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16.6.25

DIArio di bordo n 128 anno III Lui non insegna calcio, insegna vita. il caso di Silvio baldini ., “Dopo l’amputazione sono rinato grazie allo sport, ma ora lo Stato mi ha abbandonato”: la storia di Massimo castellani., «Il judo mi mantiene giovane» A 94 anni Pietro Corona continua a essere un esempio per sportività, stile e classe ., Andrea Cadelano, un sardo a Miami tra business, sogni e solidarietà.,Ballerina italiana ferita durante un'esplosione di Parigi, dopo 6 anni la rinascita di Angela

 fonti  cronache  della  sardegna  msn.it    e  unione  sarda 

Lui non insegna calcio, insegna vita.
È nato povero. I suoi sono valori trasmessi da genitori che sono stati umili operai e dai nonni che hanno vissuto la guerra.
Quando non allena si rifugia in montagna, gli piace fare il pastore e andare a caccia di pernici.
È un uomo che ha commesso degli errori ma che poi ha saputo rimediare ed imparare dagli stessi.
Come quella volta che tirò quel famoso calcio nel sedere a Domenico Di Carlo. Un gesto che gli è costato tanto, a tal punto, da restare senza panchina per sei lunghi anni.
È rientrato nel calcio accettando di allenare gratis la Carrarese, senza pretendere nemmeno i rimborsi spese.
L'ultima volta che ha fatto qualcosa per denaro è stato nel 2004 quando Zamparini gli ha offerto per la panchina del Palermo un milione di euro l'anno per tre stagioni. Un'esperienza finita malissimo: da quel momento si è promesso di non fare più niente se spinto solo dai soldi.È un uomo schietto, onesto, sincero e mai banale.È uno dei pochissimi che davanti ai microfoni dice ciò che pensa, senza leggere un copione come fanno quasi tutti i suoi colleghi.È uno che nel bene o nel male ha portato sempre avanti con coraggio le sue idee.È un uomo dall'anima feroce ma che si commuove facilmente perché ha un cuore enorme in petto.Per lui la famiglia è sacra: ama tremendamente la moglie Paola e suoi tre figli, la prima delle quali, Valentina, disabile.È un uomo di fede e cerca di trasmetterla anche ai suoi calciatori per condividere l'esperienza dell'amore, della fatica, della vittoria e della sconfitta.È un allenatore preparato, delle volte sottovalutato.Chi lo conosce bene lo definisce un genio.Ha promosso e salvato l'Empoli in Serie A.Ha promosso il Palermo in Serie B.E proprio ieri sera, ha riportato il Pescara in Serie B, dopo 4 anni di purgatorio.Il calcio dovrebbe essere pieno di gente come te, sarebbe sicuramente un mondo migliore.Complimenti Silvio Baldini...
👏🏻❤️
Testo e foto di Calcio totale.

