fonti msn.it e pagina Facebook carmelo abbate
Sta facendo discutere un caso clinico unico nel suo genere, di un chirurgo che ha contratto il cancro da un paziente che stava operando. Il cancro non è una malattia contagiosa (non si trasmette come un virus) se non in rarissime eccezioni conosciute in tutto il genere animale ( nei cani, nel diavolo della Tasmania e nel criceto dorato ) e in
casi umani assai rari di trasmissione materno-fetale per difetti genetici nel feto (sono stati documentati appena 17 casi di trasmissione materno-fetale in oltre un secolo). Ciò rende la storia del chirurgo, dettagliata in un rapporto pubblicato nel 1996 sul New England Journal of Medicine, un caso assolutamente singolare.
L’esame istologico rivelò che si trattava di un istiocitoma fibroso maligno, lo stesso tipo di tumore maligno che il chirurgo stava rimuovendo al momento della lesione alla mano. Ulteriori analisi rivelano che le cellule cancerose erano geneticamente identiche a quelle del cancro del suo paziente, per cui il team medico concluse che le cellule maligne dovevano essersi trasferite nel momento in cui il chirurgo si era ferito. “I due tumori erano entrambi degli istiocitomi fibrosi maligni del sottotipo storiforme-pleomorfo – si legge nel rapporto – . Utilizzando metodi molecolari, abbiamo poi dimostrato che i sarcomi del paziente e del chirurgo erano geneticamente identici”. Nel rapporto, il team descrive il caso come un “trapianto accidentale” di un istiocitoma fibroso maligno del paziente, precisando che si tratta di una circostanza molto insolita perché, solitamente, un tessuto trapiantato che differisce geneticamente dal tessuto dell’ospite viene preso di mira e distrutto sistema immunitario dell’ospite, portando al rigetto. Questo è il motivo per cui, durante i trapianti di organi, vengono utilizzati farmaci immunosoppressori. Il chirurgo aveva infatti sviluppato un’infiammazione intorno al taglio ma, evidentemente, quella risposta immunitaria non è riuscita a impedire alle cellule cancerose di proliferare. Secondo il team, quelle cellule potrebbero aver eluso il sistema immunitario del chirurgo attraverso diversi meccanismi: ad esempio, potrebbero non aver prodotto sufficienti antigeni, molecole che attivano il sistema immunitario, innescando la produzione di anticorpi, secondo il rapporto.
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Nazarena Savino, 26 anni, si conferma un esempio straordinario di determinazione e resilienza. Pur affrontando le sfide legate alla sua disabilità, ha conseguito la sua seconda laurea magistrale - anch’essa con 110 e lode - in Storia dell’Arte, presso UniSalento. Già laureata in Archeologia e Storia Greca (triennale), Nazarena - originaria di Erchie, in provincia di Brindisi - è stata anche insignita del Premio
casi umani assai rari di trasmissione materno-fetale per difetti genetici nel feto (sono stati documentati appena 17 casi di trasmissione materno-fetale in oltre un secolo). Ciò rende la storia del chirurgo, dettagliata in un rapporto pubblicato nel 1996 sul New England Journal of Medicine, un caso assolutamente singolare.
Cosa sappiamo del chirurgo che ha contratto il cancro dal paziente che stava operando
Il chirurgo, un uomo tedesco di 53 anni, stava eseguendo un intervento chirurgico di asportazione di un istiocitoma fibroso maligno dall’addome di un paziente, un tipo di sarcoma caratterizzato dalla presenza di istiociti, delle cellule immunitarie che migrano in tessuti dove non dovrebbero, in cui formano escrescenze tumorali. Durante l’operazione, il chirurgo si ferì accidentalmente alla mano, tagliandosi alla base del dito medio del palmo sinistro, mentre cercava di posizionare un drenaggio nel paziente. La ferita venne disinfettata e fasciata immediatamente, ma cinque mesi dopo, il chirurgo notò che, in quello stesso punto della mano in cui si era ferito, si stava formando un piccolo nodulo. Visitato da uno specialista della mano che rilevò “un rigonfiamento duro,circoscritto, simile a un tumore di 3 cm di diametro”, il chirurgo fu quindi operato e il tessuto rimosso venne analizzato.L’esame istologico rivelò che si trattava di un istiocitoma fibroso maligno, lo stesso tipo di tumore maligno che il chirurgo stava rimuovendo al momento della lesione alla mano. Ulteriori analisi rivelano che le cellule cancerose erano geneticamente identiche a quelle del cancro del suo paziente, per cui il team medico concluse che le cellule maligne dovevano essersi trasferite nel momento in cui il chirurgo si era ferito. “I due tumori erano entrambi degli istiocitomi fibrosi maligni del sottotipo storiforme-pleomorfo – si legge nel rapporto – . Utilizzando metodi molecolari, abbiamo poi dimostrato che i sarcomi del paziente e del chirurgo erano geneticamente identici”. Nel rapporto, il team descrive il caso come un “trapianto accidentale” di un istiocitoma fibroso maligno del paziente, precisando che si tratta di una circostanza molto insolita perché, solitamente, un tessuto trapiantato che differisce geneticamente dal tessuto dell’ospite viene preso di mira e distrutto sistema immunitario dell’ospite, portando al rigetto. Questo è il motivo per cui, durante i trapianti di organi, vengono utilizzati farmaci immunosoppressori. Il chirurgo aveva infatti sviluppato un’infiammazione intorno al taglio ma, evidentemente, quella risposta immunitaria non è riuscita a impedire alle cellule cancerose di proliferare. Secondo il team, quelle cellule potrebbero aver eluso il sistema immunitario
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Nazarena Savino, 26 anni, si conferma un esempio straordinario di determinazione e resilienza. Pur affrontando le sfide legate alla sua disabilità, ha conseguito la sua seconda laurea magistrale - anch’essa con 110 e lode - in Storia dell’Arte, presso UniSalento. Già laureata in Archeologia e Storia Greca (triennale), Nazarena - originaria di Erchie, in provincia di Brindisi - è stata anche insignita del Premio
Isabella dalle Giubbe Verdi per il suo impegno nel campo della disabilità e dell’accessibilità
.Con una tesi innovativa, realizzata in collaborazione con Palazzo Barberini di Roma e dedicata all’equilibrio tra arte e inclusione, e con il suo costante lavoro di sensibilizzazione, unisce la sua passione per la cultura con un instancabile impegno per abbattere le barriere architettoniche e culturali.
