Da oggi 16 luglio inizia il rituale celebrativo per il 20° anniversario di Via d'Amelio . Strage \attentato di stampo terroristico-mafioso messo in atto il pomeriggio del 19 luglio 1992 a Palermo in cui persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta. L'agguato segue di due mesi la strage di Capaci, in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone, segnando uno dei momenti più tragici nella lotta alla mafia Da quei pochi ricordi diretti , viste che non vidi subito in diretta come quelle per capaci ( vedere miei post del 22 e 23 maggio che potete trovare qui ) ero a raccogliere bacche di mirto per farne talee con mio padre e mio fratello .
foto ansa |
Dai quei pochi ricordi dell'epoca, aveva 16 anni,fu un attentato di stampo
terroristico-mafioso messo in atto il pomeriggio del 19 luglio 1992 a Palermo in cui persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta : 1) Agostino Catalano il capo scorta ., 2) Emanuela Loi prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio, Vincenzo Li Muli,Walter Eddie Cosina ed infine Claudio Traina.
L'unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l'esplosione, in gravi condizioni. L'attentato segue di due mesi la strage di Capaci, in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone, segnando uno dei momenti più tragici nella lotta alla mafia.
terroristico-mafioso messo in atto il pomeriggio del 19 luglio 1992 a Palermo in cui persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta : 1) Agostino Catalano il capo scorta ., 2) Emanuela Loi prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio, Vincenzo Li Muli,Walter Eddie Cosina ed infine Claudio Traina.
L'unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l'esplosione, in gravi condizioni. L'attentato segue di due mesi la strage di Capaci, in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone, segnando uno dei momenti più tragici nella lotta alla mafia.
Essi sono ricordi basati su immagini tv ( vedere video sotto ) che vedemmo appena rientrammo a casa di nonna materna
film e documentari sull'eccidio
L'esplosione, avvene in via Mariano D'Amelio dove viveva la madre di Borsellino e dalla quale il giudice quella domenica si era recato in visita, avvenne per mezzo di una Fiat 126 contenente circa 100 chilogrammi di tritolo sui dubbi espressi da gli agenti di scorta, via d'Amelio era una strada pericolosa, tanto che era stato chiesto di procedere preventivamente ad una rimozione dei veicoli parcheggiati davanti alla casa, richiesta però non accolta dal comune di Palermo, come rilasciato in una intervista alla RAI da Antonino Caponnetto.
Fin qui i ricordi misti .
Questo fino a che s'inizio a parlare della trattiva tra mafia e stato che appresi da trasmessi come Blu notte di Lucarelli e siti come http://www.misteriditalia.it . Ora inizialmente c'era lo stesso proposito , per chiarire e chiarirmi meglio alcuni aspetti della trattativa ( verità assoluta ed indiscutibile secondo alcuni , verità con critica come il sottoscritto , presunta secondo alcuni , inesistente o bufala secondo altri ) , dei post su capaci cioè il non parlare del contrastato argomento , e lasciare parlare solo i ricordi diretti o indiretti che fossero . Ma visti i classici fiumi d'inchiostro e di bit e tutta una serie d'articoli trasmissioni ,tv , dvd , libri ,ecc a senso unico cioè pro trattativa , i miei dubbi su quello che gli stessi fautori d'essa definisco basilare cioè il pappello di Vito Ciancimino e le dichiarazioni del figlio Massimo Ciancimino , ed [ SIC ] il svincolare ( come il caso di Adriana stazio delle agende rosse ) o il non rispondere ( motivi di salute o paura d'essere messi in discussione , Salvatore Borsellino spazio facebook e email al sito http://www.19luglio1992.com/.
