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| Laura nel 2007, all’epoca era già malata ma asintomatica |
Laura Santi è una giornalista, ha viaggiato il mondo ma vive ancora nella città dove è nata: Perugia.
Laura ha cinquant’anni e da venticinque soffre di sclerosi multipla.
Il suo corpo è quasi completamente paralizzato, muove solo la testa e
tre dita della mano destra. Non ha più nessuna autonomia e dipende
completamente e per qualunque funzione da chi l’assiste e da suo marito
Stefano. La sua giornata è scandita dalla sofferenza, dal
dolore, da una serie di gesti necessari per tenerla in vita, da
un’immensa fatica.

Tre anni fa ha iniziato una battaglia legale per avere il diritto di accedere al suicidio medicalmente assistito. Per avere la libertà di scegliere se restare in questo mondo.
Alcune
settimane fa, quando pensava ancora di essere costretta ad andare in
Svizzera per il fine vita nonostante abbia i requisiti previsti dalla
Corte Costituzionale per morire in Italia, mi ha scritto. Ha immaginato
che tutti avrebbero parlato della sua morte, invece lei voleva raccontare la sua vita, lasciare una traccia del suo passaggio e del suo amore e della sua gratitudine per il mondo e le persone.Così sono andato a trovarla e proprio nel giorno in cui sono
arrivato a Perugia lei ha ricevuto il protocollo sanitario di assistenza
per il suicidio assistito dall’Asl della Regione Umbria. Era
molto scossa: «Mi sono messa a piangere quando l’ho saputo. Ero in un
misto tra malinconia, tristezza, liberazione e trionfo. Mi sono fatta un
pianto a singhiozzo pensando a me che schiacciavo quel pulsante. È dura dirlo, però è così: quel pensiero può essere anche vissuto come una grande liberazione».

Per più di due ore sono stato seduto di fronte a lei ad ascoltarla, nelle sue parole ho trovato tanta umanità e la capacità di spazzare via le banalizzazioni che caratterizzano il dibattito sul fine vita in Italia: «La vita è una e soltanto una e me la tengo cara, me la sono sempre tenuta cara. Avere la libertà di morire è una cosa dirompente, ma vorrei far capire che non porta nessun abuso. Ora sono libera di decidere della mia esistenza. Sono libera di capire fino a che punto voglio affrontare la progressione di una malattia che non si sta fermando ed è dirompente». Così Laura mi ha parlato del dilemma che vive ogni giorno, di quella vertigine che lei chiama “il parapetto”, che è figlio della possibilità di scegliere, di non essere obbligata a vivere a tutti i costi: «È come se tu ti sporgessi da un parapetto che si affaccia sul vuoto: tu guardi di sotto e ti chiedi: vuoi morire domani? No, grazie, domani no. E forse neanche dopodomani, forse neanche tra una settimana. Questo è il parapetto, questa è la libertà. E questo nonostante io mi senta intrappolata in questo corpo, sia piena di sofferenze, di dolori, di spasmi, di crisi epilettiche, nonostante io viva ogni giorno la solitudine e l’isolamento della disabilità. Ogni sera il mio corpo mi dice basta, ma la mia mente mi dice che vorrebbe andare avanti. E per me è un dilemma terribile».

Laura mi ha parlato a lungo della sua vita, della
sua famiglia, della sua infanzia di bambina timida e introversa, della
sua adolescenza difficile: «Ero una ragazza bulimica, ma crescendo mi sono trasformata in una persona bulimica di vita,
che cercava di strappare la vita con i denti e con le unghie anche
nella timidezza». Mi ha raccontato dell’amore per il nuoto e della
sofferenza di dover rinunciare alla piscina per la malattia, della
scelta di fare la giornalista: «Perché mi piaceva molto ascoltare gli
altri, perché tutti hanno delle storie bellissime da raccontare. Perché
l’ascolto per me è una cosa pazzesca». Mi ha parlato dei suoi viaggi nel
mondo e dell’amore per Stefano, che è diventato suo marito e le sta
accanto ogni giorno. Il nostro incontro è diventato anche un podcast che ha il titolo che Laura avrebbe dato alla sua autobiografia se ne avesse mai scritta una: “Una fame disperata di vita”.Un incontro che è stato un turbine di sensazioni e così pieno di vita
da farmi quasi dimenticare che ero arrivato per parlare della sua
morte: «Lo capisci il dilemma che sto vivendo? Tu mi senti parlare? Il dilemma è che se fosse per la mia mente, per il mio cuore, io andrei anche tranquillamente molto in là, perché c’è la vita.
Ho cercato il cartellone di Umbria Jazz, è bellissimo, lo vorrei tanto
vedere. Non credo che lo farò, ma il solo fatto che lo desidero è
vitale. Oppure vorrei essere alla manifestazione per Gaza. Vorrei vedere
la gente che si ammassa a Roma. Voglio sapere come andrà il referendum.
Questa cosa mi incuriosisce da matti. Non so bene come votare quelli
sul lavoro, ma quello sulla cittadinanza sono certa di andare a votarlo.
E
allora mi si potrebbe dire: ma che ti frega del referendum, di Gaza,
del jazz se vai a morire? E invece mi frega, il problema è questo: la vita è bella e il mondo per me è e resterà sempre tremendamente interessante. Il mondo con le sue atrocità, con le sue ingiustizie, con le sue bellezze, con la sua poesia. Questo è il dilemma, questo è il parapetto». Una delle cose più commoventi di Laura è la sua gratitudine verso le persone:
ringrazia sempre per la solidarietà, la vicinanza e l’amicizia. Non c’è
nessuna amarezza, nessuna rabbia, ma una forza straordinaria. Nella sua
battaglia non è stata sola, ma ha avuto accanto Marco Cappato e
Filomena Gallo dell’Associazione Luca Coscioni: «Per me sono due amici,
sono due persone che mi hanno tenuto per mano mi hanno suggerito di
rendere pubblica la mia situazione. Io ero intenzionato ad andare in
Svizzera dalla disperazione e volevo tenere in incognita questa mia
scelta anche per motivi familiari, ma loro mi hanno aiutato a parlarne
pubblicamente».Nessuno di noi sa quanto vivrà ancora Laura, ma io sento il
privilegio di averla incontrata e di averla ascoltata e mi ha regalato un grande insegnamento sul valore della libertà e sul rispetto che si deve alle scelte degli altri.