Lo sport salva la vita. Lo sanno  bene 

Massimo Castellani, 50 anni, che da quando nel gennaio 2024 ha subito l'amputazione della gamba destra ha sperimentato una lunga fase di depressione. A convincerlo a uscire di casa dopo molti mesi di solitudine è stato proprio lo sport al quale si è dedicato grazie al supporto delle associazioni della sua Rimini.
Praticare tiro con l'arco, scherma e tiro al piattello gli ha ridato la voglia di lottare per una vita che non sentiva più sua, e conoscere compagni di corso e istruttori lo ha convinto a uscire fuori dalla sua stanza
per mettersi ancora in gioco. Ora però anche questa speranza sembra destinata a spegnersi, come racconta al portale Fanpage.it : "Da quando tutti gli amici si sono dileguati mi sono isolato, ma da quando lo sport ha cominciato a fare parte della mia vita tutto è cambiato. Il problema è che le attrezzature per le persone con disabilità come me sono spesso molto diverse dalle altre e acquistarle in maniera autonoma è praticamente impossibile a causa del costo".
Castellani ha quindi rivolto via mail un appello al ministro dello Sport, Andrea Abodi, e alla senatrice e atleta paralimpica Giusy Versace. "Ho scritto a entrambi ma per il momento la situazione non è cambiata, sento di non avere speranze".
L'appello di Castellani: "Con lo sport ho ritrovato la voglia di vivere, non fatemi smettere"
Dopo l'amputazione della gamba avvenuta l'anno scorso a seguito di una malattia, per Castellani è iniziato un lungo periodo di isolamento, come ammette lui stesso: "Tra luglio e novembre ho passato un periodo di buio totale. Non uscivo mai a causa degli attacchi di panico. Ogni giorno era uguale all'altro". Poi, pian piano, attraverso i benefici ottenuti con la fisioterapia, in lui si è acceso qualcosa e ha iniziato a contattare le associazioni e i circoli sportivi della sua regione.
Da ex atleta di livello agonistico, Castellani aveva già un'idea di come muoversi in questo mondo, e nel momento più buio della sua depressione si è rivolto al comitato paralimpico. Gli organizzatori gli hanno messo a disposizioni i loro contatti e lui è riuscito a entrare all'interno dei gruppi presenti sul suo territorio. Da quel momento la sua vita è cambiata: "Ho trovato un motivo per uscire di casa".
Castellani dopo una serie di mail e telefonate a vuoto tra Roma e Rimini finalmente ha incontrato le persone che lo hanno fatto uscire da casa: "L'allenatore di tiro con l'arco mi viene a prendere tutti i giorni per gli allenamenti e poi mi riporta a casa. Abbiamo partecipato anche al Rimini Wellness ed è stata una esperienza bellissima. Lo è stata ancora di più perché l'ho vissuta con altre persone con le quali ho socializzato. Per me che amo lo sport e ho sempre fatto agonismo sento di riuscire a respirare di nuovo. Prima preferivo gli sport di contatto, ma quando hai l'arco tra le mani devi essere concentrato, se non sei lì con la testa non puoi fare nulla, e questo mi ha fatto bene".
Oltre al tiro con l'arco, Castellani ha iniziato a praticare anche la scherma, ottenendo gli stessi benefici: "Siamo diventati subito come una grande famiglia, la sera andiamo a mangiare tutti insieme. Però c'è un problema che riguarda le attrezzature e non sono il solo a viverlo".
I costi per le attrezzature adatte alle persone con disabilità sono spesso proibitivi e Castellani ha pensato di rivolgersi alle istituzioni, dalle quali, però non ha trovato il riscontro che voleva: "Mi sento preso in giro. Leggo di fondi regionali e nazionali ma al momento di ottenere informazioni concrete spariscono tutti".
"Scarsa informazione e difficoltà di accesso ai fondi"
Castellani ha quindi scritto al ministro dello sport Andrea Abodi e poi alla senatrice Giusy Versace, oggi tra le fila di Azione. Con una mail firmata dalla segreteria di Versace, è stato spiegato a Castellani che i fondi esistono, e che un emendamento della senatrice alla Legge di Bilancio ha destinato 3 milioni di euro in tre anni (dal 2025 al 2027) per protesi e ausili funzionali allo sport. La mail invita quindi a "verificare sul sito della sua regione se è stato già pubblicato un bando al quale può accedere".
Una risposta che non aiuta Castellani, il quale aveva contattato direttamente la senatrice proprio a causa della scarsità di informazioni reperite in Rete: "Mi sento preso in giro io, ma dovrebbero sentirsi presi in giro anche i politici che creano questi fondi di cui poi spariscono tutte le notizie. Penso alle persone che non sono fortunate come me, che non hanno un allenatore che va a prenderli e che li aiuta. Come fanno le persone sole se lo Stato non c'è?".
Anche nel caso del ministro Abodi ha risposto la segreteria e il 22 maggio, il giorno dopo l'invio della mail, Castellani ha ricevuto una telefonata con numerose rassicurazioni. Da allora però è tutto fermo, e nessun ente locale, ad esclusione della Provincia, ha mai fornito informazioni o riscontro.
Eppure, la stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni conosce bene il valore dello sport, come ha dichiarato lei stessa nel corso il comizio ad Ancona in occasione della campagna elettorale per le politiche del 2022: "Da ragazzina ero obesa sono stata e sono stata anche bullizzata […] Mi ha salvato lo sport, perché lo sport salva un sacco di gente". Il valore salvifico dello sport, soprattutto per le persone che vivono in contesti di marginalità sociale, non è aneddotico, ma reale.
La psicologa: "Depressione ancora sottovalutata in Italia"
"L'attività fisica agisce sul nostro benessere su più livelli: stimola la produzione di endorfine e serotonina, sostanze che ci aiutano a regolare l'umore, e migliorano e abbassano gli ormoni dello stress come il cortisolo. Inoltre, lo sport favorisce l'autostima e l'autodeterminazione, e crea situazioni di socializzazione molto importanti per chi sta affrontando un momento di difficoltà", spiega la psicologa psicoterapeuta Ilaria Falchi.
Oggi sappiamo che esiste un rapporto tra depressione e il sopraggiungere di una disabilità: "La depressione è collegata a una diminuzione di risorse di cui la persona può usufruire per affrontare il futuro. Si sperimenta la mancanza di ascolto e prospettive, la indisponibilità dell'altro, il voler fare qualcosa e non riuscire, e quindi l'isolamento sociale. Ovviamente non è così per tutti, molto cambia dal tipo di disabilità e dalla sua manifestazione".
Nel caso di persone che iniziano a vivere con una disabilità in età adulta si crea una vera frattura tra il prima e il dopo, come rileva la psicologa: "L'adulto è chiamato a riadattarsi e a trovare strategie compensative a livello fisico ma anche mentale. Si tratta di un'elaborazione simile a quella del lutto perché si è costretti a ripensare a com'era la vita prima rispetto a quella che si vive dopo. Mentre i bambini hanno una capacità velocissima di riadattamento, tale da non influire sempre sul loro stato emotivo, per gli adulti è diverso perché hanno tutta una serie di sovrastrutture, ambizioni e progetti che vengono messi a dura prova nel momento in cui le condizioni di vita cambiano profondamente".
Secondo i dati condivisi da Falchi, più del 30% delle persone con disabilità accusa sintomi depressivi o ansiosi, eppure si tratta di una condizione ancora largamente sottovalutata in tutta la popolazione: "Si fa molta fatica a riconoscerla come una malattia e a trattarla. Ci vogliono molte risorse anche per aiutare una persona a vedere che qualcosa non va e nel nostro Paese purtroppo la salute mentale non è una priorità. Ciò rende molto difficile l'accesso alle cure".