Questo fino a che s'inizio a parlare della trattiva tra mafia e stato che appresi da trasmessi come Blu notte di Lucarelli e siti come http://www.misteriditalia.it . Ora inizialmente c'era lo stesso proposito , per chiarire e chiarirmi meglio alcuni aspetti della trattativa ( verità assoluta ed indiscutibile secondo alcuni , verità con critica come il sottoscritto , presunta secondo alcuni , inesistente o bufala secondo altri ) , dei post su capaci cioè il non parlare del contrastato argomento , e lasciare parlare solo i ricordi diretti o indiretti che fossero . Ma visti i classici fiumi d'inchiostro e di bit e tutta una serie d'articoli trasmissioni ,tv , dvd , libri ,ecc a senso unico cioè pro trattativa , i miei dubbi su quello che gli stessi fautori d'essa definisco basilare cioè il pappello di Vito Ciancimino e le dichiarazioni del figlio Massimo Ciancimino , ed [ SIC ] il svincolare ( come il caso di Adriana stazio delle agende rosse ) o il non rispondere ( motivi di salute o paura d'essere messi in discussione , Salvatore Borsellino spazio facebook e email al sito http://www.19luglio1992.com/.
Il mio intento era intervistare sia i Trattatisti ( sono sempre a disposizione per repliche ed eventuali richieste di rettifiche che questo post dovesse potare ) sia gli anti o i dubbiosi \ negazionisti . Ora Sono riuscito nel secondo , intervistando via facebook il maggiore dei rappresentati Enrico Tagliaferro , riprendendo le domande ( qui il testo originale ) fatte dall'amica Antonella Serafini ( di www.censurati .it ) al d Antonio Ingroia ovviamente modificandole per renderle più comprensibili a chi non legge i giornali ( se non quelli sportivi ) o vede solo programmi demenziali , insomma agli analfabeti di ritorno
Egli è un blogger noto sul web come “il Segugio”
( indirizzo del blog: http://segugio.daonews.com/ ), autore
nel 2010 di un libro autoprodotto dal titolo “Prego, dottore!”, acquisito agli
atti del processo “Mori-Obinu”, a Palermo, in quanto latore di argomenti
piuttosto convincenti in relazione alla dubbia autenticità di alcune carte
prodotte dal teste Massimo Ciancimino, in un periodo in cui lo stesso
Ciancimino era considerato un’icona dell’antimafia non essendo ancora incappato
nel malaugurato incidente che gli costò l’arresto con un’accusa di calunnia per
la falsificazione di un documento.
Tagliaferro in questi ultimi anni insieme ad altri blogger
giornalisti come Antonella Serafini (censurati.it) o Anna Germoni, ha seguito
le vicende siciliane che hanno visto i Reparti Operativi Speciali dei
carabinieri al centro di accuse molto gravi, studiando scrupolosamente le carte
e le testimonianze, e proponendo quindi un’analisi critica del lavoro della magistratura
che ha sollevato nei suoi lettori, come pare, più di un dubbio in relazione
alle ipotesi accusatorie formulate a carico di uomini come il capitano Ultimo
(Sergio De Caprio) e il generale Mori.
Tagliaferro in particolare, con le sue documentate inchieste, ha
acceso i riflettori su indizi di dubbia autenticità e su testimonianze
incongrue, in relazione a questa triste storia.
Purtroppo il nostro sistema dell’informazione da ben poco spazio
a chi non si accoda alle “verità” ufficiali.
Abbiamo così deciso di proporgli alcune domande.
1) Con riferimento alla perquisizione del
febbraio 2005 della casa all’Addaura di Massimo Ciancimino, tu non vedi forse
un’incongruenza fra quanto riferito dal testimone a proposito della cassaforte “volontariamente
non perquisita” dai carabinieri, ed il fatto che vi sia stata una contestuale
perquisizione, da parte degli stessi carabinieri, di un magazzino, persino
facoltativa in quanto non disposta nel mandato del magistrato, in cui venne
repertato il famoso pizzino strappato, meglio noto come “lettera di Provenzano
a Berlusconi”, oltre che a copiosa documentazione manoscritta di don Vito? E
come si conciliano le due versioni date dal teste, una in cui Ciancimino per
telefono dalla Francia suggerisce al suo impiegato di consegnare ai carabinieri
la chiave della cassaforte, e l’altra in cui dice di aver parlato con il suo
dipendente solo “a perquisizione avvenuta”?
