da la nuova sardegna del 25\9\2022
In quella che a tutti può
sembrare una pietra insignificante, lui ci vede del
preziosissimo materiale
per scolpire le sue creature, a
volte fantastiche, a volte ispirate alla natura. E da quei detriti di legno che il mare quotidianamente gli deposita
sulla spiaggia sotto casa, lui
riesce a realizzare opere stupefacenti. Così come fa plasmando con mazzetta e scalpello una gigantesca radice
di olivastro recuperata per
caso in campagna. Per esempio “L’esaltazione del creato”, capolavoro realizzato appositamente per il Giubileo
del Duemila, dal quale prendono corpo, oltre a San Francesco, ben trentacinque animali: dal lupo ai cinghiali,
dal serpente ai colombi. Sculture capaci di impressionare
molti critici d’arte, ma che
non hanno mai cambiato la personalità umile e gentile
del loro autore, Enrico Mereu, 63 anni, ormai noto come “Lo scultore dell’Asinara”, visto che da tempo è l’unico abitante dell’isola. Un paradiso che non ha più lasciato dal gennaio del 1980, quando vi si trasferì, a dirla tutta senza troppo entusiasmo, per fare l’agente di polizia penitenziaria. «Fu mio padre, quando ero pronto a partire per la leva militare, a convincermi a fare quel mestiere – racconta Mereu –, in fondo nella nostra numerosa famiglia uno stipendio fisso contava moltissimo. Ma pur avendo svolto il mio lavoro con estremo zelo, non mi sono mai appassionato, anzi. Poi, certo, all’Asinara mi è capitato anche di conoscere persone eccezionali come Falcone e Borselllino, che negli anni Ottanta passarono alcuni mesi sull’isola per istruire il maxiprocesso contro la mafia.
Ma il carcere è un ambiente triste sia per i detenuti sia per le guardie».
E poi Enrico, sin da bambino – cioè da quando viveva a
Nurri, paese al confine tra
Barbagia e Ogliastra – aveva
mostrato attitudini artistiche non comuni. «Avrò avuto al massimo sei anni – rivela lui stesso – e ricordo che
per tre giorni mi presi una
brutta influenza con febbre
così alta che durante la notte
avevo quasi delle allucinazioni: vedevo creature mostruose, animali, cose del genere.
Fatto sta che una volta guarito mi venne voglia di riprodurre quelle visioni tanto
particolari plasmando la creta o scolpendo le pietre. Diciamo che avevo questa dote: guardavo le pietre o il legno e nella mia mente mi appariva l’opera già finita. Furono i miei fratelli maggiori a
procurarmi i materiali per
muovere i primi passi da artista».
I riconoscimenti e le prime
soddisfazioni non tardarono
ad arrivare. «Alle scuole medie – continua Enrico – un insegnante rimase incredulo
davanti ad alcuni miei lavori
e per sincerarsi che era tutta
farina del mio sacco mi chiese di realizzarne uno durante la lezione. Ricordo ancora
il suo stupore. Ma la vera svolta ci fu quando un professore acquistò una mia scultura
in pietra che raffigurava un’aquila reale. Me la pagò la bellezza di 25mila lire, all’epoca
una cifra considerevole. Tanto che davanti a tutti quei soldi persino mio padre, che da
ufficiale giudiziario guadagnava 23mila al mese e che
francamente non aveva mai
visto di buon occhio la mia
passione per la scultura, cominciò pian piano a cambiare idea e a puntare sul mio talento. Da un giorno all’altro
iniziò a portarmi davanti a
grandi pietre e a chiedermi:
“Enri’, che cosa vedi? Ajò,
dimmi che cosa vedi dentro
questa pietra? “E io a rispondergli: “Babbo, ma così a comando non ce la faccio, deve
essere una cosa spontanea».
Negli ultimi anni Enrico
Mereu ha allestito molte mostre personali e numerose sono le sue presenze a esposizioni collettive o a simposi,
così come molteplici sono i
riconoscimenti e i premi ricevuti. Le sue opere sono diventate parte di collezioni di
grande prestigio, sia pubbliche che private, tanto che tra
i luoghi che le ospitano ci sono il Quirinale, il Palazzo della Provincia di Sassari, il Palazzo Reale all’Asinara e nelle piazze principali di numerosi paesi.
Tutto fatto senza mai lasciare l’Asinara. «Ormai non
potrei più andarmene – rivela – e anche d’inverno quando si svuota dei visitatori, riesco ad apprezzarne la bellezza, con gli animali che si avvicinano a casa. La solitudine
è dura, ma a me piace»
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