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- http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2015/03/gente-che-non-emigra-per-lavorare-ma.html
Iniziamo dalla prima storia che non è altro che la continuazione , vedere secondo url sopra , della precedente . La storia è tratta da http://www.napolitan.it/
Io, precario infelice in Italia e uomo realizzato in Danimarca
di Patrizia Musella /
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30 gennaio, 2015
Ma ai sogni non si è capaci di rinunciare: li vedi calpestati e umiliati, si inizia a essere arrabbiati con il mondo intero, la sfiducia che scava dentro e sentirsi impotenti, per passare i giorni a dirsi di “non mollare che tanto prima o poi qualcosa accadrà“, ma il tempo è spietato e passa, non accade nulla, tranne che vedere quello che ti spetta rubato e solo per agganci giusti, persone giuste.
E tutto il tuo tempo per imparare e che a nessuno interessa.
Emanuele ha 30 anni e un diploma in grafica pubblicitaria. Nel suo paese del profondo sud, lavora in un bar, caffè su caffè, brioches e conti da far quadrare, l’amore che “deve” aspettare, perché non si può.
Sente per caso da un cliente che in Danimarca danno un sussidio di 2mila euro ai disoccupati e pensa di aver versato troppo cognac al cliente, ma è tutto vero, invece. In appena 3 giorni lascia il lavoro, compra il biglietto aereo e dice alla sua ragazza: “Aspettami.” Ma non sarà lei ad aspettare lui; lo farà Emanuele, quando andrà a prenderla in aeroporto, perché ha deciso anche lei di provarci, con pochi soldi, ma insieme, tanto è questo che conta. Hanno lasciato il sole della loro terra e si muovono in bici sotto la pioggia, si aiutano come possono e con il loro inglese scolastico, iniziano a cercare lavoro, vanno a una scuola serale per imparare il danese e fanno piccoli lavoretti a termine.
Pochi mesi dopo, la Danimarca diventa il loro paese e tra le nuvole il sole: lui contratto a tempo indeterminato presso un’agenzia di pubblicità e lei serve cappuccini in un pub che ha il sapore del Natale perché forse Babbo Natale esiste e ha la faccia di una sirenetta che guarda il mare.
Emanuele e il suo amore hanno realizzato un sogno che ha avuto un prezzo alto, ma ci hanno fatto capire che non si può rinunciare ai sogni e che si possono realizzare: non è coraggio…è crederci.
La seconda da www.unionesarda.it
Niente mutuo per gli assunti col Jobs act
Il sogno svanito di una coppia di Cagliari
Una
cronista ha chiesto 100mila euro di mutuo offrendo come garanzia il suo
contratto (con le nuove norme) e quello del compagno con l'articolo 18.
«Siete
sicuri di voler comprare?». L'impiegato della Bnl abbozza un sorriso:
«Entrerete nel mondo delle mucche da mungere». La battuta ha sfumature
minacciose. Il primo tentativo è al Banco di Sardegna. Trentatré anni
lei, cinque in più lui. «Il mutuo regionale fa al caso vostro». Ma il
sogno svanisce in pochi minuti. È necessario avere redditi pregressi,
anzianità, e un garante. La lista infinita di documenti da produrre
finisce in fondo alla borsetta. Assieme al biglietto da visita.
Quattro giorni per bussare alla porta di dieci
istituti di credito - italiani, tedeschi e olandesi - danno lo stesso
risultato: una giovane coppia appena assunta col Jobs act non ha
speranze. A meno che non trovi qualcuno disposto a garantire i suoi
sogni. In questo caso abbastanza modesti: un bivano di ottanta metri
quadri alla periferia di Quartu. Valore d'acquisto 140 mila euro, cento
sono da finanziare.
da http://www.nextquotidiano.it/
ALMAVIVA: COSA HA FATTO IL JOBS ACT AI LAVORATORI DEI CALL CENTER
La storia l’ha raccontata qualche giorno fa il Manifesto: Almaviva chiede ai sindacati di “conseguire l’indispensabile sostenibilità economica delle attività”. Tutto parte dalla commessa appena ottenuta da Almaviva, con riserva, da Wind. La compagnia telefonica concederài l via libera solo se otterrà una tariffa al minuto inferiore del 14% a quella attuale. Per raggiungerla chiede ai 1500 lavoratori interessati di fare la propria parte, altrimenti sarà il loro posto di lavoro a essere messo a rischio.
L’azienda vuole legare i forti sconti ai salari, insomma:
Nel maggior gruppo italiano, che si è impegnato a non spostare lavoro all’estero, i costi dei dipendenti infatti si sono rivelati troppo alti rispetto ai ribassi possibili grazie a Jobs Act/legge di stabilità e alle delocalizzazioni. E, spiega oggi il Fatto, con il Jobs Act la situazione potrebbe sensibilmente…peggiorare:
da http://www.nextquotidiano.it/
ALMAVIVA: COSA HA FATTO IL JOBS ACT AI LAVORATORI DEI CALL CENTER
La storia l’ha raccontata qualche giorno fa il Manifesto: Almaviva chiede ai sindacati di “conseguire l’indispensabile sostenibilità economica delle attività”. Tutto parte dalla commessa appena ottenuta da Almaviva, con riserva, da Wind. La compagnia telefonica concederài l via libera solo se otterrà una tariffa al minuto inferiore del 14% a quella attuale. Per raggiungerla chiede ai 1500 lavoratori interessati di fare la propria parte, altrimenti sarà il loro posto di lavoro a essere messo a rischio.