Tu hai già posto l’accento, nella tua domanda, su alcune visibili
incongruenze. Ma ce ne sono molte altre, su quel fatto. Massimo Ciancimino dapprima
racconta che i carabinieri, durante quella perquisizione nel 2005, rinunciarono
ad aprire la sua cassaforte, nonostante questa contenesse il preziosissimo
“papello”, quello poi da lui consegnato in fotocopia e che oggi noi conosciamo.
Successivamente uno dei carabinieri che parteciparono alla perquisizione,
affermò invece in aula che un suo collega ritrovò il papello nascosto in una
controsoffittatura, se lo portò in copisteria per fotocopiarselo (ma senza
porre la fotocopia agli atti del sequestro), e quindi lo ripose nuovamente dove
l’aveva trovato.
Tutte queste narrazioni possono lasciare, in chi le recepisce, perplessità,
e come un senso di sconcerto, di mistero. Io invece credo che tutto diventi più
chiaro e meno misterioso, se si guarda sotto un’altra luce, vale a dire tenendo
in considerazione in primis che il “papello” di Ciancimino, già rinviato a
giudizio per aver falsificato, reo confesso, un altro documento, contiene un evidente
anacronismo, tale da indurre a dubitare anche di quella fotocopia, e che il
secondo testimone è un carabiniere non proprio dei primi della classe, già
condannato in primo grado per falso materiale, avendo falsificato la firma del
suo comandante in calce ad una dichiarazione scritta, ed essendo quindi fisiologicamente
ostile verso i propri comandi dell’epoca.
Ci troviamo quindi di fronte ad incongruenze o fatti
sconcertanti scaturiti dalle testimonianze di due probabili falsari. Tenendo in
conto questo, forse tutto quadra meglio, e si spiegano le incongruenze.
2 ) Parliamo della trattativa fra lo stato e
la mafia. Secondo la teoria dei magistrati, questa avrebbe avuto origine da un
contatto, realizzato a questo scopo, fra i carabinieri del ROS e don Vito
Ciancimino. Ti pare forse un’iniziativa logica, quella di impiegare due
ufficiali dei carabinieri, già distintisi per un’attività senza tregua contro
la criminalità e per aver arrestato molti pericolosi latitanti, come ad esempio
Ciccio Madonìa, e proprio in quel momento concentrati in un’inchiesta sulla
mafia e sugli appalti in Sicilia, come emissari della “trattativa”, quando era
disponibile, ad esempio, il famoso “signor Franco” il quale, a sentire le testimonianze,
era un rappresentante delle istituzioni che nel contempo aveva contatti molto
più diretti dei carabinieri con Cosa Nostra?
Le istituzioni con cui Cosa Nostra avrebbe dovuto trattare, erano forse
rappresentate dai due carabinieri, Mori e De Donno, e da loro soltanto?
L’idea di un’iniziativa del “signor Franco” intesa come migliore
e più logica opportunità, per intavolare una trattativa fra lo stato e la
mafia, rispetto a quella assunta da due nemici giurati (non solo
metaforicamente) dell’organizzazione criminale, quali erano Mori e De Donno, è logicamente
sostenibile di per se stessa, ma
irrealistica e non ipotizzabile, in quanto non solo il sottoscritto, ma anche,
ad esempio, i magistrati di Caltanissetta dubitano che questo sig. Franco possa
configurarsi veramente come un’entità appartenente al mondo reale. Comunque,
pur prescindendo da ogni termine di
paragone,anche in senso assoluto mi pare evidente che se veramente qualcuno
nello Stato, volendo piegarsi ad una trattativa di natura “concessoria” con
Cosa Nostra, avesse deciso di affidare, anziché a qualcuno dei molti “contatti”
possibili con la mafia (magari selezionato nell’ambito delle molte contiguità e
collusioni che certamente esistevano), l’incarico a due segugi da caccia grossa,
capaci di mille trucchi pur di catturare la preda, quali erano Mori e De Donno,
e conosciuti dai mafiosi come tali, beh… non mi pare che potrebbe considerarsi
una brillante idea, se questa fosse riferita ad un fatto vero. Infatti io sono
convinto che le cose non stiano a quel modo. Cosa Nostra sapeva benissimo che
il Generale Dalla Chiesa era stato come un padre ed un fratello, per il
colonnello Mori, così come lo stesso Mori lo era stato per il maresciallo Giuliano
Guazzelli, ucciso pochi mesi prima (aprile 92) dagli assassini di Cosa Nostra.