e Pietro Corona di 94 anni  che  continua  con il judo a essere un esempio per sportività, stile e classe



Tutti i giorni indossa pantaloni e giacca da judo, li chiude con la sua cintura bianca e rossa, quella che spetta ai settimo dan, e insegna questo sport ai bambini nella sua palestra a Genneruxi a Cagliari. A 94 anni Pietro Corona continua a essere un esempio per sportività, stile e classe. «Per me il judo è stato la vita, mi ha fatto girare il mondo, mi ha dato tantissime soddisfazioni attraverso non soltanto i risultati che ho ottenuto personalmente, ma soprattutto per i traguardi conseguiti dai miei allievi e dalle mie allieve, che in tanti casi ho aiutato poi ad aprire le loro palestre. Questo per me è lo sport, l’insegnamento che ogni buon istruttore deve dare».

Pietro Corona con la cintura che spetta a chi ha ottenuto il settimo dan (foto p. c.)
Pietro Corona con la cintura che spetta a chi ha ottenuto il settimo dan (foto p. c.)

Pietro Corona è cagliaritano doc, figlio di un impresario edile di quelli tutti d’un pezzo. «Sono nato nel 1931, in seconda media venni rimandato e mio padre mi fece lavorare tutta l’estate come muratore. E si raccomandava al capo cantiere: nessun favoritismo, è mio figlio ma in questo lavoro è l’ultimo, devo solo imparare e obbedire». E così ha fatto: maestro Corona non è mai rimasto con le mani in mano, dopo la scuola ha fatto mille lavori e ha sempre praticato lo spot. «Giocavo a calcio, nella Gennargentu Pacini. Nel 1957 passavo per caso in via Verdi a Cagliari e vidi entrare in una palestra un gruppo di ragazzi vestiti di bianco. Rimasi letteralmente ammaliato da quella visione, li seguii, riuscii a seguire un loro allenamento. Il loro istruttore era Leonardo Siazzu, rimasi così colpito da quello sport che cominciai a frequentare quella palestra, quel gruppo di atleti. Soltanto cinque anni dopo disputai il campionato sardo, il primo organizzato nell’isola: la nostra società contro la Torres di Sassari, in una palestra all’angolo tra via Sonnino e via Grazia Deledda a Cagliari».

Foto di gruppo dei primi appassionati di judo cagliaritani (foto p. c.)
Foto di gruppo dei primi appassionati di judo cagliaritani (foto p. c.)

