22.3.23

Cosa distingue un discorso di odio da un’espressione di dissenso ?

Il primo ha per bersaglio l’esistenza di una persona o di una categoria. Il dissenso si rivolge a parole e azioni messe in essere da chicchessia contro i diritti di qualcun altro.  (  vedere  il mio  post   sulla  vicenda    di  Lucia  Annunziata   ) 

 Di solito questa rubrica parla di persone, perché raccontare le storie singole 

o collettive  è spesso il modo più efficace per restituire la complessità in cui viviamo e mostrare che le sue potenzialità sono alla portata di chiunque. Stavolta non sarà così, perché non conosco nessuno che vorrebbe essere raccontato nella cornice dell’odio o    se    ci  e  caduto (  come  spesso capita  anche  al  sottoscritto  )   tende  a  giustificarsi   ed  a  sminuirlo   . Avete letto bene: ho detto proprio odio. C’è un’espressione ricorrente sui giornali e nel dibattito pubblico di questi anni: è hate speech, cioè discorso d’odio, un modo di dire che sembra applicarsi a qualunque situazione in cui una persona si esprime in modo forte contro qualcosa o qualcuno. La legittimità del discorso d’odio sfiora un principio del nostro sistema giuridico che abbiamo considerato sempre inalienabile: in Italia non esiste il reato d’opinione, neanche se l’opinione è di odio. Mi si dice più volte   via  email  o nei  commenti  su  facebook   che l’apologia di fascismo è un reato di opinione e in teoria è vero, ma il principio della libertà di opinione è talmente più forte che nei tribunali le sentenze di condanna in merito sono praticamente inesistenti, anche in casi come le braccia tese agli anniversari dei caduti di Salò o la vendita di gadget inneggianti al Duce, per citare solo due degli episodi di assoluzione più eclatanti degli ultimi anni.Se dal lato giudiziario far certificare un discorso di odio come reato è difficilissimo, nel dibattito pubblico ed  mediatico  succede l’opposto: qualunque espressione di dissenso viene definita molto facilmente discorso di odio e chi pratica dissenso per mestiere – primi tra tutti gli intellettuali e i giornalisti d’opinione – viene fatto rientrare con grande facilità nella categoria degli odiatori di professione. Ma che come  fare   a  distinguere un discorso di odio da un’espressione di dissenso? In realtà   se  ci si  pensa  bene  non è affatto difficile: il discorso di odio ha per bersaglio l’esistenza stessa di una persona o di una categoria di persone. Odiare gli ebrei in quanto ebrei è un’opinione di odio, così come lo è odiare le persone omosessuali, quelle di altre etnie, le donne in quanto tali, i praticanti di questa o quella religione e, in generale, chiunque rientri nella categoria del diverso da me. Intendiamoci: non è reato odiare una di queste categorie. Ciascuno è libero di odiare chi gli pare. L’odio è un sentimento umano normale esattamente come tutti gli altri. Diffiderei di chi mi dice «io non ho mai odiato niente o  nessuno  », perché :  l'odio  come   l'amore  fanno  parte  dei nostri  sentimenti . Infatti   caratteristica fondamentale dei discorsi d’odio è infatti che essi sono pericolosi. Oltre a ferire le persone contro cui sono diretti, fungono da valvola di sfogo per pulsioni antisociali che possono dilagare. Anche se tutelare la libertà di esprimere dissenso, disagio e malcontento rimane cruciale.
I discorsi d’odio limitano la libertà di espressione delle vittime. Infatti  l’hate speech va inteso come più di una semplice contrapposizione tra due diritti – il diritto di libera espressione da un lato e quello alla dignità dall’altro. Esso può essere più efficacemente compreso come uno stesso diritto, esercitato da due soggetti, la cui espressione in uno può limitare l’altro. Difatti l’odio calpesta la libertà di espressione della vittima, sino anche a impedirle di denunciare il reato subito, per vergogna, timore, paura di non incontrare supporto – come dimostrato anche dal fenomeno dell’under-reporting, ovvero il fatto che i reati denunciati sono di entità nettamente inferiore rispetto a quelli compiuti.
L’odio online e le sue peculiarità
Il documento si sofferma anche sulle modalità di diffusione dell’odio, e in particolare su quelle digitali – anche se è importante sottolineare che l’hate speech è caratteristico anche dei media tradizionali.I discorsi d’odio online hanno caratteristiche peculiari. E  poi  online, l’odio rimane attivo più a lungo, si presenta in diversi formati ed è facilitato dalla generale percezione di anonimato e impunità. Inoltre è transnazionale, il che rende più complesso individuare i meccanismi legali idonei per combatterlo. Gli algoritmi poi distorcono ulteriormente le notizie, creando dei veri e propri filtri cognitivi. Oltre al fatto che la comunicazione digitale è più veloce, e che genera effetti a catena.
A questo si aggiunge il fatto che le piattaforme esercitano ormai un enorme potere che non è solo sociale, ma anche economico, politico e tecnologico. Sono capaci di orientare il dibattito pubblico, come fossero un organo politico. Ecco    che   sta       noi  decidere  se    alimentarlo    o  stroncarlo  sul  nascere   insomma  contrastarlo