Avete mai visto un assassino che, per intavolare una trattativa finalizzata ad
ottenere qualche vantaggio, accetta fiducioso, quale interlocutore, il fratello
oppure il padre, o comunque un compagno d’armi delle proprie vittime? E’ chiaro
che non esiste al mondo un interlocutore più inopportuno ed inadatto di quello,
potendo egli come obbiettivo primario, anche per ragioni personali, sempre e
soltanto la cattura degli assassini.
Ma questa è soltanto una, fra le tante incongruenze di questa
fantastica ricostruzione storica, quella della trattativa.
3)
Secondo te è più realistico pensare che
Paolo Borsellino sia stato ucciso perchè era a conoscenza della trattativa fra
lo Stato e la mafia impersonata dai carabinieri e da don Vito, e vi si opponeva, oppure perchè minacciava di
volersi occupare dell’inchiesta “mafia e appalti”, ereditandola da Falcone, e
delle collusioni della mafia con il palazzo?
L’unica e sola testimonianza concreta, oculare, diretta, ed
affidabile relativa ad una reazione di Paolo Borsellino alla notizia che i
carabinieri del ROS stavano colloquiando con don Vito Ciancimino, è quella
della dott.ssa Liliana Ferraro, che ci riferisce, senza tentennamenti, della
totale assenza di qualsiasi minima ombra di turbamento da parte del magistrato
nell’apprendere la circostanza. Chi, conoscendo Borsellino, non si sente di
convenire tranquillamente che per il magistrato l’attività del ROS così come
gli era stata descritta dalla Ferraro, non poteva che essere più che legittima
e per nulla inquietante, è un ipocrita. Viceversa, in quello stesso colloquio
con la Ferraro, l’argomento “serio” su cui Borsellino mirava ad avere notizie
era l’inchiesta “mafia e appalti”. Soltanto quello, lo interessava. Ed altre
numerose testimonianze dirette ed oculari di chi incontrò Borsellino nei suoi
ultimi giorni, confermano la stessa cosa. Invece noi oggi ci troviamo di fronte
ad interi apparati giudiziari, numerose associazioni operanti nel settore
dell’antimafia, interi segmenti dell’informazione, e persino alcuni fra i suoi
famigliari, i quali tutti si rifiutano seccamente ed in qualsiasi modo e
maniera di prendere in considerazione anche solo la possibilità che il vero
movente dell’omicidio di Paolo Borsellino, così come di quello di Giovanni
Falcone, sia stato il più tipico, il più stringente, il più concreto fra tutti i moventi che la criminologia
classica classifica come primari per l’omicidio di un magistrato: l’annichilimento
delle sue inchieste. E dire che qui i magistrati uccisi, impegnati sugli stessi
fronti, erano persino due.
Il movente quindi, parrebbe solare.
Tutto questo è sconcertante, e direi, anche, deprimente.
4)L’inchiesta
Mafia e Appalti è stata archiviata anche per volontà di magistrati della procura di Palermo: non ti sono mai sorte perplessità su tale archiviazione?
Un troncone dell’inchiesta è stato archiviato proprio nei giorni
immediatamente successivi la morte di Paolo Borsellino, il quale, tra l’altro,
aveva dimostrato grande interesse per quel dossier. Come non rimanere
perplessi? Il fatto stesso che a Palermo, in concreto, una “mani pulite” come
quella di Milano non ci sia mai stata, come se di tangenti ed appalti truccati
in Sicilia non ve ne fosse neppure l’ombra, al contrario che in Lombardia,
lascia perplessi. E’ evidente che certi livelli di impunità si possono raggiungere
solo col supporto di collusioni consolidate e di azioni congiunte volte
all’eliminazione fisica dei magistrati scomodi, ed ai successivi depistaggi; e
non certo con improbabili “trattative”.
5)Massimo Ciancimino ha dichiarato che
suo padre controllava la Procura di Palermo per mano del procuratore Giammanco. Qualcuno ha aperto un fascicolo su Giammanco per cercare un po’ di chiarezza in merito?