La comunicazione è arrivata direttamente dall’amministratore delegato di Almaviva, Andrea Antonelli, nell’intranet aziendale: siamo riusciti a ottenere la commessa Wind, quindi ci troviamo nelle condizioni di salvare i 1500 posti a rischio, ma c’è un “ma”. La decisione del colosso telefonico, che proprio in questi giorni sta definendo una fusione con la concorrente 3, è legata a una «riserva»: viene richiesta una tariffa al minuto inferiore del 14% rispetto a quella attuale, e così il gruppo di Alberto Tripi butta la palla nel campo dei sindacati. Si dovrà raggiungere un accordo per «conseguire — parole dell’ad — l’indispensabile sostenibilità economica delle attività», altrimenti non se ne farà nulla. La dead line per chiudere le trattative è fissata per il 31 marzo.
L’azienda vuole legare i forti sconti ai salari, insomma:
In alternativa, Almaviva potrebbe proporre di dimezzare le ore di lavoro, così come in questi giorni sta chiedendo un’altra azienda, la Infocontact, per conservare il posto ai suoi 1590 addetti calabresi. O, ancora, potrebbe accelerare sul pedale degli esuberi, mettendo comunque alcune cuffiette in cassa o addirittura in mobilità, visto che in ogni caso già da due anni i 9 mila dipendenti del gruppo romano stanno in solidarietà al 20% (pari a circa 1800 esuberi strutturali).L’allarme è scattato in tutti quei settori dove si opera per appalti: le aziende al cambio commessa metteranno in esubero i vecchi dipendenti, e potranno assurmerne di nuovi, molto meno costosi, grazie agli incentivi messi a disposizione dal governo con la legge di stabilità. I call center sono più che esposti: secondo la Cgil sono 7 mila i lavoratori ad altissimo rischio di sostituzione nei prossimi mesi, e per il momento purtroppo non si vede nessuna via d’uscita. Il conto è presto fatto: nella sola Almaviva rischia di saltare quasi la metà delle attuali 9 mila postazioni. Spiega Il Manifesto:
«Con il Jobs Act magari si moltiplicheranno le assunzioni, grazie agli incentivi, e il premier Renzi e il ministro Poletti potranno vantarsene — riprende Azzola, della Slc Cgil — ma noi chiediamo al governo che fine faranno gli attuali dipendenti, ritenuti ormai non più “competitivi”. E non parliamo di studenti venticinquenni al primo impiego: sono operatori quarantenni con famiglia, figli e mutui a carico».
Nel maggior gruppo italiano, che si è impegnato a non spostare lavoro all’estero, i costi dei dipendenti infatti si sono rivelati troppo alti rispetto ai ribassi possibili grazie a Jobs Act/legge di stabilità e alle delocalizzazioni. E, spiega oggi il Fatto, con il Jobs Act la situazione potrebbe sensibilmente…peggiorare:
Qui, entra in campo, negativamente, il Jobs Act. “Siamo di fronte a un salto di qualità” spiega al Fatto Michele Azzola, segretario dello Slc-Cgil, perché lo sgravio contributivo fino a 8000 euro l’anno, previsto dalla legge di Stabilità, costituisce un forte incentivo a costituire nuove società e a sostenere gare al ribasso con sconti fino al 30-40% in una categoria in cui l’80% dei costi è dato dal lavoro”. Nuova commessa, nuova società, sgravio contributivo e andata a casa dei vecchi impiegati. Che non sono più i giovani precari dell’immagi – nario cinematografico ma uomini e donne tra i 30-40 anni, sposati e con figli, ormai dediti a un lavoro che vorrebbero stabile. E che, invece, sembra frantumarsi.Tweet riguardo #ioSonoalmaViva
e per finire un altra storia allegra triste ma allegra contemporaneamente che dimostra che nonostante il crescente razzismo o simpatie tali del tipo non son razzista ma .... esistono ancora degli anticorpi che riescono a tenerlo a bada
Il figlio, 7 anni, trova un lavoro al padre rimasto disoccupato
Storia di straordinaria
integrazione a Conegliano, protagonisti due scolari del collegio
Immacolata. Il bambino si confida con l’amico del cuore, il quale chiede
aiuto alla mamma, figlia di un imprenditore
di Diego Bortolotto
CONEGLIANO. Due bambini di sette anni, compagni di scuola in seconda elementare al Collegio Immacolata di Conegliano, Gregorio e Gideon, danno un
esempio di integrazione e trovano un lavoro al papà immigrato, disoccupato da quattro anni.
Gregorio, con la sua innocenza, ha chiesto aiuto alla sua mamma, figlia di un imprenditore di Santa Lucia di Piave: «Possiamo fare qualcosa per il papà del mio amico che è senza lavoro?». Si è così formata una catena di solidarietà, che ha permesso a Patrick Aduhene, quarantenne ghanese papa di Gideon, di trovare occupazione.
Oliviero Spolaor, 76 anni, piccolo imprenditore nel settore delle carni, nonno del piccolo Gregorio, ha dato un’opportunità all’immigrato, prendendolo nella sua azienda. Patrick, residente da anni a Conegliano, con moglie e tre figli, aveva bussato a tante porte ma senza fortuna.
Gregorio, è un bambino intelligente e ha compreso la situazione di disagio vissuta dall’amichetto. Tornato a casa ha domandato a mamma Francesca se potevano aiutarli. Francesca Spolaor è figlia di Oliverio Spolaor, da una vita imprenditore assieme alla moglie Rita, responsabile del settore produzione.
Negli anni Settanta Oliviero e Rita avevano una gastronomia, nel 1989 hanno aperto un’attività di produzione arrosti nella zona industriale di Santa Lucia. Sposati da mezzo secolo sono uniti da sempre anche nel lavoro.
Con le altre figlie Antonella e Giulia, portano avanti la "Capponi&Spolaor", tipico esempio delle piccole realtà imprenditoriali a conduzione familiare che hanno fatto la fortuna del Nordest.
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