Pietro Corona ha cominciato tardi con il judo, ma ha subito dimostrato il suo valore e ha cominciato a ottenere importanti successi. «Ma i risultati più importanti poi li ho avuti da veterano, nella categoria master, dopo che sono andato in pensione: sono diventato campione del mondo nella categoria 66 chilogrammi, ho battuto anche alcuni maestri giapponesi. Una grandissima soddisfazione».L’insegnamento del judo è stato importante per la sua vita: «Ho cominciato in un locale di 50 metri quadri in via Giardini, ma subito grazie al passaparola sono venuti a me tantissimi bambini e giovani, così dopo qualche anno ho dovuto cercare uno spazio più grande, e l’ho trovato qui, a Genneruxi, dove ho aperto la palestra dal 1973». Judo non a tempo pieno, ovviamente. «Ero dipendente del Comune di Cagliari, ho sempre lavorato nel settore dei mercati sino a quando sono diventato direttore di quello di via Quirra: ancora oggi ho un bellissimo rapporto con tante persone che lavorano ancora nella zona di Is Mirrionis, ho sempre cercato di risolvere i problemi per il bene di tutti, spero di aver lasciato un buon ricordo anche negli uffici comunali».

Pietro Corona a 94 anni con alcun idei trofei vinti nella sua carriera (foto p. c.)
Pietro Corona a 94 anni con alcun idei trofei vinti nella sua carriera (foto p. c.)

Ancora oggi Pietro Corona mantiene il suo peso forma: «Mi sono pesato anche oggi: 66 chili spaccati. Quando sono alto? Non lo so, credo 1,68». In palestra ancora oggi dimostra tutti gli schemi dello judo ai suoi allievi. «Evito soltanto alcune cadute, ma non tutte» sorride.
Il segreto per una longevità che è anche sportiva? Corona comincia dalla dieta: «Uova, caffè e frutta a colazione, pasta e pesce a pranzo, pesce e verdure a cena. Niente dolci, niente alcol». E poi lo sport: «Ogni giorno faccio qualcosa, mi tengo in forma, sono ancora di fare piegamenti sulle braccia e sulle gambe, fondamentali per un sport come lo judo».E così che il suo palmares è davvero invidiabile per chiunque abbia praticato sport a livello agonistico: oltre a essere maestro benemerito di judo, Pietro Corona è settimo dan di judo, ha vinto la medaglia d’oro ai mondiali master di San Paolo in Brasile nel 2007 , lo stesso anno in cui gli è stata conferita la stella d’oro al merito sportivo del Coni. Riconoscimento che onora ogni giorno quando indossa pantaloni e giacca da judo, all’età di 94 anni, nella sua palestra di Genneruxi a Cagliari

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Andrea Cadelano, un sardo a Miami tra business, sogni e solidarietà
Partito da Cagliari si è stabilizzato in Florida, con delle “fughe” in Kenya per aiutare i villaggi senza acqua potabile


Al centro Andrea Cadelano dopo aver ripulito con un gruppo di amici le spiagge di Miami


In valigia, Andrea Cadelano aveva solo sei mesi. Il tempo per imparare l’inglese, «fare un’esperienza», guardare il mondo da un’altra angolazione. Ma come spesso accade ai viaggi più autentici, la meta si è trasformata in casa.
Andrea è partito da Cagliari con il desiderio di misurarsi con qualcosa di più grande, di nuovo. Ma non ha portato solo ambizione e competenze: con sé ha portato anche uno spirito profondo di appartenenza e un senso del dovere che ha radici nei valori della sua terra.
Così, mentre a Miami costruiva un’azienda solida e innovativa, metteva anche le basi per iniziative