Francamente non saprei. Se qualcuno l’ha fatto, comunque non ve
n’è notizia.
6)Passiamo ad un altro argomento
“scottante”: la perquisizione del covo di Totò Riina. Puoi spiegare ai lettori
come mai nel programma “Annozero”, in relazione a quella vicenda ed al processo
che subirono il cap. De Caprio ed il Col. Mori, Ingroia parlò di “colpevolezza”
di Ultimo, nonostante l’assoluzione, preferendo la televisione al tribunale?
Aveva facoltà di ricorrere in appello e non l’ha fatto, puoi spiegarci il
motivo?
Si tratta di un argomento molto complesso che non può essere
affrontato in tutte le sue sfaccettature in una breve intervista. Ad ogni modo
la sentenza di assoluzione di Ultimo dalle accuse formulate in merito alle
circostanze conseguenti l’arresto di Totò Riina, si sofferma effettivamente,
nelle motivazioni, sull’avvenuta mancanza di coordinamento fra carabinieri e
procura nell’attività di sorveglianza del quartiere di Via Bernini. I
magistrati ravvisarono un’infrazione del regolamento di Polizia Giudiziaria da
parte di Ultimo per la carenza di informativa ai magistrati in relazione alla
sua attività di sorveglianza nei giorni successivi l’arresto del boss,
ritenendola però un’omissione non dolosa e comunque certamente non finalizzata
a favorire la mafia. D’altro canto la corte ravvisò, parimenti, aspetti
omissivi anche nel comportamento della Procura, che in quelle due settimane non
organizzò alcuna attività di coordinamento con il reparto del ROS né contattò
in alcun modo lo stesso Ultimo per avere aggiornamenti, fatto comunque anomalo,
se proprio riteneva così importante essere informata puntualmente. E questo i
giudici del processo lo scrivono chiaramente. Si tratta comunque di un
dibattito sul sesso degli angeli, in quanto, al di là di tutto, il comportamento
di Ultimo in quei giorni fu perfettamente razionale, mai dannoso per le
indagini in corso, ed anzi prudente, e l’informare o meno la procura sullo
stato della sorveglianza non avrebbe modificato minimamente il risultato delle
indagini. Per questo è stato assolto. Ingroia in televisione attaccò Ultimo,
parlando di sue responsabilità comunque accertate, riferendosi, in modo
implicito, a questa circostanza: l’infrazione di un regolamento di polizia
meramente formale e non dolosa. Ovviamente il pubblico di Annozero, milioni di
ascoltatori, intese invece, in larga parte, che il PM si riferisse, con quelle
parole, ad un’altra circostanza di natura “omissiva”: quella del non aver
perquisito il covo. Una grave ambiguità, se si tiene conto del fatto che quel
capo d’imputazione a carico di Ultimo non era inerente a quella circostanza
(determinata peraltro da una decisione definitiva di Caselli), ma solo alla
carenza di informativa in relazione all’interruzione della sorveglianza a
partire dal giorno successivo l’arresto di Riina. Tutto questo è potuto
accadere in quanto la TV di Stato ha dato voce agli antagonisti del capitano De
Caprio, senza contradditorio. Anzi, impedendo all’avvocato di Ultimo, che aveva
telefonato per replicare, di avere la parola. Con una televisione pubblica meno
“stalinista”, probabilmente oggi non saremmo qui a porci domande su quei fatti,
che invece sono chiari e trasparenti. Per quanto riguarda la spiegazione che
vorresti in merito al mancato ricorso in appello da parte della Procura, non dispongo
di elementi certi. Ipotizzo che questa potrebbe forse trovarsi negli atti dello
stesso processo di primo grado: per l’accusa quella causa sarebbe potuta andare
anche peggio, considerando che fra i documenti acquisiti c’erano persino gli
indizi, non tenuti purtroppo in alcuna considerazione, di alcune probabili
false testimonianze da parte di determinati testi presentati in dibattimento.
Approfondendo l’analisi documentale e l’esame dei testi in Appello, chissà dove
si sarebbe potuti arrivare. Insomma, molto meglio chiuderla lì.