E ora, appellandosi al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sogna un’Italia artistica accessibile a chiunque.
Nazarena, può raccontarci la sua storia e le sfide principali che affronta?
«A 18 anni mi è stata diagnosticata una malattia neurologica, che oggi mi impedisce di leggere e scrivere. Ho affrontato periodi difficili, in cui molte persone mi hanno fatto sentire inadeguata. Sentire frasi come “guarderai il mondo da una finestra” da chi consideravo amico è stato devastante. Ma non ho lasciato che queste parole mi fermassero. Grazie al sostegno della mia famiglia e dei veri amici, ho trovato la forza per realizzare i miei sogni».
In che modo arte e cultura l’hanno aiutata a trasformare le difficoltà in forza?
«L’arte è stata una fonte di ispirazione e rinascita. La mia tesi, realizzata in collaborazione con Palazzo Barberini, esplora come conciliare arte e accessibilità, studiando soluzioni alternative grazie alle nuove tecnologie. Ogni luogo culturale dovrebbe essere accessibile, perché la bellezza dell’Italia deve poter essere vissuta da tutti. Da qui il mio appello al Presidente Sergio Mattarella e alle istituzioni: consentiteci di avvicinarci alla cultura, tutti meritiamo di sentirci inclusi».
Come ha trovato la forza per un percorso così impegnativo?
«Devo tutto a mia madre Lea e a mia sorella Swami, i miei occhi e le mie mani: loro leggevano, io apprendevo. Il loro amore e supporto sono stati fondamentali. Anche gli amici veri hanno giocato un ruolo essenziale nel mio percorso. Un ringraziamento speciale va pure a tutti i docenti del corso di laurea in Beni Culturali, che mi hanno permesso di esprimermi al meglio».
Ai ragazzi ripete sempre tre parole: «passione, perseveranza e studio». È il suo motto di vita?
«Sì, perché la cultura appartiene a tutti e grazie ad essa possiamo migliorare la qualità della nostra vita e riconoscere il valore unico di ogni individuo. Solo lavorando insieme, tuttavia, possiamo abbattere le barriere fisiche e culturali».
Quale messaggio vorrebbe trasmettere ai giovani?
«Nonostante gli ostacoli, con la giusta determinazione è possibile costruirsi un futuro luminoso: il nostro valore non dipende dalle opinioni degli altri, ma solo da noi stessi. E vorrei che comprendano che la disabilità non è un limite, ma una parte della diversità umana: il mio augurio è che diventino protagonisti di un futuro inclusivo e rispettoso di tutti».
A chi dedica questo traguardo?
«Alla mia famiglia, che mi ha trasmesso forza e serenità, e a tutti coloro che lottano ogni giorno contro le difficoltà. E lo dedico anche a chi si sente invisibile, escluso, a chi pensa di non farcela: non arrendetevi mai».
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L’ aprile del 1980 montano in sella alle loro biciclette. Partono da Lione, all’avventura. Vogliono stare in giro almeno tre anni. Pedalano per chilometri, affrontano salite, vento, pioggia e sole cocente. Attraversano deserti, foreste, montagne e continenti. Dal cuore dell’Europa si spingono fino ai confini più remoti del pianeta. Non si fermano mai, tranne quando un paesaggio o un incontro li cattura.
Nel 1984 hanno attraversato già mezza Asia, e vanno in Australia. Vivono col minimo indispensabile, vendendo reportage dei loro viaggi alle riviste locali. E lì, in un angolo sperduto, Françoise scopre di essere incinta. In quel momento devono fare una scelta, fermarsi o continuare. Rimontano in sella, ripartono. E Manon nasce in Nuova Zelanda. I genitori la avvolgono in una coperta, la mettono in un piccolo rimorchio agganciato alla bicicletta, e via.
Viaggiano per i successivi sei anni, Manon cresce esplorando il mondo prima ancora di imparare a camminare, tra lingue e culture diverse. Impara a sorridere a chiunque incontri. La bimba dorme mentre le ruote girano, si nutre del mondo che la circonda.
Nel 1994 la coppia torna a Parigi. Sono passati quattordici anni, hanno percorso 150 mila chilometri attraverso 66 Paesi nei cinque continenti. Hanno forato 503 gomme, consumato 90 pneumatici e fatto innumerevoli incontri. Claude e Françoise sono tornati cambiati, ricchi di storie e di umanità. Manon ha sei anni, e porta già con sé una vita intera di avventure e ricordi.
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