di solidarietà che oggi toccano gli Stati Uniti e arrivano fino all’Africa.
«Ho lasciato la Sardegna non perché non la amassi, anzi, le mie radici sono profondamente legate a
quell’Isola meravigliosa, ma perché sentivo il bisogno di mettermi alla prova in un contesto nuovo, dove poter crescere professionalmente e realizzare alcuni progetti che lì, purtroppo, erano difficili da sviluppare».
A segnare quel punto di svolta anche un evento personale doloroso: la perdita del padre. Un vuoto che Andrea ha trasformato in forza propulsiva. L’idea iniziale di un soggiorno breve si è allungata fino a diventare una nuova vita, fatta di lavoro, responsabilità e anche tanto altruismo.
«Sono partito con l’idea di restare sei mesi – racconta – per migliorare l’inglese e fare un’esperienza all’estero. Avevo un visto studentesco valido per cinque anni e, quasi senza accorgermene, ho finito per costruire una nuova vita qui».
Prima della svolta americana, Andrea aveva già tracciato un percorso professionale importante in Sardegna: dalla finanza ai media, collaborando con testate e realtà come Sardegna 1, Videolina, Radiolina, L’Unione Sarda e i portali del gruppo PBM. Un’esperienza che ha mescolato comunicazione, creatività e impegno civico.
«È stato un periodo intenso e creativo – ricorda – che mi ha lasciato tanto a livello umano e professionale».
Il volo verso gli Stati Uniti parte grazie a un suggerimento arrivato quasi per caso, da un’insegnante di inglese. Tra le ipotesi sul tavolo, Londra, New York e San Francisco. Poi la scelta di Miami, dove il clima favorevole e le condizioni economiche più accessibili lo convincono.
«La Florida, rispetto ad altri Stati americani, offre anche numerose agevolazioni fiscali e incentivi finanziari per le nuove imprese: un elemento fondamentale per chi, come me, desiderava costruire qualcosa da zero».
Quel “qualcosa” è oggi un’impresa specializzata in servizi ambientali, sanificazione e sicurezza. Ma il giovane cagliaritano non si è fermato alla logica del profitto.
Nei momenti più duri della pandemia ha messo gratuitamente a disposizione i suoi mezzi per aiutare la comunità, disinfettando ambienti pubblici, partecipando a iniziative per pazienti oncologici e fondando una charity – Victor Water for Life – che ha già portato acqua potabile in dieci villaggi del Kenya.
«Credo profondamente nel restituire qualcosa – spiega – . Sono partito da solo, senza conoscere nessuno, ma oggi sento il dovere di aiutare chi è in difficoltà, così come io stesso sono stato aiutato nei momenti più duri».
C’è però qualcosa che Miami non potrà mai dargli. Lo si intuisce quando parla dei ricordi, dei profumi della macchia mediterranea, di certe albe sarde che non si dimenticano.
«Gli affetti, prima di tutto. La mia famiglia, i miei amici, i miei nipoti. E poi gli odori, i sapori, la luce del sole. Non si dimenticano mai».
Per Andrea Cadelano la Sardegna non è mai davvero distante. Non solo perché ci torna ogni volta che può, ma perché ogni gesto – imprenditoriale o umanitario – ha la forma di chi parte da lontano, senza mai tagliare il filo.
«Sì, torno. Almeno per le vacanze. Ma intanto continuo a costruire, a lavorare, a dare il mio contributo qui. Perché, anche lontano, un pezzo di Sardegna resta sempre con me».


Ballerina italiana ferita durante un'esplosione di Parigi, dopo 6 anni la rinascita di Angela




(Adnkronos) - "Dopo sei anni di inferno, dieci operazioni complicate e altrettante anestesie, posso finalmente dire che è finita. E non ho dovuto amputare la mia gamba. Oggi sono davvero felice. Il prossimo passo sarà adesso il processo. Intanto, mi voglio godere questo momento, dopo tanti mesi, anni, di angoscia...". Ha gli occhi che brillano, Angela Grignano, 30 anni, la giovane trapanese che la