7) Come sarebbe giusto comportarsi nei
confronti di una persona che viene sentita parlare al telefono con mafiosi durante intercettazioni telefoniche? come nel caso di Ingroia che è stato intercettato a parlarecon Michele Aiello http://www.ilfoglio.it/soloqui/8961 oppure http://www.censurati.it/2005/09/12/i-pm-personcine-perbene/
E’ stato provato da un’inchiesta specifica, che Ingroia quando
aveva rapporti con Michele Aiello, non sapeva né sospettava nulla degli aspetti
criminali della figura di quell’imprenditore, né dei suoi rapporti con Bernardo
Provenzano, né dei suoi rapporti con il suo collaboratore della DIA Pippo
Ciuro, né dei suoi rapporti con Totò Cuffaro, con la famiglia mafiosa degli
Eucaliptus, con il boss Guttadauro, né del fatto che Aiello si arricchiva da
anni applicando alla regione Sicilia, per le prestazioni delle sue cliniche,
tariffe elevate a tutto beneficio delle tasche sue ma anche, come pare, di
quelle di Provenzano: insomma, quel magistrato dell’antimafia di Palermo, già
impegnato da molti anni nella sua attività di indagine e contrasto della mafia
palermitana, non sapeva nulla di nulla di tutti quei mafiosi palermitani, dei
loro giri di complicità, e delle loro vicende, che furono poi finalmente messe
a nudo grazie soprattutto all’attività del suo collega Pignatone. Mi pare che Ingroia
abbia già querelato in passato chi ha insinuato il contrario, e quindi gli
crediamo. Siamo però altrettanto liberi di ritenere che al posto suo un
magistrato come Paolo Borsellino, dovendo ristrutturare un appartamento, si
sarebbe rivolto ad altro genere di impresa, magari ad una piccola impresa, di
tipo familiare, capace ed onesta nei prezzi, anziché ad uno degli uomini più
potenti della Sicilia, multimilionario e proprietario di cliniche
superconvenzionate con la Regione.
Io la penso così.
6)Ci sapresti dire se, a tuo giudizio,
corrisponde al vero la notizia secondo cui il papello sarebbe stato ideato da
Riina, e dopo averlo scritto Riina è stato arrestato? Oppure, ci sapresti
spiegare il motivo per cui Riina si ritrovò a chiedere consiglio a Ciancimino,
che era molto vicino a Provenzano, la cui linea strategica non pare fosse in
grande sintonia con quella dello stesso Riina?
Non amo commentare quelle che per me sono leggende messe in giro
da presunti pentiti o pataccari, vorrei parlare solo di fatti riscontrati.
Riina, per quello che mi consta, non è stato arrestato “dopo aver scritto il
papello”, ma dopo decenni di attività mafiosa, di omicidi sanguinari, e di
latitanza supportata, certamente, anche da complicità istituzionali. L’idea di
uno Stato che, potendolo fare anche prima, decide di arrestare Riina, in
accordo con un altro boss di Cosa Nostra più “morbido” del suo paesano, solo quando e perchè il padrino Corleonese
decide di impuntarsi su una serie di richieste irricevibili da parte dello
Stato stesso, per quanto mi riguarda è pura fantapolitica.
E pure abbastanza pacchiana, roba da sparate fatte al bar.
Per rendere plausibile una simile teoria, occorrono a supporto
prove d’acciaio temprato. Che qui, guarda caso, mancano completamente.
7) Vorrei parlare di un argomento
particolare: il passaporto di Vito Andrea, il figlio di Massimo Ciancimino. Si
è letto che questo, il normalissimo passaporto di un infante, potrebbe essere
stato “procurato” da un agente dei servizi segreti, poiché in questura pare
fossero state frapposte difficoltà e lungaggini al suo rilascio. Avresti
qualche informazione aggiuntiva, sull’argomento?
