come "Cattura"). Io pure ho apprezzato "In questo misero show" fin dal primo ascolto. Senza dubbio quella più elaborata e impegnativa resta "La voce che ti do" e, visto che si è accennato alle assoluzioni, non disprezzo nemmeno "Gesù" almeno a livello d’intuizione: l’idea suggerita da Renato, di questo Cristo che in fondo rappresenta il nostro anelito a una maggiore umanità, non sarà originalissima ma in questo periodo è utile. Ma, almeno finora, in cima alla mia personale classifica si trova "La lista", e non tanto per le spiegazioni fornite da lui; ma perché è vicina alle sue corde e perché da essa emerge un Renato “vecchio”. Sotto certi aspetti potrebbe essere un "Tragico samba" quarant’anni dopo. Ho l’impressione che soprattutto un brano simile rispecchi una realtà da lui conosciuta pienamente. E mi piace sia “vecchio” – non invecchiato – perché questo è il suo mondo oggi. Renato ha cantato la terza età quando ancora vi era ben lontano; adesso, in epoca di giovanilismi a tutti i costi (mentre, fra l’altro, la popolazione incanutisce sempre più) è salutare mostrarsi coi propri acciacchi e rughe, senza vergognarsene».

- Come giudicate suoni e tematiche?


Cristian: «I suoni sono in linea con un disco che ha il compito di far riflettere l’ascoltatore. Suoni delicati e per certi aspetti meditativi. Le tematiche come accennavo prima sono in prevalenza di derivazione spirituale e predomina l’indignazione per una contemporaneità sempre più edonista e indifferente ai mali del mondo».

Daniela: «Io ho sempre preferito l’essenzialità e i suoni crudi, quindi l’eccesso d’ariosità e d’archi era molto lontano dal mio sentire. Renato era potenzialmente un Frank Zappa ma ha optato molto presto per il pop, e un certo pop. In questo disco però si avverte la necessità di “asciugarsi”, la miscellanea di più stili non è ridondante e ciò è senza dubbio positivo».

Engy Arlotta
AlzoZero aprile 2016

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