mattina del 12 gennaio 2019, rimase gravemente ferita nella tragica esplosione avvenuta in Rue de Trévise, a Parigi, che causò 4 morti e centinaia di feriti tra i quali anche lei, che ha visto distrutto il suo futuro nella danza. Ha rischiato l'amputazione della gamba sinistra, ma grazie all'intuizione di un chirurgo e ad un complesso intervento è riuscita a salvare la gamba e la vita, anche se il sogno di un futuro da ballerina a Parigi si è infranto.
"Negli ultimi tre anni, dopo l'ennesimo intervento chirurgico, il piede era peggiorato molto. Tendeva a torcersi verso l'interno. Era una postura dolorosa, difficile, anche realizzare le scarpe ortopediche era molto complicato. Non riuscivo più a camminare. Era davvero molto doloroso. Il piede non aveva la possibilità di essere mantenuto adeguatamente. La situazione era peggiorata l punto che non riuscivo più a camminare. Negli ultimi mesi avevo anche ripreso la sedia a rotelle, quando dovevo fare tratti un po' più lunghi", racconta all'Adnkronos Angela, visibilmente commossa.
"Mi sono rivolta a diversi medici ortopedici. Il Covid, poi, non mi aveva permesso di fare visite e altri interventi, nonostante sia andata a Londra, Milano, e in altri posti. Ho visto almeno dieci chirurghi. Erano sbalorditi per il lavoro fatto dai chirurghi francesi, ma quando chiedevo questo intervento avevano paura, perché c'era il rischio di amputazione. Quando vedevo gli altri con le protesi, pensavo 'Se va bene abbiamo superato un altro limite, se va male metto la protesi. Ormai ti danno una buona qualità di vita. Meglio che camminare con il dolore". Poi, la svolta.
"Alla fine ho conosciuto un chirurgo francese che mi ha parlato della ipotesi di artrodesi, cioè il blocco definitivo e permanente della caviglia", racconta ancora Angela Grignano. L'artodresi è un intervento chirurgico che trasforma un'articolazione mobile in una rigida, fissando le ossa che la compongono. Questa procedura, conosciuta anche come anchilosi chirurgica o fusione articolare, può essere eseguita su diverse articolazioni del corpo, come il ginocchio, la colonna vertebrale, il piede, come nel caso di Angela. "Da ex ballerina sentirmi dire di avere la caviglia totalmente bloccata, un po' mi spaventava- continua Angela- Alla fine ho deciso di fare l'intervento. Almeno poteva essere il penultimo passaggio, prima dell'amputazione. Ad agosto 2024 sono tornata a Parigi con la previsione di due interventi. A settembre mi hanno tolto la placca che avevo nella gamba. Ma siccome si è ben consolidato, mi hanno detto è inutile tenerla. E a novembre sono stata operata per artrodesi. Hanno dovuto forzare parecchio la caviglia per rimetterla in asse. L'intervento è durato diverse ore. E ho tenuto il gesso per quasi tre mesi"
"Il chirurgo mi aveva avvertito: 'La situazione migliorerà, ma dovrai tenere scarpe ortopediche perché ci possono essere differenza e di altezza tra le due gambe'. Ringrazio sempre mia madre e gli amici perché il Comune di Parigi se n'è lavato la mani. A gennaio quando abbiamo tolto il gesso ci siamo commossi perché abbiamo capito che la gamba aveva recuperato, tanto da permettermi di camminare. L'ortopedico mi ha detto che è andata meglio di come immaginavamo. E' andata meglio di quanto immaginassi". "Ho cercato di rimettermi in sesto, ho comprato le prime scarpe normale, da ginnastica, cammino senza stampelle ed è incredibile. E' migliorata la posizione della schiena, anche loro sono rimasti".
"Se fosse andata male sarei stata costretta a fare l'amputazione. Adesso finalmente riesco a camminare quasi normalmente. Posare tutto il piede per terra è stata una sensazione incredibile, Camminare scalza per casa è stata quasi commovente- dice - La sensazione più bella è vedere gli altri felici per me. Mi sono rasserenata, non avere il dolore forte come prima è un'altra storia. Prima era una coltellata a ogni passo. Prima contavo i passi, perché ogni passo era un dolore. Oggi riesco a modulare anche la velocità del mio passo. Da sei anni il mio desiderio era quello di potere camminare bene".
Ma ora arriva la nota dolente: il risarcimento. A distanza di sei anni ancora non si è celebrato il processo. "A Parigi hanno detto che il processo poteva essere fatto a febbraio 2026. A quanto pare il Comune di Parigi ha chiesto di potere spostare le date e hanno posticipato all'autunno 2026, dopo le elezioni", racconta. "Sa quale è la verità? Che siamo stati abbandonati, ma continuiamo la nostra battaglia per ottenere giustizia e i risarcimenti adeguati e proseguiamo la lotta per ottenere il riconoscimento del diritto al risarcimento e un adeguato supporto per ricostruire le nostre vite". "La situazione burocratica va molto per le lunghe nonostante il comune di Parigi sia stato dichiarato colpevole di omicidio colposo con la società proprietaria dell'immobile", dice.
"Le assicurazioni sono di una crudeltà inaudita- si sfoga - Volevano pagare un risarcimento da 500 mila euro per una donna morta nell'esplosione, una spagnola. E alla figlia un risarcimento da 10 mila euro. Aveva solo un anno quando è morta la sua mamma...". E conclude: "Non mi fermerò mai. Voglio ottenere giustizia. E la otterrò". (di Elvira Terranova)

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...