  • Informarci  sui fatti e sui dati riguardanti il tema in questione
  • Diffondere informazioni corrette e verificabili
  • Evitare di condividere notizie false o non verificate
  • Utilizzare un linguaggio rispettoso e non offensivo
  • Evitare di generalizzare o stereotipare le persone appartenenti a una determinata categoria
  • Promuovere la diversità e l’inclusione

oppure   come     ho più volte  suggerito in particolare   nel  post   : <<  l'odio conserviamolo per le cose importanti non per le sciochezze e trasformarlo \ incanalo in qualcosa di positivo o non coltivarlo .  [ se  non le  leggete   le  foto   le  trovate qui   e qui   ]>>   Infatti  il mondo è pieno di situazioni odiose e non avere (o più esattamente non riconoscere) le emozioni corrette per reagire a qualcosa di odioso è indice di aridità emotiva o, peggio, di irresponsabilità verso i propri sentimenti. IL  problema sociale dell’odio comincia dopo, quando chi odia  non  riesce  a controllarlo   e  cerca di progettualizzare la sua emozione e diffonderla, al fine di creare delle strutture per trasformarla in azioni lesive verso le categorie odiate. È il passaggio fondamentale per cui quella che senza organizzazione resterebbe una semplice pulsione emotiva  un  atto  individuale      che   diventa un vero e proprio atto politico  e  di massa   . Un esempio  semplice   uomo che odia le donne – diremmo un misogino patologico – è un pericolo potenziale ma se quest’uomo aprisse un forum ,  pagina  social  dove invita a unirsi a lui tutti gli uomini che provano gli stessi sentimenti e insieme stabiliscono azioni lesive contro la categoria odiata, sia  l’evoluzione dell’odio da opinione a reato sarebbe palese. Se qualcuno fondasse un partito che ha come elemento fondante l’odio verso gli omosessuali e come obiettivo politico la creazione di leggi contro la libertà delle persone Lgbt, non sarebbe difficile per nessuno riconoscere il discorso d’odio nei suoi proclami. Poiché però nessuno è (    almeno  che  non  voglio  sconfinare  nell'illegalità   )  fesso, chi progetta il proprio odio non si esprime mai esplicitamente in termini di odio, ma si propone come difensore di un bene differente, presentato come alternativo. Chi odia gli omosessuali dirà che costituisce un partito per proteggere la famiglia tradizionale, per la quale i diritti degli omosessuali sarebbero un pericolo. Chi prova odio xenofobo dirà che sta strutturando un apparato per difendere i diritti degli italiani, messi in discussione dall’esistenza stessa degli stranieri sul territorio nazionale. Chi vuole fare azioni misogine strutturali non scriverà mai in un programma che odia la libertà di scelta delle donne, ma che intende promuovere e sostenere una certa idea di donna, la sola giusta, guarda caso la sua.
Il paradosso è che criticare  e  denunciare queste vere e proprie forme di organizzazione dell’odio viene presentato a sua volta come atto di odio e come tale addirittura portato in tribunale come diffamazione  con  il rischio   d''essere  condannato   , per cui chi osserva il dibattito pubblico da spettatore comune ha l’impressione che tutti odino tutti. Non è così. La critica politica e l’odio non sono la stessa cosa. Che si tratti di un intellettuale (  radical  chic   o meno    )  che si indigna davanti a un bambino morto in mare per la volontà politica di far mancare i soccorsi ai migranti o di tre studenti che tirano vernice lavabile alla facciata del Senato per chiedere attenzione al cambiamento climatico, questo è dissenso , non odio. Occorre riacquisire la capacità di riconoscere quel che è odio verso le persone da quello che è dissenso verso le scelte, specialmente quelle di chi governa. L’odio è un terreno di coltura da tenere sotto controllo    certo  , mentre il dissenso è un bene democratico, perché si rivolge a parole e azioni messe in essere da chicchessia contro i diritti di qualcun altro, soprattutto se chi li compie ha il potere di far diventare questi atti legge dello Stato.

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