Mi risulta che in una testimonianza resa in Procura a Palermo,
Carlotta Ciancimino, moglie di Massimo, abbia riferito di un incontro a Roma
con un alto funzionario di Polizia, il cui nome ritengo abbastanza prevedibile
perché già coinvolto su altri fronti e suo malgrado in questa vicenda, il quale
si sarebbe attivato, per l’appunto e sempre a detta della signora Carlotta, per
la consegna celere di questo passaporto del figlio, quale favore reso a Massimo
Ciancimino. Francamente non so in che misura tale episodio, se confermato, possa
essere rappresentativo di qualche cosa. Ad ogni modo mi auguro che esso sia
stato chiarito anche con l’interessato, perché gli elementi per una verifica di
chiarimento, mi pare ci possano stare, sempre che sia una storia vera e
verificata e non traballante, come già molte altre in questa vicenda.
8)Per quale
motivo Vito Ciancimino pensò che i carabinieri gli avevano teso una trappola, facendolo arrestare, se stava trattando con loro?
Questa è una circostanza che non mi risulta riferita direttamente
da Vito Ciancimino, ma “de relato” da altre persone, alle quali io, ovviamente,
faccio ben attenzione a dar credito. Nei suoi scritti Vito Ciancimino dichiara
sostanzialmente di ritenere che il suo arresto sia avvenuto proprio per
impedirgli di collaborare con i carabinieri, che è una cosa completamente diversa.
Non vedo perché avrebbe dovuto mentire nell’esprimere tale opinione, e per
iscritto, se avesse davvero ritenuto di essere invece caduto in una trappola
dei carabinieri. E’ invece chi sostiene che don Vito Ciancimino mentiva quando
scriveva queste cose, a non parere credibile, e comunque non vi è alcuna sorta
di indizio a supporto di questa, che pertanto, per quanto mi consta, rimane
un’invenzione.
9)Ti sei formato forse un giudizio in
merito al fatto che le parole e gli scritti di Vito Ciancimino, per i
magistrati, paiono non avere valore mentre quelle di suo figlio che racconta le cose del padre, paiono averne
parecchio?
La ragione è banale: se si desse credito alle testimonianze
scritte di Vito Ciancimino, anziché al narrato del figlio, crollerebbe tutto il
teorema della trattativa così come oggi é stato costruito. Pertanto, non è
pensabile che ciò possa avvenire. E’ curioso però che certi magistrati, com’è
evidente, siano disposti a credere prontamente a qualsiasi fotocopia di
scarabocchio attribuibile in qualche modo a Vito Ciancimino, quando questa può
essere di supporto alla tesi della “trattativa”, mentre rigettano fermamente,
come menzognero, qualsiasi documento, anche indubbiamente autentico, in cui don
Vito fornisca dati in contrasto alla loro tesi. Ciò accade,ad esempio, da un
lato per il cosiddetto “contropapello”, considerato una prova autentica della
“trattativa” nonostante sia di fatto un assemblaggio di frasi disomogenee e
spesso implausibili, e dall’altro per la nota “paradigma di collaborazione”,
manoscritto originale, considerato invece, quando parla della “trattativa”, al
pari di un cumulo di menzogne. Ma i documenti di don Vito, consegnati dal
figlio, utili ad indiziare la “trattativa” sono sempre, guarda caso,
esclusivamente fotocopie di autenticità mai provata in modo definitivo, mentre
quelli di don Vito che “disturbano” la tesi della trattativa, sono certamente
autentici. Tuttavia gli apparati giudiziari, di Palermo ma anche di
Caltanissetta, hanno dimostrato di volere credere senz’altro ai primi, e mai ai
secondi.
10) Ingroia ha dichiarato (Corte d’Assise
di Caltanissetta, 12 novembre 1997) che Borsellino riteneva importante l’inchiesta “mafia e appalti” e che partendo dagli appunti di Falcone in merito si sarebbe arrivati ai moventi delle stragi. Ora, come mai la pista di questi moventi pare
completamente abbandonata, mentre tutta l’attenzione degli inquirenti risulta
solo ed esclusivamente dedicata al movente rappresentato dalla “trattativa” tra
Mafia e Stato?
Per quanto mi consta, non esiste una spiegazione logica,
razionale e supportata da cause ben definite, a questa domanda. Pertanto non so
risponderti. La domanda andrebbe quindi posta ad Ingroia.
Nessun commento:
Posta un commento